IL TRIBUNALE MILITARE

    Nel  procedimento penale sopra emarginato, a carico di Chiarparin
Thomas,  nato  il  26  ottobre  1978  a  Latisana  (UD), residente in
Precenicco  (UD),  Via Lignano n. 27, presente, difeso e assistito di
fiducia dall'avvocato Pessi Davide del foro di Padova, ha pronunciato
la seguente ordinanza.
    Con  atto  in  data  11  luglio  2000  il  Pubblico  Minitero  ha
presentato  richiesta  di rinvio a giudizio avverso Chiarparin Thomas
per  il  reato  di  "insubordinazione  con  ingiuria  e con minaccia,
aggravata  e  continuata  (artt. 81 cpv c.p., 189 e 47 n. 4 c.p.m.p.)
perche',  in data 24 novembre 1999, offendeva l'onore, il prestigio e
la dignita' del superiore Mar. Ord. CC. Lunardi Emanuele, intervenuto
per  ragioni  di servizio nei suoi confronti, dicendogli "oh, ci sono
gli  sbirri,  facciamo  pagare  allo  sbirro (la consumazione), cosi'
serve  a  qualcosa;  chi  cazzo  sei, la divisa che porti non mi dice
niente",  inoltre  minacciava  al medesimo sottufficiale dell'Arma un
ingiusto  danno dicendo "ringrazia se non ti rovino la carriera visto
che  potrei  farti  trasferire".  Identificata  la persona offesa in:
Lunardi Emanuele.
    All'udienza  preliminare in data odierna l'imputato ha formulato,
con  il  consenso  del  Pubblico ministero, richiesta di applicazione
della  pena  nei  seguenti  termini: pena base mesi sei di reclusione
militare,  ridotta a mesi due e giorni venti per la concessione delle
attenuanti  generiche  ex  art. 62-bis  c.p. e dell'attenuante di cui
all'art. 48   secondo   comma  c.p.m.p.,  ritenute  prevalenti  sulla
contestata aggravante, ulteriormente ridotta per il rito a mesi due e
giorni  dieci  di  reclusione  militare.  Richiesta  subordinata alla
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
    Il  fatto  in  causa  emerge  indiscusso dagli elementi probatori
assunti  nel  corso  delle  indagini  preliminari,  in  specie  dalle
dichiarazioni  rese  dalla  persona  offesa  Lunardi Emanuele e dalla
persona informata sui fatti De Franceschi Graziella.
    In  data  24  novembre 1999, verso le ore 00,20 circa, Chiarparin
Thomas  si trovava in un bar sito nel comune di Palmanova, denominato
"Bar  Bianco",  in  compagnia  di altri due giovani, suoi conoscenti,
intento  a  consumare  delle  bevande  dal  contenuto presumibilmente
alcolico. A quell'ora entro' nel locale Lunardi Emanuele, Maresciallo
dei  Carabinieri in servizio presso il Nucleo operativo e radiomobile
della  Compagnia  Carabinieri  di  Palmanova.  Il  Lunardi vestiva la
divisa ed era immediatamente riconoscibile come appartenente all'arma
dei  Carabinieri, col grado appunto di Maresciallo. Mentre il Lunardi
chiedeva di consumare un caffe' ai gestori del locale, il Chiarparin,
il  cui  stato  mentale  era probabilmente in qualche misura alterato
dalle  sostanze  alcoliche  assunte, profferiva nei suoi confronti le
frasi  di  cui  al  capo  d'imputazione,  aventi valenza minacciosa e
lesiva dell'onore e del prestigio del Lunardi.
    Durante l'occorso la qualifica di militare del Chiarparin non era
nota  alla  persona  offesa,  ne'  poteva  risultare  in  alcun modo:
l'imputato  era  vestito  in  borghese,  non  si  qualifico'  durante
l'alterco  come militare, si trovava in compagnia di civili, in luogo
aperto   al  pubblico,  lontano  da  ogni  struttura  militare.  Solo
successivamente,  a  seguito  di  identificazione  operata presso una
vicina Stazione di Carabinieri, veniva accertato dalla stessa persona
offesa  che il Chiarparin Thomas era un militare di leva, in servizio
presso  il Centro Addestramento Reclute Marina Militare di La Spezia,
al  momento  dei  fatti  in  licenza.  Di  qui la comunicazione della
notizia  di  reato e l'odierno procedimento, che puo' dirsi almeno in
parte  dovuto  al  casuale  accertamento dello status di militare del
soggetto agente, in nessun modo collegato allo svolgimento dei fatti.
    Gli elementi probatori agli atti appaiono tali da impedire che in
questa  fase processuale possa risultare smentita la tesi accusatoria
ne'  altrimenti  sussistono  le  condizioni  per  darsi  luogo ad una
declaratoria  di  non  punibilita' con alcuna delle formule di merito
indicate dall'art. 129 c.p.p..
    Correttamente  le parti hanno sussunto il fatto nella fattispecie
di  insubordinazione  con minaccia e con ingiuria di cui all'art. 189
c.p.m.p..
    Infatti  l'art. 199  c.p.m.p., nell'escludere l'applicabilita' di
detta  fattispecie  incriminatrice ove la minaccia o l'ingiuria siano
commesse  "per  cause  estranee  al  servizio",  deve  intendersi far
riferimento  anche solo al servizio svolto dalla persona ingiuriata o
minacciata,  indipendentemente  da  ogni  correlazione  col  servizio
svolto  dall'autore  del  fatto. La lettera della norma induce a tale
interpretazione,   in   ogni   caso   fatta  propria  dalla  dottrina
maggioritaria  e da una costante giurisprudenza. Pertanto, poiche' il
Lunardi  e'  stato oggetto di frasi ingiuriose e minacciose proprio a
causa del servizio da lui svolto e della divisa da lui indossata, non
puo' escludersi l'applicabilita' dell'art. 189 c.p.m.p.
    Peraltro  il  fatto  de  quo risulterebbe anche sussumibile nella
fattispecie  di oltraggio a pubblico ufficiale prevista dall'art. 341
c.p.,  poiche'  il Lunardi e' stato offeso nell'onore e nel prestigio
di  pubblico  ufficiale  e  proprio  a  causa  delle  sue funzioni di
pubblico  ufficiale.  Il che vale d'altronde, in generale, in tutti i
casi  in  cui  un  episodio  qualificabile  come  insubordinazione e'
collegato  non  ad  un  diretto rapporto di dipendenza gerarchica, ma
esclusivamente  alle  funzioni  di pubblico ufficiale svolte da altro
militare.
    E'  noto  come  la  questione della configurabilita' del concorso
formale  fra  i  reati  di insubordinazione con minaccia o ingiuria e
oltraggio  a  pubblico ufficiale, cosi' come fra insubordinazione con
violenza  e  resistenza a pubblico ufficiale, sia stata oggetto delle
piu'   diverse   opinioni   dottrinali   e   di   ampie  oscillazioni
giurisprudenziali.    Autorevoli   decisioni   hanno   sostenuto   la
sussistenza  del  concorso  formale  fra i due reati (cfr. ad esempio
Corte  di  cassazione,  sezioni unite, 30 maggio 1959, n. 11, Majer),
altre  hanno escluso il concorso di reati configurando un rapporto di
specialita'  con  conseguente  integrazione  o  del solo reato comune
(cosi'  ad  esempio  Corte  di  cassazione, sezioni unite, 29 ottobre
1966,  Passaro;  Corte  di cassazione, sez. I, 7 luglio 1984, Alagia,
peraltro  collegata,  come  diverse  altre pronunce degli anni 1984 e
1985,  ad  una  transitoria  inapplicabilita' dell'art. 189 c.p.m.p.;
Corte  di  cassazione, sez. I, 19 dicembre 1984, Maritati) o del solo
reato militare (Corte di cassazione, sezioni unite, 20 febbraio 1971,
Chiara;  Corte  di  cassazione,  sezioni unite, 14 giugno 1980, n. 8,
Oristano;  e Corte di cassazione, sez. I, 2 ottobre 1986, n. 3148, Le
Rose).  Quest'ultima  linea  interpretativa, che appare maggioritaria
negli   ultimi   anni,   attribuisce  primario  rilievo  all'elemento
specializzante dello status di militare dell'autore del reato.
    In  tale  contesto ermeneutico era stata prospettata questione di
costituzionalita'  per  il  contrasto  fra il diverso, ed allora piu'
grave, trattamento sanzionatorio previsto per il reato di oltraggio e
quello  sancito  per  il  reato  di  insubordinazione  con ingiuria e
minaccia. La Suprema Corte di legittimita' (Corte di cassazione, sez.
VI,  7  settembre  1984, n. 7237, Bertoldi; Corte di cassazione, sez.
VI,  29  ottobre  1985,  n. 9940,  Stella)  valuto'  il  quesito come
manifestamente  infondato,  in  quanto  la  differenza di trattamento
sanzionatorio non sarebbe stata sindacabile, poiche' non assumeva una
gravita'  tale  da  apparire dettata dall'arbitrio del legislatore ed
era   inoltre   giustificata  da  differenti  esigenze  di  tutela  -
evidentemente  intendendo implicitamente come di minor rilievo, quale
fondamento   dell'entita'  del  trattamento  sanzionatorio,  il  bene
giuridico  della  disciplina militare rispetto a quello del prestigio
della pubblica amministrazione -.
    La  Corte  costituzionale  peraltro  e'  stata  poi chiamata piu'
volte,  sotto  altri  profili,  ad  esaminare  i rapporti fra i reati
militari  e  i  reati  comuni  sopra  citati, ed ha parlato talora di
"gravita'    equiparabile"    fra   le   fattispecie   (cosi'   Corte
costituzionale,  7  giugno  1996,  n. 188,  confrontando  l'art.  186
c.p.m.p.  con  l'art. 336, comma 2 c.p.), pur sempre evidenziando che
il  rispetto  del rapporto gerarchico militare e' elemento aggiuntivo
rispetto  al  disvalore espresso dai reati avverso pubblici ufficiali
(cosi'  ad  esempio Corte costituzionale, 31 maggio 1990, n. 278, che
ha  escluso  l'applicabilita'  alle  fattispecie militari dell'art. 4
d.lgs.  lgt.  1944, n. 288). D'altro canto notoriamente giudice delle
leggi  ha  gia' avuto modo in passato di censurare come irragionevole
il   trattamento  sanzionatorio  dell'insubordinazione  con  ingiuria
(Corte  costituzionale,  27  maggio  1982,  n. 103),  determinando la
novella intervenuta con legge 26 novembre 1985, n. 689.
    La  questione  del  concorso  formale o apparente fra oltraggio a
pubblico ufficiale e insubordinazione con ingiuria o con minaccia non
e'  piu'  attuale  nel  presente  quadro  normativo,  che tuttavia ha
radicalmente  ribaltato  l'assetto  valutato  come  non irragionevole
nelle  citate  sentenze  Bertoldi  e Stella della Corte di cassazione
(n. 7237 del 7 settembre 1984 e n. 9940 del 29 ottobre 1985).
    Ai  sensi  del  disposto dell'art. 18 della legge 25 giugno 1999,
n. 205, entrata in vigore antecedentemente alla commissione del fatto
di  cui  all'odierno giudizio, l'art. 341 c.p. e' stato abrogato e la
condotta  di  oltraggio  a pubblico ufficiale e' stata depenalizzata,
costituendo   attualmente   nemmeno  illecito  amministrativo,  salva
naturalmente  l'applicabilita'  delle  norme  penali  a  tutela della
persona.  Nulla  ha  disposto  invece il legislatore in merito ad una
eventuale  depenalizzazione  di  fattispecie  militari, forse volendo
conservare  una  tutela  penale  della  disciplina  militare ad ampio
spettro, o forse obliando un settore della legislazione penale che da
molti   anni  appare  oggetto  di  una  scarsa,  se  non  inesistente
attenzione.
    L'intervenuta  abrogazione  del  reato  di  oltraggio  a pubblico
ufficiale  fa  sorgere a questo giudice il quesito della legittimita'
costituzionale  degli  artt. 189  e  199  c.p.m.p. nella parte in cui
sanciscono  penalmente  condotte di minaccia e di offesa all'onore di
un  superiore,  causate  dal  servizio  quale  pubblico  ufficiale di
questi,  e  non  dovute  o  collegate al servizio svolto dal militare
soggetto attivo del reato.
    Appare  a  chi  scrive  che  la  questione sia rilevante ai sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Risultano integrate le
condizioni richieste dagli artt. 444 e 448 c.p.p, per la pronuncia di
sentenza  di  applicazione  della  pena  in  ordine  al  reato di cui
all'art. 189  c.p.m.p.,  e in particolare per quanto il fatto risulti
pacificamente  commesso  a causa delle funzioni di pubblico ufficiale
della  persona  offesa, senza alcuna implicazione della sua qualifica
di  superiore gerarchico, e da soggetto il cui status di militare non
era  nemmeno noto alla persona offesa, la sua rilevanza penale non e'
esclusa dall'art. 199 c.p.m.p.
    La  questione  inoltre appare non manifestamente infondata, sotto
il profilo di una possibile violazione del principio di uguaglianza e
del   principio   di   ragionevolezza,   sanciti  dall'art.  3  della
Costituzione.
    Salva  l'eventuale  integrazione  di  delitti  contro la persona,
condotte  identiche risultano penalmente irrilevanti o sanzionate con
la  reclusione  militare sino a tre anni, a seconda della qualita' di
civile  o  di militare del soggetto agente, indipendentemente da ogni
effettiva offesa al bene giuridico della disciplina militare.
    Non  appare  ragionevole,  ma  frutto  di  mero ed ingiustificato
arbitrio   del   legislatore,   che   detta  radicale  diversita'  di
trattamento  sanzionatorio  sia collegata alla sola appartenenza alle
Forze armate dell'autore del fatto.
    Va  notato fra l'altro come emerga dai piu' recenti provvedimenti
di  depenalizzazione  una  chiara tendenza dello stesso legislatore a
non  ritenere la mera qualifica di pubblico ufficiale giustificatrice
di   per   se'  di  una  piu'  rigorosa  tutela  penale,  cosi'  come
analogamente  emerge  un  generale  ripensamento  del  legislatore in
ordine  alla struttura e alle funzioni delle Forze armate italiane. A
maggior  ragione  in  questo  generale  quadro  normativo  non appare
ragionevole collegare alla sola qualita' di militare un differenziato
e  piu'  gravoso trattamento penale a tutela di una nozione formale e
generalistica  di disciplina militare, invasiva di ogni momento della
vita  del militare, in servizio o fuori servizio, anche in assenza di
ogni  effettiva  lesione  o  collegamento  con  i rapporti gerarchici
inerenti il servizio svolto da detto militare.