ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2, comma 2,
della  legge 26 (recte: 16) dicembre 1977, n. 904 (Modificazioni alla
disciplina  dell'imposta  sul  reddito  delle persone giuridiche e al
regime   tributario  dei  dividendi  e  degli  aumenti  di  capitale,
adeguamento  del  capitale  minimo  delle  societa'  e altre norme in
materia  fiscale  e  societaria),  promosso  con Ordinanza emessa l'8
febbraio 1999 dalla commissione tributaria provinciale di Napoli, sui
ricorsi  proposti  da Cerami Giovanni ed altro contro l'ufficio delle
imposte  dirette  di Napoli, iscritta al n. 37 del registro ordinanze
2000  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8,
prima serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  l'atto di costituzione di Cerami Alberto nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 22 giugno 2000 il giudice
relatore Massimo Vari.
    Ritenuto  che - in sede di impugnativa proposta da Cerami Alberto
e   Cerami   Giovanni  avverso  gli  avvisi  con  i  quali  l'ufficio
distrettuale  delle  imposte  dirette  di  Napoli,  nel rideterminare
l'IRPEF  dovuta  per  l'anno  1988, non aveva ammesso a detrazione il
credito  d'imposta relativo agli utili percepiti dai ricorrenti quali
soci  della  S.p.a. Cerami - la commissione tributaria provinciale di
Napoli ha sollevato, con ordinanza dell'8 febbraio 1999, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 2, secondo comma, della legge
26  (recte:  16) dicembre 1977, n. 904 (Modificazioni alla disciplina
dell'imposta  sul  reddito  delle  persone  giuridiche  e  al  regime
tributario dei dividendi e degli aumenti di capitale, adeguamento del
capitale  minimo  delle  societa'  e altre norme in materia fiscale e
societaria),   "per   contrasto  con  gli  artt. 3,  53  e  97  della
Costituzione,  nella  parte  in cui esclude la detrazione del credito
d'imposta  in  presenza  di  omessa  indicazione  degli  utili  nella
dichiarazione dei redditi";
        che  il  giudice  a  quo  nel  premettere  che l'art. 127 del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22 dicembre 1986, n. 917
(Approvazione  del testo unico delle imposte sui redditi), stabilisce
il  divieto  di  doppia  imposizione, in cio' ispirandosi ai principi
degli  artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, osserva che detto divieto
risulta  disatteso  dalla  norma  denunciata,  da  reputare, percio',
lesiva dei canoni "di uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi;
di  concorso  alle spese pubbliche in ragione della singola capacita'
contributiva; di imparzialita' dell'amministrazione pubblica";
        che l'ordinanza rileva, altresi', che, in caso di caducazione
della  disposizione,  nessuna disparita' di trattamento si verrebbe a
configurare  tra i soci che hanno regolarmente dichiarato i redditi e
quelli  inadempienti,  dal momento che l'omessa dichiarazione risulta
gia' punita sia sotto il profilo penale che amministrativo;
        che  si  e' costituito Cerami Alberto, il quale, nell'aderire
alle  argomentazioni  dell'ordinanza,  sostiene, in particolare, che,
nella  specie,  l'imposizione  di un'ulteriore tassazione indiretta a
carico  del  socio  inadempiente contrasta con gli artt. 3 e 53 della
Costituzione, non costituendo la semplice violazione di un obbligo di
legge indice di effettiva maggiore ricchezza;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  concluso  per la manifesta infondatezza della questione, all'uopo
richiamando le pronunzie gia' emesse in argomento da questa Corte.

    Considerato  che  l'ordinanza ripropone una questione che ha gia'
formato  oggetto  di esame da parte di questa Corte, con le ordinanze
n. 130  e n. 940 del 1988, n. 509 del 1989 e, in riferimento ad altra
previsione  normativa  sostanzialmente  riconducibile  alla  medesima
ratio anche con la sentenza n. 186 del 1982;
        che,   in   tali  precedenti  occasioni,  la  Corte  ha  gia'
osservato,   in   ordine   all'art. 53  della  Costituzione,  che  la
determinazione  del quantum del tributo ben puo' essere collegata dal
legislatore  all'osservanza  di specifici oneri, a patto che essi non
siano irragionevolmente gravosi per il contribuente;
        che,  oltre  alla  violazione  dell'art. 53, e' stata esclusa
anche   quella   dell'art. 3   della  Costituzione,  rilevandosi,  al
riguardo,  che  tutti  i  soggetti tassabili si trovano in situazione
identica  dinanzi  alla  norma  censurata,  mentre non puo', al tempo
stesso,  riconoscersi  identita' di situazione fra coloro che abbiano
regolarmente  osservato  le  previste  prescrizioni  e  coloro che le
abbiano disattese (vedi, particolarmente, sentenza n. 186 del 1982);
        che  il rimettente, nel denunciare nuovamente la disposizione
(ora  contenuta  nell'art. 14,  comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986),
non  propone  motivi  nuovi  o  comunque  tali da indurre a mutare le
precedenti   pronunzie,   salvo   il   richiamo   all'art. 97   della
Costituzione,   la   cui   evocazione  appare,  peraltro,  del  tutto
inappropriata,  vertendosi  in materia dalla quale, come rileva anche
l'Avvocatura     dello    Stato,    esula    ogni    discrezionalita'
dell'amministrazione;
        che,  pertanto,  la  questione  e' da reputare manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.