ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo
comma,  del  codice  penale  militare di pace, promosso con ordinanza
emessa  il 29 aprile 1999 dalla Corte militare di appello di Roma nel
procedimento  penale  a  carico  di  Valdrighi  Alessandro  ed altro,
iscritta  al  n. 428  del  registro ordinanze 1999 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 36,  1a  Serie  speciale,
dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 maggio 2000 il Giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza emessa il 29 aprile 1999 la Corte militare di
appello  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  2  e  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 260,
secondo comma, del codice penale militare di pace, nella parte in cui
non  preclude  la  proposizione  della  richiesta di procedimento, da
parte  del  comandante  di corpo, quando per lo stesso fatto sia gia'
stata inflitta la sanzione disciplinare della consegna di rigore.
    Il  rimettente  premette, in punto di fatto, di essere investito,
come  giudice  del rinvio, del procedimento promosso nei confronti di
due soldati per i reati di concorso in percosse continuate e concorso
in  ingiuria  continuata  (artt.  110  e  81 cod. pen., 222 e 226 del
codice  penale  militare  di  pace),  reati  entrambi  perseguibili a
richiesta  del  comandante  di  corpo ai sensi dell'art. 260, secondo
comma,  del  codice  penale militare di pace; nonche' per il reato di
concorso  in  minaccia  aggravata (artt. 110 cod. pen. e 229, primo e
terzo  comma, del codice penale militare di pace), reato perseguibile
bensi'  d'ufficio  a  fronte  della contestazione dell'aggravante del
"modo simbolico" della minaccia, di cui all'art. 339 cod. pen., ma in
rapporto  al  quale  la  sussistenza  di  tale  aggravante  e'  stata
contestata  dal  difensore  nei  motivi  di  appello  sulla  base  di
argomenti prima facie non infondati.
    Gli  imputati erano stati prosciolti in primo grado dal Tribunale
militare  di  Padova  - con sentenza successivamente confermata dalla
Corte  militare di appello, sezione distaccata in Verona - in ragione
della  ritenuta  illegittimita' della richiesta di procedimento sulla
base  della  quale  era  stata  esercitata l'azione penale, in quanto
proposta  dal  comandante  di corpo dopo che lo stesso aveva inflitto
agli  imputati,  per i medesimi fatti, la sanzione disciplinare della
consegna  di  rigore  (rispettivamente,  per dieci e sette giorni). A
tale  conclusione il Giudice di prime cure era approdato facendo leva
sull'art.  65,  comma  7,  lettera  a), del regolamento di disciplina
militare,  approvato  con  d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545, a mente del
quale  la  sanzione disciplinare della consegna di rigore non e' piu'
irrogabile   quando   per  lo  stesso  fatto  sia  stato  chiesto  il
procedimento  penale:  regola, questa, che non avrebbe avuto senso se
non  ammettendo  la  reciproca,  e  cioe'  che  non possa piu' essere
chiesto  il procedimento penale quando sia stata inflitta la sanzione
disciplinare.
    La   tesi  non  era  stata  peraltro  condivisa  dalla  Corte  di
cassazione,  la  quale  -  ritenendo che la preclusione all'esercizio
dell'azione  penale  sia  istituto di carattere eccezionale, che deve
costituire  oggetto  di espressa previsione legislativa, nella specie
mancante  -  aveva  annullato con rinvio la sentenza di secondo grado
impugnata,  disponendo la trasmissione degli atti alla Corte militare
di appello di Roma.
    Posto,   dunque,   che   nel  giudizio  di  rinvio  la  questione
interpretativa   concernente   la   validita'   della   richiesta  di
procedimento  non  puo' piu' essere posta in discussione a fronte del
principio  di diritto affermato dalla Corte di cassazione, il giudice
a  quo  rileva  come  il  citato  art.  65,  comma  7, lettera a) del
regolamento  di  disciplina  (pedissequamente  riprodotto  nella nota
introduttiva  all'elenco dei "Comportamenti che possono essere puniti
con  la  consegna  di  rigore", di cui all'allegato C del regolamento
stesso)  -  nel  prevedere  che  la  consegna  di rigore possa essere
inflitta  anche  per  fatti  costituenti  reato, ma solo nei casi nei
quali   "il   comandante  di  corpo  non  ritenga  di  richiedere  il
procedimento" - venga a sancire, in deroga alla normale cumulabilita'
tra  sanzione penale e sanzione disciplinare, l'alternativita' tra la
prima  e  la  consegna  di  rigore.  Siffatta  deroga  sarebbe invero
giustificata  dal  peculiare  carattere  della  sanzione disciplinare
avuta di mira, la quale (comportando, ai sensi dell'art. 14, comma 5,
della  legge 11 luglio 1978, n. 382, "il vincolo di rimanere, fino al
massimo di quindici giorni, in apposito spazio dell'ambiente militare
-  in  caserma o a bordo di navi - o nel proprio alloggio, secondo le
modalita'  stabilite  nel regolamento di disciplina") inciderebbe, al
pari  della  sanzione  penale,  su  aspetti essenziali della liberta'
individuale,  presentando  quindi, in sostanza, il medesimo contenuto
afflittivo.
    In  quest'ottica,  la  possibilita'  di un'applicazione congiunta
delle  due  sanzioni  si tradurrebbe in un'inammissibile compressione
della  liberta'  individuale dell'autore dell'illecito, il quale, per
lo  stesso  fatto,  verrebbe ad essere punito due volte con misure di
analogo contenuto, ponendo cosi' la norma denunciata in contrasto con
l'art.  2  Cost.,  che  riconosce  e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo.
    L'aver stabilito l'inammissibilita' del cumulo delle due sanzioni
solo  quando sia prima formulata la richiesta di procedimento ex art.
260 del codice penale militare di pace, e non anche nel caso inverso,
implicherebbe  - a parere del rimettente - una concorrente violazione
del principio di ragionevolezza, di cui all'art. 3 Cost. In tal modo,
difatti,  il cumulo fra consegna di rigore e sanzione penale verrebbe
a  dipendere  da  una circostanza puramente accidentale, correlata ai
tempi  di  definizione  del  procedimento disciplinare: il comandante
potrebbe  cioe'  irrogare  - purche' lo faccia nel termine massimo di
trenta giorni (rectius, un mese), previsto ai fini della proposizione
della richiesta di procedimento dal citato art. 260 - quella sanzione
disciplinare  che  dopo  la  formulazione  della richiesta resterebbe
viceversa preclusa.
    La  razionalita'  del  sistema - soggiunge il giudice a quo - non
verrebbe  d'altro  canto assicurata dalla previsione della lettera b)
dell'art. 65, comma 7, del regolamento di disciplina, in virtu' della
quale  possono  essere puniti con la consegna di rigore anche i fatti
che abbiano determinato un "giudizio penale" ("giudicato", nella nota
introduttiva  all'allegato C a seguito del quale sia stato instaurato
un  procedimento disciplinare. Da tale norma si desumerebbe, infatti,
che  in  deroga  al  principio  di cui all'art. 58, ultimo comma, del
regolamento di disciplina, l'azione disciplinare non e' obbligatoria,
ma  facoltativa;  inoltre,  ove si condivida l'assunto secondo cui e'
inammissibile punire uno stesso fatto con due sanzioni aventi analogo
contenuto  limitativo della liberta' individuale, l'intera previsione
normativa   da   ultimo  ricordata  dovrebbe  ritenersi  contraria  a
Costituzione.
    Quanto,  infine,  alla  rilevanza  della questione, il rimettente
osserva  come  essa  si connetta alla circostanza che, in caso di suo
accoglimento,  la  richiesta di procedimento formulata dal comandante
di  corpo  nel giudizio a quo dovrebbe essere dichiarata illegittima,
con  conseguente proscioglimento degli imputati dai reati di concorso
in  percosse  e  concorso in ingiuria continuata e, ove l'appello del
difensore  relativo  all'aggravante fosse ritenuto fondato, anche dal
reato di concorso in minaccia aggravata.
    2. - Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato, il
quale  ha  concluso  per  la  declaratoria  di  non  fondatezza della
questione.

                       Considerato in diritto

    1. - La  Corte  militare  di  appello  dubita  della legittimita'
costituzionale  dell'art.  260,  secondo  comma,  del  codice  penale
militare  di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di
procedimento  del  comandante di corpo - alla quale e' subordinata la
perseguibilita'  dei  reati  per  i quali la legge stabilisce la pena
della  reclusione  militare non superiore a sei mesi - non possa piu'
essere  proposta  quando  per  lo  stesso fatto sia stata irrogata la
sanzione disciplinare della consegna di rigore.
    Ad  avviso  del giudice a quo, la norma denunciata si porrebbe in
frizione,  per un verso, con l'art. 2 Cost., in quanto l'applicazione
congiunta   della   sanzione   penale  e  della  consegna  di  rigore
comporterebbe   una   inammissibile   compressione   della   liberta'
individuale dell'autore dell'illecito, il quale, per lo stesso fatto,
sarebbe  punito due volte con misure di analogo contenuto afflittivo;
per un altro verso, con l'art. 3 Cost., in quanto il cumulo tra dette
sanzioni   verrebbe   a   dipendere   da  una  circostanza  puramente
accidentale, legata alla maggiore o minore rapidita' del procedimento
disciplinare:  piu'  in  particolare,  tale  cumulo discenderebbe dal
fatto che il comandante del corpo riesca ad irrogare entro il termine
di  un  mese  -  costituente  lo  spatium  temporis entro il quale la
richiesta  di  procedimento  puo'  essere  proposta - quella sanzione
disciplinare  che,  una volta formulata detta richiesta, non potrebbe
piu'  infliggere  a  fronte della preclusione stabilita dall'art. 65,
comma   7,  lettera  a),  del  regolamento  di  disciplina  militare,
approvato con d.P.R. n. 545 del 1986.
    2. - La questione non e' fondata.
    2.1. - Sotto    entrambi   i   dedotti   profili,   il   percorso
argomentativo  posto  a  base  della  denuncia di incostituzionalita'
appare  per  vero  inficiato  da un evidente vizio di prospettiva. Il
rimettente   riverbera,   infatti,  sulla  norma  di  rango  primario
regolativa   dell'istituto   della   richiesta  di  procedimento  del
comandante  di  corpo  (art.  260,  secondo  comma, del codice penale
militare  di  pace)  una  situazione  di  asserita compromissione dei
valori  costituzionali semmai addebitabile - al lume della sua stessa
prospettazione  -  esclusivamente  alla  norma  di  rango  secondario
regolativa  dei  rapporti tra la sanzione disciplinare della consegna
di  rigore  ed  il procedimento penale (art. 65, comma 7, lettera a),
del regolamento di disciplina).
    E'  a  quest'ultima  norma,  in  effetti  -  e  non gia' a quella
primaria  aggredita  -  che  si  deve,  ad  un  tempo,  la previsione
dell'applicabilita'  della  consegna  di  rigore  in rapporto a fatti
integrativi  di  reato  e quel divieto di cumulo, in ipotesi "a senso
unico",  fra  sanzione  penale  e  sanzione  disciplinare da cui trae
alimento  il duplice dubbio di costituzionalita' sottoposto al vaglio
della Corte.
    2.2. - A tale considerazione di ordine generale - gia' di per se'
dirimente  -  possono  d'altro  canto  coniugarsi  rilievi  specifici
attinenti alle singole doglianze.
    Puo'  osservarsi,  cosi',  in  particolare,  come il fulcro della
prima  delle  due  censure  sia rappresentato dall'assunto per cui la
consegna  di  rigore  avrebbe  un  contenuto  afflittivo omologo alla
sanzione penale (nella specie, la reclusione militare), incidendo, al
pari  di  essa,  su  aspetti  essenziali  della liberta' individuale:
particolare,  questo,  che  varrebbe a rendere operante, nei relativi
rapporti,  un  principio  di  ne  bis  in  idem,  in  tesi presidiato
dall'art. 2 Cost.
    Verificare  la correttezza della premessa maggiore del sillogismo
-   che  non  corrisponde,  in  effetti,  ad  una  lettura  pacifica,
sostenendosi  da  una parte della dottrina che la consegna di rigore,
lungi dal concretare una misura restrittiva della liberta' personale,
si tradurrebbe, alla luce dell'odierna configurazione normativa (art.
14,  comma 5, della legge 11 luglio 1978, n. 382), in un mero obbligo
giuridico  -  sarebbe  peraltro  in  questa  sede un fuor d'opera. E'
sufficiente   difatti  rimarcare  come  il  parametro  costituzionale
invocato  dal  rimettente  si  presenti eccentrico rispetto al tenore
della  doglianza, la quale evoca non gia' un vulnus del generalissimo
impegno  della  Repubblica  al  riconoscimento  ed  alla garanzia dei
diritti    inviolabili   dell'uomo;   ma,   semmai,   una   eventuale
compromissione   degli  specifici  precetti  costituzionali  posti  a
presidio  della  liberta'  personale (art. 13 Cost.) o concernenti la
funzione della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).
    2.3. - Per quanto attiene, poi, all'asserita violazione dell'art.
3  Cost.,  e'  lo stesso profilo di irragionevolezza che il giudice a
quo  censura  -  la  circostanza,  cioe',  che il cumulo tra sanzione
penale  e  consegna  di  rigore sia in funzione della mera consecutio
cronologica   tra   applicazione   della   sanzione   disciplinare  e
proposizione della richiesta di procedimento - a palesarsi in realta'
insussistente,  una volta che la lettera b) del citato art. 65, comma
7,   del  regolamento  espressamente  contempla  la  possibilita'  di
infliggere  la  consegna  di  rigore  anche  dopo  la  formazione del
giudicato  penale.  Dalla  lettura  combinata  delle  lettere a) e b)
dell'articolo  in  parola  emerge, in effetti, come la preoccupazione
dei compilatori del regolamento sia stata non tanto quella di evitare
il  cumulo  delle  sanzioni;  quanto piuttosto l'altra di impedire la
celebrazione   contemporanea   dei   due   procedimenti   (penale   e
disciplinare):  e  cio'  tenuto conto anche del regime di sospensione
obbligatoria del secondo in presenza del primo, stabilito dall'art. 3
cod.  proc.  pen.  del  1930,  vigente all'epoca del varo della norma
regolamentare.
    Ne'  appare  convincente,  sul  punto, il rilievo del rimettente,
secondo  cui la lettera b) dell'art. 65, comma 7, del regolamento non
varrebbe ad elidere la lamentata disparita' di trattamento, in quanto
l'instaurazione del procedimento disciplinare dopo la condanna penale
sarebbe  da  tale  norma  configurata  come meramente facoltativa, in
deroga al principio di obbligatorieta' sancito dall'art. 58, comma 7,
del  regolamento stesso, con riguardo alle infrazioni punibili con la
consegna   di   rigore.  A  prescindere,  infatti,  dal  rilievo  che
quest'ultima  disposizione  (la  quale reca un riferimento limitativo
allo  speciale "rapporto" previsto dal comma 6 dello stesso articolo)
appare  di  non  univoca  interpretazione,  va  osservato,  in  senso
contrario,  come  la  voce verbale "possono" - che figura nell'alinea
dell'art. 65, comma 7, ed alla quale si connette l'argomentazione del
giudice a quo - regga entrambe le disposizioni di cui alle lettere a)
e  b):  sicche',  nell'ottica  del  rimettente,  il  carattere  della
facoltativita'  risulterebbe riferibile, allo stesso modo, tanto alla
consegna  di  rigore inflitta prima (lettera a) che a quella inflitta
dopo  il  procedimento  penale (lettera b), con conseguente caduta di
ogni divergenza di trattamento fra le due ipotesi.