IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 894 del 2000,
  proposta  da  Amato  Francesco, rappresentato e difeso dagli avv.ti
  Claudio  Dondi  e Barbara Botti ed elettivamente domiciliato presso
  quest'ultima in Brescia, via Vittorio Emanuele II, n. 43;
    Contro  la  Prefettura della provincia di Mantova, in persona del
  prefetto  pro-tempore  costituitosi  in  giudizio,  rappresentato e
  difeso  ex  lege  dall'avvocatura  distrettuale  dello Stato ed ope
  legis  domiciliato  presso la sede della stessa, in Brescia, via S.
  Caterina, 6;

    Per  l'annullamento, previa sospensione del provvedimento in data
  10  maggio 2000, prot. n. 2598/ll/P, con il quale il prefetto della
  provincia  di Mantova ha revocato al ricorrente la patente di guida
  ctg  "C"  n. RC2263155S  e  di ogni altro documento di guida in suo
  eventuale possesso;
    Visto il ricorso, con i relativi allegati;
    Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento
  impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'amministrazione
  dell'interno;
    Vista la propria ordinanza n. 577/2000 emessa nell'odierna Camera
  di Consiglio;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito,  nella  Camera  di  Consiglio  del  22  settembre 2000, il
  relatore cons. Alessandra Farina;
    Uditi,  altresi',  l'avv.  n. Rubino in sostituzione dell'avv. C.
  Dondi,  per  il  ricorrente  e  l'avv. Lucia Piotti dello Stato per
  l'amministrazione intimata;
    Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

                              F a t t o


    1.  -  Questo  tribunale  amministrativo  e' chiamato a decidere,
  nella  sede  cautelare, sul ricorso, proposto dall'interessato, per
  l'annullamento  di  un  provvedimento  prefettizio  di revoca della
  patente  di guida, adottato in conseguenza della sottoposizione del
  titolare alla misura di prevenzione del rimpatrio con foglio di via
  obbligatorio,  misura disposta con provvedimento del questore della
  provincia di Parma.
    Con  provvedimento  in data 18 aprile 2000 del questore di Parma,
  infatti  il ricorrente veniva munito di foglio di via obbligatorio,
  ai sensi dell'art. 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327.
    Con  il  provvedimento  impugnato  il prefetto della provincia di
  Mantova  disponeva,  pertanto, la revoca della patente di guida del
  ricorrente, alla luce del citato ordine di rimpatrio, ritenendo che
  per l'effetto dello stesso, visto l'art. 120 del N.C.D.S. approvato
  con  decreto  legislativo del 30 aprile 1992, n. 285 e il d.P.R. 19
  aprile  1994  n. 575,  l'interessato non fosse piu' in possesso dei
  requisiti morali per la guida dei veicoli.
    Veniva,  pertanto, notificato in data 24 luglio 2000 e depositato
  in   data   5   agosto  2000  presso  questa  sezione,  il  ricorso
  giurisdizionale  de  quo  avverso il decreto prefettizio di revoca,
  adducendo  la  violazione e falsa applicazione dell'art. 120, primo
  comma   N.C.D.S.,  nonche'  il  vizio  di  eccesso  di  potere  per
  travisamento dei fatti.
    Contestualmente    l'istante    chiedeva   la   sospensione   del
  provvedimento  impugnato, adducendo il danno grave ed irreparabile,
  derivante   dall'esecuzione   dello   stesso,  tenuto  conto  della
  necessita'  del ricorrente di utilizzare la patente di guida per lo
  svolgimento della propria attivita' lavorativa.
    Si   costituiva   in   giudizio  l'amministrazione  dell'interno,
  chiedendo il rigetto del ricorso.
    1.2  -  Con  separata ordinanza, pronunciata nella stessa odierna
  Camera  di  consiglio,  il  collegio  ha  accolto provvisoriamente,
  valutata  positivamente  la  gravita'  ed irreparabilita' del danno
  addotto,  la  suindicata  domanda  incidentale  di  sospensione del
  provvedimento  impugnato,  rinviando  ogni  definitiva pronuncia in
  sede    cautelare    all'esito    del    promovendo   giudizio   di
  costituzionalita'  dell'art. 120,  comma 1, del decreto legislativo
  n. 285  del 1992, di cui il collegio deve fare applicazione ai fini
  dell'accertamento,  nella  sede  cautelare, del requisito del fumus
  boni iuris del ricorso.

                            D i r i t t o

    1.  - Il provvedimento impugnato risulta adottato in applicazione
  del  vigente  art. 120  del  decreto  legislativo  n. 285  del 1992
  (codice  della  strada),  che,  al comma 1, prescrive che la revoca
  della patente consegua, vincolativamente, a carico dei "delinquenti
  abituali,  professionali  o  per  tendenza", nonche' di "coloro che
  sono  sottoposti  a  misure di sicurezza personali o alle misure di
  prevenzione  previste  dalla  legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come
  sostituita  dalla  legge  3  agosto  1988, n. 327, e dalla legge 31
  maggio  1965,  n. 575,  cosi'  come  successivamente  modificata  e
  integrata,  fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi,
  nonche'  alle  persone condannate a pena detentiva, non inferiore a
  tre  anni,  quando  l'utilizzazione  del  documento  di guida possa
  agevolare la commissione di reati della stessa natura".
    Questa  disciplina  risulta  dall'aggiornamento effettuato con il
  d.P.R.  19  aprile 1994, n. 575, entrato in vigore a partire dal 1ยบ
  ottobre  1995  (ex  art. 2, comma 2, d.l. 25 novembre 1995, n. 501,
  convertito, con modificazioni, in legge 5 gennaio 1996, n. 11).
    A  seguito  di  tale  aggiornamento  l'art. 120  del codice della
  strada e' rimasto sostanzialmente immutato relativamente alla parte
  che  rileva  ai  fini  della questione qui sollevata, giacche' esso
  continua  a  ritenere  privo  dei  requisiti "morali" per il valido
  possesso  del titolo di abilitazione alla guida (cui fa riferimento
  la  rubrica  della  norma,  rimasta  peraltro  immutata  nelle  due
  versioni  ante e post d.P.R. n. 575) chi sia sottoposto a misure di
  sicurezza  personali  ed  a  misure di prevenzione (fatti salvi gli
  effetti   di  provvedimenti  riabilitativi)  e  continua  dunque  a
  prescrivere   la   revoca   della  patente  in  presenza  di  dette
  circostanze;  si' che se ne deve dedurre la sindacabilita', in sede
  di  giudizio  costituzionale,  della  norma in argomento, stante il
  valore  normativo  da  attribuirsi  alla disposizione contenuta nel
  regolamento,  nella  parte  in cui indica le condizioni sostanziali
  della    revoca    della    patente   (materia   non   soggetta   a
  "delegificazione"  a norma dell'art. 2, comma 7, della legge n. 537
  del  1993),  in  relazione  alla quale non pare operare la clausola
  abrogativa   dell'originario  art. 120  del  codice  della  strada,
  contenuta nell'art. 2, comma 8, della legge n. 537 cit.
    In  base,  dunque,  all'art. 120  del  codice  della  strada,  la
  sottoposizione  ad  una  misura  di  sicurezza,  o ad una misura di
  prevenzione, fa scattare il dovere di revocare la patente di guida,
  senza   che   risulti   possibile   ne'  influente  alcun  giudizio
  dell'amministrazione  circa  la  connessione  tra  la pericolosita'
  sociale del soggetto ed il possesso del titolo di abilitazione alla
  guida,  ne' circa la probabilita' che tale possesso possa agevolare
  la  commissione  di un reato (od il compimento di un fatto previsto
  come   reato,   ma   considerato  dalla  legge,  ai  fini  che  qui
  interessano, equivalente).
    "La  misura  della revoca della patente si puo' spiegare, allora,
  in  una  luce  o  sanzionatoria  o  preventiva, in ogni caso in una
  logica,  in senso lato, penalistica" (Corte cost., 21 ottobre 1998,
  n. 354);  essa,  si  puo'  aggiungere, in relazione ad in eludibili
  esigenze  di  tutela delle ragioni di pubblica sicurezza, configura
  un'ipotesi  di revoca obbligatoria di un titolo gia' rilasciato, in
  presenza  dei  presupposti indicati dalla norma, secondo uno schema
  analogo  a  quello previsto dall'art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977
  in tema di revoca delle licenze di polizia amministrativa.
    Tale  revoca,  concernente coloro che sono sottoposti a misure di
  sicurezza personali od alle misure di prevenzione specificate dalla
  legge,  non puo' nemmeno considerarsi soggetta a quelle particolari
  condizioni,  dettate  dalla  stessa  norma  per  coloro  che  siano
  condannati  a  pena  detentiva  non  inferiore  a  tre anni, a quel
  giudizio,  cioe',  circa  la  possibilita' che "l'utilizzazione del
  documento  di  guida  possa agevolare la commissione di reati della
  stessa natura".
    Tali condizioni nell'interpretazione logico-letterale della norma
  (nonche'   nell'interpretazione  storica,  compiuta  attraverso  il
  raffronto  delle  disposizioni  attuali  con quelle dell'originario
  art. 120)   e  per  il  contesto  in  cui  risultano  inserite,  si
  configurano  come  limite  posto  all'autorita'  competente (limite
  posto  evidentemente a contemperamento dell'interesse generale alla
  sicurezza   pubblica  e  di  quello  individuale  dell'interessato)
  esclusivamente  in  relazione alla ipotesi di re'voca della patente
  conseguente all'intervenuta condanna a pena detentiva non inferiore
  a   tre   anni   e  non  anche  con  riguardo  all'altra,  distinta
  fattispecie,  che,  enucleata  dalla  stessa  norma,  viene  qui in
  considerazione.
    L'art. 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, con il
  quale  e'  stato  approvato  il nuovo codice della strada, prevede,
  infatti,  al  comma  1,  due  distinti tipi di elementi ostativi al
  possesso   dei  requisiti  morali  (da  intendersi  come  moralita'
  pubblica  e  percio'  come  fatto  di apprezzamento sociale) per il
  rilascio  del  documento  abilitativo  alla  guida di autoveicoli a
  motore:
      il   primo   riguarda   l'esser  stati  dichiarati  delinquenti
  abituali,   professionali  o  per  tendenza,  ovvero  essere  stati
  sottoposti  a  misure  di  sicurezza  personali  od  alle misure di
  prevenzione   di  cui  alla  legge  27  dicembre  1956,  n. 1423  e
  successive modificazioni, salvo che non intervenga un provvedimento
  di riabilitazione;
      il secondo concerne l'intervenuta condanna a pena detentiva non
  inferiore  a  tre  anni,  quando  si ritenga (e si dimostri) che il
  possesso  della  patente  di  guida possa agevolare il soggetto nel
  compimento di reati della stessa natura.
    In  tal  modo,  peraltro  e  per quanto piu' qui ne interessa, la
  disposizione  dettata  dal  legislatore  (prima  del 1992 e poi del
  1994)  va  nel senso di un indubbio maggior rigore del nuovo codice
  rispetto  al  precedente  testo  unico  del 1959, che precludeva il
  rilascio - ed imponeva la revoca - della patente solo nei confronti
  di "coloro che sono sottoposti a misure amministrative di sicurezza
  personali  o  alle misure di prevenzione previste dell'art. 3 della
  legge  27  dicembre  1956,  n. 1423"  (art. 82, comma 1, del d.P.R.
  n. 393),  escludendo,  dunque,  dal  proprio  ambito  coloro che si
  fossero  visti  applicare  la  sola  misura di cui all'art. 2 della
  legge  n. 1423  del  1956, ch'e' poi appunto quella che ha portato,
  nel  caso  all'esame,  alla  emanazione del provvedimento di revoca
  impugnato.
    Cosi' delineato il quadro normativo di riferimento, la rilevanza,
  nella  fattispecie,  della  questione  di  costituzionalita' che si
  ritiene  di  sollevare  in via d'ufficio, in relazione all'art. 120
  del  codice  della  strada,  approvato  con  decreto legislativo 30
  aprile   1992,  n. 285,  relativamente  al  comma  1  dello  stesso
  art. 120,  e'  evidente:  in  mancanza di una pronuncia della Corte
  costituzionale  in  ordine alla illegittimita' costituzionale della
  norma  in  questa  sede censurata, il provvedimento di revoca della
  patente di guida, nei confronti del ricorrente emanato dal prefetto
  della   provincia   di   Mantova   e   motivato   con  l'apodittica
  considerazione  della  perdita  dei  requisiti morali a seguito del
  provvedimento  di rimpatrio con foglio di via adottato dal questore
  nei  suoi stessi confronti, deve ritenersi atto dovuto, per effetto
  delle  disposizioni  legislative  vigenti  e,  conseguentemente, il
  ricorso (e prima ancora la domanda incidentale di sospensione della
  esecuzione  del  provvedimento  impugnato)  non potranno che essere
  rigettati.
    2.   -   Relativamente  alla  non  manifesta  infondatezza  della
  questione  di legittimita' costituzionale della norma in argomento,
  il collegio rileva quanto segue.
    La  scelta,  compiuta  dal legislatore con la norma che ne occupa
  (sia  anteriore  che  successiva al d.P.R. n. 575 del 1994), e', ad
  avviso  di questo giudice, anzitutto irragionevole e percio' lesiva
  dell'art. 3 Cost.
    L'indiscutibile  riserva  alla discrezionalita' legislativa delle
  scelte   di   carattere   sanzionatorio   deve,  infatti,  comunque
  rispettare  il limite della ragionevolezza, giacche' il legislatore
  non  puo'  considerarsi  arbitro  assoluto  di tali scelte, ma deve
  collegare  ogni  previsione  ad un effettivo interesse da tutelare,
  bilanciandolo   col   sacrificio   imposto  al  destinatario  della
  previsione sanzionatoria.
    Un   siffatto  equilibrio  non  e'  ravvisabile  nella  norma  in
  considerazione, poiche', ove l'esplicazione della normale attivita'
  e  vita  di  relazione  dell'individuo  ed,  in particolare, la sua
  attivita'  lavorativa  richieda  l'uso  di  un automezzo e, quindi,
  della  relativa  patente  di  guida  (com'e'  nella quotidianita' e
  normalita'  della  vita  di milioni di cittadini e dunque anche del
  ricorrente nel presente giudizio), il ritiro del titolo abilitativo
  nel  corso  dell'esecuzione  della  misura  di  prevenzione  (nella
  fattispecie  quella  del  rimpatrio con foglio di via obbligatorio)
  sarebbe      contraddittorio      rispetto      alla      finalita'
  preventiva/rieducativa  pacificamente assegnata dalla dottrina alla
  misura medesima.
    Il  legislatore,  nel  prevedere,  in  particolare, che la revoca
  della  patente,  quale atto prefettizio vincolato, debba conseguire
  alla  applicazione  definitiva  della  misura di prevenzione di cui
  all'art. 2  della  legge  n. 1423  del  1956  (che ha attribuito al
  Questore  il  potere  di  adottare,  nei  confronti  delle  persone
  indicate all'art. 1, che siano pericolose per la sicurezza pubblica
  e  che  si  trovino fuori dei luoghi di residenza, un provvedimento
  motivato, con il quale dette persone vengono rimandate nel luogo di
  loro  residenza  con  foglio  di via obbligatorio, con inibizione a
  ritornare,  senza  preventiva  autorizzazione ovvero per un periodo
  non  superiore  a  tre  anni,  nel  comune  dal  quale  sono  state
  allontanate),  mostra  di privilegiare, sempre non ragionevolmente,
  l'interesse  generale  al  controllo  della persona, in vista della
  prevenzione   di   possibili   attivita'  illecite,  rispetto  alla
  posizione  del  singolo;  cio' nella presunzione assoluta, trasfusa
  nella  previsione  di  legge, che il possesso del titolo permissivo
  della guida favorisca ed incentivi il soggetto a quelle attivita' e
  condotte, socialmente pericolose la cui neutralizzazione giustifica
  l'adozione della misura di prevenzione.
    Ma se quelle attivita', quali fattispecie indiziarie di sospetto,
  hanno   semplicemente   indotto   l'autorita'  amministrativa  alla
  adozione  della  misura socialpreventiva del rimpatrio (ritenuta di
  per  se'  necessaria  e  sufficiente  allo  scopo  di  argine della
  pericolosita'  sociale  dell'individuo di cui si tratti), la revoca
  della  patente, che ne consegue quale atto vincolato in forza della
  disposizione  sottoposta allo scrutinio di costituzionalita', viene
  a  configurarsi  come una sanzione accessoria del tutto incongrua e
  sproporzionata  rispetto  alla  misura  di prevenzione cui viene ad
  accedere  automaticamente.  Non  ha  senso, infatti, in relazione a
  tale  misura, la revoca della patente, l'interesse pubblico sotteso
  alla  misura  stessa  essendo  chiaramente  limitato ed inerente al
  divieto  di  far  ritorno  nel  comune  dal  quale il prevenuto sia
  allontanato;  rispetto  a  tale  interesse  la revoca della patente
  appare  ad  un tempo sproporzionata (inibendo ben altre attivita' e
  possibilita' di spostamento, che il mero ritorno in quel comune) ed
  inadeguata,  potendo  l'interessato ricorrere, anche se privo della
  patente, ad espedienti diversi per aggirare il divieto.
    In  definitiva,  il  sacrificio  imposto,  con  la  revoca  della
  patente,  a chi sia stato sottoposto a misura di prevenzione (ed in
  specie a quella del rimpatrio con foglio di via) appare eccessivo e
  sbilanciato  rispetto  all'interesse  pubblico  alla sicurezza, che
  puo'  considerarsi  sufficientemente  tutelato  e  presidiato dalla
  misura  in  se'  stessa considerata; il quale interesse, poi, a ben
  vedere,  finisce  anch'esso  per  risultare poco tutelato proprio a
  cagione della sanzione accessoria in questione, se si considera che
  in  genere  le  occasioni  di  lavoro  lecito, che sono offerte dal
  mercato  alle categorie di persone in discorso (individuate in base
  al  riferimento  ad  attivita'  potenzialmente costituenti illecito
  penale), richiedono, di fatto, il possesso della patente.
    Si  profila,  quindi,  anche la violazione dell'art. 4 Cost., per
  irragionevole limitazione nell'accesso al lavoro, quale aspetto del
  diritto   garantito  dalla  citata  norma  costituzionale,  sovente
  qualificato  dal  giudice  delle leggi come fondamentale diritto di
  liberta' della persona.
    Anche   sotto   questo   aspetto,  v'e'  da  considerare  che  le
  limitazioni,  che  la  legge puo' porre a tutela di altri interessi
  aventi  protezione  costituzionale  -  in  questo caso la sicurezza
  della  collettivita' - non possono giungere al punto di determinare
  la  pratica  soppressione, o comunque la gravissima compromissione,
  del diritto individuale.
    Anche,  poi,  a  voler  ritenere  che  la limitazione dei diritti
  dell'interessato  derivante  dall'applicazione  dell'art. 120  Cod.
  str. in relazione alle misure di prevenzione, possa essere talvolta
  giustificata   rispetto   alle   finalita'   che   la  norma  vuole
  raggiungere, la norma risulta comunque non conforme al principio di
  ragionevolezza   laddove   non  prevede,  come  fa  invece  per  la
  fattispecie  relativa  alla  revoca  della patente di chi sia stato
  condannato   ad  almeno  tre  anni  di  pena  detentiva,  un  esame
  relazionale  fra  la  misura  irrogata  e  la  possibilita'  che il
  possesso  del  documento di abilitazione alla guida possa agevolare
  il  compimento  di  ulteriori  reati della stessa (o di altra, piu'
  grave)  natura  o,  meglio,  trattandosi  di  misure che hanno come
  caratteristica     peculiare    quella    di    essere    applicate
  indipendentemente  dalla  commissione  di  un  precedente reato, la
  necessita'  di  una  valutazione  dell'autorita' amministrativa, da
  effettuarsi   caso   per   caso,   circa  la  possibilita'  che  la
  pericolosita'  sociale attribuita ai soggetti irrogatarii di misure
  di   prevenzione   possa   risultare  accresciuta,  o  quanto  meno
  agevolata,  da tale possesso o, per converso, circa la possibilita'
  che  la  revoca  della  patente  valga a tamponare la pericolosita'
  stessa e le attitudini delinquenziali del soggetto.
    Tale  nesso  di  relazionalita', peraltro, esiste, nella norma in
  esame,  per  chi  sia  stato  condannato ad almeno tre anni di pena
  detentiva  (e  quindi  per  chi abbia gia' commesso un reato) e non
  sussiste affatto (ma nel senso che non e' prevista ne' possibile la
  revoca della patente) per chi sia stato condannato a pena detentiva
  inferiore ai tre anni.
    Il   che   impinge   clamorosamente  ancora  con  l'art. 3  della
  Costituzione, per disparita' di trattamento tra soggetti condannati
  (trattati in varia misura a seconda che si tratti di pena superiore
  od  inferiore  ai tre anni, ma comunque meglio) e soggetti comunque
  non condannati (e sottoposti ad un mero "surrogato" della normale e
  piu'  garantistica repressione penale) e con l'art. 35 della stessa
  Carta  fondamentale,  laddove, senza obiettive ragioni derivanti da
  una seria istruttoria, la revoca rende quanto meno difficoltoso, lo
  svolgimento  dell'attivita' lavorativa (v. tribunale amministrativo
  regionale Lazio, I ter, ord. 29 settembre 1998, n. 2766).
    Se,  infine,  la norma delegante (art. 2, lettera t), della legge
  n. 190 del 1991), dalla quale trae origine l'art. 120 in argomento,
  considera,  con  un riferimento generale, i "soggetti sottoposti" a
  determinate misure (la disposizione prevede, infatti, letteralmente
  il  "riesame  della  disciplina...  della  revoca  della patente di
  guida,  anche  con  riferimento  ai soggetti sottoposti a misure di
  sicurezza  personale  e  a  misure  di  prevenzione")  e  se questa
  indicazione  -  contrariamente a quanto il legislatore delegante ha
  inteso  nell'incipit  dell'art. 2,  ove le lettere da a) a gg) sono
  qualificate  come  "criteri e principi direttivi" - ha a che vedere
  piuttosto  con  la  definizione  e  la specificazione della materia
  oggetto  di  delegazione,  nell'ambito  della  generica  e generale
  materia  della  "disciplina  della circolazione stradale" (v. Corte
  cost.,  21 ottobre 1998, n. 354), questo giudice rimettente ritiene
  che l'art. 120 del codice della strada, nella parte in cui comporta
  la  revoca  della  patente  nei  confronti  delle persone che siano
  sottoposte ad una qualsiasi delle misure di prevenzione di cui alla
  legge  n. 1423  del  1956,  violi l'art. 2, lettera t), della legge
  n. 190 del 1991 e quindi l'art. 76 Cost.
    La  previsione  del nuovo codice della strada non trova, infatti,
  riscontro  nella  legislazione  previgente,  nella  quale (art. 82,
  comma  1  e art. 91, comma 13, n. 2, d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393)
  la  revoca  della  patente era prevista nei confronti di coloro che
  fossero   "sottoposti...   alle   misure  di  prevenzione  previste
  dall'art. 3  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423" e dunque solo
  nei confronti dei soggetti ai quali fosse applicata la misura della
  "sorveglianza speciale della pubblica sicurezza".
    Trattandosi  dunque  di  una  innovazione,  la  si dovrebbe poter
  giustificare  alla  stregua dei principii e criteri direttivi posti
  in generale dalla legge di delegazione citata.
    Ma cosi' non e'.
    Nessun   principio  o  criterio  direttivo,  che  giustifichi  la
  previsione  della  misura amministrativa sanzionatoria de qua anche
  nei  confronti  dei  soggetti sottoposti alla misura di prevenzione
  del  rimpatrio  con  foglio  di  via obbligatorio, risulta, invero,
  dalla  legge  delega,  ne'  direttamente, ne' indirettamente per il
  tramite  del  riferimento agli impegni comunitari od internazionali
  assunti  dallo  Stato  italiano.  Cosicche' deve concludersi che il
  legislatore  delegato  non  fosse  abilitato  a modificare in senso
  innovativo  e  restrittivo la disciplina dettata in proposito dalla
  precedente  legislazione,  con  la  conseguenza  che  la  norma  va
  denunciata  d'illegittimita'  costituzionale  per  violazione della
  legge di delegazione e, per essa, dell'art. 76 Cost.
    3.  - Per quanto sopra esposto, il collegio considera rilevante -
  ai  fini  della  definitiva  pronuncia sulla domanda incidentale di
  sospensione  del  provvedimento  impugnato  -  e non manifestamente
  infondata la eccezione di incostituzionalita' della disposizione di
  legge suindicata (art. 120, comma 1, del decreto legislativo n. 285
  del  1992)  e, conseguentemente, ritiene che la indicata questione,
  nei  termini  e  nei  limiti  sopra delineati, debba essere rimessa
  all'esame della stessa Corte, in relazione agli artt. 3, 4, 35 e 76
  della Costituzione.