ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
Veneto,  riapprovata l'8 ottobre 1998, recante "Referendum consultivo
in  merito alla presentazione di proposta di legge costituzionale per
l'attribuzione  alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari
di  autonomia", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
Ministri, notificato il 28 ottobre 1998, depositato in cancelleria il
5 novembre 1998 ed iscritto al n. 42 del registro ricorsi 1998.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
    Udito nell'udienza pubblica del 9 maggio 2000 il giudice relatore
Carlo Mezzanotte;
    Uditi  l'avvocato  dello Stato Giancarlo Mando' per il Presidente
del  Consiglio  dei  Ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi
Manzi per la Regione Veneto.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ricorso in data 26 ottobre 1998, regolarmente notificato
e  depositato,  il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato
questione   di   legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
articoli  1,  3,  5,  70,  71,  121,  123  e 138 della Costituzione e
all'articolo 47 dello statuto della Regione Veneto, della legge della
Regione   Veneto,  recante  "Referendum  consultivo  in  merito  alla
presentazione  di proposta di legge costituzionale per l'attribuzione
alla  Regione Veneto di forme e condizioni particolari di autonomia",
approvata  dal  Consiglio regionale nella seduta del 23 aprile 1998 e
riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del rinvio governativo,
l'8 ottobre 1998.

    2. - La legge di cui e' questione promuove, ai sensi dell'art. 47
dello  statuto  della  Regione Veneto, un referendum consultivo della
popolazione  residente  in  merito  alla  presentazione  da parte del
Consiglio  regionale, nell'esercizio della potesta' ad esso conferita
dall'art. 121   della   Costituzione,   di   una  proposta  di  legge
costituzionale  che  attribuisca  forme  e  condizioni particolari di
autonomia  alla  Regione  Veneto,  a  mezzo  di uno specifico statuto
speciale, che preveda in particolare:
      a)  il  conferimento  generale  della potesta' legislativa alla
Regione  e  la  enumerazione  tassativa  delle  materie  di  potesta'
legislativa   e  amministrativa  statale  (politica  estera,  difesa,
moneta,   giustizia,   organi  costituzionali  dello  Stato,  livelli
inderogabili  delle  prestazioni relative ai diritti sociali tutelati
in Costituzione);
      b) l'esercizio a livello locale delle funzioni amministrative e
l'attribuzione  alla  Regione  delle  funzioni di programmazione e di
controllo;
      c)  il  riconoscimento  alla  Regione  del  potere di stipulare
accordi con Stati o enti territoriali di altri Stati e di partecipare
alla  formazione  degli  atti dell'Unione europea, provvedendo in via
autonoma all'attuazione degli atti comunitari;
      d) la determinazione da parte della Regione della propria forma
di  governo,  inclusa la possibilita' di prevedere l'elezione diretta
del  Presidente  della Regione e la disciplina del sistema elettorale
regionale;
      e)  il  conferimento  alla  Regione  del potere di istituzione,
accertamento e riscossione dei tributi, con devoluzione allo Stato di
una quota non superiore ad un terzo delle entrate tributarie riscosse
dalla Regione.
    Secondo il ricorrente la legge regionale si porrebbe in contrasto
con  gli  indicati  parametri  per ragioni analoghe a quelle poste da
questa  Corte  a base della sentenza n. 470 del 1992, con la quale e'
stata  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale di una legge della
Regione  Veneto diretta a proporre un referendum consultivo in merito
alla  presentazione  di una iniziativa legislativa volta a modificare
disposizioni  costituzionali concernenti l'ordinamento delle Regioni.
In  quella  circostanza,  la  Corte aveva affermato che il referendum
consultivo,  per  quanto sprovvisto di efficacia vincolante, esercita
comunque  la  sua  influenza,  di  indirizzo  e  di orientamento, nei
confronti  delle successive fasi del procedimento di formazione della
legge   statale  e  dunque  puo'  condizionare  scelte  discrezionali
affidate  alla  esclusiva  competenza di organi centrali dello Stato,
facendo  sorgere  "il  rischio  di influire negativamente sull'ordine
costituzionale   e   politico   dello   Stato".   Inoltre,   rammenta
l'Avvocatura dello Stato, nella medesima sentenza n. 470 questa Corte
aveva  affermato  che l'aggravamento, mediante forme di consultazione
popolare   variabili  da  Regione  a  Regione,  del  procedimento  di
formazione  delle  leggi  costituzionali  contrasta con la disciplina
della revisione posta nell'art. 138 Cost.
    Muovendo  da  simili  premesse,  e particolarmente insistendo sul
tenore  della  relazione illustrativa della delibera impugnata, nella
quale  si fa esplicito riferimento alla necessita', nell'ambito di un
"nuovo  patto  costituzionale",  di rinegoziare con lo Stato il ruolo
istituzionale,  l'organizzazione, le funzioni della Regione, e dunque
la  propria  originale  soggettivita',  il ricorrente conclude che un
referendum   consultivo   della   popolazione   veneta   in   materia
fondamentale  di  revisione  costituzionale,  oltre  a  comportare un
illegittimo  aggravamento  del  procedimento  previsto  nell'art. 138
Cost.,  verrebbe  in fatto ad assumere il significato politico di una
"autodeterminazione"  della  Regione  Veneto  sulla  forma e l'unita'
della Nazione, con cio' violando il principio della assolutezza della
competenza   parlamentare   in   materia,   che   opera  come  limite
costituzionale all'ammissibilita' di referendum consultivi regionali.

    3. - Si e' costituita la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso
sia  rigettato. Preliminarmente rileva la Regione che, in questa fase
di  profonda  evoluzione del sistema costituzionale delle autonomie e
di  potenziamento  dei  poteri  locali,  si renderebbe necessaria una
globale  riconsiderazione  della  materia, rispetto alle due pronunce
costituzionali - la sentenza n. 470 del 1992 e la sentenza n. 256 del
1989  -  che  si  pongono  come  immediati  precedenti  rispetto alla
questione  in esame. La difesa regionale nega comunque che la vicenda
conclusa  con  la  sentenza n. 470 del 1992 - alla quale l'Avvocatura
esplicitamente  si  richiama - e quella oggetto del presente giudizio
siano  equiparabili,  sostenendo  che  nella  fattispecie odierna non
verrebbe  in  rilievo  un  interesse  diretto  alla  revisione  degli
ordinamenti   regionali  e  dunque  della  stessa  forma  dell'unita'
politica,  ma  quello,  piu'  circoscritto, a definire un peculiare e
differenziato  statuto  autonomistico  per la sola Regione Veneto. Il
referendum  consultivo  -  assume  la  difesa  regionale - per la sua
funzione   propedeutica   rispetto   all'esercizio  della  iniziativa
legislativa  regionale, non coinvolgerebbe dunque il corpo elettorale
nazionale  nella  sua  unita',  ma  esclusivamente  la  collettivita'
territoriale  veneta.  Quanto  alla  lamentata  lesione dell'art. 138
Cost.,  la  difesa  della  Regione  contesta  che dalla tipicita' del
procedimento  di  formazione  degli  atti legislativi possa desumersi
l'impossibilita'  di  inserire, nella fase dell'iniziativa, "elementi
aggiuntivi  non  previsti  nel  testo  costituzionale". Si osserva in
proposito   che  l'atto  di  iniziativa  legislativa  costituisce  il
prodotto di un procedimento che rimane del tutto estraneo a quello di
revisione  costituzionale  disciplinato  dall'art. 138 Cost., sicche'
l'inserimento  nell'iter procedimentale di un elemento ulteriore come
il  referendum  consultivo  non  avrebbe  alcuna  rilevanza  esterna,
esaurendo comunque i suoi effetti entro l'ordinamento regionale.
    Pure   da   respingere   sarebbe,  ad  avviso  della  resistente,
l'argomento  secondo  il  quale la determinazione referendaria, quale
atto  di  indirizzo  politico,  eserciterebbe  un  condizionamento su
scelte  discrezionali  affidate  all'esclusiva  competenza  di organi
centrali   dello   Stato,   con  conseguente  violazione  dei  limiti
costituzionalmente   posti   al   referendum   consultivo  regionale.
Sviluppando coerentemente un simile ragionamento, secondo la Regione,
dovrebbero   infatti   considerarsi  condizionanti  anche  ipotetiche
espressioni  di  volonta'  favorevoli  ad  una proposta di iniziativa
legislativa  formulate  da  Consigli  comunali, gruppi di cittadini e
forze  sociali, secondo le normali modalita' di libera manifestazione
della  dialettica  politica.  Inoltre,  anche  ad  ammettere  che  il
referendum  consultivo  possa  assumere  un valore di indirizzo, esso
eserciterebbe  comunque  una  forma  di condizionamento nei confronti
della  Regione che presenta il progetto, non certo del Parlamento che
lo riceve.
    Con  riguardo, infine, alla denunciata violazione, da parte della
legge   impugnata,  dell'art. 47  dello  statuto  veneto,  la  difesa
regionale  sostiene  che  l'espressione  "referendum  su  leggi  e su
provvedimenti  determinati"  contenuta  in tale articolo non potrebbe
essere  riferita esclusivamente al referendum abrogativo di atti gia'
perfetti,   ma   consentirebbe   forme   di   consultazione  popolare
formalizzata   anche  su  iniziative  legislative  ed  amministrative
adottate o adottabili dalla Regione, ancorche' esse siano relative ad
atti   di  contenuto  e  portata  territorialmente  non  circoscritta
all'ambito regionale.

    4.  - Con memoria depositata in prossimita' dell'udienza pubblica
la  Regione  Veneto,  oltre  a  rinnovare le argomentazioni contenute
nell'atto  di  costituzione, ha svolto una piu' ampia riflessione sui
concetti  di  unita'  e  indivisibilita' della Repubblica, nella loro
relazione  con il principio autonomistico, denunciando la persistenza
di  una  visione  che  concepisce forme di dialogo solo tra i supremi
organi  dello  Stato  e trascura la possibilita' di porre in rapporto
dialettico  le  diverse  soggettivita' dell'ordinamento, siano o meno
titolari   di   potesta'  pubbliche.  La  previsione  del  referendum
consultivo  regionale in discorso costituirebbe espressione di questa
vivifica  tensione tra istanze dell'unita' e istanze del pluralismo e
varrebbe  a  rendere  piu'  credibili,  in  quanto  piu' legittimate,
iniziative   legislative   regionali   di  revisione  costituzionale.
Conclusivamente  la  difesa  regionale  chiede alla Corte di rivedere
l'orientamento  manifestato  con  la  sentenza  n. 470  del 1992 e di
respingere il ricorso governativo.
    Ha  depositato  altresi'  memoria l'Avvocatura dello Stato, fuori
del  termine  previsto  nell'art. 10  delle  norme  integrative per i
giudizi  davanti  a questa Corte, illustrandone tuttavia il contenuto
nella pubblica udienza.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  giudizio in via principale promosso, con il ricorso in
epigrafe, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha ad oggetto la
legge  della  Regione Veneto recante "Referendum consultivo in merito
alla   presentazione   di   proposta   di  legge  costituzionale  per
l'attribuzione  alla Regione Veneto di forme e condizioni particolari
di  autonomia",  approvata  dal  Consiglio regionale nella seduta del
23 aprile  1998  e  riapprovata a maggioranza assoluta, a seguito del
rinvio  governativo,  l'8 ottobre  1998. A giudizio del ricorrente la
delibera  legislativa  impugnata,  diretta  ad  indire  un referendum
consultivo  della  popolazione  veneta  in  "materia  fondamentale di
revisione  costituzionale",  supererebbe  i limiti costituzionali del
referendum   consultivo  regionale,  ponendosi  in  contrasto  con  i
principi  espressi  negli  articoli  1,  3, 5, 70, 71, 121, 123 e 138
della  Costituzione,  nonche'  con  l'articolo 47 dello statuto della
Regione Veneto.
    Richiamate   le  argomentazioni  svolte  da  questa  Corte  nella
sentenza  n. 470 del 1992, il ricorrente lamenta che la consultazione
popolare  indetta  dalla  Regione  con  la  legge  impugnata, pur non
essendo  produttiva  di  vincoli  giuridici  per l'organo al quale si
indirizza,   verrebbe  comunque  ad  assumere  una  indubbia  valenza
politica,  tale  da  orientare le successive fasi del procedimento di
formazione della legge statale e da condizionare scelte discrezionali
di  spettanza  di  organi  centrali.  Inoltre,  l'inserimento  di  un
referendum  consultivo  nella fase della iniziativa legislativa della
Regione  in  materia  costituzionale darebbe luogo ad un aggravamento
procedurale,  con cio' contrastando con la disciplina della revisione
posta nell'art. 138 Cost.

    2.   -   La   sopravvenuta   modifica   dell'articolo  123  della
Costituzione  ad  opera  della legge costituzionale 22 novembre 1999,
n. 1  (Disposizioni  concernenti  l'elezione  diretta  del Presidente
della  Giunta  regionale  e l'autonomia statutaria delle Regioni) non
altera i termini della questione, che e' fondata in relazione a tutti
i   parametri   indicati,   i   quali,   nel  loro  insieme  e  letti
sistematicamente,  concorrono  a definire la posizione costituzionale
del  referendum  in tutte le sue possibili varianti, come istituto di
democrazia  diretta,  nonche' le forme e i limiti dell'intervento del
popolo   nei   procedimenti   di   produzione  normativa  di  livello
costituzionale.
    La   partecipazione   delle  popolazioni  locali  a  fondamentali
decisioni  che  le  riguardano  costituisce  un  principio di portata
generale  che  e'  connaturale  alla  forma  di democrazia pluralista
accolta   nella   Costituzione  repubblicana  ed  alla  posizione  di
autonomia riconosciuta agli enti territoriali nel Titolo V, Parte II,
della  Costituzione  (sentenza  n. 453  del 1989). La possibilita' di
concorrere  alla  determinazione  delle  scelte  delle  quali  si  e'
destinatari,  infatti,  vivifica  gli  istituti  della rappresentanza
offrendo  agli  organi politici e amministrativi l'opportunita' di un
piu' stretto raccordo con le popolazioni amministrate.
    Tra  le forme giuridiche della partecipazione popolare si colloca
il  referendum consultivo. Accanto alle ipotesi di cui agli artt. 132
e 133 della Costituzione di referendum consultivo obbligatorio per la
modificazione  di  enti territoriali, forme di consultazione popolare
facoltative,  finalizzate  alla espressione di pareri su questioni di
interesse sia regionale che locale o a conoscere l'orientamento delle
popolazioni interessate a determinati provvedimenti, sono previste in
numerose  disposizioni statutarie e di legislazione regionale. Ad una
simile  forma  di  partecipazione  popolare intenderebbe riferirsi la
consultazione indetta dalla Regione Veneto con la legge impugnata.

    3.  -  Questa  Corte ha gia' riconosciuto il potere del Consiglio
regionale  di  presentare  proposte  di  legge  alle  Camere anche in
materia  di revisione costituzionale (sentenze nn. 256 del 1989 e 470
del   1992),   osservando   che   l'art. 121,  secondo  comma,  della
Costituzione   non   ha  introdotto  nei  confronti  di  tale  potere
limitazioni   riferite   alla   forza,  ordinaria  o  costituzionale,
dell'atto  normativo  che  la  Regione  intenda proporre. Ne' sarebbe
possibile  d'altra  parte  desumere  limitazioni del genere, sia pure
indirettamente,   dalla   disciplina  generale  che  l'art. 71  della
Costituzione  ha  posto in tema di soggetti legittimati all'esercizio
dell'iniziativa  delle  leggi  dello  Stato,  ove  non si opera alcun
riferimento alla forza dell'atto che viene proposto.
    Inoltre,    in    relazione   alla   soggettivita'   politica   e
costituzionale  della  quale,  nella  nostra  forma  di  Stato,  sono
titolari  le  Regioni,  e'  stato  riconosciuto  ad esse un interesse
qualificato  ai  contenuti  di una riforma, come quella oggetto della
delibera   legislativa   oggi   scrutinata,  che  riguarda  l'assetto
istituzionale  della Regione ed i suoi rapporti con lo Stato centrale
(sentenza n. 470 del 1992).

    4.  -  Con  la  questione oggi all'esame di questa Corte non puo'
venire  dunque  nuovamente  in  considerazione il problema dei limiti
formali  alla iniziativa legislativa attribuita ai Consigli regionali
dall'art. 121   Cost.,   poiche'   non  v'e'  motivo  di  discostarsi
dall'univoco orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo
il  quale  tale  iniziativa  riguarda indubbiamente anche le leggi di
revisione.   Ed  e'  da  ritenere  connaturata  a  questo  potere  la
disciplina del procedimento, tutto interno all'ordinamento regionale,
che   conduce   alla  formalizzazione  dell'atto  di  iniziativa.  La
questione  e'  pero'  se  il  potere  di regolare il sub-procedimento
ricadente  nella  competenza  regionale  incontri limiti sistematici,
inerenti  alla  posizione costituzionale del popolo in relazione alla
revisione;  se  cioe'  il  popolo  stesso,  sia  pure  nella sua piu'
limitata  dimensione  di  corpo  elettorale  regionale  e nella forma
partecipativa apparentemente piu' tenue, quale ricorre nei referendum
consultivi,  possa  essere  chiamato  a pronunciarsi su provvedimenti
intesi  ad  innovare  all'ordinamento a livello costituzionale. Sotto
questo  profilo,  la  finalita' della legge impugnata non puo' essere
condivisa  e  si espone alle fondate censure dello Stato, per rendere
ragione delle quali non puo' prescindersi dalla definizione del ruolo
del  referendum  in  genere  e  dalla  sua  collocazione  nel sistema
costituzionale.
    4.1.   -   E'  pacifico  che  il  referendum  abrogativo  di  cui
all'articolo  75  della  Costituzione  puo' avere ad oggetto leggi ed
atti  con  valore  di  legge,  ma non puo' incidere su fonti di grado
costituzionale,   poiche'   diversamente  verrebbero  compromessi  il
principio  di  rigidita' e la tipicita' del procedimento di revisione
di  cui  all'art. 138.  L'istanza protettiva delle fonti superiori e'
cosi'  intensa,  e  cosi'  cogente  e'  l'esigenza  che l'abrogazione
popolare  di leggi non raggiunga mai quel livello, che l'art. 2 della
legge  costituzionale  11 marzo  1953  n. 1, ha istituito un apposito
giudizio  preventivo  di ammissibilita' delle richieste di referendum
inteso  a  verificare  non  solo  che  esse  non siano comprese nelle
materie  esplicitamente  sottratte dall'art. 75, secondo comma, della
Costituzione  alla consultazione popolare, ma anche a controllare che
il  referendum  stesso  si  attenga  ad  un  livello subordinato alla
Costituzione  e  alle  altre fonti di rango costituzionale. Basti qui
richiamare la copiosa giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla
sentenza   n. 16   del   1978,  sulle  leggi  ordinarie  a  contenuto
costituzionalmente   vincolato   che   sono  escluse  dal  referendum
abrogativo  proprio  ad impedire che la decisione popolare, dietro lo
schermo  formale  della  legge  ordinaria  fatta oggetto di richiesta
referendaria,    si    diriga    contro   le   corrispondenti   norme
costituzionali,  delle  quali  quelle  leggi  sono  la sola possibile
attuazione.
    Gia'  quindi  la  semplice  considerazione della collocazione del
referendum   abrogativo,   che   pure,  diversamente  dai  referendum
consultivi,  interviene  su  un  atto  legislativo  in  vigore  e dal
contenuto interamente determinato, in ordine al quale e' piu' agevole
per l'elettore maturare un consapevole convincimento che non trasmodi
in  manifestazione  plebiscitaria,  depone  nel  senso che nel nostro
sistema   le  scelte  fondamentali  della  comunita'  nazionale,  che
ineriscono    al    patto   costituzionale,   sono   riservate   alla
rappresentanza  politica, sulle cui determinazioni il popolo non puo'
intervenire  se  non nelle forme tipiche previste dall'art. 138 della
Costituzione.
    4.2.  -  La decisione politica di revisione e' opzione rimessa in
primo  luogo  alla  rappresentanza politico-parlamentare. L'art. 138,
secondo  comma,  della  Costituzione  non  solo prevede un referendum
popolare sulla legge costituzionale come ipotesi meramente eventuale,
rimessa  alla iniziativa di cinquecentomila elettori, cinque Consigli
regionali  o  un quinto dei membri di una Camera, ma, ad impedire che
l'intervento popolare sia svincolato dal procedimento parlamentare al
quale  soltanto  puo'  conseguire, circoscrive entro limiti temporali
rigorosi  l'esercizio  del  potere  di  iniziativa:  tre  mesi  dalla
pubblicazione  della  legge di revisione sulla Gazzetta Ufficiale. Al
terzo   comma,   lo   stesso  articolo  138  preclude  del  tutto  la
possibilita'  di un intervento popolare quando stabilisce che "non si
fa  luogo  a  referendum se la legge e' stata approvata nella seconda
votazione  da  ciascuna  delle  Camere a maggioranza di due terzi dei
suoi   componenti",   con   cio'   confermando   che   la   revisione
costituzionale e' appunto, in primo luogo, potere delle Camere.
    Non   vuole  dirsi  con  cio'  che  il  dibattito  relativo  alla
modificazione delle norme piu' importanti per la vita della comunita'
nazionale  debba  restare  confinato  nei  luoghi istituzionali della
politica.  Al  contrario  e'  opportuno  che  esso  si diffonda nella
opinione  pubblica  e  che  fornisca  alla  discussione  parlamentare
l'habitat  culturale  necessario  ad  affrontare  un  procedimento di
revisione.  E'  pero'  indubitabile che la decisione e' dall'art. 138
rimessa   primariamente  alla  rappresentanza  politico-parlamentare.
All'interno del procedimento di formazione delle leggi costituzionali
il   popolo  interviene  infatti  solo  come  istanza  di  freno,  di
conservazione  e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto
ad  una  volonta'  parlamentare  di  revisione gia' perfetta, che, in
assenza  di  un  pronunciamento popolare, consolida comunque i propri
effetti giuridici.
    Se ne possono desumere due fondamentali proposizioni: la prima di
esse  e'  che  il  popolo in sede referendaria non e' disegnato dalla
Costituzione  come il propulsore della innovazione costituzionale. La
seconda  e'  che  l'intervento  del  popolo  non  e' a schema libero,
poiche'  l'espressione della sua volonta' deve avvenire secondo forme
tipiche  e all'interno di un procedimento, che, grazie ai tempi, alle
modalita' e alle fasi in cui e' articolato, carica la scelta politica
del massimo di razionalita' di cui, per parte sua, e' capace, e tende
a  ridurre  il  rischio  che  tale  scelta  sia  legata  a situazioni
contingenti.

    5.  -  Se,  muovendo  da questo quadro sistematico, si passa allo
scrutinio  della legge impugnata, non e' difficile rendersi conto che
essa,  per  il  ruolo  che  pretende  di  assegnare  alla popolazione
regionale  in un procedimento che ha come suo oggetto e come suo fine
politico  immanente  il  mutamento  dell'ordinamento  costituzionale,
incrina  le  linee  portanti  del  disegno  costituzionale proprio in
relazione   ai   rapporti   tra   l'istituto   del  referendum  e  la
Costituzione. E' innanzitutto evidente che laddove il popolo, in sede
di  revisione,  puo'  intervenire  come istanza ultima di decisione e
nella  sua totalita', esso e' evocato dalla legge regionale nella sua
parzialita'  di  frazione  autonoma  insediata  in  una  porzione del
territorio  nazionale,  quasi  che nella nostra Costituzione, ai fini
della  revisione,  non  esistesse  un  solo  popolo,  che  da'  forma
all'unita'  politica della Nazione e vi fossero invece piu' popoli; e
quasi  che,  in  particolare,  al  corpo elettorale regionale potesse
darsi  l'opportunita' di una doppia pronuncia sul medesimo quesito di
revisione:  una  prima  volta, preventivamente, come parte scorporata
dal  tutto,  in  fase  consultiva,  ed una seconda volta, eventuale e
successiva, come componente dell'unitario corpo elettorale nazionale,
in  fase  di decisione costituzionale. Ne' varrebbe affermare che nel
referendum  consultivo in questione il corpo elettorale agirebbe come
espressione  di  autonomia politica e non come istanza di innovazione
costituzionale.   Anche   intesa   nella  sua  accezione  piu'  lata,
l'autonomia  non  puo'  infatti  essere  invocata per dare sostegno e
forma   giuridica   a   domande  referendarie  che  investono  scelte
fondamentali  di  livello  costituzionale.  Non  e' quindi consentito
sollecitare  il  corpo  elettorale  regionale  a  farsi  portatore di
modificazioni  costituzionali,  giacche'  le  regole procedimentali e
organizzative  della revisione, che sono legate al concetto di unita'
e  indivisibilita'  della  Repubblica  (art. 5  Cost.),  non lasciano
alcuno  spazio  a  consultazioni popolari regionali che si pretendano
manifestazione di autonomia.

    6.  - Per negare che la legge impugnata incida sui fondamenti del
sistema  costituzionale e sulla posizione che in questo e' attribuita
al referendum popolare, non varrebbe neanche l'obiezione che nel caso
presente  si  tratti  soltanto  di un referendum consultivo, privo di
effetti  giuridici  vincolanti. Sarebbe invero riduttivo esaminare la
vicenda  della  legge  regionale  in  questione  soltanto nell'ottica
dell'efficacia  formale  del  referendum  consultivo  e  limitarsi ad
osservare  che  da  esso  non scaturirebbe alcun imperativo cogente o
dovere  giuridico  inderogabile  a  carico  del Consiglio regionale o
degli   organi   della  revisione  costituzionale.  Non  puo'  essere
trascurato,  poiche'  e' materia di apprezzamento costituzionale, che
la  rappresentanza regionale verrebbe comunque astretta ad un vincolo
politico  la  cui  forza  appare in grado di offuscare la prospettiva
puramente  formale dell'ordine delle competenze interne alla Regione.
In  questo caso, l'utilizzazione impropria di un istituto preordinato
a  rinsaldare  i  legami  tra  rappresentanti  e  rappresentati e che
giammai potrebbe risolversi nella semplice manifestazione di opinioni
di   cui  si  arricchisce  la  dialettica  democratica,  fa  si'  che
l'iniziativa  revisionale  della Regione, pur formalmente ascrivibile
al  Consiglio  regionale,  appaia  nella  sostanza  poco  piu' che un
involucro nel quale la volonta' del corpo elettorale viene raccolta e
orientata contro la Costituzione vigente, ponendone in discussione le
stesse  basi  di  consenso.  Ed  e'  appunto cio' che non puo' essere
permesso al corpo elettorale regionale.