ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 260 del codice
penale  militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio
1999 dal Tribunale militare di Torino nei procedimenti penali riuniti
a carico di Martino Walter, iscritta al n. 246 del registro ordinanze
1999  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19,
prima serie speciale, dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio del
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 maggio 2000 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che,  con ordinanza emessa il 12 gennaio 1999 nel corso
di  un  procedimento  nei  confronti di persona imputata del reato di
allontanamento  illecito,  previsto  dall'art. 147  del codice penale
militare  di  pace,  il Tribunale militare di Torino ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  97  della  Costituzione,  questione di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  260  del  codice  penale
militare  di pace, nella parte in cui non prevede che la richiesta di
procedimento  del  comandante del corpo o di altro ente superiore, da
cui  dipende  il  militare  colpevole  - alla quale e' subordinata la
perseguibilita'  dei  reati  puniti  con  la  reclusione militare non
superiore a sei mesi - debba essere motivata;
        che  il  rimettente premette che, nel giudizio a quo l'azione
penale  e'  stata promossa - cosi' come consentito, allo stato, dalla
norma  denunciata  -  sulla base di due richieste di procedimento del
tutto prive di motivazione;
        che,  ad  avviso del rimettente, la richiesta di procedimento
del  comandante del corpo non potrebbe essere assimilata alla querela
-  in  quanto  volta  alla  tutela  di interessi pubblicistici, e non
privatistici  -  ma  andrebbe  qualificata  come  atto oggettivamente
amministrativo,  concretandosi  in  una  manifestazione  di  volonta'
proveniente  da  un  organo  della  pubblica  amministrazione, avente
rilevanza  esterna, riferita ad un caso concreto ed indirizzata ad un
destinatario determinato;
        che,  in tale ottica, la norma impugnata violerebbe, in parte
qua  i  principi  di  imparzialita'  e  di buon andamento dell'azione
amministrativa,   giacche'  la  mancata  previsione  dell'obbligo  di
motivazione  impedirebbe  il  controllo  giurisdizionale sul corretto
esercizio   del  potere  discrezionale  attribuito  al  comandante  e
l'eventuale  disapplicazione  della  richiesta,  ai sensi dell'art. 5
della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, nel caso di accertata
insussistenza  dell'interesse  pubblico  alla punizione del reo nello
specifico frangente;
        che   risulterebbe   altresi'  compromesso  il  principio  di
uguaglianza, sia a fronte del diverso regime riservato alla richiesta
di  procedimento rispetto alla generalita' degli atti amministrativi,
per  i  quali l'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 prescrive la
motivazione  e che, attraverso la stessa, possono essere sottoposti a
controllo   giurisdizionale;  sia  in  rapporto  alle  disparita'  di
trattamento  che,  in  conseguenza delle insindacabili determinazioni
del comandante del corpo, sono suscettive di verificarsi tra soggetti
responsabili  di  identici  fatti  (ad  esempio, nel caso di ingiurie
reciproche,   il   comandante  potrebbe  proporre  la  richiesta  nei
confronti  di  uno  soltanto dei militari coinvolti, in quanto legato
all'altro da vincoli di amicizia);
        che  la rilevanza della questione si lega, nella contingenza,
alla  circostanza  che,  in  caso  di  suo  accoglimento,  l'imputato
potrebbe   essere   prosciolto   dal   reato   contestatogli,  previa
disapplicazione delle due richieste di procedimento proposte nei suoi
confronti, in quanto affatto immotivate;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  concluso  per  la declaratoria di inammissibilita' e infondatezza
della questione;
        che  l'Avvocatura  erariale  rileva  segnatamente,  in  primo
luogo,  che  la violazione dell'art. 3 Cost., dedotta dal rimettente,
e'  gia'  stata esclusa da questa Corte con sentenza n. 114 del 1982;
in  secondo  luogo,  che il precetto dell'art. 97, primo comma, della
Costituzione  attiene  alla  materia dell'organizzazione dei pubblici
uffici,  e  non  anche  all'attivita'  amministrativa incidente sulla
sfera  soggettiva  dei  privati;  e,  da  ultimo,  che  l'obbligo  di
motivazione   non   costituisce,   per  gli  atti  amministrativi,  a
differenza    che    per   quelli   giurisdizionali,   un   principio
costituzionalmente garantito.
    Considerato  che,  secondo  quanto piu' volte affermato da questa
Corte,  l'istituto della richiesta di procedimento del comandante del
corpo,  previsto  dall'art. 260  del  codice penale militare di pace,
trova   la  sua  giustificazione  nell'opportunita'  di  affidare  al
comandante,  di  fronte  a  condotte  prive  di  rilevante attitudine
offensiva,  una facolta' di scelta tra l'adozione di provvedimenti di
natura esclusivamente disciplinare ed il ricorso all'ordinaria azione
penale,  evitando  che  l'esercizio  incondizionato  di  quest'ultima
determini  un pregiudizio - in termini di menomazione del prestigio e
della  dignita'  delle  forze  armate - proporzionalmente maggiore di
quello  prodotto  dal  reato (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42 del
1975,  nonche'  ordinanze  nn. 396  del  1996 e 189 del 1976): e cio'
anche  in  correlazione  all'estraneita'  al  diritto penale militare
dell'istituto della querela, incompatibile con le caratteristiche dei
reati militari, nei quali e' sempre insita "un'offesa alla disciplina
e  al  servizio,  una  lesione  quindi  di un interesse eminentemente
pubblico   che   non  tollera  subordinazione  all'interesse  privato
caratteristico  della  querela"  (cfr. sentenze nn. 449 del 1991 e 42
del 1975, nonche' ordinanza n. 229 del 1988);
        che,  tanto ribadito, la premessa interpretativa da cui muove
il  giudice a quo - in forza della quale la richiesta di procedimento
del   comandante   del   corpo   andrebbe   qualificata   come   atto
oggettivamente  amministrativo  -  si  pone  in  aperto contrasto con
l'orientamento della giurisprudenza di legittimita', che cataloga per
converso la richiesta (pur concretante un atto amministrativo a parte
subiecti)  fra  i  veri  e  propri  atti  processuali,  stante il suo
inserimento  nell'iter del processo penale, necessariamente sfociante
nella valutazione giurisdizionale, non solo della sussistenza e della
attribuibilita'  del  fatto  oggetto della richiesta stessa, ma anche
della ritualita' di tutta la relativa attivita' procedimentale;
        che  il  ricordato orientamento giurisprudenziale e', d'altro
canto, in sintonia con le indicazioni di questa Corte, la quale - sia
pure  nella  cornice  della  risoluzione di questioni di legittimita'
costituzionale  di  diverso  taglio  -  ha costantemente riconosciuto
natura  processuale  all'atto  in  parola (cfr. ordinanze nn. 467 del
1995; 238, 293 e 295 del 1992; 397 del 1987);
        che  l'esclusione  dell'obbligo di motivazione, censurata dal
giudice   a   quo,  rappresenta  proprio  un  corollario,  di  ordine
interpretativo,  della  classificazione  della  richiesta  come  atto
processuale;   classificazione  la  quale  - al  lume  dell'accennato
indirizzo della Corte di cassazione, peraltro apprezzabile in termini
di  diritto  vivente - vale a sottrarla all'applicazione del generale
disposto  dell'art. 3 della legge n. 241 del 1990: e cio' in coerenza
con  la  funzione  dell'istituto,  che  da  un  lato  si  sovrappone,
escludendola,  alla  querela  prevista  dal  diritto penale comune e,
dall'altro  lato, rientra nella generale categoria delle richieste di
procedimento  di  competenza  dell'autorita'  amministrativa,  cui e'
riferimento nell'art. 342 cod. proc. pen., caratterizzate da un'ampia
e non vincolata discrezionalita';
        che  tale  ricostruzione del quadro normativo e' avvalorata -
sempre  alla  stregua  del ricordato orientamento giurisprudenziale -
anche  dalla  concreta  disciplina  dell'istituto, caratterizzata dal
regime  di  irrevocabilita'  della  richiesta  (art. 129 cod. pen.) e
dalla   mancanza   (incompatibile  con  la  pretesa  natura  di  atto
oggettivamente  amministrativo)  di  qualsiasi  forma  di  autotutela
dell'amministrazione  o  di  reclamo  da  parte dell'interessato; una
prospettiva  nella quale il sindacato del giudice penale resta quindi
circoscritto  alla  verifica  della  competenza  del richiedente, dei
requisiti  formali  e della tempestivita' dell'atto, senza che ne sia
ammessa  la disapplicazione, ad esempio, per la mancata astensione in
presenza di un interesse personale dell'autore della richiesta: ed e'
proprio  per  tale  ragione che si e' reso necessario l'intervento di
questa  Corte  (con  sentenza  n. 449  del 1991) al fine di escludere
(trasferendola  al  comandante  di  ente superiore) la competenza del
comandante  del  corpo  allorche'  questi  sia  la persona offesa dal
reato;
        che,  peraltro,  anche  a prescindere da tali ultimi rilievi,
risulta  in  ogni  caso  evidente  il  vizio  logico  che  affetta la
prospettazione del giudice a quo allorche' dalla qualificazione della
richiesta  come  atto  oggettivamente  amministrativo  fa  discendere
l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  denunciata,  sotto il
profilo  del "trattamento privilegiato" da essa riservato all'atto in
discorso - in punto di esonero dall'obbligo di motivazione - rispetto
alla generalita' degli altri atti amministrativi;
        che,  infatti,  se  l'accennata  premessa  ermeneutica  fosse
corretta,  cadrebbe  eo  ipso  anche  il  corollario cui il dubbio di
costituzionalita'  si  connette;  laddove,  al  contrario,  e'  dalla
differente  classificazione dell'atto che discendono, ad un tempo, il
corollario  stesso  e  l'esclusione  della ipotizzata frizione con il
principio   di   uguaglianza   e  di  ragionevolezza,  risultando  la
diversita'  di  regime  conseguenziale  alle  peculiari  connotazioni
dell'atto avuto di mira;
        che,  quanto al resto, le censure del rimettente ripropongono
- traslate dal piano della legittimita' dell'istituto in se' a quello
del  controllo  sulla  motivazione  - dubbi di costituzionalita' gia'
piu' volte esaminati e disattesi da questa Corte, senza che risultino
addotti argomenti nuovi atti a giustificare un eventuale mutamento di
indirizzo;
        che,  in  particolare,  la Corte ha chiarito che la possibile
disparita'  di  trattamento  tra  i colpevoli di reati militari, come
conseguenza  delle  insindacabili  determinazioni  del comandante del
corpo,  non pone la norma denunciata in contrasto con l'art. 3 Cost.,
in   quanto   la   discrezionalita'  nell'applicazione  della  legge,
attribuita   al   comandante   -  al  quale,  peraltro,  e'  doveroso
accreditare  doti  di  imparzialita' e distacco (cfr. sentenza n. 449
del  1991,  nonche' ordinanze nn. 396 del 1996 e 467 del 1995) - "non
puo'  dar  luogo  a  violazioni  apprezzabili  sotto il profilo della
violazione  del  principio  di uguaglianza" (cfr. sentenza n. 114 del
1982, nonche' ordinanze nn. 112 del 1981 e 60 del 1978);
        che,  del  pari, si e' escluso che l'istituto della richiesta
di  procedimento,  risolvendosi  nell'attribuzione  al comandante del
corpo  di  un  potere svincolato da ogni controllo, leda il principio
del    buon    andamento    e   dell'imparzialita'   della   pubblica
amministrazione, stante la non arbitrarieta' della disciplina dettata
dal legislatore ordinario in rapporto agli obiettivi perseguiti dalla
previsione normativa (cfr. ordinanze nn. 112 del 1981 e 60 del 1978).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.