ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 49, comma 3,
seconda  parte,  della  legge  9  marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione
dell'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  e dell'Istituto
nazionale  per  l'assicurazione  contro  gli infortuni sul lavoro), e
dell'art. 2,  comma 215, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
di  razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza
emessa  il  20 gennaio 1999 dal Tribunale di Firenze nel procedimento
civile  vertente tra M. Edil S.r.l. in liquidazione e l'INPS iscritta
al  n. 166  del  registro  ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 12,  prima serie speciale, dell'anno
1999;
    Visti  gli  atti di costituzione della M. Edil S.r.l. e dell'INPS
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 giugno 2000 il giudice relatore
Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli  avvocati  Arturo  Maresca per la M.Edil S.r.l., Fabio
Fonzo  e  Antonio  Sgroi per l'INPS e l'avvocato dello Stato Giuseppe
Albenzio per il Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Ritenuto  che nel corso di una controversia - in cui una societa'
contestava   di   essere   stata  inquadrata  dall'INPS  nel  settore
industriale   sostenendo   di   dover   pagare  l'inferiore  aliquota
contributiva  prevista per il commercio - il Tribunale di Firenze, in
data   20   marzo   1996,   sollevava   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 49,  comma 3,  seconda parte, della legge 9
marzo  1989,  n. 88  (Ristrutturazione  dell'Istituto nazionale della
previdenza  sociale  e  dell'Istituto  nazionale  per l'assicurazione
contro gli infortuni sul lavoro), in riferimento agli artt. 1, 3 e 41
della Costituzione;
        che  la  questione  era  rilevante  perche',  a seguito della
sentenza  delle  Sezioni  Unite della Corte di cassazione n. 4837 del
1994, la norma impugnata doveva essere interpretata nel senso che gli
inquadramenti fissati in data anteriore a quella di entrata in vigore
della  legge  n. 88 del 1989 mantengono la propria validita' anche in
seguito,  con  la  conseguenza che la nuova normativa si applica solo
alle imprese che hanno iniziato l'attivita' in un momento successivo;
        che una simile interpretazione veniva oggettivamente a creare
una  discriminazione  tra imprese che operano nel medesimo territorio
sulla  base  della  sola  differenza  costituita dalla data di inizio
dell'attivita',   discriminazione  gia'  sottoposta  a  scrutinio  di
costituzionalita'  e sostanzialmente riconosciuta da questa Corte con
la  sentenza  n. 378  del  1994,  nella  quale  era  stato rivolto al
legislatore  un  monito,  avvertendosi  la  necessita'  che  la norma
transitoria  in  questione  non protraesse indefinitamente la propria
efficacia;
        che questa Corte, con ordinanza n. 322 del 1997, disponeva la
restituzione degli atti al Tribunale di Firenze per una rivalutazione
della   rilevanza,   a  seguito  dello  ius  superveniens  costituito
dall'art. 2,   comma  215,  della  legge  n. 662  del  1996,  che  ha
comportato  la  cessazione  del regime transitorio di classificazione
delle imprese a decorrere dal 1o gennaio 1997;
        che  in  conseguenza  di  questa  ordinanza  il  Tribunale di
Firenze   ha   sollevato   ulteriormente  questione  di  legittimita'
costituzionale,   ritenendone   la  perdurante  rilevanza  e  la  non
manifesta  infondatezza,  dell'art. 49, comma 3, seconda parte, della
legge  9  marzo  1989, n. 88 e dell'art. 2, comma 215, della legge 23
dicembre  1996,  n. 662  (Misure  di  razionalizzazione della finanza
pubblica), senza espressa indicazione di alcun parametro;
        che  a  parere  del  giudice  a quo le perplessita' emergenti
dalla  sentenza  n. 378  del  1994  di questa Corte debbono ritenersi
ancora  valide,  e cio' pur in presenza dell'art. 2, comma 215, della
legge   n. 662   del  1996,  perche'  l'impugnato  art. 49  determina
un'immotivata   disparita'  di  trattamento,  in  ordine  agli  oneri
previdenziali,  tra  imprese che operano nello stesso settore e nello
stesso territorio;
        che   il   termine  di  cessazione  del  regime  transitorio,
auspicato da questa Corte nella sentenza ora citata e stabilito dalla
legge n. 662 del 1996, doveva essere posto, ad avviso del rimettente,
non  alla  data del 1o gennaio 1997, bensi' in un momento precedente,
da  collocarsi  "nel  lasso  di  tempo intercorrente tra l'entrata in
vigore   della   legge  n. 88/1989  e  la  data  della  pronunzia  di
costituzionalita'",  proprio  in  considerazione  dei  cospicui oneri
previdenziali  che  continuano a gravare sulle imprese in conseguenza
di una classificazione ormai del tutto superata;
        che  davanti  a  questa  Corte  si  e' costituita la societa'
appellante   nel   giudizio  a  quo  chiedendo  l'accoglimento  della
questione  e  si  e'  costituito  anche  l'Istituto  nazionale  della
previdenza  sociale,  chiedendo  che  la  prospettata  questione  sia
dichiarata non fondata;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
sostenendo   l'inammissibilita'  o,  comunque,  l'infondatezza  della
presente questione.
    Considerato  che,  secondo  il  costante  insegnamento  di questa
Corte,  in caso di omessa indicazione, nel dispositivo dell'ordinanza
di  rimessione, dei parametri costituzionali che si assumono violati,
la questione di legittimita' costituzionale e' ugualmente ammissibile
qualora  gli  stessi risultino "chiaramente deducibili, anche se solo
in maniera implicita, dal contesto della motivazione" (sentenza n. 99
del 1997 e ordinanza n. 393 del 1997);
        che  nella  specie  il  Tribunale  di  Firenze, nel rimettere
l'odierna  questione,  si  e'  direttamente  richiamato (riportandone
l'integrale  testo) alla propria precedente ordinanza del 1996, nella
quale  si assumeva che l'art. 49, comma 3, seconda parte, della legge
9  marzo  1989,  n. 88, fosse in contrasto con gli articoli 1, 3 e 41
della   Costituzione;  parametri  che  possono  essere  assunti  come
criterio di giudizio anche della presente decisione;
        che  questa  Corte,  nel  dichiarare  inammissibile,  con  la
sentenza  n. 378  del  1994,  la  questione  relativa alla potenziale
attitudine    del   regime   transitorio   in   esame   a   protrarre
indefinitamente  la  propria efficacia, ha sottolineato la necessita'
di  un  intervento  del  legislatore  finalizzato  a porre un termine
finale a tale regime;
        che   il   legislatore,   pur   godendo   della   piu'  ampia
discrezionalita'  nello  stabilire  i  limiti di applicabilita' delle
norme   transitorie,   deve  comunque  rispettare  i  principi  della
ragionevolezza e della non arbitrarieta';
        che,  nel  caso  specifico,  la previsione di cui all'art. 2,
comma 215, della legge n. 662 del 1996 dimostra che il legislatore ha
recepito  l'invito  rivoltogli  da  questa  Corte  ed ha provveduto a
fissare  la  data  del  1o  gennaio 1997,  a  partire  dalla quale la
classificazione  di  tutti  i  datori di lavoro ai fini previdenziali
dev'essere  effettuata  soltanto  in  base  ai  nuovi criteri fissati
dall'art. 49, comma 1, della legge n. 88 del 1989;
        che  non  vi e' alcuna ragione vincolante per affermare, come
invece  ritiene il giudice a quo che la cessazione dell'ultrattivita'
del   regime   transitorio   doveva   essere   fissata   dalla  legge
anteriormente  alla  pronuncia  n. 378  del 1994 di questa Corte, dal
momento  che  nella  menzionata  sentenza  non  si  e'  ritenuto  che
l'art. 49,  comma  3, seconda parte, della legge 9 marzo 1989, n. 88,
fosse   gia'   allora   in   contrasto  con  gli  invocati  parametri
costituzionali;
        che,   pertanto,   la   presente   questione  deve  ritenersi
manifestamente infondata.