ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 6,
della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina dell'immigrazione e norme
sulla  condizione  dello straniero), promosso con ordinanza emessa il
19 aprile  2000  dal tribunale di Parma sul ricorso proposto da Antwi
George  Kwabena,  iscritta  al  n. 311  del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1a serie
speciale, dell'anno 2000.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri.
    Udito  nella  camera di consiglio del 29 novembre 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  il  tribunale di Parma, nel corso del procedimento
promosso   da   un  soggetto  extracomunitario  il  quale,  ai  sensi
dell'art. 28,  comma  6,  della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla condizione dello straniero), aveva
presentato   ricorso   avverso   il   mancato   rilascio   da   parte
dell'autorita'  amministrativa  competente  del  visto di ingresso in
Italia  al  proprio  figlio  per il ricongiungimento con i genitori -
istanza  presentata  alla Questura di Parma il 2 gennaio 1998, quando
il  figlio  era  ancora  minore - ha sollevato, con ordinanza in data
19 aprile  2000  (r.o.  n. 311  del  2000), questione di legittimita'
costituzionale,   in   riferimento  agli  artt. 3,  24  e  113  della
Costituzione,  dell'art  28,  comma  6,  della citata legge n. 40 del
1998, nella parte in cui prevede che contro il diniego del nulla osta
al  ricongiungimento  familiare l'interessato puo' presentare ricorso
al  pretore  del luogo in cui risiede, il quale provvede, dopo averlo
sentito, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti cod. proc. civ., e
che  il decreto che accoglie il ricorso puo' disporre il rilascio del
visto anche in assenza del nulla osta;
        che  il  giudice  rimettente  osserva  che,  pur  non essendo
costituzionalizzato  il  principio della separazione dei poteri dello
Stato,  e  pur  non  ignorando l'ordinamento ipotesi normative, quali
quelle  previste  dagli  artt. 454 e 2884 cod. civ., e 537 cod. proc.
pen.,  nelle  quali  e' consentito al giudice ordinario di imporre un
facere  specifico all'amministrazione, in deroga ai principi generali
espressi  dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, cio' accadrebbe
solo  ove  si  tratti  di  "inderogabilmente  conformare alla realta'
effettuale  accertata  la  corrispondente  segnalazione pubblicitaria
ovvero  documentale",  senza  che  residui  in  capo  alla p.a. alcun
margine   di  discrezionalita'  in  ordine  alla  ponderazione  e  al
bilanciamento  degli  interessi  pubblici  da  perseguire  con quelli
privatistici coinvolti;
        che  la  disposizione  impugnata,  invece,  consentirebbe  al
giudice   ordinario  di  sostituirsi  alla  p.a.  nel  compimento  di
valutazioni  squisitamente  discrezionali,  quali  l'accertamento del
possesso  di  determinati  requisiti in capo ai familiari di colui al
quale  sia  stato  negato,  o  nei  cui  confronti  si  sia omesso di
concedere,  il  visto,  e l'apprezzamento di particolari condizioni o
stati  personali,  come la sussistenza di precedenti penali nel Paese
di provenienza, ovvero di patologie epidemiche;
        che,  a  norma della disposizione impugnata, che richiama gli
artt. 737  e  seguenti  cod.  proc.  civ.,  il  giudice investito del
ricorso  di  cui  all'art. 28,  comma  6,  della legge n. 40 del 1998
dovrebbe   limitarsi   all'assunzione  di  sommarie  informazioni  da
fornirsi,  a  termini  dell'art. 213  cod.  proc.  civ., dalla stessa
amministrazione,  sicche'  la  inerzia  e  la mancata cooperazione di
questa  non  potrebbero essere in alcun modo superate dal giudice con
l'applicazione  della regola decisoria posta dall'art. 2697 cod. civ.
o dall'art. 116 cod. proc. civ;
        che    sotto   tale   profilo   emergerebbe,   altresi',   la
irragionevolezza del modulo procedimentale prescelto dal legislatore,
il   quale  non  fornirebbe  al  giudice  gli  indispensabili  poteri
istruttori  al  fine di consentirgli di esercitare consapevolmente la
funzione  giurisdizionale in ordine alla decisione del ricorso di cui
si tratta;
        che  nel  giudizio  ha  spiegato intervento il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
dello  Stato,  che  ha  concluso per la infondatezza della questione,
osservando  che  la  tutela  dei  diritti  ed  interessi legittimi e'
assicurata  dagli artt. 24 e 113 della Costituzione: quest'ultimo, in
particolare,  prevede  che sia la legge a determinare quali organi di
giurisdizione  possano  annullare  gli atti della p.a. nei casi e con
gli  effetti  previsti  dalla  legge  stessa;  che  la legge n. 2248,
allegato E, del 1865 fa divieto al giudice ordinario di disporre tale
annullamento,   salvo  eccezioni,  e  che  la  tendenza  dell'attuale
ordinamento   e'  nel  senso  di  moltiplicare  dette  eccezioni,  in
corrispondenza  con l'ampliamento dei casi di giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo;
        che,  pertanto,  il  diritto  di difesa risulterebbe non gia'
vulnerato,  ma,  al  contrario,  potenziato dalla normativa in esame,
mentre   in   ordine   alla   pretesa   lesione   del   principio  di
ragionevolezza,  l'autorita' intervenuta rileva che nel conflitto tra
valori  di  rilevanza  costituzionale spetta al legislatore la scelta
discrezionale del punto di bilanciamento e del momento di prevalenza:
nella  specie,  il  legislatore  avrebbe  ritenuto di privilegiare il
valore dell'unita' familiare.
    Considerato  che  non  esiste  un  principio  costituzionale  che
escluda  la possibilita' per il legislatore ordinario, in determinati
casi (rimessi alla scelta discrezionale dello stesso legislatore), in
sede   di   affidamento  della  tutela  giurisdizionale  dei  diritti
soggettivi   nei   confronti   della   pubblica  amministrazione,  di
attribuire  al  giudice  ordinario  anche un potere di annullamento e
speciali   effetti  talora  sostitutivi  dell'azione  amministrativa,
inadempiente  rispetto  a diritti che lo stesso legislatore considera
prioritari,  anche se cio' puo' comportare la necessita' da parte del
giudice  di  valutazioni ed apprezzamenti non del tutto vincolati, ma
sempre  riguardanti  situazioni  regolate  da una serie di previsioni
legislative, che prevedano espressamente l'esercizio di tali poteri;
        che  anzi  la  norma  in  discussione puo' inquadrarsi - come
ritenuto  anche dalla Avvocatura generale dello Stato - come esempio,
ormai  non  del tutto isolato, applicativo della specifica previsione
dell'art. 113,  terzo  comma,  della  Costituzione, soprattutto nella
tendenza  di rafforzare la effettivita' della tutela giurisdizionale,
in  modo  da  renderla immediatamente piu' efficace, anche attraverso
una   migliore   distribuzione   delle   competenze  ed  attribuzioni
giurisdizionali,  a  seconda  delle  esigenze  delle materie prese in
considerazione  (e cio' puo' valere sia per il giudice ordinario, sia
per il giudice amministrativo);
        che al giudice ordinario il legislatore ha voluto affidare la
tutela  relativa  al  diritto all'unita' familiare (comprensiva della
protezione  dei  minori:  art. 26  della  legge  6 marzo 1998, n. 40,
divenuto   art. 28   del   t.u.  delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina   della   immigrazione  e  norme  sulla  condizione  dello
straniero,  emanato  con d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) espressamente
riconosciuto agli stranieri regolarmente presenti in Italia, titolari
di  carta  di  soggiorno  o  di  permesso  di soggiorno di durata non
inferiore ad un anno, rilasciato per lavoro (oltre ad altre ipotesi);
        che    i    casi    di    ricongiungimento   familiare   sono
dettagliatamente   previsti   dalla   legge   e   accompagnati  dalla
prescrizione  che  lo straniero dia dimostrazione di requisiti sia di
disponibilita'  di  alloggio,  sia di reddito adeguato (artt. 27 e 28
della  legge  n. 40 del 1998; v., in precedenza, l'art. 4 della legge
30 dicembre   1986,   n. 943,  cui  fa  riferimento  l'istanza  dello
straniero presentata alla Questura competente);
        che  lo straniero, che invochi il ricongiungimento familiare,
ha  l'onere  di dare ogni collaborazione all'autorita' amministrativa
cui   abbia   avanzato   richieste,  fornendo  quelle  indicazioni  e
documentazione,  in sua disponibilita', anche sugli altri presupposti
per  il  ricongiungimento,  come  ad  esempio  la  prova del rapporto
familiare  e  la sussistenza di determinate situazioni previste dalla
legge,  a  seconda  delle  diverse ipotesi: per i figli, minore eta',
vivenza  a  carico  e  stato libero (argomentando anche dall'art. 27,
comma  7, che prescrive che la domanda sia corredata dalla prescritta
documentazione);
        che  restano,  in  ogni  caso,  pienamente  efficaci le altre
previsioni   legislative   (che   esulano  dall'ambito  della  tutela
giurisdizionale  in esame), che inibiscono l'ingresso di stranieri in
via  generale  e  sono  applicabili  per lo straniero, che invochi il
ricongiungimento familiare, anche al momento dell'ingresso in Italia:
la mancanza di possesso di passaporto valido o documento equipollente
(art. 4, comma 1), il fatto che il soggetto straniero sia considerato
una  minaccia  per  l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di
uno  dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per il
controllo delle frontiere, o sia segnalato, ai fini del respingimento
o  della  non  ammissione,  per  gravi  motivi di ordine pubblico, di
sicurezza  nazionale  e  di  tutela  delle  relazioni  internazionali
(art. 4,  commi  3  e  6,  della legge n. 40 del 1998; restando dette
ipotesi  di  "respingimento"  sotto  il  controllo  della  polizia di
frontiera ex art. 8, comma 1, della legge n. 40 del 1998);
        che  deve  essere  sottolineato che le esigenze di tutela del
nucleo  familiare,  individuate  dal  legislatore, cedono di fronte a
quelle  di  ordine  pubblico  o  di  sicurezza  dello Stato, che sono
affermate   nell'art. 11,  comma  1,  della  legge  n. 40  del  1998,
richiamato espressamente dall'art. 17, comma 2. Infatti tale norma fa
comunque  salvo, in tutti i casi, il potere del Ministro dell'interno
di  disporre l'espulsione dello straniero (sentenza n. 376 del 2000);
per   la  cui  tutela  peraltro  e'  previsto  ricorso  al  Tribunale
amministrativo regionale del Lazio e non lo speciale ricorso nei modi
degli  articoli  737  e  seguenti  del  codice  di  procedura  civile
(art. 11, comma 11, della legge n. 40 del 1998);
        che,    allo    stesso    modo,    i    profili   di   ordine
sanitario-epidemico   sono  valutati  dalle  autorita'  sanitarie  di
frontiera  e non rientrano nelle competenze e nella verifica affidata
al  giudice  ordinario  in  sede  di controllo sulla legittimita' dei
motivi di rifiuto e sul diritto al ricongiungimento;
        che  il  giudice  della  particolare procedura ex artt. 737 e
segg.  cod.  proc.  civ.,  in  camera  di  consiglio,  per ragioni di
speditezza  e  semplificazione  senza  formalismi  non essenziali, ma
comunque  idonea  ad  assicurare  il  rispetto dell'essenzialita' del
contraddittorio  e  delle  altre  generali regole processuali, con la
possibilita'      di      partecipazione      dell'interessato      e
dell'amministrazione  del  cui rifiuto si discute la legittimita', si
puo'  avvalere  della  documentazione  che  lo  straniero  deve  aver
presentato, in sede di istanza originaria, alla questura competente e
da  questa  normalmente sottoposta all'esame del giudice in occasione
del  ricorso (appena ne venga informata) nonche' della documentazione
che  in  sede  del  ricorso  o  successivamente  abbiano  prodotto lo
straniero  o  la  pubblica  amministrazione,  sulla base dei generali
principi  di  onere  della  prova  e della disponibilita' delle prove
stesse;
        che  il  potere  del  giudice  -  previsto  dalla  legge - di
"assumere  informazioni"  senza  alcuna  ulteriore specificazione del
destinatario,   dell'oggetto   e  del  mezzo  della  richiesta  anche
telematico  o  telefonico (rimesso in altri termini ad uno spirito di
iniziativa  del  giudice), deve intendersi molto piu' ampio di quello
dell'art. 213 cod. proc. civ. (previsto come richiesta esclusivamente
alla  pubblica  amministrazione  di  informazioni scritte relative ad
atti e documenti gia' in possesso dell'amministrazione stessa, che e'
necessario acquisire al processo);
        che,   infatti,  il  potere  di  "assumere  informazioni"  e'
utilizzabile  nei  confronti di qualsiasi soggetto od ente pubblico o
privato,  operante nel settore dell'immigrazione e dell'assistenza ed
in  grado  di  fornire elementi con il carattere di affidabilita' per
una piu' sollecita definizione dei profili controversi del ricorso;
        che  la  scelta  e  l'esercizio  della  facolta'  di assumere
informazioni  da parte del giudice, in sede di procedimenti in camera
di  consiglio,  in  nessun  caso  puo' essere essere considerato come
unico  sistema  di  acquisizione  di elementi di prova nello speciale
procedimento,  permanendo  a  carico  dei  soggetti  interessati alla
definizione   del   ricorso   gli   ordinari  oneri  probatori  e  la
possibilita'  di  valutazione  da parte del giudice del comportamento
processuale   degli   stessi   soggetti,   tenendosi   presente   che
nella maggior  parte  dei  casi  gli  oneri  possono essere adempiuti
mediante  produzioni  documentali  o, se riguardanti la materia della
famiglia,  lavoro o reddito, mediante relazioni di assistenti sociali
o  di  incaricati  di istituzioni che operano nel settore (degli enti
locali,  degli  uffici  del  lavoro,  delle regioni e delle provincie
autonome, degli uffici fiscali);
        che  pertanto  deve  escludersi  che  vi  sia  una  manifesta
irragionevolezza nel modulo procedimentale utilizzato dal legislatore
(che  fornisce  idonei  strumenti),  non  potendosi dedurre sul piano
costituzionale  la  illegittimita'  di  una  norma  sulla base di una
semplice previsione di cattiva o difficoltosa attuazione a seguito di
futuro   inadempimento  o  malfunzionamento  di  altri  organi  della
pubblica amministrazione;
        che  detta  inerzia  o  mancata  cooperazione  da parte della
pubblica amministrazione e' peraltro allo stato di mera supposizione,
in mancanza, nell'ordinanza di rimessione e negli atti allegati dallo
stesso giudice, di qualsiasi menzione o traccia di richieste da parte
del giudice a quo sia alla Questura di Parma (Ufficio stranieri), sia
allo  straniero richiedente che dovrebbe essere sentito, sia a locali
istituzioni  per  i  presupposti verificabili in Italia (anche per la
indicazione  del luogo di residenza o dimora del figlio e se a carico
o  meno),  sia  alla  "rappresentanza  italiana diplomatico consolare
competente",  anche  per  verificare  se  il  soggetto interessato al
ricongiungimento  (ormai non piu' minore) abbia attivato la procedura
di  richiesta  di  visto  di ingresso prevista dall'art. 27, comma 8,
della  legge  n. 40  del  1998  (come del resto da annotazione invito
sulla ricevuta di domanda);
        che  pertanto  la  questione sollevata deve essere dichiarata
manifestamente  infondata  sotto tutti i profili denunciati (artt. 3,
24 e 113 della Costituzione).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.