ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5,
della  legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per
la  stabilizzazione  e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il
15 aprile  1999  dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, il
23 febbraio   1999   dal  tribunale  amministrativo  regionale  della
Toscana,  il  20  e il 14 gennaio 1999 dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Emilia-Romagna, il 9 febbraio 1999
dalla  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Sardegna,   il   29 marzo   1999   dalla  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale  per  la  Regione Siciliana, il 27 gennaio 1999 (n. 7
ordinanze)  dal  Tribunale  amministrativo regionale delle Marche, il
7 aprile  1999  dal  tribunale amministrativo regionale del Lazio, il
27 gennaio  1999 dal Tribunale amministrativo regionale delle Marche,
il  21 aprile  1999 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio,
il 9 marzo 1999 dal Tribunale amministrativo regionale della Toscana,
il 7 aprile 1999 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio, il
23 febbraio  1999  dal  Consiglio  di  Stato, il 21 maggio 1999 dalla
Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la  Regione Lazio,
l'8 luglio  1999 dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte,
il  14 aprile  1999  (n. 2  ordinanze)  dal  tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio,  il  24  e  il  10 febbraio 2000 dal tribunale
amministrativo   regionale  della  Lombardia,  il  9 marzo  2000  dal
Tribunale  amministrativo  regionale del Piemonte e il 24 maggio 2000
dal  tribunale  amministrativo  regionale  del Lazio, rispettivamente
iscritte  ai numeri 631, 741, 327, 328, 397, 399, 409, 410, 411, 412,
413,  414, 415, 440, 482, 650, 740 e 747 del registro ordinanze 1999,
ed  ai  numeri  6, 22, 36, 378, 379, 423, 424, 542 e 717 del registro
ordinanze  2000, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 23, 29, 35, 37, 39, 46 e 48, 1a serie speciale, dell'anno 1999
e numeri 3, 4, 5, 6, 8, 27, 30, 41 e 48, 1a serie speciale, dell'anno
2000.
    Visti  gli  atti di costituzione di Cressati Cosima e di Argiolas
Franco,  nonche'  gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 6 febbraio 2001 e nella camera di
consiglio del 7 febbraio 2001 il giudice relatore Franco Bile;
    Uditi  l'avvocato Paolo Montaldo per Cressati Cosima e l'avvocato
dello  Stato  Giuseppe  Stipo  per  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza iscritta al n. 631 r.o. del 1999 il tribunale
amministrativo   regionale   del  Lazio  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 26,  commi 4 e 5, della legge
23 dicembre   1998,   n. 448  (Misure  di  finanza  pubblica  per  la
stabilizzazione  e lo sviluppo), nel corso di un giudizio, instaurato
contro  il Ministero del tesoro, la Ragioneria generale dello Stato e
la  Presidenza del Consiglio dei ministri, da un gruppo di dipendenti
civili  dello  Stato  per ottenere - previo annullamento di tutti gli
atti   presupposti,  consequenziali,  anteriori  e  successivi,  che,
invece,  l'avevano  negato  -  il  riconoscimento  del  diritto  alla
percezione (con decorrenza dalla data di spettanza) degli interessi e
della  rivalutazione  monetaria sulle somme loro corrisposte a titolo
di   benefici   economici,  stipendiali  ed  accessori,  per  effetto
dell'inquadramento  nei  loro  riguardi disposto in forza della legge
11 luglio  1980,  n. 312  (Nuovo  assetto  retributivo-funzionale del
personale civile e militare dello Stato).
    L'ordinanza enuncia che, essendo stati i ricorrenti inquadrati in
via  definitiva  con  effetto  retroattivo  a decorrere dal 13 luglio
1981,   l'amministrazione  aveva  corrisposto  i  benefici  derivanti
dall'inquadramento  in  ritardo, non solo rispetto a quel termine, ma
anche    rispetto    alla   data   dell'adozione   dei   decreti   di
reinquadramento,   senza,  peraltro,  procedere  al  pagamento  degli
interessi  e della rivalutazione monetaria "dalla data di spettanza",
lasciando  poi senza risposta l'istanza per ottenere detto pagamento.
Era  seguita  l'instaurazione del giudizio da parte dei ricorrenti, i
quali    avevano   sostenuto   l'illegittimita'   del   comportamento
dell'amministrazione.
    Cio'  premesso,  il  rimettente,  dopo  aver  dato atto che sulla
questione  della  spettanza  degli  interessi  e  della rivalutazione
monetaria  si  era  consolidata  una  giurisprudenza  favorevole  del
giudice  amministrativo,  assume  che  l'art. 26,  commi 4 e 5, della
legge n. 448 del 1998 - di cui ritiene di dover fare applicazione e a
cui  attribuisce  natura  di  norma  retroattiva e di interpretazione
autentica  (in  quanto  sancirebbe  - a suo dire - che il diritto dei
pubblici  dipendenti  a  detti  accessori,  per  effetto del suddetto
inquadramento, non sarebbe mai sussistito) - violerebbe:
        a)  l'art. 3  Cost.,  in quanto, pur enunciando un intento di
interpretazione   autentica,  avrebbe  invece  introdotto  una  nuova
disciplina,  contrastante  con il principio - comune non solo ad ogni
credito  di  lavoro,  ma a qualsiasi credito, indipendentemente dalla
sua   origine   -   della   parita'   di  trattamento  dei  cittadini
relativamente   alla   corresponsione   degli   interessi   e   della
rivalutazione  sui  crediti,  senza, peraltro, che la discriminazione
sofferta  dai  pubblici  dipendenti  sia  assistita  da una razionale
giustificazione,  non  apparendo ragionevole l'esclusione del diritto
alla  percezione  dei  citati  accessori  sugli  emolumenti derivanti
dall'inquadramento,  poiche'  essi  non  si  differenzierebbero dagli
altri debiti retributivi contratti dall'Amministrazione;
        b)  l'art. 36  Cost.,  in  quanto,  per la natura retributiva
delle  somme  su  cui  vengono  negati gli accessori, sarebbe leso il
principio   di   proporzionalita'   fra  retribuzione  e  prestazione
lavorativa;
        c)  l'art. 97 Cost., in quqnto si consentirebbe alla pubblica
amministrazione  di  eludere le normali conseguenze del ritardo nella
corresponsione degli emolumenti.
    Circa  la  rilevanza  della questione, il rimettente osserva che,
alla  stregua  della  norma  denunciata,  le  domande  dei ricorrenti
dovrebbero essere respinte.
    2.  - Con le ordinanze iscritte ai nn. 440 e 747 r.o. del 1999 lo
stesso  tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio  (in diversa
composizione)  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale
del   solo  art. 26,  comma  4,  della  legge  n. 448  del  1998,  in
riferimento  agli artt. 3 e 36 Cost., in due giudizi intentati contro
il  Ministero  dei  beni  culturali  e  ambientali  da dipendenti che
rivendicano  interessi  e  rivalutazione  sulle  somme  riscosse  per
effetto  di  inquadramento  ex  legge  n. 312 del 1980. La violazione
dell'art. 3  viene  lamentata  sotto  il profilo che i dipendenti dei
ministeri   soffrirebbero  una  discriminazione,  sia  rispetto  alla
generale  valenza  del  principio dell'attualizzazione dei crediti di
lavoro,  sia  perche'  di tale principio sarebbe negata - in modo del
tutto illogico - l'applicazione rispetto ad una determinata specie di
crediti  del settore del pubblico impiego. La violazione dell'art. 36
sussisterebbe perche' l'attualizzazione dei crediti di lavoro sarebbe
essenziale,  specie  in  tempi  di alta inflazione, per assicurare la
proporzionalita'  della  retribuzione  al  lavoro  svolto, in caso di
ritardata corresponsione.
    3.  -  Con l'ordinanza iscritta al n. 650 r.o. del 1999 sempre il
tribunale  amministrativo  regionale del Lazio ha sollevato questione
di legittimita' costituzionale del solo art. 26, comma 4, della legge
n. 448  del  1998  in un giudizio intentato da numerosi dipendenti di
amministrazioni  dello  Stato  contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri, il Ministero del tesoro ed il Ministero della giustizia per
ottenere  il  riconoscimento  di  interessi e rivalutazione monetaria
sulle  somme  ottenute per effetto del tardivo inquadramento ex legge
n. 312  del  1980.  Il  rimettente  -  dopo  avere  rilevato  che  la
rivendicazione  dei  ricorrenti  sarebbe stata parzialmente fondata e
precisamente  a decorrere dall'8 novembre 1988, data di pubblicazione
nella   Gazzetta  Ufficiale  della  deliberazione  della  Commissione
paritetica  di cui all'art. 10 della suddetta legge - ha osservato di
non  poter  accogliere  la  domanda  neppure  entro  tali limiti, per
effetto della sopravvenienza della norma denunciata.
    L'ordinanza,  nel  motivare  la  non manifesta infondatezza della
questione  -  che  ha reputato rilevante solo con riguardo al comma 4
della norma denunciata, in quanto i ricorrenti non avrebbero ricevuto
alcuna  somma  a  titolo  di  accessori  e  non  sarebbero esposti al
recupero  di  essa,  disciplinato dal comma 5 - premette che la norma
denunciata   non   avrebbe  carattere  interpretativo,  ma  efficacia
innovativa,  e,  dopo avere rilevato che in quella veste la norma non
lederebbe  la  sfera  del  potere  giurisdizionale,  ha ravvisato una
violazione degli artt. 3 e 36 Cost., individuando la violazione della
prima   norma   nella  discriminazione  determinatasi  a  carico  dei
dipendenti  dei  ministeri  -  sia  rispetto  agli  altri  dipendenti
pubblici, sia in generale rispetto a tutti gli altri lavoratori - per
la  mancata applicazione del principio dell'adeguamento nel tempo del
valore  della  retribuzione, essendosi cosi' trattate in modo diverso
situazioni uguali. Sul punto il rimettente ha invocato la sentenza di
questa  Corte  n. 327  del  1999, osservando che il principio da essa
affermato,  pur  relativo  a crediti previdenziali, a maggior ragione
dovrebbe  valere per quelli retributivi. L'art. 36 della Costituzione
sarebbe,  invece,  violato per la lesione del principio di integrita'
ed effettivita' della retribuzione.
    4.  -  Con  l'ordinanza  iscritta  al  n. 741 r.o. del 1999 e con
quella  n. 740  r.o.  del  1999 il tribunale amministrativo regionale
della  Toscana - rispettivamente nel corso di un giudizio, instaurato
nel  1996  da un dipendente del Ministero delle finanze, per ottenere
il  riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria su
emolumenti  conseguiti per effetto dell'inquadramento ex legge n. 312
del  1980  (avvenuto  nella  specie  soltanto il 5 agosto 1992) e nel
corso  di  un giudizio instaurato allo stesso scopo da dipendenti del
Ministero   del   tesoro   -  ha  sollevato  anch'esso  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 26,  commi 4 e 5, della legge
n. 448  del 1998, ma in riferimento al solo art. 3 della Costituzione
Le  ordinanze  enunciano - citando decisioni del Consiglio di Stato -
che  dalla  data della deliberazione dell'indicata commissione doveva
ritenersi    decorrere    il   credito   retributivo   corrispondente
all'inquadramento  con  i  relativi  accessori,  onde,  in  forza dei
precedenti   giurisprudenziali,   il  ricorso  dovrebbe  accogliersi.
Ritengono,  tuttavia,  che a cio' sia d'ostacolo la norma denunciata,
la  quale,  non  essendo  di  interpretazione autentica - malgrado il
tenore  della  sua  intestazione  -  sarebbe  applicabile non solo ai
crediti  sorti  dopo  la  sua  entrata in vigore, ma anche ai crediti
maturati   prima,  come  confermerebbero  anche  ulteriori  argomenti
interpretativi.
    Circa  la non manifesta infondatezza, il tribunale amministrativo
regionale  rileva  che  non  vi sarebbero sufficienti ragioni "per le
quali  soltanto  per  un  tipo  di credito retributivo e soltanto per
alcuni  dipendenti  pubblici  (quelli  del "comparto ministeri" e tra
questi,  solo  coloro  che  non  abbiano  gia'  avuto tempestivamente
liquidate  le dette somme) sia espressamente negato ... un accessorio
connaturato  al credito principale, generalmente riconosciuto a tutti
i dipendenti pubblici e privati dall'art. 429 del codice di procedura
civile". Le ragioni indicate nella relazione illustrativa della legge
n. 448 del 1998, laddove fanno riferimento alle esigenze di bilancio,
non  potrebbero  giustificare  un  sacrificio  a  carico  di una sola
categoria di creditori senza incorrere nella violazione del principio
di  eguaglianza  e  di ragionevolezza che dovrebbe ispirare qualunque
manovra  di  risanamento finanziario, con distribuzione dei sacrifici
equamente   fra   tutti   i  consociati.  Inoltre  la  norma  sarebbe
ulteriormente   irragionevole   laddove  fa  salvi  gli  effetti  dei
giudicati,  cosi'  dando  rilievo  ad  un  dato  temporale  del tutto
casuale.  D'altro  canto, soggiunge l'ordinanza, non vi sarebbe alcun
beneficio a favore dei dipendenti, che possa compensare il sacrificio
patrimoniale   stabilito   a   loro  carico,  in  quanto  i  disposti
inquadramenti  sarebbero  la conseguenza automatica del passaggio dal
sistema delle carriere al nuovo sistema imperniato sulle qualifiche e
sui profili professionali.
    Infine,   le   ordinanze   sostengono  che  argomenti  favorevoli
all'infondatezza  della  questione  non  si  potrebbero  trarre dalla
sentenza  di  questa  Corte  n. 361 del 1996, in quanto essa, laddove
dichiaro'  infondata - con riguardo all'art. 16, comma 6, della legge
30 dicembre   1991,   n. 412  (Disposizioni  in  materia  di  finanza
pubblica) - la questione di legittimita' costituzionle concernente la
mancata  previsione del cumulo di interessi e rivalutazione monetaria
per i crediti previdenziali, invocando esigenze di contenimento della
spesa  pubblica,  non  sarebbe  pertinente nel caso di specie, in cui
vengono in considerazione emolumenti correlati allo svolgimento della
prestazione lavorativa dei pubblici dipendenti, che non sono a carico
del  bilancio  pubblico. Argomenta, in chiusura, il rimettente la non
manifesta  infondatezza, anche facendo leva sulla sentenza n. 207 del
1994  della  Corte,  in  relazione  al  fatto che la norma denunciata
sarebbe incentivo all'amministrazione per ritardare i suoi pagamenti.
    5.  -  Con  le ordinanze iscritte ai nn. r.o. 409, 410, 411, 412,
413, 414, 415 e 482 del 1999 - tutte di identico tenore motivazionale
e  rese in giudizi instaurati da dipendenti contro il Ministero delle
finanze,   per   ottenere   il   riconoscimento   del   diritto  alla
corresponsione   di   interessi   e   rivalutazione  monetaria  sulle
retribuzioni  corrisposte  per  effetto  dell'inquadramento  ai sensi
della  legge  n. 312 del 1980 - il tribunale amministrativo regionale
delle  Marche  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale
del  citato  art. 26,  comma  4,  della  legge  n. 448  del  1998, in
riferimento   agli  artt. 3,  24,  36,  97,  102,  103  e  113  della
Costituzione  Anche  tali  ordinanze  assumono che, a decorrere dalla
pubblicazione   della   deliberazione   del  28 novembre  1988  della
commissione  prevista  dall'art. 10  della  legge  n. 312  del  1980,
l'amministrazione  doveva  reputarsi  in mora, dovendo il credito dei
dipendenti  considerarsi  esistente, con la conseguenza che sarebbero
dovuti  interessi  e rivalutazione monetaria. Ravvisano, tuttavia, un
ostacolo  all'accoglimento dei ricorsi nel sopraggiungere della norma
denunciata,  della  quale  escludono  il carattere di interpretazione
autentica  e  ritengono  la  sua  applicabilita' ai giudizi pendenti.
Considerato,  in  punto  di  rilevanza,  che della norma si deve fare
applicazione  nei  giudizi  a  quibus  in  ordine  alla non manifesta
infondatezza  osservano  che  vi  sarebbe  contrasto: a) con l'art. 3
Cost.,  in  quanto  i crediti in questione sarebbero sottoposti ad un
trattamento  deteriore  rispetto  a  quello  previsto  per ogni altro
credito  e  vi sarebbe una discriminazione fra dipendenti statali che
vantino  crediti  identici  nei  confronti  dell'amministrazione,  e,
precisamente,  fra  quei  dipendenti  che  abbiano  gia'  ottenuto il
riconoscimento  degli  accessori e ne abbiano avuto la liquidazione e
quei  dipendenti che, invece, pur avendo agito in giudizio vedano ora
frustrata la loro aspettativa per effetto dell'intervento della norma
denunciata;  b)  con  l'art. 36  Cost.,  in quanto l'esclusione degli
interessi  e  della rivalutazione vulnererebbe il diritto alla giusta
retribuzione, in quanto quegli accessori garantirebbero la "realita'"
della  retribuzione;  c)  con l'art. 24 Cost., in quanto, per effetto
dell'applicabilita'  della  norma  ai giudizi pendenti, sarebbe stato
vanificato  il  diritto  costituzionale  alla tutela giurisdizionale,
che,  invece, una volta esercitata l'azione in giudizio, non potrebbe
-  pur  potendo  il  legislatore  limitarlo  -  essere vanificato (ed
all'uopo si cita la sentenza n. 123 del 1987, secondo cui il precetto
costituzionale   e'  violato  da  norme  che  recano  una  disciplina
sostanziale  di  segno  opposto  alle  richieste  di  un  attore  nel
processo);  d)  con  gli  artt. 102,  103  e  113  Cost.,  in  quanto
quell'applicabilita'  realizzerebbe un'illegittima interferenza nella
sfera  di  attribuzioni  del potere giurisdizionale; e) con l'art. 97
Cost.,  riguardo al quale si assume genericamente un contrasto con il
principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
    6.  -  Con  l'ordinanza  iscritta  al  n. 36  r.o.  del  2000, il
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Piemonte,  in  un giudizio
promosso  contro  il  Ministero  della  pubblica  istruzione  da  una
dipendente  che  non  aveva  ottenuto,  a seguito di inquadramento ex
legge  n. 312  del  1980,  gli  accessori,  ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 4, della legge n. 448
del   1998,   con   una  motivazione  totalmente  identica  a  quella
dell'ordinanza  n. 409  del  tribunale amministrativo regionale delle
Marche.
    7. - Con l'ordinanza iscritta al n. 6 r.o. del 2000, il Consiglio
di  Stato  -  in  un giudizio di appello proposto dal Ministero della
giustizia  avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale
dell'Abruzzo, la quale aveva riconosciuto a taluni dipendenti di quel
ministero  interessi  e  rivalutazione  in  ordine  alle retribuzioni
ricevute per l'inquadramento ex legge n. 312 del 1980 - ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 Cost., questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998
(sopravvenuta   nel   corso   del  giudizio),  dopo  avere  disatteso
l'eccezione  di  acquiescenza,  formulata  dagli  appellati  sotto il
profilo   che   l'amministrazione   appellante  aveva  corrisposto  i
riconosciuti  accessori  in esecuzione della sentenza di primo grado.
Rilevato  che l'orientamento giurisprudenziale si era consolidato nel
senso della spettanza degli accessori, si assume che la norma avrebbe
carattere  innovativo  e  retroattivo  e,  quindi, adducendosi che il
legislatore  potrebbe  disporre  norme retroattive solo sulla base di
una  causa  giustificativa, si sostiene che nella specie essa sarebbe
mancata,  in  quanto le esigenze di contenimento della spesa pubblica
tenute   presenti   dal   legislatore  non  sarebbero  sufficienti  a
giustificare  la non corresponsione di elementi intrinseci al credito
di  lavoro soltanto per una categoria di dipendenti pubblici, potendo
quell'esigenza  perseguirsi  con  una  piu'  sollecita  azione  delle
amministrazioni  interessate  (a  sostegno  di tale argomentazione si
cita la sentenza di questa Corte n. 137 del 1994). Da tanto si desume
la non manifesta infondatezza della questione.
    8. - Con le ordinanze iscritte ai nn. 327 e 328 r.o. del 1999, la
corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale per l'Emilia-Romagna, in
giudizi  instaurati  da vedove titolari di pensione di reversibilita'
per  ottenere - fra l'altro - interessi e rivalutazione monetaria sul
trattamento pensionistico, riliquidato a seguito della sentenza della
Corte  n. 1  del  1991, premesso che nella giurisprudenza della Corte
dei Conti si era affermato il principio per cui i crediti di pensione
dei  pubblici dipendenti sono soggetti al principio dell'art. 429 del
codice   di   procedura   civile,   caratterizzandosi   interessi   e
rivalutazione  monetaria quali elementi che realizzano, in unione con
il  credito originario, il tantundem della prestazione pensionistica,
il   cui   valore   deve   essere   identico   a  quello  originario,
indipendentemente   dal   tempo  dell'adempimento,  ha  sollevato  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 4, della
legge   n. 448   del   1998  nella  sua  totalita'  -  cioe',  almeno
formalmente,  sia  quanto  alla  parte  relativa  al  trattamento dei
pubblici   dipendenti,   che   a  quella  concernenti  i  trattamenti
pensionistici  in questione - in quanto ritenuta lesiva degli artt. 3
e  24  Cost.,  osservando  di dover fare applicazione di detta norma,
sopravvenuta in corso di giudizio. Il giudice rimettente ha lamentato
la  violazione  dell'art. 3  Cost.,  in  quanto si tratterebbero allo
stesso  modo  coloro che, a fronte dell'inerzia dell'amministrazione,
si  erano  attivati  ed al momento dell'entrata in vigore della norma
non  avevano ottenuto tutela giurisdizionale, e coloro che, essendosi
anch'essi attivati, avevano ottenuto quella tutela. Inoltre, la norma
sarebbe,  nel  suo  carattere  derogatorio, irrazionale, in quanto la
ristretta entita' numerica dei soggetti cui si riferirebbe renderebbe
impossibile  che  la  sua  applicazione possa realizzare l'effetto di
contribuire  "alla  stabilizzazione  ed  allo sviluppo del Paese". La
violazione  dell'art. 24  della  Costituzione  viene  motivata per il
fatto  che  si  penalizzerebbero  sia  coloro  che non hanno agito in
giudizio,  sia  coloro  che hanno agito, venendosi a privare costoro,
dopo l'inizio dei giudizi, di una tutela prima garantita.
    9.  -  Con l'ordinanza iscritta al n. 397 r.o. del 1999, la Corte
dei  conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna, ha sollevato, in
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., questione di legittimita'
costituzionale  del comma 4 dell'art. 26 della legge n. 448 del 1998,
limitatamente  alla  parte in cui ha stabilito che le somme liquidate
sui  trattamenti  pensionistici,  in  conseguenza della sentenza n. 1
della   Corte   costituzionale,   non  danno  luogo  ad  interessi  e
rivalutazione  monetaria.  La  questione  e'  stata  sollevata  in un
giudizio  promosso  dalla  titolare di una pensione di reversibilita'
soggetta   alla  detta  riliquidazione,  per  ottenere,  sulle  somme
riscosse  per  effetto  di  essa,  gli  interessi  e la rivalutazione
monetaria, negati dall'amministrazione.
    Circa  la  rilevanza  della questione, la Corte dei conti osserva
che,  secondo  la  propria  giurisprudenza  - sia pure con differenti
orientamenti  in  ordine  al  dies  a quo - ai crediti pensionistici,
avendo  la  pensione  natura  di  retribuzione  differita,  sarebbero
applicabili  l'art. 429  del  codice di procedura civile e l'art. 150
delle   relative   disposizioni  di  attuazione,  come  confermerebbe
l'art. 22,  comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di
razionalizzazione   della  finanza  pubblica),  che  ha  previsto,  a
decorrere  dal 1o gennaio 1995, l'applicazione dell'art. 16, comma 6,
della   legge  30 dicembre  1991,  n. 412,  ai  dipendenti  pubblici.
Infatti,  il  legislatore, avendo con detta disposizione, sancito che
dall'indicata  data  la  rivalutazione  compete  solo per l'eccedenza
rispetto   al maggior   danno   ristorato  dagli  interessi,  avrebbe
riconosciuto  per  il  periodo  antecedente  il  cumulo  degli  uni e
dell'altra.  Ne  avrebbe  dato conferma anche il decreto del Ministro
del   tesoro,   del   bilancio   e   della  programmazione  economica
1o settembre  1998,  n. 352  (Regolamento  recante  i  criteri  e  le
modalita'  per  la  corresponsione  degli  interessi  legali  e della
rivalutazione  monetaria  per ritardato pagamento degli emolumenti di
natura  retributiva,  pensionistica  ed  assistenziale  a  favore dei
dipendenti   pubblici  e  privati  in  attivita'  di  servizio  o  in
quiescenza  delle  amministrazioni  pubbliche  di cui all'articolo 1,
comma  2,  del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), il quale,
nel  dettare  - in attuazione dei due provvedimenti legislativi sopra
citati   -   il  regolamento  sui  criteri  e  le  modalita'  per  la
corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria
per  il  ritardato  pagamento degli emolumenti di natura retributiva,
pensionistica  e  assistenziale  a  favore  dei dipendenti pubblici e
privati  in  attivita'  di  servizio  o in quiescenza, ha previsto il
cumulo  degli  interessi  e  della  rivalutazione  monetaria  fino al
16 dicembre  1990, i soli interessi legali del 10% fino al 1o gennaio
1995  e, successivamente, la rivalutazione in aggiunta agli interessi
solo  per  la parte eccedente il loro ammontare. Si precisa, inoltre,
che,  ai  sensi  dell'art. 3  del  detto  decreto, gli interessi o la
rivalutazione  decorrerebbero  dalla  maturazione del credito o dalla
scadenza  del termine previsto dall'art. 2 della legge 7 agosto 1990,
n. 241  (Nuove  norme  in materia di procedimento amministrativo e di
diritto  di  accesso ai documenti amministrativi), per l'adozione del
relativo  provvedimento.  Da  queste  notazioni, dopo avere dato atto
dell'intervento,   nelle   more   del  giudizio,  della  disposizione
denunciata,   il  giudice  rimettente  trae  la  conclusione  che  la
questione  sollevata  sarebbe  rilevante  in  quanto  la disposizione
sarebbe  applicabile al caso di specie, posto che dalla sua efficacia
fa  salvi  solo gli effetti del giudicato e quindi "regolamenta anche
ipotesi pregresse".
    Quanto  alla non manifesta infondatezza, il rimettente lamenta la
violazione  dell'art. 3,  comma  primo,  Cost.,  in  quanto  la norma
denunciata  tratterebbe  in  modo  deteriore  e differenziato "alcuni
pensionati   (fra  cui  la  ricorrente),  la  cui  posizione  sarebbe
pressoche'  identica  a  quella  dell'intera categoria", per la quale
continuerebbe  ad  applicarsi  la  regola  della computabilita' degli
accessori o di alcuni di essi, in relazione ai periodi di maturazione
dei  crediti  principali. E cio' con riferimento a crediti principali
costituenti    diritti    soggettivi,    i    quali   in   nulla   si
differenzierebbero   dai  crediti  pensionistici  per  cui  la  norma
denunciata  non  opera,  posto  che detti crediti trarrebbero origine
dalle  disposizioni  normative  che  la sentenza della Corte n. 1 del
1991  ha  fatto  riespandere.  La  norma denunciata sarebbe, inoltre,
irrazionale  perche'  segnerebbe  una deroga ad un principio generale
che  l'ordinamento accoglie costantemente, attribuendo agli accessori
la natura di elementi essenziali del trattamento pensionistico.
    10.  - Con l'ordinanza iscritta al n. 399 r.o. del 1999, la Corte
dei  conti,  sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - in un
giudizio  con  il  quale il figlio di un dirigente collocato a riposo
aveva chiesto gli interessi e la rivalutazione monetaria, a decorrere
dal  1o marzo  1990, sulla riliquidazione della pensione avvenuta, ai
sensi  dell'art. 161  della  legge  n. 312  del 1980, con decreto del
21 febbraio 1997, a seguito della sentenza della Corte costituzionale
n. 1  del  1991  -  dopo  avere  svolto  considerazioni non dissimili
dall'ordinanza  di  cui al punto precedente, circa l'evoluzione della
disciplina  normativa  in tema di cumulo di interessi e rivalutazione
monetaria,   ed   osservato,   quindi,  che,  solo  per  effetto  del
sopraggiunto  art. 26,  comma  4,  della  legge  n. 448  del 1998, la
domanda   del   ricorrente  dovrebbe  respingersi,  ha  sollevato  la
questione   di  legittimita'  costituzionale  di  detta  norma  negli
identici  termini  della  menzionata  ordinanza  quanto al petitum ma
assumendo  come parametri costituzionali, oltre all'art. 3, l'art. 36
della   Costituzione   e  facendo  leva  -  circa  la  non  manifesta
infondatezza  -  sulla  circostanza  che  la  norma avrebbe carattere
retroattivo,  senza  rispettare  i principi al riguardo fissati dalla
giurisprudenza   costituzionale,   frustrando,   con   riferimento  a
situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento del
cittadino  nella  sicurezza  giuridica,  da intendersi "come elemento
fondamentale dello stato di diritto".
    In  particolare,  la  norma denunciata non apparirebbe razionale,
non  essendo  la sua retroattivita' giustificata "da alcuna specifica
esigenza   inderogabile,   esplicita   o   implicita,   di   politica
organizzativa,  sociale  o  economica".  Inoltre,  discriminerebbe  i
pensionati  destinatari  della  sentenza della Corte n. 1 del 1991 da
tutti  "gli  altri  pensionati  che  vantino il diritto ad emolumenti
pensionistici  arretrati,  da  epoca  coeva  o  anche  con decorrenza
anteriore  al  1 marzo  1990,  ma  sulla  base  di altre disposizioni
normative".
    11.  -  Con l'ordinanza iscritta al n. 22 r.o. del 2000, la Corte
dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  il Lazio, ha sollevato la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 26, comma 4, della
legge  n. 448  del  1998  con  il  medesimo  petitum  delle altre tre
ordinanze,  assumendo  come parametri costituzionali gli artt. 3 e 24
Cost.,  in  un giudizio nel quale un dirigente della stessa Corte dei
conti,  collocato  a  riposto  con  i c.d. benefici combattentistici,
aveva  chiesto  la  riliquidazione  del  trattamento pensionistico ed
avendola  ottenuta  nel  corso  del  giudizio,  in  ottemperanza alla
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 1 del 1991, aveva chiesto,
poi,  il  riconoscimento  di  interessi  e  rivalutazione.  Circa  la
rilevanza,  la  Corte  dei  conti  osserva di dover fare applicazione
della norma denunciata. Circa la non manifesta infondatezza, sostiene
la  violazione  dell'art. 24  Cost., con considerazioni non dissimili
dalle  ordinanze di rimessione nn. 327 e 328 del 1999, mentre, quanto
alla   violazione   dell'art. 3,   assume   che   la   norma  violata
determinerebbe  una  situazione  di  discriminazione  fra  i soggetti
collocati  a  riposo  prima  del 1o gennaio 1979 e quelli collocati a
riposo  dopo  -  che, invece, era stata eliminata dalla sentenza n. 1
del  1991  -  in quanto i soggetti collocati a riposo prima di quella
data  avrebbero  titolo  per  la liquidazione degli interessi e della
rivalutazione  monetaria,  mentre quelli collocati a riposo dopo (cui
si riferiva la sentenza) non lo avrebbero.
    12.  -  In  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto  il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
depositando    memorie    che   genericamente   fanno   rinvio   alle
argomentazioni di quella depositata nel giudizio di cui all'ordinanza
n. 409 del 1999, nella quale si deduce che la norma impugnata sarebbe
stata  determinata  dal considerevole onere finanziario derivante dal
consolidato   indirizzo   giurisprudenziale   sul  riconoscimento  di
interessi  e  rivalutazione, non gia' dalla data del provvedimento di
reinquadramento  (in  relazione  al quale era stato previsto un onere
finanziario  di  1.702  miliardi),  ma  dall'8 novembre 1988, data di
pubblicazione  della  deliberazione  della Commissione paritetica. La
disposizione  denunciata  sarebbe  stata emanata per far fronte ad un
onere  imprevisto  e,  quindi,  nel rispetto dell'art. 11-ter settimo
comma,  della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di
contabilita'  generale  dello  Stato  in  materia  di  bilancio).  E,
pertanto,  la questione di legittimita' costituzionale avrebbe dovuto
essere  proposta,  a  pena di inammissibilita', proprio nei confronti
del citatoart. 11-ter.
    Nel   merito,  la  questione  sarebbe  infondata  in  riferimento
all'art. 3  Cost.,  per  la  genericita'  del tertium comparationis e
perche'   la   norma   denunciata   troverebbe   giustificazione  nel
contenimento  della  spesa  pubblica,  mentre  la  pretesa disparita'
derivante dall'inapplicabilita' della norma in caso di giudicato, non
solo  sarebbe  di mero fatto e, pertanto, non violerebbe alcuna norma
costituzionale,   ma   discenderebbe   dal  necessario  rispetto  del
giudicato.  Il parametro dell'art. 36 sarebbe, invece, male invocato,
vertendosi  su  accessori  della  retribuzione, la cui esclusione non
inciderebbe  sulla  capacita' della retribuzione stessa di assicurare
al  lavoratore  un'esistenza  libera e dignitosa. Gli altri parametri
costituzionali non sarebbero stati correttamente invocati.
    13.  -  Nel  giudizio  di  cui all'ordinanza n. 631 del 1999, una
delle  parti  private  si  e'  costituita, depositando memoria, nella
quale  ha aderito alle conclusioni dell'ordinanza. Anche nel giudizio
di  cui  all'ordinanza  n. 741  del  1999,  si e' costituita la parte
privata  con  memoria,  nella  quale, in aggiunta alle argomentazioni
dedotte   dall'ordinanza   di   rimessione,   lamenta  la  violazione
dell'art. 36  Cost.,  anche  sotto  il  profilo che le somme dovute a
titolo  di  accessori  si  dovrebbero  considerare compensative della
particolare  qualita'  del  lavoro  e  non aggiuntive rispetto ad una
retribuzione gia' equa.
    14.  -  I due giudizi nei quali vi e' stata costituzione di parte
privata  sono  stati chiamati a ruolo nell'udienza pubblica 23 maggio
2000, e gli altri nella camera di consiglio del 24 maggio 2000.
    15.   -   Nell'imminenza   della   suddetta   pubblica   udienza,
l'Avvocatura  generale  dello Stato ha depositato memorie nei giudizi
di  cui  alle  ordinanze  nn. 631  e  741, riproponendo gli argomenti
svolti  negli  atti  di  intervento  (ma  abbandonando l'eccezione di
inammissibilita'  della  questione di legittimita' costituzionale, in
quanto non proposta in riferimento all'art. 11-ter della legge n. 468
del  1978)  ed  eccependo  -  con  riferimento all'ordinanza n. 741 -
l'inammissibilita'  dell'esame  della questione anche con riferimento
all'art. 36 Cost., come richiesto dalla parte privata.
    Anche le parti private costituite depositavano memorie.
    16.  -  A  seguito  della  discussione  dei giudizi nella udienza
pubblica  e  nella  camera  di  consiglio  suindicate,  la  Corte  ha
pronunciato  due separate ordinanze istruttorie in data 6 luglio 2000
-  una  per  la  questione di legittimita' costituzionale relativa ai
trattamenti  dei  dipendenti  ex  legge n. 312 del 1980 e l'altra per
quella  concernente  i  trattamenti  pensionistici liquidati in forza
della  sentenza della Corte n. 1 del 1991 - ravvisando la necessita',
in  funzione  della  valutazione  delle questioni ed in ragione della
dedotta   esigenza   di   contenimento  della  spesa  pubblica  quale
giustificazione   delle  norme  denunciate,  di  acquisire  analitici
elementi   conoscitivi,   sia  in  ordine  alle  modalita'  temporali
dell'adozione  dei provvedimenti di inquadramento dei dipendenti e di
riliquidazione   dei  trattamenti  pensionistici,  sia  alle  ragioni
previsionali di spesa che avevano potuto suggerire l'emanazione delle
norme stesse.
    17. - Nelle more del riferito svolgimento processuale pervenivano
alla  Corte  altre ordinanze di rimessione relative alla questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 26,  commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998.
    Fra  esse le ordinanze nn. 378, 379, 423, 542 e 717 r.o. del 2000
propongono  -  con  riguardo allo stesso oggetto, cioe' relativamente
all'esclusione  degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle
somme  corrisposte  per il tardivo reinquadramento dei dipendenti del
comparto  ministeri  -  la  medesima  questione  di costituzionalita'
dell'art. 26,  comma 4, della legge n. 448 del 1998, gia' prospettata
da alcune delle ordinanze provenienti dall'udienza del 23 maggio 2000
e dalla camera di consiglio del 24 maggio 2000.
    L'ordinanza  n. 717  impugna  -  come,  del  resto, avevano fatto
alcune  delle  suddette  ordinanze (esattamente le nn. 631, 740 e 741
del 1999) - anche il comma 5 del suddetto art. 26.
    18.  -  Con  le ordinanze n. 378 e 379 r.o. del 2000 il tribunale
amministrativo  regionale del Lazio - nel corso di giudizi instaurati
da  taluni  dipendenti del Ministero dei beni culturali ed ambientali
per ottenere la corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria
sulle  somme  gia' liquidate dopo il reinquadramento nelle qualifiche
funzionali  ex art. 4 della legge n. 312 del 1980, e talora la stessa
corresponsione  dei  relativi importi in conto capitale oltre che dei
suddetti   accessori   -   ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 26,  comma 4, della legge 23 dicembre 1998,
n. 448  [erroneamente  citata  con  il  n. 449]. Anche tali ordinanze
richiamano  genericamente la giurisprudenza che ha fatto decorrere il
diritto  agli  accessori dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della  deliberazione  della  Commissione  paritetica ex art. 10 della
legge  n. 312  del  1980, e ritengono l'illegittimita' costituzionale
della  norma impugnata per violazione dell'art. 3, primo comma, e 36,
primo comma, della Costituzione.
    L'art. 3  sarebbe  violato, in quanto i crediti per le differenze
retributive  derivanti  dall'inquadramento  ex legge n. 312 del 1980,
costituenti crediti di lavoro, avrebbero illogicamente un trattamento
differenziato  da  quello  di  tutti  gli  altri  crediti per tardivo
pagamento  di  retribuzioni, relativi a rapporto di lavoro pubblico e
privato.   L'art. 36  sarebbe  violato  perche'  i  suddetti  crediti
retributivi  non  sarebbero  piu'  proporzionati  "alla  quantita'  e
qualita'  del  lavoro  svolto stante la impossibilita' di una attuale
rivalorizzazione  dello stesso credito al momento del pagamento delle
spettanze arretrate".
    19.  - Con le ordinanze nn. 423 e 424 r.o. del 2000, il tribunale
amministrativo  regionale  della  Lombardia  -  nel  corso di giudizi
intentati da numerosi dipendenti, rispettivamente contro il Ministero
del   tesoro   e   contro  il  Ministero  del  lavoro,  per  ottenere
l'accertamento   e  la  conseguente  condanna  delle  amministrazioni
resistenti   al  pagamento  degli  interessi  e  della  rivalutazione
monetaria  sulle somme loro corrisposte, a seguito dell'inquadramento
nelle  qualifiche funzionali introdotte dalla legge n. 312 del 1980 -
dopo  avere  evocato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, su
dette  somme,  gli  interessi  e la rivalutazione monetaria sarebbero
spettati  dalla  data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
gia'  citata  deliberazione  della  Commissione  paritetica, ed avere
rilevato che, per effetto della sopravvenienza dell'art. 26, comma 4,
della  legge n. 448 del 1998, i ricorsi dovrebbero essere rigettati -
ha  reputato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  di  tale  norma,  in  riferimento  agli
artt. 3  e  36 della Costituzione. Peraltro, la motivazione sulla non
manifesta  infondatezza  e'  in  concreto enunciata solo con riguardo
alla  prima norma (sotto il profilo dell'ingiustificata disparita' di
trattamento),   in  quanto  i  crediti  di  cui  trattasi  verrebbero
sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per
gli  altri  crediti  di  lavoro;  ed  in  quanto la norma produrrebbe
evidenti  ed irragionevoli discriminazioni in danno dei dipendenti le
cui  pretese  siano  oggetto  di  giudizi pendenti all'atto della sua
entrata  in vigore ed a beneficio dei dipendenti che abbiano ottenuto
in precedenza un giudicato favorevole.
    20.   -   Con   l'ordinanza   n. 542   del   2000,  il  tribunale
amministrativo  regionale  del  Piemonte  -  nel corso di un giudizio
intentato  da  un  dipendente contro il Ministero delle finanze e del
tesoro,  del  bilancio  e  della  programmazione  economica,  per  il
riconoscimento  di  interessi  e  rivalutazione monetaria sulle somme
corrispostegli  in  tre  soluzioni  tra  il 1990 ed il 1993, a titolo
di maggiorazioni per l'inquadramento ai sensi dell'art. 4 della legge
n. 312   del   1980   -   dopo   avere  dato  atto  dell'orientamento
giurisprudenziale  in  ordine  alla  decorrenza  degli  accessori  ed
enunciato   che  l'accoglimento  del  ricorso  e'  tuttavia  impedito
dall'art. 26,  comma  4,  della legge n. 448 del 1998, che, al di la'
della  sua  qualificazione  formale,  non  sarebbe  interpretativa ed
opererebbe per tutte le situazioni non oggetto di decisioni alla data
della  sua  entrata  in  vigore  -  ne  ha lamentato l'illegittimita'
costituzionale  con  riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103 e
113  della  Costituzione.  L'art. 3  e'  invocato  con considerazioni
analoghe  a  quelle  delle  ordinanze  di  rimessione  nn. 423 e 424.
L'art. 36  sarebbe  violato  per  la lesione del "diritto alla giusta
retribuzione,  mediante la sostanziale preclusione della operativita'
dei sistemi di garanzia della realita' della retribuzione stessa, dal
momento   che,   senza  il  riconoscimento  della  rivalutazione,  si
determina  un  ingiustificato  depauperamento del contenuto economico
dello stesso trattamento retributivo, a fronte del ritardo con cui il
medesimo  viene  materialmente corrisposto". Gli artt. 24, 102, 103 e
113  sarebbero,  invece,  violati,  in  quanto la norma - applicabile
anche  ai  giudizi  pendenti  -  comporterebbe  la  vanificazione del
diritto  di  difesa,  con un'illegittima interferenza nella sfera del
potere giurisdizionale, in particolare del giudice amministrativo. La
norma  denunciata violerebbe infine l'art. 97, in quanto lederebbe il
principio  del  buon  andamento  e di imparzialita' dell'azione della
pubblica  amministrazione, sotto il profilo dell'introduzione di "una
ingiustificata  deroga a favore dello Stato al principio fondamentale
di liquidazione dei debiti liquidi ed esigibili".
    21.  -  Con  l'ordinanza  n. 717  r.o.  del  2000,  il  tribunale
amministrativo  regionale  del  Lazio - in tre giudizi riuniti, con i
quali alcuni dipendenti del Ministero della giustizia e del Ministero
delle  finanze  avevano  chiesto  il riconoscimento degli interessi e
della  rivalutazione  sulle  somme  loro  corrisposte per effetto del
reinquadramento   ex   legge   n. 312   del   1980  -  ha  sollevato,
richiamandone  espressamente la motivazione, la medesima questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 26,  commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998, gia' proposta dall'ordinanza n. 631 del 1999.
    22.  -  Nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 378, 379, 423, 424,
542  e  717  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite  l'Avvocatura  generale  dello Stato, depositando memorie che
hanno  rinviato  alle  difese  svolte  nei giudizi gia' in precedenza
fissati  a  ruolo, in particolare a quelli introdotti dalle ordinanze
nn. 410 e 631 del 1999.
    23.   -   Con  riferimento  ai  giudizi  gia'  chiamati  a  ruolo
all'udienza  pubblica  del 23 maggio 2000 ed alla camera di consiglio
del  24 maggio  2000,  in esito alle citate ordinanze istruttorie, il
Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   ha   fatto  pervenire
documentazione  e  all'esito  tutti  i  giudizi sono stati chiamati a
ruolo.
    24.  - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la parte privata del
giudizio  di  cui  all'ordinanza  n. 631  del 1999, ha depositato una
memoria,  nella  quale  ha commentato e contestato le emergenze della
documentazione  fatta  pervenire in risposta alle richieste formulate
con  l'ordinanza  istruttoria.  Ha,  inoltre,  richiamato la sentenza
n. 459  del  2000  di  questa  Corte  a sostegno dell'invocata natura
retributiva  degli  interessi  e  della  rivalutazione monetaria, per
desumerne  che  le somme cui si riferisce il giudizio a quo sarebbero
assistite  "da  una  esplicita previsione costituzionale" sostenendo,
altresi',  che  non ricorrerebbe, del resto, alcuna condizione che ne
giustifichi  un  seppur  parziale sacrificio (attraverso, ad esempio,
particolari   modalita'  di  pagamento)  non  essendo  credibile  che
dall'applicazione di un principio generalissimo, che riguarda tutti i
lavoratori   pubblici   e   privati,  possa  derivare  danno  per  la
collettivita'.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Tutte  le ordinanze in epigrafe propongono la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 26,  comma  4,  della  legge
23 dicembre  1998,  n. 448,  secondo  cui  "Le  somme  corrisposte al
personale  del  comparto  ministeri  per  effetto  dell'inquadramento
definitivo  nelle  qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 4, ottavo
comma,  della  legge 11 luglio 1980, n. 312, e le somme liquidate sui
trattamenti  pensionistici  in  conseguenza  dell'applicazione  della
sentenza  della Corte costituzionale n. 1 del 1991 non danno luogo ad
interessi ne' a rivalutazione monetaria".
    La  questione  e'  proposta  da  taluni giudici in relazione alle
somme corrisposte al personale del "comparto ministeri" e da altri in
relazione a quelle liquidate in base alla sentenza citata.
    Fra le ordinanze del primo gruppo, alcune (nn. 631, 740 e 741 del
1999,  6  e  717  del  2000) impugnano anche il comma 5 dell'art. 26,
secondo  cui  "Fatta  salva  l'esecuzione  dei giudicati alla data di
entrata  in  vigore  della  presente  legge,  le somme corrisposte in
difformita'  da quanto disposto dal comma 4 sono considerate a titolo
di  acconto  sui  trattamenti  economici  e pensionistici in essere e
recuperate   con   i  futuri  miglioramenti  comunque  spettanti  sui
trattamenti stessi".
    2.  -  Le  ordinanze  relative al "comparto ministeri" sono state
rese  in  giudizi  intentati  da  dipendenti per ottenere interessi e
rivalutazione  su  somme  tardivamente  percepite  per  inquadramento
definitivo,  ai sensi della legge n. 312 del 1980. Nei giudizi di cui
alle  ordinanze nn. 378 e 379 del 2000 si chiedeva anche il pagamento
del capitale.
    Quanto  ai  parametri,  l'ordinanza  n. 631  del  1999 invoca gli
artt. 3,  36  e  97  Cost.;  altrettanto  fa  la n. 717 del 2000, con
espressa limitazione al primo comma per gli artt. 36 e 97; le nn. 740
e  741  del  1999  enunciano  soltanto l'art. 3; le nn. 440 e 747 del
1999,  378 e 379 del 2000 si riferiscono agli artt. 3, primo comma, e
36,  primo  comma;  le nn. 650 del 1999, 423 e 424 del 2000 ritengono
violati  gli  artt. 3  e 36; la n. 6 del 2000 evoca gli artt. 3, 35 e
36;  tutte  le  altre deducono la congiunta violazione degli artt. 3,
24, 36, 97, 102, 103 e 113.
    Le  motivazioni  delle  censure  -  fra  le quali quella relativa
all'art. 35  della  Costituzione  e'  priva  di motivazione - possono
cosi' riassumersi:
    a)  l'art. 3  della  Costituzione  e'  violato  per irragionevole
disparita'  di  trattamento  in  danno  dei  dipendenti del "comparto
ministeri"  ravvisata:  a1)  da  tutte le ordinanze, rispetto ad ogni
altro  creditore  per  causa di lavoro, cui interessi e rivalutazione
competono  come conseguenza normale dell'inadempimento; a2) da alcune
ordinanze,  anche  rispetto  agli  altri dipendenti pubblici, che non
subiscono  la  privazione  degli  accessori del credito; a3) da altre
ordinanze,   anche   in   base   alla   comparazione  fra  dipendenti
genericamente  interessati all'inquadramento e dipendenti che abbiano
gia'  ottenuto, prima della norma impugnata, un giudicato sul diritto
agli accessori, fatto salvo dal comma 5;
    b)  l'art. 36  e'  violato  perche'  il  diniego degli accessori,
aventi  natura  retributiva, lede l'integrita' e l'effettivita' della
retribuzione;
    c)  gli  artt. 24,  102,  103 e 113 sono violati perche' la norma
impugnata,  applicabile ai giudizi in corso, vanifica il diritto alla
tutela giurisdizionale e interferisce nelle attribuzioni dei giudici;
    d)  l'art. 97  e'  violato  perche'  la  norma  contrasta  con il
principio  di  buon  andamento  e imparzialita' dell'amministrazione,
consentendo   di   eludere   i  normali  effetti  del  ritardo  nella
corresponsione di emolumenti.
    3.   -   La   questione  relativa  ai  trattamenti  pensionistici
riliquidati a seguito della sentenza di questa Corte n. 1 del 1991 e'
stata  proposta - in riferimento al solo comma 4 del citato art. 26 -
da  diverse  ordinanze,  per  violazione  degli  artt. 3  e  24 della
Costituzione (nn. 327 e 328 del 1999, 22 del 2000), o degli artt. 3 e
36 (n. 399 del 1999), o soltanto dell'art. 3, primo comma (n. 397 del
1999).
    Le motivazioni possono cosi' riassumersi:
    a) l'art. 3 della Costituzione e' violato:
          a1)    secondo    alcune   ordinanze,   per   irragionevole
discriminazione   fra  coloro  che  hanno  chiesto  in  giudizio  gli
accessori  su  somme  tardivamente  corrisposte,  a  seconda  che  un
giudicato   sia  o  no  intervenuto;  e  anche  per  irragionevolezza
intrinseca,  non  contribuendo la norma alla "stabilizzazione ed allo
sviluppo   del   paese";   a2)  secondo  altre,  per  l'irragionevole
discriminazione  di una categoria di crediti pensionistici rispetto a
tutti   gli   altri;   a3)   secondo   un'ordinanza,   anche  per  la
discriminazione  fra  collocati  a  riposo  prima o dopo il 1 gennaio
1979,  poiche',  in  caso  di ritardo, interessi e rivalutazione sono
negati solo ai primi;
    b)   l'art. 24   e'   violato  per  il  sacrificio  della  tutela
giurisdizionale, in riferimento a giudizi in corso.
    4.  -  Sulla rilevanza della questione concernente il comma 4, le
ordinanze assumono - con motivazione non implausibile - la necessita'
della  sua  applicazione,  dato  che  nei  giudizi  si  chiedono  gli
interessi e la rivalutazione che la norma nega.
    La  questione  inerente  al  comma  5 e' ammissibile soltanto con
riguardo  all'ordinanza n. 6 del 2000, poiche' in essa si enuncia che
le  somme dovute per interessi e rivalutazione sono state corrisposte
in  ottemperanza  alla  decisione  di primo grado appellata avanti al
rimettente.
    5.   -   Poiche'   tutte   le  ordinanze  impugnano  il  comma  4
dell'art. 26, i giudizi possono essere riuniti.
nel  merito  e' opportuno distinguere le questioni, relative alle due
diverse norme contenute nella disposizione censurata.
    6.  -  La norma relativa alle "somme corrisposte al personale del
comparto  ministeri"  si ricollega alla legge n. 312 del 1980, che ha
dato  ai  dipendenti  civili e militari dello Stato (salvo specifiche
eccezioni)  un  nuovo  assetto, sostituendo al sistema delle carriere
quello delle qualifiche funzionali.
    A  tal  fine  essi  sono stati prima inquadrati provvisoriamente,
dalla  stessa  legge,  nelle  nuove  qualifiche;  e  poi  -  dopo che
un'apposita   commissione  ha  individuato  i  profili  professionali
compresi  in  ciascuna  qualifica  e  valutato  la corrispondenza fra
vecchie  carriere  e  nuovi  profili  -  definitivamente  inquadrati,
mediante  provvedimenti  individuali, nelle qualifiche funzionali col
corrispondente livello retributivo.
    I   rimettenti   ritengono,   in   conformita'  a  giurisprudenza
amministrativa  consolidata, costituente quindi "diritto vivente": a)
che  in  tema  di  inquadramento  del  "comparto ministeri" il potere
discrezionale  dell'amministrazione si e' esaurito l'8 novembre 1988,
con  la  pubblicazione della delibera dell'indicata Commissione, onde
la  natura  sostanzialmente  ricognitiva dei successivi provvedimenti
individuali;  b)  che  in tale data, quindi, sarebbe sorto il credito
dei  dipendenti  per la parte di retribuzione, commisurata a mansioni
effettivamente    svolte,    non    percepita   per   l'inadeguatezza
dell'inquadramento  provvisorio rivelata da quello definitivo; c) che
su  tali  somme  sarebbero  dovuti,  dalla  stessa data al pagamento,
interessi e rivalutazione monetaria.
    L'applicazione  di  questi  principi e' pero' impedita, ad avviso
dei  rimettenti, dalla norma del citato comma 4 dell'art. 26, secondo
cui   le  somme  in  esame  "non  danno  luogo  ad  interessi  ne'  a
rivalutazione monetaria".
    7. - La questione concernente tale norma e' fondata.
    Alcune  ordinanze  prospettano  la  violazione dell'art. 3 Cost.,
dubitando  che  la norma possa qualificarsi (come vorrebbe la rubrica
dell'art. 26)  in termini di interpretazione autentica, con efficacia
per  cio'  solo  retroattiva,  e  la  ritengono  invece  innovativa e
retroattiva.
    La Corte ha pero' affermato (per tutte, sentenza n. 229 del 1999)
che  -  ai fini del controllo di legittimita' costituzionale sotto il
profilo  della ragionevolezza - non assume valore decisivo verificare
se  una  norma  abbia  efficacia  retroattiva  in  quanto  di  natura
realmente  interpretativa,  ovvero  si  connoti  come  innovativa con
efficacia   retroattiva.  E  -  sulla  premessa  che  il  divieto  di
retroattivita'  della  legge,  pur costituendo fondamentale valore di
civilta'  giuridica  e  principio  generale  dell'ordinamento, non e'
stato tuttavia elevato a dignita' costituzionale, salva la previsione
dell'art. 25 della Costituzione in materia penale - ha precisato che,
nel  rispetto  di  tale  limite,  ben puo' il legislatore porre norme
retroattive  (interpretative  o  innovative  che  siano),  purche' la
retroattivita'   trovi   adeguata  giustificazione  sul  piano  della
ragionevolezza   e   non  contrasti  con  altri  valori  e  interessi
costituzionalmente protetti.
    Orbene,  la  norma del comma 4 - che, in caso di inadempimento di
particolari   obbligazioni,  nega  interessi  e  rivalutazione  -  e'
palesemente  retroattiva,  alla stregua del comma 5: questo infatti -
disponendo  che,  fatti  salvi  i  giudicati,  le  somme  corrisposte
(evidentemente  prima del sopraggiungere del divieto) sono recuperate
sui   futuri  miglioramenti  -  assoggetta  a  ripetizione  pagamenti
anteriori  all'entrata  in  vigore  della nuova disciplina ed esclude
cosi'  che il comma 4 possa negare gli accessori solo a partire dalla
sua entrata in vigore.
    7.1.  -  Di  questa  disciplina (retroattiva) occorre valutare la
conformita'  al principio di ragionevolezza, posto dall'art. 3 Cost.,
verificando l'effettivita' delle denunciate discriminazioni.
    Dal  confronto  fra la situazione degli appartenenti al "comparto
ministeri"   e   quella   degli   altri  dipendenti  delle  pubbliche
amministrazioni,  o (in una prospettiva piu' ampia) dei lavoratori in
genere, emerge come la norma impugnata ponga i primi in una posizione
sicuramente deteriore.
    Infatti  il  "personale del comparto ministeri" quanto ai crediti
per differenze retributive da inquadramento definitivo, e' totalmente
sottratto alla regola che garantisce a tutti i lavoratori, dipendenti
da  privati  o da pubbliche amministrazioni, in caso di inadempimento
di   obbligazioni  retributive,  gli  interessi  e  la  rivalutazione
monetaria,  nella  misura  piu'  ampia di cui all'art. 429 cod. proc.
civ.  o,  per  i crediti maturati dopo il 31 dicembre 1994, in quella
piu'  ristretta  prevista  dall'art. 22, comma 36, della legge n. 724
del  1994.  Ed e' indifferente che non sempre risulti dalle ordinanze
se  i  crediti  fatti  valere  abbiano  subito  questa successione di
disciplina,   poiche'   la   norma   impugnata  esclude  radicalmente
l'operativita' di quella regola.
    Ma,  piu'  in  generale,  il diniego di interessi e rivalutazione
comporta per il personale in esame una posizione deteriore rispetto a
qualsiasi  altro  creditore  di  somma  di  danaro,  tenuto conto che
l'art. 1224  cod.  civ.  collega all'inadempimento delle obbligazioni
pecuniarie  l'effetto  normale della corresponsione degli interessi e
quello  eventuale  del  risarcimento  del maggior  danno,  nel  quale
rientra il pregiudizio da perdita di valore della moneta.
    Questo  trattamento sfavorevole e' ancor piu' rilevante alla luce
della  giurisprudenza della Corte, secondo cui il particolare risalto
accordato   dalla   Costituzione   al  diritto  del  lavoratore  alla
retribuzione  (art. 36,  comma 1) esige che al credito retributivo si
appresti   "una   effettiva   specialita'  di  tutela  rispetto  alla
generalita'  degli  altri  crediti"  ed in particolare una disciplina
privilegiata  delle  conseguenze dell'inadempimento dell'obbligazione
retributiva,  con la previsione di "un meccanismo di riequilibrio del
vantaggio  patrimoniale indebitamente conseguito dal datore di lavoro
attraverso  l'inadempimento"  (sentenza n. 459 del 2000), in funzione
di  "remora a pratiche ritardatrici del pagamento" possibili anche da
parte del datore di lavoro pubblico (cfr. sentenza n. 207 del 1994).
    7.2.  - L'Avvocatura dello Stato sostiene che la norma denunciata
non sarebbe irragionevolmente discriminatoria, perche' determinata da
esigenze di contenimento della spesa pubblica.
    Tale allegazione e' del tutto generica, riducendosi in sostanza a
richiamare   l'esigenza   di   tener   conto   della   giurisprudenza
amministrativa che, per l'inadempimento dell'obbligazione retributiva
da  inquadramento,  faceva  decorrere  gli accessori dalla data della
deliberazione  dell'indicata  Commissione  e  non  dai  provvedimenti
individuali.   Non   viene   minimamente   spiegato   come   siffatto
orientamento  possa  avere  giustificato  la  sottrazione radicale di
taluni  crediti  retributivi  - in quanto tali meritevoli, ex art. 36
Cost.,   di  trattamento  privilegiato  -  alla  disciplina  generale
dell'inadempimento  prevista non solo per le retribuzioni degli altri
dipendenti  pubblici e dei lavoratori in genere, ma addirittura per i
comuni crediti pecuniari di ogni altro cittadino.
    Alla rilevata totale genericita' del riferimento alle esigenze di
bilancio,  consegue  che  la  Corte non debba soffermarsi sul se e in
quali   limiti   esse  possano  eventualmente  incidere  sui  crediti
retributivi del settore del lavoro pubblico.
    7.3.  -  Conseguentemente, l'art. 26, comma 4, della legge n. 448
del  1998  -  in quanto prevede che le somme corrisposte al personale
del "comparto ministeri" per effetto dell'inquadramento definitivo ex
art. 4,  ottavo  comma,  della legge n. 312 del 1980, non danno luogo
ne'  ad  interessi  ne'  a  rivalutazione  monetaria  -  deve  essere
dichiarato  costituzionalmente  illegittimo,  per  contrasto  con gli
artt. 3 e 36 della Costituzione Resta assorbito ogni altro profilo di
censura.
    La  dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma  non  incide,
naturalmente,  sulla  determinazione  del dies a quo della decorrenza
degli  accessori,  individuato  dal "diritto vivente" nell'8 novembre
1988.
    7.4.  -  L'accertata  illegittimita' dell'art. 26, comma 4, della
legge  n. 448  del  1998,  con  riferimento alle somme corrisposte al
personale del comparto ministeri, comporta anche l'accoglimento della
questione  relativa  al  comma  5,  la cui applicazione presuppone la
vigenza del comma 4.
    8.  -  La  seconda  questione  riguarda  la  norma - di contenuto
identico   rispetto   a  quella  finora  esaminata  -  dettata  dalla
disposizione  impugnata  per  i crediti relativi alle somme liquidate
sui  trattamenti  pensionistici,  in  applicazione  della sentenza di
questa Corte n. 1 del 1991.
    Tale  sentenza  -  ritenuto  che l'art. 3, primo comma, del d.-l.
16 settembre  1987,  n. 379,  convertito  in  legge 14 novembre 1987,
n. 468, aveva irrazionalmente discriminato fra dirigenti dello Stato,
concedendo la riliquidazione della pensione solo a quelli collocati a
riposo  dopo  il 1 gennaio 1979 - lo ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo,  nella  parte  in  cui  non  disponeva  che ai dirigenti
collocati   a   riposo  prima  di  tale  data  la  pensione,  a  cura
dell'amministrazione,  fosse riliquidata in base agli stipendi dovuti
per effetto di norme sopravvenute.
    Le  ordinanze rilevano che i crediti nascenti da questa decisione
hanno  natura  previdenziale,  per  cui  -  senza  la soppressione di
qualsiasi accessorio disposta dalla norma impugnata, avente efficacia
retroattiva  -  il  loro ritardato adempimento sarebbe stato regolato
prima   dall'art. 429   cod.   proc.  civ.  (applicabile  ai  crediti
previdenziali  per  effetto  della sentenza n. 156 del 1991 di questa
Corte), e poi dall'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991.
    8.1.  -  La  questione  e'  fondata,  pur se per ragioni in parte
distinte da quelle indicate in precedenza.
    I  crediti in questione infatti - essendo di natura previdenziale
e  non  retributiva  -  ricadono  sotto  la tutela dell'art. 38 della
Costituzione  e,  rispetto ad essi, le esigenze del bilancio pubblico
(a  carico  del  quale  il  sistema  previdenziale  e' in buona parte
finanziato)  potrebbero,  in  via  di  principio,  spiegare rilevanza
(sentenze  numeri  327 del 1999, 417 del 1998, 211, 138 del 1997, 361
del 1996, 320 del 1995).
    Peraltro,  ed  e'  argomento decisivo, la norma in esame non mira
affatto  a  contemperare  esigenze  di  bilancio  e tutela di crediti
previdenziali,   ma   si   limita   ad   escludere   totalmente,  per
l'inadempimento di alcuni di essi, ogni prestazione accessoria.
    8.2.  -  La  sottrazione dei crediti pensionistici nascenti dalla
sentenza   n. 1   del  1991  al  regime  generale  delle  conseguenze
dell'inadempimento   si   risolve   in   un  trattamento  palesemente
differenziato   rispetto   a  quello  di  tutti  gli  altri  crediti,
previdenziali e non previdenziali.
    Tale  differenza  - una volta esclusa la rilevanza delle esigenze
di bilancio - e' priva di ragionevolezza
    La  Corte  ha  altre  volte  esaminato, in materia previdenziale,
norme  analoghe  a  quella di cui si discute. E, quando ne ha escluso
l'incostituzionalita',   ha  posto  in  luce  le  peculiarita'  della
fattispecie,   sottolineando  (sentenza  n. 138  del  1997)  come  si
trattasse di intervento legislativo di carattere costitutivo, imposto
da  precedente  pronuncia che aveva riconosciuto a taluni soggetti la
titolarita'   di   un   diritto,  lasciando  pero'  all'apprezzamento
discrezionale  del  legislatore  di  fissare  "la  misura, i modi e i
tempi" della sua realizzazione.
    Per  contro,  nella  specie  -  pur se gli accessori negati dalla
norma  impugnata  riguardano  crediti  previdenziali  nascenti  dalla
citata  sentenza della Corte - mancava uno spazio di discrezionalita'
che   consentisse   nuove   disposizioni   legislative   a  carattere
costitutivo,  necessaria  e sufficiente essendo l'applicazione in via
amministrativa di quelle vigenti, come emendate dalla sentenza.
    Ne'  a  salvare  la  norma  puo'  valere il precedente - invocato
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  della sentenza n. 320 del
1995,  che  non  riguardava  crediti  per  prestazioni previdenziali,
bensi' pretese creditorie di restituzione di indebito.
    Infine, nemmeno ricorre la situazione che, di recente, ha indotto
la Corte a ritenere infondata (sentenza n. 310 del 2000) la questione
di    costituzionalita'    della   disciplina   (contenuta   peraltro
nell'art. 36,  comma  1,  della stessa legge di cui fa parte la norma
impugnata)   con  cui  il  legislatore,  intervenendo  a  seguito  di
precedenti  sentenze,  ha  regolato in ben diverso modo gli accessori
sul  trattamento  pensionistico  corrisposto in ritardo, riconoscendo
interessi in misura forfettariamente determinata.
    9.  -  E, quindi, l'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998
deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 3  Cost.,  (anche) in quanto prevede che le somme liquidate
sui  trattamenti  pensionistici  in applicazione della sentenza della
Corte  n. 1  del  1991 non danno luogo ad interessi e a rivalutazione
monetaria.
    Restano assorbiti gli altri profili di censura.
    10.  - Pertanto, entrambe le categorie di crediti considerate dal
comma   4   del  citato  art. 26  rimangono  assoggettate  -  per  le
conseguenze  dell'inadempimento  o  del  ritardato adempimento - alla
disciplina  normale,  correlata  alla  loro  natura  (rispettivamente
retributiva   e   previdenziale)   anche   per   quanto  riguarda  le
modificazioni  legislative  al  riguardo intervenute, ove in concreto
idonee a regolarle.
    11.   -   La   dichiarazione   di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, per gli interessi
e la rivalutazione sulle somme liquidate in esecuzione della sentenza
di questa Corte n. 1 del 1991, comporta - ai sensi dell'art. 27 della
legge  11 marzo  1953,  n. 87  -  la  consequenziale dichiarazione di
illegittimita'  costituzionale  del successivo comma 5, non impugnato
da  alcuna  ordinanza relativamente a quanto dispone circa i suddetti
accessori.  Il  comma  5,  infatti,  concerne  le somme corrisposte a
titolo  di  interessi  e  rivalutazione in difformita' dal comma 4 e,
come  tale, concorre a integrare la disciplina da questo introdotta e
non  puo'  trovare  autonoma applicazione, per cui partecipa dei vizi
che di quello hanno determinato la caducazione e ne resta travolto.