IL TRIBUNALE

    Nella  causa di previdenza in grado di appello promossa dall'INPS
  nei  confronti  di  Cellini Ada avverso la sentenza del pretore del
  lavoro di Pisa emessa l'11 dicembre 1996, n. 1776.
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza con ricorso al pretore del
  Lavoro di Pisa depositato il 7 giugno 1995, Cellini Ada, sostenendo
  di  essere  stata  riconosciuta  invalida  civile  al  l00% dopo il
  raggiungimento  del  sessantacinquesimo anno di eta' e deducendo di
  possedere  un  reddito lire 7.483.000) superiore a quello richiesto
  per  il conseguimento di tale pensione ma di gran lunga inferiore a
  quello   stabilito  per  gli  invalidi  civili  (lire  17.374.490),
  chiedeva  che essendo stata respinta la domanda presentata all'INPS
  il  16  dicembre 1994, l'istituto fosse condannato a corrisponderle
  la  pensione  sociale,  essendo  il proprio reddito compatibile con
  quello  differenziato  da determinarsi per l'ultrasessantacinquenne
  divenuto invalido, in applicazione della sentenza della Corte cost.
  9 marzo 1992, n. 88, con cui era stata dichiarata la illegittimita'
  costituzionale  dell'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in
  relazione  agli  artt.  n. 3  e  38  Cost.,  nella  parte  in  cui,
  nell'indicare  il limite di reddito cumulato con quello del coniuge
  ostativo  al  conseguimento della pensione sociale non prevedeva un
  meccanismo     differenziato     di    determinazione    per    gli
  ultrasessantacinquenni divenuti invalidi.
    L'INPS  resisteva in giudizio sostenendo che il vuoto legislativo
  apertosi  dopo  la  pronuncia  della Corte della Costituzione sopra
  indicata  non  potesse  essere colmato dal giudice e fosse comunque
  ostativo all'accoglimento della domanda.
    Il  pretore  richiamata  la  sentenza  della Corte cost. invocata
  dalla   ricorrente,  ritenuto  che,  tenuto  conto  delle  esigenze
  tutelabili e in mancanza di parametri normativi fosse compito dello
  stesso   giudice   di   porre   frattanto  rimedio  alla  omissione
  legislativa in via di individuazione della regola del caso concreto
  (cosi'  implicitamente  applicando  i  criteri  fissati dalla Corte
  cost.  in  altra  recedente pronuncia del 26 giugno 1991 n. 295), e
  considerato  che  il principio affermato dalla Corte nella sentenza
  88/1992  con riferimento all'ipotesi di reddito cumulato con quello
  del    coniuge   dovesse   fortiori   valere   per   l'ipotesi   di
  monotitolarita'  essendo  in  tal  caso  maggiore  lo stato bisogno
  fissava  con  riferimento  a  tale  ipotesi (ricorrente nel caso di
  specie)  il  limite  di  reddito  per la pensione sociale in favore
  dell'ultrasessantacinquenne  divenuto  invalido  in  misura pari ai
  doppio  di  quello  stabilito  per  il  caso  di  pensione  sociale
  ordinaria  e,  accertato  che  tale  limite  non era superato dalla
  ricorrente, accoglieva la domanda da questa proposta.
    La  sentenza veniva impugnata dall'INPS che riproponeva le difese
  svolte in primo grado contestando, in particolare, che, in mancanza
  di  un intervento legislativo il reddito potesse essere determinato
  direttamente dal giudice.
    L'appellata  si costituva resistendo all'appello e chiedendone il
  rigetto.  In  ipotesi  chiedeva  che venisse sollevata questione di
  legittimita'  costituzionale  dell'art. 26 della legge 153/1969 per
  violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.
                         Ritenuto in diritto
    Con  la  sentenza  n. 88 del 1992 la Corte cost. ha dichiarato la
  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 26  della  legge 153/1969
  nella   parte  in  cui  la  norma  non  prevede  un  meccanismo  di
  determinazione  del  limite  di  reddito  ostativo al conseguimento
  della pensione sociale l'ultrasessantacinquenne non invalido.
    La  pronuncia  di incostituzionalita' della norma e' stata emessa
  con   espresso  riferimento  all'ipotesi  in  cui,  trattandosi  di
  soggetto  coniugato,  il  tetto  di  reddito rilevante in base alla
  disposizione sopra indicata, sia quello dell'anziano aspirante alla
  pensione cumulato con quello del coniuge.
    In  esito alla pronuncia della Corte, solo con riferimento a tale
  specifica  ipotesi  la norma sopra indicata puo' pertanto ritenersi
  illegittima  e si apre la strada (a seguito del vuoto normativo che
  ne  e'  derivato ed in assenza di un intervento riparatore da parte
  del legislatore) alla possibilita' di una determinazione giudiziale
  del  reddito  differenziato  (Cass. 24 maggio 1994 n. 5046) ai fini
  della "individuazione della regola del caso concreto" (Corte cost.,
  26 giugno 1991, n. 295),
    Nella  diversa ipotesi (pure considerata dall'art. 26 della legge
  153/1969)  in  cui  il  reddito  cui deve farsi riferimento non sia
  quello cumulato ma solo quello dell'ultrasessantacinquenne divenuto
  invalido, la norma sopra indicata mantiene integro il suo contenuto
  precetivo   che   e'   di   piena   equiparazione  della  posizione
  dell'ultrasessantacinquenne     divenuto    invalido    a    quella
  dell'ultrasessantacinquenne sano.
    Ne  consegue che, versandosi nel caso di specie in una ipotesi di
  monotitolarita'  redditualita',  facendo  puntuale applicazione del
  disposto  normativo,  la  domanda  della ricorrente dovrebbe essere
  respinta.
    Non  puo'  tuttavia ignorarsi come le ragioni poste dalla Corte a
  sostegno  della ritenuta illegittimita' costituzionale dell'art. 26
  legge 153/1969 con riferimento alla fatispecie presa in esame siano
  del tutto mutuabili nelle ipotesi in cui l'aspirante al trattamento
  pensionistico  sia  un  soggetto monoreddito perche' identica e' la
  ratio  giustificativa  della  previsione  di  un  tetto  reddituale
  differenziato   con   riferimento  alla  due  distinte  fattispecie
  dell'ultrasessantacinquenne invalido coniugato o singolo.
    Puo'  anzi  fondatamente  sostenersi  che  il principio affermato
  riguardo  all'ipotesi  di  reddito cumulato debba valere a fortiori
  per  il  caso  di  monotitolarita' nel quale lo stato di bisogno e'
  maggiore.
    I  motivi  addotti  dalla Corte costituzionale a fondamento della
  sentenza  n. 88/1992  inducono dunque fondatamente a dubitare della
  legittimita' costituzionale dell'art. 26 della legge 153/1969 anche
  con  riferimento al soggetto monoreddito, configurandosi anche tale
  ipotesi una situazione di arbitraria parificazione di situazioni di
  diverse   (ultrasessantacinquenne   sano   e   divenuto   invalido)
  comportanti     "differenti     esigenze    di    assistenza"    e,
  conseguentemente,  la  previsione  di diversi livelli di reddito ai
  fini  previdenziali,  a  seconda  che all'eta' avanzata si colleghi
  solo  uno  stato  di  bisogno  economico  ovvero  che  ad  esso  si
  accompagnino  anche esigenze di cure ed assistenza piu' gravose per
  un sopraggiunto stato di invalidita'.
    La  questione, oltre che non manifestamente infondata, e' altresi
  rilevante nella fattispecie oggetto di causa, essendo accertato, in
  fatto,  che  la  ricorrente  ha  fondato  la  propria domanda su un
  reddito  superiore  a  quello  richiesto per il conseguimento della
  pensione sociale ma notevolmente inferiore a quello previsto per la
  pensione  di  invalidita',  tanto  da  poter  essere ricompreso nel
  reddito     differenziato    da    determinarsi    nei    confronti
  dell'ultrasessantacinquenne divenuto invalido.