ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 236, comma 2,
delle   norme  di  coordinamento  del  codice  di  procedura  penale,
approvate  con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, e degli
artt. 30-bis,  quarto comma, e 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione
delle  misure  privative  e  limitative della liberta'), promosso con
ordinanza  emessa  il  10 marzo 1999 dal tribunale di sorveglianza di
Caltanissetta sul reclamo proposto da Gioacchino Contino, iscritta al
numero  259  del  registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  n. 19,  prima serie speciale, dell'anno
1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Cesare Mirabelli.
    Ritenuto  che  il  tribunale  di  sorveglianza  di Caltanissetta,
investito  della  decisione  sul  reclamo  proposto da un detenuto in
espiazione  di  pena  contro  il  rigetto  di  un'istanza di permesso
premio,  con  ordinanza  emessa  il 10 marzo  1999  ha  sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27, terzo comma, della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
artt. 236,  comma  2,  delle  norme  di  coordinamento  del codice di
procedura  penale,  approvate  con  il  decreto legislativo 28 luglio
1989,  n. 271,  30-bis,  quarto comma, e 30-ter, comma 7, della legge
26 luglio  1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta');
        che  l'art. 236  delle  norme  di coordinamento del codice di
procedura   penale  prevede  che  nelle  materie  di  competenza  del
tribunale  di  sorveglianza  continuano ad osservarsi le disposizioni
processuali  della  legge  n. 354  del 1975, le quali disciplinano il
procedimento  di  reclamo  al tribunale di sorveglianza (art. 30-bis,
quarto  comma,  da  applicare  ai  permessi  premio  per  il richiamo
espresso  dell'art. 30-ter,  comma  7),  stabilendo  che  il  giudice
competente  provvede,  assunte,  se  del caso, sommarie informazioni,
entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo;
        che  queste  disposizioni sono denunciate nella parte in cui,
nel  fissare  il  termine di dieci giorni dalla ricezione del reclamo
per  provvedere  in  ordine  alla  impugnazione  dell'interessato  in
materia  di  permessi  premio,  non  consentirebbero di applicare gli
artt. 666  e  678  del  codice  di  procedura penale, i quali, per il
procedimento   di   esecuzione,   prevedono   che   sia  dato  avviso
all'interessato  ed  al  suo  difensore  dell'udienza  in  camera  di
consiglio, con un termine per comparire;
        che, secondo il giudice rimettente, le disposizioni impugnate
violerebbero:  a)  l'art. 3  della  Costituzione, per l'irragionevole
disparita'  di trattamento del detenuto che abbia proposto reclamo in
materia  di  permessi  premio  rispetto  a quello che sia parte negli
altri  procedimenti  di sorveglianza, per i quali varrebbero, invece,
le  garanzie  proprie della giurisdizione, assicurate, appunto, dagli
artt. 666  e  678  cod. proc. pen; b) l'art. 24, secondo comma, della
Costituzione,  perche'  il  procedimento di decisione del reclamo non
consentirebbe  di  dare comunicazione dell'udienza all'interessato ed
al  suo  difensore,  cosi'  ledendo  il  diritto  alla  difesa  ed il
contraddittorio,   in   un  procedimento  al  quale  dovrebbe  sempre
partecipare,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  il solo pubblico
ministero;  c)  l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto
la  mancanza di garanzie proprie della giurisdizione nel procedimento
di  decisione  del  reclamo si porrebbe in contrasto con il principio
della funzione rieducativa della pena;
        che  il  giudice  rimettente  ricorda che e' stata dichiarata
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 236, comma 2, delle norme
di  coordinamento  del  codice  di  procedura  penale,  14-ter primo,
secondo  e  terzo  comma, e 30-bis della legge n. 354 del 1975, nella
parte  in  cui  non consentivano l'applicazione degli artt. 666 e 678
del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il
decreto  del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della
detenzione  il  periodo  trascorso in permesso premio (sentenza n. 53
del  1993);  lo  stesso  giudice ritiene che analoghe ragioni debbano
portare,    attraverso    una   pronuncia   di   incostituzionalita',
all'applicazione  della  medesima disciplina anche al procedimento di
reclamo in materia di permessi premio;
        che  nel  giudizio  dinanzi  alla  Corte  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

    Considerato  che  il giudice rimettente denuncia la irragionevole
diversita'  di trattamento in analoghe procedure di sorveglianza e la
carenza  di  garanzie  giurisdizionali, in contrasto con il principio
della  funzione rieducativa della pena, nella procedura di reclamo in
materia  di  permessi  premio,  di  cui e' investito: a suo giudizio,
l'art. 30-bis   dell'ordinamento   penitenziario,   prefigurando   un
procedimento  al  di  fuori  di ogni formalita' processuale e di ogni
contraddittorio, non consentirebbe ne' di dare avviso all'interessato
e  al  suo  difensore  dell'udienza  in  camera  di  consiglio ne' di
disporre un'apposita udienza di trattazione;
        che,  nella formulazione della questione, gli artt. 666 e 678
cod. proc. pen., i quali invece prevedono l'avviso al condannato e al
suo  difensore  della fissazione della data dell'udienza in camera di
consiglio e il termine per comparire, sono richiamati come termine di
raffronto,  per  argomentare  l'incostituzionalita'  del procedimento
delineato  dall'art. 30-bis  dell'ordinamento  penitenziario,  e come
elemento  normativo  idoneo a colmare, attraverso la estensione della
disciplina da essi dettata, l'anzidetta carenza;
        che,  nel  sollevare  la questione, il giudice rimettente non
tiene  conto  del  piu'  recente orientamento della giurisprudenza di
legittimita', secondo cui il reclamo proposto dal detenuto in materia
di   permessi  premio  davanti  al  tribunale  di  sorveglianza  deve
svolgersi  nel  contraddittorio  tra le parti, con le forme stabilite
dagli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.;
        che,   pertanto,   e'   possibile  una  lettura  della  norma
denunciata  diversa  da  quella  fatta  propria  dal rimettente e che
consente  l'applicazione  di  regole,  desunte  dal sistema, le quali
assicurano,  in una delle forme possibili, il diritto di difesa ed il
contraddittorio (confronta ordinanza n. 45 del 1999);
        che, quindi, muovendo l'ordinanza di rimessione da un erroneo
presupposto,  la  questione  deve  essere  dichiarata  manifestamente
infondata.

    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.