ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito del
  "comportamento"   assunto   dal   Governo   in   violazione   delle
  attribuzioni  spettanti  alla  regione  Puglia  sulle funzioni gia'
  esercitate  dall'Ente  autonomo  per  l'acquedotto  pugliese, ed in
  particolare  della  approvazione  da parte del Ministro del tesoro,
  del  bilancio  e della programmazione economica dello statuto della
  Societa'  Acquedotto  pugliese  e della nomina di un amministratore
  unico  della  predetta Societa', promosso con ricorso della regione
  Puglia,  notificato  il 6 agosto 1999, depositato in cancelleria il
  25 successivo ed iscritto al n. 30 del registro conflitti 1999;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore
  Piero Alberto Capotosti;
    Udito  l'avvocato  Vincenzo  Caputi  Jambrenghi  per  la  regione
  Puglia;

                          Ritenuto in fatto

    1.  - La regione Puglia, con ricorso notificato il 6 agosto 1999,
  ha  promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in
  relazione  al  "comportamento"  del  Presidente  del  Consiglio dei
  Ministri,  del  Ministro  del  tesoro  e  del  Ministro  dei lavori
  pubblici,  per violazione delle attribuzioni spettanti alla regione
  Puglia  secondo  gli  artt.  117  e  118 della Costituzione, "sulla
  attivita',  le  funzioni  e la gestione esercitate sinora dall'Ente
  autonomo acquedotto pugliese", e, in particolare, in relazione alla
  "approvazione da parte del Ministro del tesoro dello statuto" della
  Societa'  per  azioni  Acquedotto pugliese e della "nomina da parte
  del medesimo Ministro di un amministratore unico".
    La  Regione chiede che la Corte dichiari non spettante allo Stato
  ma  alla regione Puglia "l'adozione dei provvedimenti necessari per
  organizzare  e  realizzare  la gestione delle risorse idriche anche
  con   riferimento   specifico   a  quelle  dell'Ente  autonomo  per
  l'acquedotto    pugliese"    e    conseguentemente    annulli   "la
  determinazione amministrativa di approvazione da parte del Ministro
  del   tesoro"  della  clausola  statutaria  che  riserva  tutte  le
  attivita'  suddette  alla  Societa'  Acquedotto  pugliese;  nonche'
  annulli   la  nomina  da  parte  del  Ministro  del  tesoro  di  un
  amministratore  unico  "anziche' di un consiglio di amministrazione
  che  avrebbe  potuto  ricomprendere  rappresentanti  della  regione
  Puglia".

    2.  -  La  ricorrente espone che il decreto legislativo 11 maggio
  1999, n. 141 - avverso il quale la regione ha promosso questione di
  legittimita'   costituzionale  -  ha  disposto  la  privatizzazione
  dell'Ente  autonomo  per l'acquedotto pugliese, e che in attuazione
  della  procedura ivi prevista il 2 luglio 1999 si e' tenuta in Roma
  la   prima   assemblea   della   costituenda  Societa'  "Acquedotto
  pugliese". In tale occasione il Ministro del tesoro, nella qualita'
  di  unico  azionista  della societa', ha provveduto ad approvare lo
  statuto  della  societa' stessa, nonche' ha deliberato la nomina di
  un amministratore unico nella persona del commissario straordinario
  del  disciolto  Ente  autonomo.  Secondo la ricorrente, che ricorda
  come  la  struttura  acquedottistica in questione sia stata gestita
  lungo  tutto  il  novecento  da  amministratori di emanazione dello
  Stato e delle province originarie di Bari, Foggia e Lecce, nonche',
  successivamente anche di Taranto, Brindisi e Potenza, nessuna norma
  di  legge avrebbe previsto "l'estromissione completa" della regione
  Puglia   dall'amministrazione   della   nuova   societa',   con  la
  conseguenza  che  il  Ministro  del tesoro, evitando di nominare un
  Consiglio  di  amministrazione  al  quale avrebbero potuto prendere
  parte   anche   rappresentanti  delle  autonomie  locali,  "avrebbe
  sorpassato  i limiti imposti dall'ordinamento generale nel rapporto
  Stato-regioni".
    Ulteriore  violazione  delle  prerogative  regionali  deriverebbe
  inoltre   dalla   circostanza   che  nella  definizione  statutaria
  dell'oggetto   della   nuova  societa'  farebbe  difetto  qualsiasi
  riferimento  alla  legge  5  gennaio  1994,  n. 36 (Disposizioni in
  materia  di  risorse  idriche),  con  la conseguenza che la regione
  resterebbe  esposta  ad  ogni  decisione unilaterale della Societa'
  nella  gestione  delle  acque  fuori  e dentro gli ambiti ottimali,
  affidati  invece  alle  regioni  dal  predetto  testo  legislativo.
  Inoltre  la  medesima  clausola  statutaria  conterrebbe  anche, ad
  avviso  della ricorrente, una "riserva" a favore della societa' per
  azioni  in  relazione  ai  compiti  gia' affidati al disciolto ente
  acquedottistico,  fra i quali, in particolare, quelli relativi alla
  "gestione  del servizio idrico integrato", e quelli riguardanti "la
  captazione,   l'adduzione,   la  potabilizzazione,  l'accumulo,  la
  distribuzione  e  vendita  di  acqua  ad  usi  civili, industriali,
  commerciali  ed  agricoli",  la  quale  comporterebbe una ulteriore
  violazione  delle  attribuzioni  regionali  predette  nonche' degli
  artt.  90.1  e  6 del trattato istitutivo della Comunita' europea e
  dell'art. 8  della  legge  1o  ottobre  1990,  n. 287 (Norme per la
  tutela della concorrenza e del mercato).

    3.  -  In  prossimita' dell'udienza, la regione ha depositato una
  memoria  difensiva  nella  quale,  dopo  avere  ricordato  il ruolo
  determinante  delle  istanze locali nella istituzione del Consorzio
  per  l'acquedotto pugliese prima e del corrispondente Ente autonomo
  poi,  ha  sottolineato  come  non  vi  sia  servizio  pubblico piu'
  collegato  al  territorio  di  quello  che abbia ad oggetto l'acqua
  potabile,  donde  deriverebbe la "ragione ultima della demanialita'
  dei  beni  acquedottistici".  L'estromissione  della regione Puglia
  dalla  nuova  struttura organizzatoria dell'acquedotto pugliese, ad
  avviso  della  ricorrente,  si  porrebbe quindi in contrasto con il
  principio  del  federalismo amministrativo e con l'affidamento alle
  regioni, da parte della legislazione piu' recente ed in particolare
  del  decreto  legislativo 30 marzo 1999, n. 96, della competenza in
  materia  "di  opere idrauliche di qualsiasi natura (...) e, piu' in
  generale, di gestione del demanio idrico".

                       Considerato in diritto

    1.  - Il conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Puglia
  nei  confronti dello Stato ha ad oggetto il "comportamento" assunto
  dagli  organi di governo in violazione delle attribuzioni spettanti
  alla  regione  Puglia  "sulla  attivita', le funzioni e la gestione
  esercitate  sinora  dall'Ente autonomo per l'acquedotto pugliese" e
  in  particolare  in  relazione  alla  "approvazione  da  parte  del
  Ministro del tesoro dello statuto della Societa' per azioni e della
  nomina  da parte del medesimo Ministro di un amministratore unico",
  in   occasione   della   prima  assemblea  della  stessa  societa',
  conseguente al procedimento di privatizzazione disposto dal decreto
  legislativo n. 141 del 1999.
    Secondo  la Regione ricorrente sarebbe in particolare censurabile
  l'approvazione  della  clausola  dello  statuto  della Societa' per
  azioni  Acquedotto  pugliese,  che  "riserva" ad essa le attivita',
  gia'  proprie  del  disciolto  Ente,  inerenti  alla  "gestione del
  servizio  idrico  integrato",  nonche' delle ulteriori clausole che
  prevedono  rispettivamente la "riserva di azionariato" al Ministero
  del  tesoro  e la nomina di un amministratore unico, anziche' di un
  consiglio  di amministrazione al quale avrebbero potuto partecipare
  anche rappresentanti delle autonomie locali.

    2. - Il ricorso e' inammissibile.
    La    Regione   ricorrente   sostanzialmente   si   duole   della
  "connotazione   giuridica   esclusivamente  statale"  della  S.p.a.
  Acquedotto pugliese e della conseguente estromissione della regione
  Puglia dall'amministrazione e dalla gestione della societa' stessa.
  E,  in  questa  ottica,  in particolare articola le proprie censure
  sulle   clausole  statutarie  che  rispettivamente  riservano  alla
  societa'  stessa  i  compiti  relativi  alla "gestione del servizio
  idrico integrato", nonche' attribuiscono al Ministero del tesoro la
  totalita' delle azioni e la nomina di un amministratore unico.
    Si tratta, pero', di censure che riguardano propriamente non gia'
  lo  statuto  della  Societa' Acquedotto pugliese, bensi' il decreto
  legislativo  11 maggio 1999, n. 141, che ha appunto disciplinato la
  trasformazione  del  preesistente Ente autonomo acquedotto pugliese
  in  societa'  per  azioni.  Ed  invero  e'  l'art. 2  del decreto a
  prevedere  espressamente  l'affidamento  alla  societa' "Acquedotto
  pugliese"   delle  finalita'  gia'  attribuite  al  disciolto  Ente
  autonomo,  nonche'  dei  compiti  relativi alla "gestione del ciclo
  integrato dell'acqua e, in particolare, alla captazione, adduzione,
  potabilizzazione, distribuzione di acqua a usi civili". E' evidente
  pertanto  che  la  censurata  clausola  4.1.  dello  statuto  della
  societa'  non  rappresenta altro che una trascrizione del contenuto
  normativo del predetto art. 2 del citato decreto.
    Allo  stesso  modo  e'  l'art. 3 dello stesso decreto legislativo
  che,  al  comma  2,  stabilisce  che  "le azioni sono attribuite al
  Ministero   del   tesoro,   del  bilancio  e  della  programmazione
  economica,  che  esercita  i diritti dell'azionista" e, al comma 4,
  prevede  che  l'organo  gestorio  della  societa'  possa  essere un
  consiglio   di   amministrazione  o  un  amministratore  unico.  La
  censurata  clausola  statutaria  pertanto si mantiene rigorosamente
  all'interno  di  un'opzione  gia' compiutamente prefigurata in modo
  esplicito dal legislatore.
    In  definitiva,  il  ricorso  in  esame prospetta censure che, in
  realta', riguardano norme di legge, delle quali i "comportamenti" e
  le  determinazioni  impugnati  costituiscono applicazione. Essi non
  hanno,  dunque,  di per se', autonoma attitudine lesiva della sfera
  di attribuzione regionale costituzionalmente garantita, dal momento
  che  il  disposto  legislativo  predetermina,  come  si  e'  detto,
  presupposti, contenuto e forme applicative di essi (sentenze n. 277
  del   1998   e   n. 467   del  1997).  Ma  secondo  la  consolidata
  giurisprudenza  costituzionale,  si  deve  escludere che in sede di
  conflitto  di  attribuzioni  tra  regione  e  Stato  sia  possibile
  impugnare  atti  (o  "comportamenti"),  al solo scopo di far valere
  pretese  violazioni della Costituzione da parte della legge, che e'
  a  fondamento  dei poteri svolti con gli atti (o i "comportamenti")
  impugnati  (sentenze  n. 467  del 1997, n. 215 del 1996, n. 472 del
  1995).