IL TRIBUNALE

    In  sede  di  udienza  preliminare,  in relazione al reato di cui
all'art.  589  c.p.,  il  sig.  Gallo,  imputato, avanza richiesta di
definizione mediante applicazione pena, nella misura finale di mesi 4
di reclusione.
    Non  si  costituivano  parte civile i prossimi congiunti di Marzi
Lorenzo,  avendo  gli  stessi  gia'  intrapreso  la  vertenza in sede
civile.
    Il  p.m.,  all'udienza  in  data odierna, non prestava il proprio
consenso,  motivando  "dato  atto che la parte offesa ha interesse ad
interloquire  su ogni questione affidata al giudice dalla quale possa
derivare  pregiudizio  alla  propria  pretesa  risarcitoria al limite
sotto  il  profilo  dell'art.  165  c.p.  -  nella  misura  in cui e'
addirittura  legittima  la  sua costituzione anche dopo l'intervenuto
consenso  -  Cass.  5  settembre  1996,  n. 3305 - la speditezza e la
celerita'  costituiscono  motivi  di economia tali da giustificare il
diniego  del  consenso  ove  a  fronte  di un'immotivata resistenza a
definire  questioni  patrimoniali  connesse al reato, il p.m. ravvisi
ragioni  che  possono  incidere  sulla  determinazione  della  pena e
comunque  sulla  definizione  del rapporto (a contrariis Cassazione 6
maggio 1992, n. 5366".)
    Ritiene  preliminarmente  questo  giudice  immotivato  il diniego
espresso  dal  p.m.,  cosi' come formulato. Il p.m. non giustifica di
fatto il proprio dissenso in relazione alla congruita' della pena, ma
unicamente   sulla   mancata   definizione  dell'aspetto  civilistico
relativo al risarcimento del danno. Ritiene questo giudice che, fuori
dai  casi tassativamente previsti (in relazione all'art. 77, comma 4,
c.p.p.)  nessun potere viene attribuito al p.m. nell'odierno processo
penale  a tutela delle pretese risarcitorie delle persone danneggiate
dal  reato  -  tanto  che lo stesso sequestro conservativo - ai sensi
dell'art.  316, primo comma, c.p.p. prevede l'azione del p.m. ai soli
fini  della tutela di un interesse pubblico erariale. La possibilita'
del  resto,  esercitata  nel  caso concreto, di optare per la persona
danneggiata  per  la tutela dei propri diritti per l'esercizio di una
azione  di  risarcimento  danni  avanti  al  giudice civile, rende la
presenza   della   parte   civile   nel  processo  penale  del  tutto
"aleatoria."
    Nessun  pregiudizio  del  resto  puo'  derivare alla stessa parte
danneggiata,  per  espressa  previsione  di  legge,  dall'ipotesi  di
sentenza  di  applicazione  pena,  ai sensi dell'art. 445 c.p.p. (non
avendo la sentenza di patteggiamento efficacia nei giudizi civili).
    In  relazione alla subordinata - sospensione della pena - osserva
questo Ufficio che l'odierno sistema, nel caso di specie, prevede una
ipotesi  di  assicurazione  obbligatoria della responsabilita' civile
derivante da circolazione dei veicoli, assicurando in tale maniera le
persone  danneggiate  ad  ottenere  l'eventuale risarcimento. Nessuna
ulteriore condotta, a giudizio di questo Ufficio, puo' essere pretesa
dal  singolo  imputato  al  fine  di  elidere  le conseguenze dannose
conseguenti  al  reato, in relazione ai criteri di cui all'art. 163 e
ss. c.p.p.
    Ingiustificato,  a giudizio di questo ufficio, appare pertanto il
mancato  consenso  del  p.m.,  ritenuto altresi' la pena proposta del
tutto congrua al profilo di responsabilita' che emerge dagli atti (in
relazione  in  particolar  modo al grado della colpa ravvisabile, non
particolarmente  rilevante,  il p.m. per altro non ha contestato tale
aspetto).
    Emerge  che  qualora tale dissenso fosse stato manifestato avanti
al  giudice del dibattimento, per il combinato disposto dell'art. 556
c.p.p.,  448  c.p.p.,  il giudice monocratico avrebbe potuto ritenere
ingiustificato  tale dissenso, e procedere immediatamente - o dopo la
chiusura  del  dibattimento  di primo grado - ad emettere sentenza di
accoglimento della richiesta.
    L'attuale    formulazione   dell'art. 448   c.p.p.   non   sembra
consentire,  al  giudice  dell'udienza  preliminare, di effettuare la
medesima  valutazione  (di ingiustificato dissenso da parte del p.m.)
che  e' invece consentita - sulla base degli stessi identici atti (ex
art.  135  disp.  att.  c.p.p.  nuova  formulazione) - al giudice del
successivo  giudizio,  prima  della  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento.
    Preso  atto  dei  poteri  -  e  delle garanzie di terzieta' - che
l'attuale    ordinamento    attribuisce   al   giudice   dell'udienza
preliminare,  gia'  chiamato  a decidere in relazione alle ipotesi di
applicazione  pena  e  giudizio  abbreviato, la capitis deminutio nel
caso  di specie, come prevista dall'art. 448 c.p.p., appare del tutto
ingiustificata.
    Gli  effetti  concreti  della  mancata  previsione, nell'art. 448
c.p.p.,  di abilitare il giudice dell'udienza preliminare, o comunque
il   giudice   dell'udienza   di  cui  all'art. 447  c.p.p.,  ad  una
valutazione   del   dissenso   espresso   in  quelle  sedi  dal  p.m.
sull'istanza  di  patteggiamento,  sono  di  dilatare ulteriormente i
tempi  del  procedimento,  con  conseguenti  ulteriori  spese  (nuove
notifiche,  impegno  di  personale e magistrati) che rimarrebbero tra
l'altro, in caso di accoglimento dell'istanza, completamente a carico
dello Stato.
    Ne  emergono pertanto a giudizio di questo giudice due profili di
illegittimita' costituzionale:
        A) in relazione all'art. 111, primo comma, della Costituzione
nella   parte   in  cui  viene  violato  il  principio  legale  della
ragionevole  durata  del processo (se e' la legge che deve assicurare
la   ragionevole   durata,  una  disposizione  come  quella  prevista
dall'art. 448  c.p.p.  vigente si pone in evidente contrasto con tale
principio,  avendo  quale  effetto  proprio  di  allungare, senza una
apparente  ragione, la definizione del processo quanto meno fino alla
successiva udienza avanti al giudice dibattimentale;
        B)  in  relazione  all'art.  97  c.p., nel momento in cui non
viene  tutelato  il  buon  andamento  della pubblica amministrazione,
determinando  l'art. 448 c.p.p. un ingiustificato aggravio di spese e
di   impegno  di  risorse  della  pubblica  amministrazione,  con  la
prospettiva   di  non  recuperarle  in  via  definitiva  in  caso  di
successivo accoglimento dell'istanza di patteggiamento.
    Risulta   inoltre   evidente,   che   qualora  la  norma  di  cui
all'art. 448  c.p.p.  consentisse al giudice dell'udienza preliminare
di valutare il dissenso espresso in questa sede dal p.m. sull'istanza
di  applicazione pena avanzata dalla parte, nel caso di specie questo
ufficio emetterebbe, per le argomentazioni sopra esposte, sentenza ex
art. 448 c.p.p., definendosi immediatamente il procedimento stesso.