ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 24 dicembre 1908, n. 797 (Legge per l'unificazione dei sistemi di procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici), trasfuso nell'art. 1 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1998 dal giudice di pace di Roma, nel procedimento civile vertente tra Cianci Antonio e l'ACEA, iscritta al n. 46 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1999. Visti l'atto di costituzione di Cianci Antonio nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 23 maggio 2000 il giudice relatore Massimo Vari; Udito l'avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei Ministri; Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale, promosso da Cianci Antonio contro l'ACEA - Azienda comunale energia e ambiente, il giudice di pace di Roma ha sollevato, con ordinanza del 20 ottobre 1998, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639 (Approvazione del testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato) "e precisamente: art. 1 della legge 24 dicembre 1908, n. 797" (Legge per l'unificazione dei sistemi di procedura coattiva per la riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici) "nella parte in cui estende la procedura speciale di riscossione ai proventi dei servizi pubblici esercitati dallo Stato e dagli Enti pubblici, anche in ipotesi di pretesa creditoria derivante da contratto", denunciandone il contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione; che il rimettente muove dall'assunto che, nel procedimento di ingiunzione regolato dal regio decreto n. 639 del 1910, l'opposizione del debitore apra "un ordinario processo di cognizione, nel quale l'ingiunto esperisce un'azione di accertamento negativo diretta a contestare il diritto all'esecuzione, con le necessarie conseguenze connesse alla sua veste di attore, anche in ordine all'onere della prova"; che da tale principio da reputare, ad avviso del giudice a quo espressione "dell'orientamento della Suprema Corte", al quale egli "intende uniformarsi" discenderebbe, in favore dello Stato e degli enti pubblici, "un regime speciale, privilegiato rispetto a quello previsto dal codice di rito"; che, peraltro, secondo l'ordinanza di rimessione, mentre in ipotesi di riscossione di imposte e' giustificabile tale regime e la conseguente "limitazione dei diritti fondamentali sanciti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione, in vista di un interesse primario dello Stato e degli enti pubblici", analoga giustificazione non puo' invece valere per le pretese creditorie, nascenti "da contratto", vantate da un'azienda municipalizzata (ACEA), ovvero da altri enti pubblici, e cioe' per quella attivita' economica che, come nel caso delle bollette per consumo di energia elettrica, non consente di reputare "supportata da un interesse superiore" la "posizione di privilegio, in materia di ingiunzione, goduta dall'ACEA" (all'epoca azienda municipalizzata); che il rimettente assume, infine, sussistere una "evidente...disparita' di trattamento" tra gli "utenti dell'ENEL", per i quali trova applicazione l'ordinario procedimento per ingiunzione di cui agli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile, e coloro che, "non per libera scelta", sono utenti dell'ACEA (come l'opponente nel giudizio principale), i quali ultimi "sono assoggettati a procedura che, come si e' visto, non consente gli stessi diritti"; che si e' costituito in giudizio Cianci Antonio, parte opponente nel procedimento a quo per sentir dichiarare l'illegittimita' costituzionale "dell'art. 1 della legge 24 dicembre 1908, n. 797, per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione"; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per un declaratoria di infondatezza della prospettata questione. Considerato che il presupposto interpretativo da cui muove il giudice a quo benche' si richiami ad un orientamento risalente, appare tutt'altro che univoco nella giurisprudenza di legittimita', risultando disatteso da un nutrito gruppo di pronunce che si rifanno, invece, all'opposto indirizzo, secondo il quale, nel giudizio di opposizione ad ingiunzione fiscale, il cui oggetto e' la domanda diretta all'accertamento dell'illegittimita' della pretesa fatta valere con l'ingiunzione, l'opponente assume la veste di attore in senso formale, con la conseguenza che tutti gli elementi dell'obbligazione, anche nell'ipotesi in cui questa abbia natura tributaria, vanno allegati e provati dall'amministrazione ingiungente, mentre all'opponente medesimo spetta l'onere di allegazione e prova degli eventuali fatti impeditivi, modificativi o estintivi di detta obbligazione, secondo il criterio generale dell'art. 2697 del codice civile; che, avuto riguardo al consolidato principio di questa Corte secondo il quale, tra una pluralita' di scelte interpretative, il giudice a quo e' tenuto ad adottare quella conforme al dettato costituzionale, la questione e' da reputare manifestamente infondata, non mancando la possibilita' di rinvenire una soluzione ermeneutica idonea a superare i dubbi di costituzionalita' prospettati dal rimettente.