ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
5 febbraio  1999,  n. 25  (Disposizioni per l'adempimento di obblighi
derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle  comunita'  europee -
legge   comunitaria   1998),   promosso  con  ricorso  della  Regione
Lombardia,  notificato il 15 marzo 1999, depositato in cancelleria il
23 successivo e iscritto al n. 9 del registro ricorsi 1999.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  6 febbraio  2001  il  giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky;
    Uditi  gli  avvocati Giuseppe F. Ferrari e Massimo Luciani per la
Regione  Lombardia  e l'avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
    Ritenuto  che  la  Regione  Lombardia,  con  ricorso regolarmente
notificato  e  depositato,  ha  sollevato  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 4   della  legge  5 febbraio  1999,  n. 25
(Disposizioni     per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   comunita'  europee  -  legge
comunitaria  1998),  che,  disponendo  l'attuazione  di  un elenco di
direttive  mediante  regolamento  ministeriale o atto amministrativo,
violerebbe gli artt. 3, 5, 11, 117 e 118 della Costituzione;
        che  ad  avviso  della ricorrente numerose direttive elencate
nell'allegato  D  alla  legge  n. 25  del  1999  disciplinano materie
riguardo   alle   quali  la  potesta'  legislativa  e  amministrativa
regionale  e'  garantita  dall'art. 117 della Costituzione, e che sin
dal  d.P.R.  24 luglio  1977,  n. 616 (Attuazione della delega di cui
all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), sono state oggetto di
trasferimento di funzioni e risorse;
        che  inoltre  il comma 3 dell'impugnato art. 4, nel prevedere
la  facolta'  per  le  regioni  e le province autonome di Trento e di
Bolzano  di  inviare,  nelle materie di loro competenza, entro trenta
giorni  dalla  data  di entrata in vigore della legge n. 25 del 1999,
alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri - Dipartimento per il
coordinamento  delle  politiche  comunitarie  proposte  in  merito al
contenuto  dei  regolamenti o degli atti amministrativi di attuazione
del  diritto  comunitario,  introdurrebbe  un  procedimento  in parte
divergente  rispetto  a  quello  delineato  dalla legge 9 marzo 1989,
n. 86  (Norme  generali  sulla partecipazione dell'Italia al processo
normativo  comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi
comunitari),   ove  si  dispone  che  l'adeguamento  dell'ordinamento
nazionale  a quello comunitario sia prodotto direttamente dalla legge
comunitaria,   da  decreti  legislativi  delegati  o  da  regolamenti
governativi    (art. 3),    mentre    l'attuazione    mediante   atti
amministrativi   sarebbe   ammessa  solo  "per  materie  particolari"
(art. 4, comma 7);
        che  la  ricorrente, rilevato come i principi stabiliti dalla
legge  n. 25  del  1999  con  riferimento  all'attuazione del diritto
comunitario  mediante  decreti  legislativi  delegati  e  regolamenti
autorizzati    facciano    espressamente    salva   la   ripartizione
costituzionale   delle  competenze  tra  Stato,  regioni  e  province
autonome,   mentre   analoga   salvaguardia   non   sarebbe  disposta
dall'art. 4 riguardo all'attuazione mediante regolamenti ministeriali
od   atti   amministrativi,  lamenta  che  l'omissione  non  potrebbe
ritenersi  casuale,  ma  intesa  ad  escludere il vincolo al rispetto
delle  competenze  regionali  nell'attuazione in via amministrativa o
tramite regolamento ministeriale;
        che  ulteriore  profilo  di  incostituzionalita'  deriverebbe
dall'aver  il  legislatore  predisposto l'attuazione amministrativa e
con  regolamento  ministeriale  non  su materie "particolari", bensi'
riguardo   a   un  complesso  di  direttive,  senza  compiere  alcuna
valutazione  in ordine alla effettiva necessita' di provvedere in tal
modo,   violando   il   principio   costituzionale   di   coerenza  e
ragionevolezza delle scelte legislative (art. 3 della Costituzione) e
ledendo  le  attribuzioni  regionali  di  cui agli artt. 5, 117 e 118
della Costituzione;
        che  il  principio  di  autonomia  tutelato dall'art. 5 della
Costituzione verrebbe leso dal meccanismo dell'art. 4, comma 3, della
legge  n. 25  del  1999,  che vedrebbe un ruolo eventuale e meramente
propositivo  delle  regioni, lasciando ai Ministeri le determinazioni
sul  contenuto  degli atti da adottare, mentre spetterebbe alle prime
di recepire il diritto comunitario al proprio interno in tutti i casi
in  cui  l'attuazione delle norme comunitarie attinge materie di loro
competenza,  pur  nel  rispetto dell'interesse nazionale e dei limiti
posti  dalla Costituzione all'esercizio delle funzioni legislative ed
amministrative  regionali: l'intervento statale dovrebbe al contrario
avere  carattere  residuale  e  risultare  adeguatamente  motivato in
ordine  ai  presupposti  giustificativi  e  costituzionali, potendosi
ammettere  solo  ove  tenda  a soddisfare esigenze di unitarieta' nel
recepimento,   oppure   ad   ottemperare   a   obblighi  posti  dalle
disposizioni  comunitarie  in  presenza  di  omissioni da parte delle
regioni o, infine, ove esso sia imposto da ragioni di urgenza;
        che   un  ulteriore  ed  "ancor  piu'  radicale"  profilo  di
incostituzionalita'  della  disposizione  impugnata viene individuato
nella violazione delle garanzie procedurali che dovrebbero presiedere
all'intervento statale in attuazione della normativa comunitaria;
        che  a  tale  proposito e' richiamata nel ricorso la sentenza
n. 126  del  1996  di  questa Corte, dalla quale la Regione Lombardia
ricava l'ammissibilita' di interventi statali preventivi e "cedevoli"
rispetto  alla  successiva produzione normativa regionale, al fine di
rispondere   ad   esigenze  di  garanzia  del  quadro  nazionale,  ma
tassativamente circoscritti all'esercizio di poteri in via d'urgenza,
di  legislazione  di  principio e di dettaglio suppletiva e cedevole,
oltre  che  di  indirizzo  e coordinamento, a norma dell'art. 9 della
legge   n. 86   del   1989;   ne  conseguirebbe  che  il  regolamento
ministeriale  e  l'atto  amministrativo  sarebbero esclusi dal novero
degli  strumenti  di  intervento  disponibili  per l'attuazione delle
direttive comunitarie proprio perche' privi del necessario corredo di
garanzie  procedurali  desumibili,  ad  avviso  della ricorrente, dai
principi  che  regolano  l'esercizio  della  funzione  di indirizzo e
coordinamento,  imponendo  l'intervento  del Parlamento o del Governo
anziche' del singolo Ministro;
        che, infine, viene lamentata la violazione dell'art. 11 della
Costituzione,  in  relazione  agli  artt. 5, 117 e 118, atteso che le
limitazioni  di  sovranita'  cui  lo  Stato  puo'  consentire  devono
rispettare i principi fondamentali della Costituzione, tra i quali si
annoverano quelli che garantiscono l'autonomia regionale;
        che nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia dichiarata inammissibile o
infondata,  poiche'  la  disposizione  impugnata  non avrebbe portata
generale  o di principio, essendo rivolta all'attuazione di un numero
didirettive  ben  definito, risultante dall'allegato D alla legge; la
questione     relativa     all'idoneita'    a    ledere    competenze
costituzionalmente   garantite   non   avrebbe   dovuto,   ad  avviso
dell'Avvocatura,  essere  sollevata in astratto, bensi' accertata con
riferimento  a ciascuna direttiva inclusa nell'allegato D, secondo la
specifica  attribuzione - risultante dall'art. 117 della Costituzione
-  di  volta  in  volta  interessata;  in  subordine  l'Avvocatura ha
richiesto  una pronuncia di infondatezza perche' il recepimento delle
direttive indicate non involgerebbe competenze regionali;
        che  in  prossimita'  dell'udienza  la  Regione  Lombardia ha
depositato   una   memoria   illustrativa  nella  quale  ha  ribadito
ulteriormente le argomentazioni sostenute nel ricorso.
    Considerato   che  la  Regione  Lombardia  solleva  questione  di
legittimita'  costituzionale dell'art. 4 della legge 5 febbraio 1999,
n. 25   (Disposizioni   per   l'adempimento   di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   comunita'  europee  -  legge
comunitaria  1998),  per  violazione  degli artt. 3, 5, 11, 117 e 118
della Costituzione;
        che,  in  particolare, la ricorrente si duole (a) del comma 1
dell'articolo  anzidetto il quale, prevedendo che "l'allegato D [alla
legge]  elenca le direttive attuate o da attuare mediante regolamento
ministeriale  da  emanare ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto
1988,  n. 400, e successive modificazioni, o atto amministrativo, nel
rispetto del termine indicato nelle direttive stesse", configurerebbe
un nuovo sistema di adeguamento dell'ordinamento nazionale al diritto
comunitario, diverso da quello stabilito dalla legge n. 86 del 1989 e
privo di riserve a garanzia delle attribuzioni regionali e troverebbe
inoltre  irragionevole  applicazione  in  relazione a un complesso di
direttive,  e non in riferimento a materie particolari (art. 4, comma
7,  della  legge  n. 86  del 1989), con violazione delle attribuzioni
regionali; (b) del comma 1 dell'art. 4 anzidetto, in correlazione con
il  comma  3  del  medesimo  articolo,  il  quale - stabilendo che le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, "nelle materie
di  loro  competenza, possono inviare, entro trenta giorni dalla data
di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  alla Presidenza del
Consiglio  dei  ministri  -  Dipartimento  per il coordinamento delle
politiche   comunitarie   proposte   in   merito   al  contenuto  dei
provvedimenti  da  emanare  ai  sensi  del comma 1" - degraderebbe le
regioni a un ruolo solo eventuale e propositivo da svolgersi entro un
termine  irragionevolmente  breve,  privandole  della  competenza  ad
attuare  il  diritto  comunitario  nelle  materie di loro spettanza e
presupponendo  un potere dello Stato eminente, estraneo al quadro dei
rapporti   con   l'autonomia   normativa  regionale  delineato  dalla
Costituzione  e  definito  da questa Corte con la sentenza n. 126 del
1996,   incompatibile  inoltre  con  i  principi  fondamentali  della
Costituzione  (artt. 5,  117  e  118)  che nemmeno le "limitazioni di
sovranita'" consentite dall'art. 11 della Costituzione giustificano;
        che  l'impugnato  art. 4,  comma  1,  contrariamente a quanto
asserito  dalla ricorrente, non istituisce nuove forme di recepimento
delle   direttive   comunitarie  ma,  conformemente  al  suo  dettato
letterale  ("L'allegato  D elenca ..."), presuppone l'esistenza della
disciplina delle forme di recepimento, di cui esso stesso costituisce
applicazione, come e' confermato dal seguito del comma stesso: "Resta
fermo  il  disposto  degli  artt. 11 e 20 della legge 16 aprile 1987,
n. 183",  i  quali, per l'appunto, prevedono in astratto - il primo -
l'attuazione  degli  atti  normativi comunitari tramite regolamenti o
atti  amministrativi  generali  e - il secondo - l'attuazione tramite
decreti  ministeriali  delle direttive comunitarie nelle parti in cui
modifichino  modalita'  esecutive e caratteristiche di ordine tecnico
di altre direttive gia' recepite nell'ordinamento nazionale;
        che,   comunque,  l'attuazione  delle  direttive  comunitarie
tramite  regolamenti  ministeriali  e  atti amministrativi, di cui e'
questione   nella   disposizione   impugnata,   non   appare  in  se'
illegittima,  comportando  ovviamente il necessario rispetto nei casi
concreti  di  tutte le regole che disciplinano tanto la distribuzione
del  potere normativo tra gli organi dello Stato e tra gli organi del
Governo, quanto i presupposti e i limiti materiali del potere statale
rispetto  alle  competenze regionali e provinciali, e non precludendo
comunque  l'esercizio,  anche  successivo,  da  parte delle regioni e
delle  province  autonome  degli  ordinari  poteri  che loro spettano
nell'attuazione del diritto comunitario;
        che, pertanto, le eventuali doglianze regionali e provinciali
contro  l'attuazione  delle  direttive  comunitarie operata tramite i
regolamenti   ministeriali   e   gli   atti   amministrativi  di  cui
all'impugnato  art. 4,  comma  1, della legge n. 25 del 1999 hanno da
essere  dirette  nei confronti dei singoli atti attuativi, qualora si
prospetti,  con  la  violazione  dei  limiti  che essi incontrano, la
lesione  delle competenze costituzionalmente garantite alle regioni e
alle province autonome;
        che  la  previsione del comma 3 dell'art. 4, attribuendo alle
regioni  e  alle  province autonome la facolta' di formulare proposte
all'autorita'   governativa,   per   l'attuazione   delle   direttive
comunitarie nelle materie di loro competenza, lungi dal rappresentare
una  limitazione  dell'autonomia  -  autonomia  che, come gia' detto,
resta  integra,  secondo  i  principi  sopra  richiamati,  di  fronte
all'attuazione  regolamentare e amministrativa menzionata dal comma 1
dello   stesso   art. 4   -  costituisce  il  riconoscimento  di  una
possibilita'  di  partecipazione  all'esercizio  di  poteri che - nei
limiti consentiti - spettano allo Stato.