ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
del  codice di procedura penale, promosso, in un procedimento penale,
con  ordinanza  emessa  il  24 gennaio  2000 dalla Corte di assise di
Salerno,  iscritta al n. 112 del registro ordinanze 2000 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 13,  prima  serie
speciale, dell'anno 2000;
    Udito  nella  Camera  di  Consiglio del 21 giugno 2000 il giudice
relatore Guido Neppi Modona;
    Ritenuto che con ordinanza del 24 gennaio 2000 la Corte di assise
di Salerno ha sollevato, su eccezione della difesa degli imputati, in
riferimento  agli  artt. 3  e  111  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma  2,  del codice di
procedura  penale,  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'
alla funzione di giudizio del giudice che, nel corso di un precedente
dibattimento  riguardante  lo  stesso  fatto  a  carico  dei medesimi
imputati,  abbia  emesso  ordinanza  con  la quale, nel dichiarare la
nullita'  del  decreto  che ha disposto il giudizio perche' emesso da
giudice  dell'udienza  preliminare funzionalmente incompetente, abbia
ordinato   la  trasmissione  degli  atti  alla  procura  distrettuale
antimafia;
        che il rimettente espone che i giudici togati che attualmente
compongono il collegio hanno concorso a pronunciare, quali componenti
di  altro  collegio  della  stessa  Corte  di assise, nel corso della
precedente  istruttoria dibattimentale a carico dei medesimi imputati
e in relazione agli stessi fatti, ordinanza con la quale, valutata la
matrice  camorristica  e  non  meramente  personale  del  delitto  di
omicidio  era stata dichiarata la nullita' del decreto che dispone il
giudizio   per   incompetenza  funzionale  del  giudice  dell'udienza
preliminare;
        che, in particolare, il giudice a quo precisa che l'eccezione
di   nullita',  proposta  dalla  difesa  negli  atti  preliminari  al
dibattimento  ex  art. 491  cod.  proc.  pen.,  era stata in un primo
momento disattesa dal collegio, che aveva ritenuto che l'appartenenza
degli  imputati ad un'organizzazione di stampo mafioso non potesse di
per   se'   determinare,   nella  fase  delle  indagini  preliminari,
l'attribuzione  della  competenza  a  trattare  il  procedimento alla
Procura  distrettuale  di  Salerno,  ne'  radicare  la competenza del
giudice per l'udienza preliminare presso l'omologo tribunale, dovendo
invece  a  tal  fine  assumere  rilevanza  il  movente passionale del
delitto;
        che  successivamente  il collegio, nuovamente investito della
eccezione  in  fase  avanzata  della  istruttoria  dibattimentale era
pervenuto   -   sulla  base  dell'esame  di  alcuni  testimoni  e  di
circostanze  affermate  da alcuni difensori e confermate dal pubblico
ministero  -  all'opposta conclusione che l'omicidio, pur avendo come
causa  remota  una volonta' di vendetta riconducibile al c.d. delitto
d'onore, fosse stato comunque ideato e voluto (da uno degli imputati)
per    ribadire    e    rafforzare,    all'interno    e   all'esterno
dell'organizzazione,   il   suo   prestigio   di  influente  capoclan
camorrista  ed  aveva  quindi  dichiarato la nullita' del decreto che
aveva disposto il giudizio;
        che il rimettente - premesso che nell'emettere tale ordinanza
era  stata  compiuta  una "penetrante valutazione di alcuni rilevanti
aspetti  del merito della vicenda processuale" affermando "la matrice
camorrista, e non semplicemente personale e passionale dell'omicidio"
-   ritiene   di  trovarsi  in  una  situazione  di  incompatibilita'
perfettamente  assimilabile  a  quella  presa in esame dalla sentenza
della  Corte  costituzionale  n. 455  del  1994,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma  2, cod. proc.
pen.  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' alla funzione
di   giudizio   del   giudice  che  abbia,  all'esito  di  precedente
dibattimento  riguardante  il  medesimo  fatto  storico  a carico del
medesimo  imputato,  ordinato  la trasmissione degli atti al pubblico
ministero  a  norma  dell'art. 521,  comma  2,  cod.  proc.  pen. per
ritenuta diversita' del fatto;
        che, ad avviso del rimettente, il principio allora affermato,
secondo  cui  l'incompatibilita'  alla  funzione di giudizio sussiste
ogni  qual  volta il giudice in uno stadio anteriore del procedimento
abbia  espresso  "una  valutazione  nel  merito  della stessa materia
processuale  riguardante  il  medesimo  incolpato"  sia  nel  momento
conclusivo delle indagini preliminari, sia "in un precedente giudizio
di  cognizione, non potutosi concludere con sentenza dovrebbe trovare
applicazione  anche  nel  caso  in esame, in cui tale valutazione sia
stata  appunto  espressa  in  un provvedimento conclusivo della fase,
ancorche' non rivestente carattere di sentenza";
        che  pertanto  il  giudice  a  quo ritiene non manifestamente
infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34,
comma  2,  cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 111 della
Costituzione.
    Considerato che, contrariamente a quanto assume il rimettente, la
fattispecie dedotta nel presente giudizio di costituzionalita' non e'
assimilabile a quella presa in esame dalla sentenza n. 455 del 1994;
        che   allora   la  Corte  aveva  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. "nella parte in
cui  non  prevede  l'incompatibilita'  alla  funzione di giudizio del
giudice  che abbia, all'esito di precedente dibattimento, riguardante
il medesimo fatto storico a carico del medesimo imputato, ordinato la
trasmissione  degli atti al pubblico ministero a norma dell'art. 521,
comma  2,  c.p.p."  rilevando  in  motivazione che il giudice, quando
accerta  all'esito  del dibattimento che "il fatto e' diverso da come
descritto nel decreto che dispone il giudizio" compie "una penetrante
delibazione  del  merito  della regiudicanda, non dissimile da quella
che,  in  mancanza  di  una  valutazione  della diversita' del fatto,
conduce alla definizione con sentenza del giudizio di merito";
        che tale decisione si iscrive nell'alveo della giurisprudenza
costituzionale  secondo  cui il termine pregiudicante della relazione
di incompatibilita' deve sostanziarsi in una valutazione non formale,
ma  di  contenuto,  sul merito dell'ipotesi di accusa, con esclusione
delle   "determinazioni   assunte  in  ordine  allo  svolgimento  del
processo,  sia  pure  a  seguito  di una valutazione delle risultanze
processuali"  (v.  in questo senso, tra le tante, sentenza n. 131 del
1996, ordinanze n. 357 del 1997, n. 281 del 1996);
        che,  con  riferimento all'istituto dell'incompatibilita', la
funzione  pregiudicante  non puo' essere ravvisata in un atto - quale
un'ordinanza   che  prende  in  esame  una  questione  relativa  alla
competenza  -  avente  natura  meramente processuale e che, in quanto
tale,  non  dovrebbe  contenere  valutazioni  sul  merito  della  res
iudicanda;
        che   l'eventuale  effetto  pregiudicante  derivante  da  una
valutazione  di  merito  non  imposta  dal  tipo  di atto deve essere
accertata  in  concreto  e  trovare  rimedio,  ove  ne  sussistano  i
presupposti,  negli istituti dell'astensione e della ricusazione (v.,
al  riguardo,  ordinanze nn. 444 e 29 del 1999, n. 203 del 1998, ed i
richiami  nelle  stesse  contenuti  alla sentenza n. 308 del 1997 sui
rapporti     tra    gli    istituti    della    incompatibilita'    e
dell'astensione-ricusazione),  anch'essi  preposti  alla  tutela  del
principio del giusto processo;
        che,  in  particolare,  nel caso di specie eventuali indebite
valutazioni  espresse in ordine alla condotta dell'imputato avrebbero
potuto   essere   ricondotte   alla  causa  di  ricusazione  prevista
dall'art. 37, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.;
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.