ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 47, comma 1,
lettera  i)  del  d.P.R.  22  dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del
Testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza emessa
il  30  settembre  1996  dalla  Commissione  tributaria  centrale sul
ricorso  proposto  dall'Intendenza  di finanza di Roma contro Santini
Rinaldo,  iscritta al n. 819 del registro ordinanze 1997 e pubblicata
nella   Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 48,  prima  serie
speciale, dell'anno 1997.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 luglio 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  la  Commissione tributaria centrale, con ordinanza
del  30  settembre  1996,  pervenuta  alla  Corte costituzionale il 5
novembre  1997  (R.O.  n. 819  del  1997),  ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 47,  comma 1, lettera i), del
d.P.R.  22  dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del Testo unico delle
imposte sui redditi), in riferimento all'art. 53 della Costituzione;
        che  il  giudizio  a  quo traeva origine dal ricorso proposto
dall'Intendenza  di  finanza  di  Roma  avverso  la  decisione  della
Commissione tributaria di secondo grado, confermativa di quella della
Commissione  di  primo  grado, la quale aveva parzialmente accolto il
gravame   proposto,   a   seguito   della   formazione  del  silenzio
qualificato,   da   soggetto  che,  avendo  ricoperto  la  carica  di
consigliere regionale del Lazio nel periodo tra il 1 luglio 1970 e il
30  giugno  1980,  ed  essendo,  in  quanto tale, titolare di assegno
vitalizio a carico del fondo di previdenza dei consiglieri regionali,
costituito  presso  la  Regione  Lazio,  aveva  chiesto alla predetta
Intendenza  il  rimborso delle somme oggetto delle ritenute operate a
titolo di IRPEF sui singoli assegni erogati negli anni 1987 e 1988;
        che    la    Commissione    tributaria    centrale    osserva
preliminarmente che nella fattispecie non e' applicabile la normativa
introdotta  dalla legge 26 settembre 1985, n. 482, che fissa i limiti
dell'imposizione  da  applicare  nel  caso  di  trattamento  di  fine
rapporto,  e  che,  ai  sensi  dell'art. 2  della  stessa  legge,  e'
estensibile  alle  sole  indennita'  equipollenti,  tra  le quali, ad
avviso  del  giudice  a  quo non potrebbe essere annoverato l'assegno
vitalizio  erogato  all'interessato,  attesa  la  periodicita'  dello
stesso; mentre la norma da applicare e' quella impugnata, dalla quale
non  puo'  in  alcun  modo desumersi la previsione di deduzione dalla
base  imponibile  di  quanto  corrisponde  ai  contributi versati dal
titolare di un assegno vitalizio per finanziare il fondo al quale sia
imputabile l'assegno medesimo;
        che  il  giudice  a quo rileva che il fondo di previdenza dei
consiglieri   della   Regione  Lazio  era  alimentato  fino  al  1990
esclusivamente mediante contributi dei consiglieri iscritti (v. artt.
11   e   12   della   legge  regionale  16 marzo  1973,  n. 7);  solo
successivamente,  con  legge regionale 23 marzo 1990, n. 34, e' stato
disposto un ausilio finanziario della Regione per il ripianamento del
fondo  di  cui  si  tratta,  con contestuale aumento dei contributi a
carico dei consiglieri iscritti;
        che  il  giudice  a quo si e' posto il dubbio di legittimita'
costituzionale  della mancata previsione della deduzione in relazione
ai  principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale con la sentenza
n. 178   del  1986,  con  la  quale  fu  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale  della  normativa  primaria  che  disponeva  nel senso
dell'inclusione  nella  base  imponibile della parte di indennita' di
buonuscita   corrispondente   alla   proporzione   tra  i  contributi
dell'impiegato e l'apporto dell'amministrazione;
        che  tale  declaratoria  di  illegittimita',  ha osservato il
giudice   a   quo  fu  dedotta  dalla  "irriducibilita'  della  parte
suindicata   a   reddito";  i  medesimi  principi  dovrebbero  essere
richiamati nella fattispecie, posto che la parte di assegno vitalizio
corrispondente   alla   somma  dei  contributi  versati  dal  singolo
consigliere al fondo non costituisce reddito, ma prelievo di quanto a
suo  tempo  corrisposto  in  percentuale  sull'indennita' consiliare,
costituente a sua volta reddito;
        che  nel  giudizio  ha  spiegato intervento il Presidente del
Consiglio  dei Ministri per il tramite dell'Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l'inammissibilita' della questione, e, nel
merito, per la sua infondatezza;
        che sotto il primo profilo, l'Autorita' intervenuta eccepisce
il  difetto  di motivazione in ordine alla rilevanza della questione,
non risultando dall'ordinanza di rimessione se la controversia tragga
origine  da  una  contribuzione  obbligatoria  o invece anche solo in
parte  facoltativa; inoltre la norma impugnata non conterrebbe alcuna
indicazione  sulla  composizione  della base imponibile, limitandosi,
invece,  a  disporre  che  gli  assegni  periodici  alla  cui attuale
produzione non concorrono ne' capitale ne' lavoro, sono assimilati ai
redditi   di  lavoro  dipendente,  mentre  la  predetta  composizione
dell'imponibile  per  i  redditi  di  lavoro  dipendente e per quelli
assimilati  si trova disciplinata nel successivo art. 48 dello stesso
Testo unico n. 917 del 1986;
        che  nel  merito,  sempre secondo l'Avvocatura generale dello
Stato, la questione sarebbe infondata per le diversita' esistenti tra
i  due  istituti  dell'assegno  vitalizio  e  del trattamento di fine
rapporto;  in questo, infatti, sarebbe in qualche modo quantificabile
l'apporto  della  contribuzione  del  lavoratore,  mentre,  nel  caso
dell'assegno  vitalizio,  e'  determinata la contribuzione versata, e
non lo e' l'ammontare dell'assegno stesso, in quanto legato a fattori
variabili,  quali  la durata della vita del titolare e l'esistenza di
superstiti aventi diritto; sicche', in tale ipotesi, la contribuzione
a  carico  dell'interessato  si configurerebbe, piuttosto che come un
apporto proporzionato all'ammontare degli assegni, come un contributo
di  solidarieta'  per  tutti  i  casi  in  cui  la durata del diritto
all'assegno  vitalizio  diretto ed a quello di reversibilita' non sia
proporzionata alla durata della contribuzione;
        che   inoltre,   secondo   l'Avvocatura,   i   contributi  in
discussione, versati durante la permanenza in carica dei consiglieri,
non  concorrerebbero  a  formare  il reddito assoggettato ad imposta,
sicche',  pure  ammesso  che  nell'importo  complessivo degli assegni
vitalizi  sia  rintracciata  una  quota riferibile alla contribuzione
effettuata,  anche  questa  costituirebbe reddito e manifestazione di
capacita'  contributiva,  provenendo da quella parte della indennita'
consiliare  esclusa  da  imposizione  al  momento  del  pagamento per
esserne stata differita la disponibilita';
        che  con  ordinanza  istruttoria del 30 settembre 1996 questa
Corte  ha  ritenuto  che,  allo scopo di apprezzare esaurientemente i
profili  della  censura  dedotta  dal  giudice a quo fosse necessario
acquisire  dati  relativi al sistema della tassazione IRPEF applicato
per le quote di reddito corrispondenti ai contributi versati al Fondo
di  previdenza  dei  consiglieri  regionali  del  Lazio  nel  periodo
indicato  (1o luglio 1970-30 giugno 1980); dati forniti dal Ministero
delle finanze con note in data 14 maggio 1999 e 6 giugno 2000.
    Considerato   che   preliminarmente   deve   essere  esaminata  e
dichiarata infondata l'eccezione di inammissibilita', sollevata dalla
difesa  dello  Stato,  risultando  in modo univoco dalla ordinanza di
rimessione   la   rilevanza   della  questione  relativa  alla  norma
impugnata,  costituente regola generale su cui si basa l'imposizione,
che   comprende   tra  l'altro  gli  assegni  vitalizi  percepiti  in
dipendenza di cariche elettive espressamente indicate, tra cui quelle
degli organi regionali;
        che  la  norma di esclusione parziale contenuta nell'art. 48,
comma  6,  dello  stesso  d.P.R.  22  dicembre 1986,  n. 917 e' stata
abrogata  dall'art. 2,  comma 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724
(in  vigore  dal 1o gennaio 1995), inapplicabile alla fattispecie, in
cui si controverte sugli assegni erogati per il periodo 1987-1988;
        che  dalla  acquisizione  istruttoria  e' risultato che a suo
tempo  (periodo  1970/1980)  la  quota  parte  di reddito relativa ai
contributi  versati  dai  consiglieri  regionali  del  Lazio e' stata
esclusa dal computo del reddito imponibile, venendo considerata quale
contributo  obbligatorio  per legge, e quindi non e' stata tassata ai
fini IRPEF;
        che  gli  assegni  vitalizi (la denominazione poco interessa,
risolvendosi  in  indennita'-assegni  vitalizi  corrisposti  dopo  la
cessazione  dalla carica, ricollegati a fondo istituito per la carica
elettiva,  con  contribuzione  nel  periodo  della  carica  stessa, e
completamente differenti da indennita' di buonuscita o fine rapporto,
istituti tipici del lavoro dipendente - cfr. sentenza n. 25 del 2000;
ordinanze  nn. 400  e 328 del 1994 -, erogati dal Fondo di previdenza
dei consiglieri regionali della Regione Lazio) traggono origine - per
quanto  interessa in questa sede - da contributi versati dai medesimi
consiglieri beneficiari,
        che  tuttavia non erano stati sottoposti, per quella parte, a
tassazione IRPEF;
        che,  di  conseguenza,  sul  piano  costituzionale, non vi e'
alcun vincolo specifico per il legislatore di escludere completamente
dalla   tassazione   IRPEF   detti  assegni,  potendo  questi  essere
considerati   reddito,   proprio  in  quanto  le  somme  di  origine,
corrispondenti  ai  contributi versati (intesi come obbligatori), non
erano state assoggettate ad imposizione;
        che  il legislatore, nell'esercizio della discrezionalita' di
fissare  la  base  imponibile  per  i  redditi aventi carattere misto
assistenziale  e  previdenziale,  puo' anche determinare esclusioni o
limitazioni  in  ordine a quanto concorre a formare il reddito (ed in
realta'  la  normativa  applicabile  ha subito nel tempo una serie di
variazioni)  - purche' in modo non irragionevole o arbitrario e senza
discriminazioni  o  privilegi  non giustificati: cfr. sentenza n. 289
del  1994  -,  ma  non  e'  tenuto  a  escludere, in ogni caso, dalla
imposizione  IRPEF i suddetti assegni, che possono essere considerati
come reddito e indice di capacita' contributiva;
        che  il problema della concreta applicabilita' delle speciali
norme attinenti alla base imponibile e alla percentuale da calcolare,
in relazione all'anno di riferimento degli assegni comunque erogati e
secondo  le  norme  vigenti nell'anno stesso, rientra nella esclusiva
competenza del giudice a quo;
        che,   pertanto,   deve   essere   dichiarata   la  manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata
in riferimento all'art. 53 della Costituzione, anche sotto il profilo
della  duplicazione di imposizione, proprio in quanto i contributi in
origine  versati  (per  il  periodo  in discussione relativo a carica
ricoperta  dal  1970  al 1980), non erano stati oggetto di tassazione
IRPEF.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.