ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 4,
del  decreto  legge  2 marzo  1989,  n. 66  (Disposizioni  urgenti in
materia  di  autonomia  impositiva  degli  enti  locali  e di finanza
locale),   convertito   dalla  legge  24 aprile  1989,  n. 144,  come
"successivamente  sostituito"  dall'art. 35,  comma  4,  del  decreto
legislativo   25 febbraio  1995,  n. 77  (Ordinamento  finanziario  e
contabile  degli  enti  locali),  promosso  con  ordinanza  emessa il
22 dicembre  1999  dal  tribunale  di  Rovigo, iscritta al n. 132 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 15, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio dell'11 ottobre 2000 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 22 dicembre 1999, pervenuta
a  questa  Corte  il  9 marzo  del  2000,  il  Tribunale di Rovigo ha
sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  dell'art. 23,  comma 4, del decreto
legge  2 marzo  1989,  n. 66  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di
autonomia   impositiva  degli  enti  locali  e  di  finanza  locale),
convertito  dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, come "successivamente
sostituito"   dall'art. 35,   comma   4,   del   decreto  legislativo
25 febbraio  1995,  n. 77  (Ordinamento finanziario e contabile degli
enti locali);
        che  il  remittente  premette  che  l'appellante nel giudizio
davanti  a lui in corso aveva, in qualita' di sindaco, all'epoca, del
comune di Lusia, incaricato in via di urgenza una ditta di effettuare
lavori  di  sostituzione della caldaia dell'impianto di riscaldamento
della scuola elementare del comune medesimo; che lo stesso appellante
deduceva  di  non  aver potuto provvedere alla regolarizzazione della
spesa  entro  il  termine  prescritto dall'ultima parte dell'art. 23,
comma  3,  del  d.l.  n. 66 del 1989, cui corrisponde oggi l'art. 35,
comma  3, del d.lgs. n. 77 del 1995, solo perche' lo stesso giorno il
Consiglio  comunale  era  stato  sciolto  ed  era  stato  nominato un
commissario;  e  che  nel  giudizio  di  primo grado il giudice aveva
considerato  come  unico  obbligato  a  far fronte al debito verso il
terzo   per   l'opera  eseguita  il  Sindaco  dell'epoca,  in  quanto
l'art. 23,  comma  4,  del  d.l. n. 66 del 1989, cui corrisponde oggi
l'art. 35,  comma 4, del d.lgs. n. 77 del 1995, dispone che, nel caso
di  acquisizione  di  beni  o  servizi  in violazione dell'obbligo di
regolarizzare   contabilmente   l'ordine,  il  rapporto  obbligatorio
intercorre fra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o
dipendente che ha consentito la fornitura;
        che, secondo il giudice a quo non e' manifestamente infondato
il dubbio di costituzionalita' della norma da ultimo ricordata, nella
parte  in  cui  essa  "non  esclude  la novazione soggettiva a carico
dell'amministratore  o  funzionario  il  quale,  nel  caso  di lavori
pubblici   di   somma  urgenza,  non  abbia  potuto  provvedere  alla
regolarizzazione  della  spesa entro il termine di 30 giorni per casi
sopravvenuti  di  forza maggiore  e comunque non dipendenti dalla sua
volonta'";
        che  la  norma,  nella parte denunciata, sarebbe in contrasto
con  i principi di ragionevolezza e di non disparita' di trattamento,
in   quanto,  se  la  norma  ha  natura  sanzionatoria,  non  sarebbe
ragionevole  che  la  sanzione  venga  applicata  anche  a chi si sia
correttamente  comportato  per soddisfare il pubblico interesse e non
abbia  potuto provvedere nel termine prescritto alla regolarizzazione
contabile  per forza maggiore, e comunque solo perche' oggettivamente
impedito da un fatto del tutto estraneo alla sua volonta';
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri, il quale, rilevato preliminarmente che l'ordinanza non
indica  specificamente i parametri costituzionali cui fa riferimento,
e ritenuto che la disposizione legislativa da esaminare, tenuto conto
dell'epoca  in  cui  la  vicenda si e' svolta, sarebbe da individuare
unicamente  nell'art. 23,  comma  4, del d.l. n. 66 del 1989, osserva
che  l'ordinanza di rimessione nulla riferisce circa le ragioni della
mancata  regolarizzazione, che potrebbe essersi avuta solo per banale
inerzia  o disordine amministrativo; e che comunque sarebbe incongruo
invocare   una  "manipolazione  integrativa"  della  norma  solo  per
risolvere  un  caso  particolare che avrebbe dovuto trovare soluzione
nella corretta applicazione della normativa;
        che  infatti,  secondo  l'interveniente, se i lavori ordinati
erano   effettivamente  necessari  ed  urgenti,  il  procedimento  di
regolarizzazione non sarebbe dovuto mancare, ed eventualmente sarebbe
perfino ipotizzabile una responsabilita' del funzionario e del comune
per   la  colpevole  inattivita'  che  avrebbe  cagionato  la  omessa
regolarizzazione;   mentre,   se   non   sussistevano  i  presupposti
sostanziali  per  la  regolarizzazione,  la questione di legittimita'
costituzionale sarebbe inammissibile o quanto meno mal posta;
        che,  a  giudizio della difesa erariale, non sussisterebbe la
terza  ipotesi,  prospettata  dall'ordinanza, di una regolarizzazione
oggettivamente   impossibile   per   motivi  estranei  alla  volonta'
dell'amministratore,    in   quanto   curare   il   procedimento   di
regolarizzazione  non  era  compito  dell'ex  amministratore, cessato
dalla  carica,  ma  della  persona  giuridica comune, la cui vita non
subisce  interruzione  per vicende riguardanti le persone fisiche che
lo rappresentano;
        che, pertanto, la questione sarebbe, secondo l'interveniente,
inammissibile per carenza di rilevanza ed incongrua prospettazione, e
comunque  non  fondata,  in  difetto  della  ipotizzata disparita' di
trattamento,  e  non  potendosi scrutinare la norma, sotto il profilo
della ragionevolezza, secondo criteri relativi alle sanzioni, poiche'
essa   prevederebbe  non  una  sanzione  in  senso  proprio,  ma  una
conseguenza.
    Considerato   che   il  parametro  sostanzialmente  invocato  dal
remittente  e'  l'art. 3  della  Costituzione,  sotto i profili della
disparita' ingiustificata di trattamento e della irragionevolezza;
        che  la  disposizione  dell'art. 23  del d.l. n. 66 del 1989,
successivamente  sostituita  dall'art. 35,  comma 4, del d.lgs. n. 77
del  1995,  poi  modificato dall'art. 4 del d.lgs. 15 settembre 1997,
n. 342,   e   oggi  trasfusa  nell'art. 191,  comma  3,  del  decreto
legislativo   18 agosto   2000,   n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali),  non  prevede  una sanzione a
carico  dell'amministratore  o  funzionario  che  abbia consentito la
fornitura,  e  nemmeno,  propriamente, una novazione soggettiva nella
titolarita'  del  rapporto  obbligatorio, ma si limita a stabilire le
condizioni    formali   (registrazione   dell'impegno   contabile   e
attestazione  della  copertura  finanziaria, o, nel caso di lavori di
somma  urgenza, regolarizzazione contabile entro il termine di trenta
giorni)  alle  quali  e'  subordinata  l'efficacia  del contratto nei
riguardi della pubblica amministrazione, in coerenza con il principio
tradizionale  secondo cui il contratto stipulato diviene obbligatorio
nei  confronti  della  pubblica  amministrazione  contraente  solo  a
seguito  della  prescritta approvazione (art. 19 del r.d. 18 novembre
1923, n. 2440): prevedendo che, in mancanza, e per la parte di debito
non riconoscibile a posteriori (art. 37, comma 1, lett. e) del d.lgs.
n. 77  del  1995, come modificato dall'art. 5 del d.lgs. 15 settembre
1997,  n. 342,  e  oggi trasfuso nell'art. 194, comma 1, lett. e) del
d.lgs.  n. 267  del  2000), esso produca effetti obbligatori a carico
della persona fisica che ha consentito la fornitura;
        che,  peraltro,  nel  caso  di  lavori  di  somma urgenza, e'
prevista  la  regolarizzazione  dell'ordine  a  posteriori  entro  il
termine  stabilito, e che essa, in presenza dei requisiti sostanziali
richiesti  per procedere ai lavori medesimi in via di urgenza, non e'
una mera facolta' dell'amministrazione, ma risponde ad un suo preciso
obbligo,  la  cui  eventuale  violazione puo' essere fatta valere non
solo dal terzo contraente, in via di responsabilita' precontrattuale,
ma  anche,  se del caso, dall'amministratore o dal funzionario che vi
abbia interesse;
        che  l'ipotesi, verificatasi nella specie, dello scioglimento
del  consiglio comunale, intervenuto prima della scadenza del termine
per  la  regolarizzazione, non costituisce oggettivo impedimento alla
regolarizzazione   medesima,   dovendo  ad  essa  procedere  l'organo
comunale  non  importa  se  ordinario  o straordinario competente pro
tempore ad agire per il comune;
        che,   pertanto,   non   sussistono   ne'  la  ingiustificata
disparita'  di  trattamento,  ne'  la  irragionevolezza lamentate dal
remittente,  onde  la  questione  sollevata  si palesa manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.