ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 17 (Pene principali: specie), 18 (Denominazione e classificazione delle pene principali) e 24 (Multa) quest'ultimo come sostituito dall'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 del codice penale, dell'art. 660 (Esecuzione delle pene pecuniarie) del codice di procedura penale e degli artt. 102 e 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza emessa il 21 giugno 2000 dal tribunale di sorveglianza per i minorenni di Napoli, iscritta al n. 606 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1a serie speciale, dell'anno 2000. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il giudice relatore Valerio Onida. Ritenuto che, con ordinanza emessa il 21 giugno 2000, pervenuta a questa Corte l'11 settembre 2000, il tribunale per i minorenni di Napoli, in funzione di tribunale di sorveglianza, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, degli artt. 17 (Pene principali: specie), 18 (Denominazione e classificazione delle pene principali) e 24 (Multa) quest'ultimo come sostituito dall'art. 101 della legge 24 novembre 1981, n. 689 del codice penale "nei limiti in cui non escludono l'applicabilita' della pena pecuniaria all'imputato minorenne", nonche' dell'art. 660 (Esecuzione delle pene pecuniarie) del codice di procedura penale e degli artt. 102 e 108 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), "nei limiti in cui non escludono l'applicabilita' ai condannati da minorenne della conversione della pena pecuniaria in pena diversa"; che il remittente, chiamato a pronunciarsi sulla revoca, a carico di un condannato per fatto commesso durante la minore eta', della liberta' controllata - in cui era stata in precedenza convertita, per insolvibilita', la pena pecuniaria inflitta - per mancato rispetto delle relative prescrizioni, ritiene che le norme impugnate violino il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, non apparendo conforme a logica che un minorenne possa essere condannato ad una pena, quella pecuniaria, che, salvo il caso di intervento di parenti, non sarebbe per il condannato eseguibile, non avendo egli, proprio perche' minorenne, disponibilita' economica; che tale irragionevolezza emergerebbe anche dal confronto con le norme (art. 10 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448; art. 29 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272) che, rispettivamente, escludono l'esercizio dell'azione civile nel processo penale minorile, ed escludono che l'imputato minorenne possa essere condannato a rifondere le spese di giudizio e quelle di mantenimento in carcere, norme la cui ratio risiederebbe nel riconoscimento della incapacita' economica del minorenne: cio' renderebbe ancor piu' irrazionale la possibilita', derivante dalle norme impugnate, di condannare il minorenne a pena pecuniaria che, in caso di insolvibilita', si converte dapprima in liberta' controllata e poi in pena detentiva, ipotesi - quest'ultima - che non sarebbe marginale in quanto sarebbe "pressoche' inevitabile" che il giovane condannato violi le prescrizioni, specie quando la liberta' controllata sia applicata per un tempo non breve; che, sempre ad avviso del giudice a quo le norme impugnate violerebbero altresi' l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, in quanto la possibilita' di infliggere una pena pecuniaria contrasterebbe con il principio di rieducativita' della pena, posto alla base del sistema sanzionatorio minorile, e con il principio di minima afflittivita' del processo penale per il minorenne, cui si ispirerebbe il sistema normativo; detta pena non avrebbe funzione rieducativa, sia per la impossibilita' per il minore di sottoporvisi, sia per il rischio che sarebbe quasi una certezza di trasformazione dapprima in una limitazione della liberta', e poi nel carcere; che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata. Considerato che il tribunale di sorveglianza remittente non e' chiamato ad applicare, nel giudizio a quo - concernente la conversione della liberta' controllata in pena detentiva per inosservanza delle relative prescrizioni, a norma dell'art. 108 della legge n. 689 del 1981 - ne' gli artt. 17, 18 e 24 del codice penale, che prevedono le pene pecuniarie senza escluderle per gli imputati minorenni, e che hanno trovato gia' applicazione nel giudizio di cognizione con la condanna inflitta, e divenuta definitiva, a pena pecuniaria; ne' l'art. 660 cod. proc. pen. e l'art. 102 della legge n. 689 del 1981, che hanno trovato gia' applicazione ad opera del competente magistrato di sorveglianza, il quale ha provveduto alla conversione della pena pecuniaria in liberta' controllata per insolvibilita' del condannato; che pertanto la questione, relativamente alle predette norme, e' manifestamente inammissibile per difetto palese di rilevanza; che, quanto all'art. 108 della legge n. 689 del 1981 - del quale unicamente il tribunale e' chiamato a fare applicazione nella specie, - la questione (peraltro prospettata, anche a questo riguardo, con prevalente riferimento al problema della legittimita' di una condanna a pena pecuniaria nel caso di imputato che abbia commesso il fatto in eta' minore, e con riferimento alla "incapacita' economica" del minore, affermata senza tener conto della distinzione fra incapacita' di agire, a certi effetti, del minorenne e titolarita' da parte sua - che puo' sussistere - di beni e di redditi) appare comunque priva di consistenza; che, infatti, in primo luogo, le prescrizioni inerenti alla liberta' controllata (che peraltro, quando il condannato sia minorenne al momento in cui inizia l'esecuzione, e' eseguita, ai sensi dell'art. 75 della legge n. 689 del 1981, nelle forme dell'affidamento in prova al servizio sociale) sono determinate, in parte, dal magistrato di sorveglianza che provvede alla conversione della pena pecuniaria (art. 107, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, che rinvia all'art. 62 della stessa legge), e puo' quindi adattare le prescrizioni medesime alla situazione individuale del condannato in funzione delle esigenze della sua risocializzazione, e modificarle per sopravvenuti motivi di assoluta necessita' (art. 64, primo comma, della legge n. 689 del 1981); che, comunque, non appare in fatto fondata l'asserzione del remittente, secondo cui la violazione delle prescrizioni da parte del giovane condannato sarebbe "pressoche' inevitabile" specie quando la liberta' controllata sia applicata per un tempo non breve; dovendosi inoltre sempre apprezzare in concreto, in sede di decisione sulla conversione della liberta' controllata per inosservanza delle prescrizioni, il carattere sostanziale della violazione, al di fuori di un totale e cieco automatismo; che, in ogni caso, l'ipotesi della conversione della liberta' controllata in pena detentiva non e' affatto inevitabile, posto che e' sempre possibile disporre, in suo luogo, l'affidamento al servizio sociale, oltre che la semiliberta', non operando, nel caso di conversione della liberta' controllata derivante a sua volta da conversione di pena pecuniaria, il divieto (peraltro comunque inapplicabile ai condannati minorenni, in forza della sentenza n. 109 del 1997) di cui all'art. 67 della legge n. 689 del 1981 (art. 108, primo comma, ultimo periodo, della legge n. 689 del 1981: e cfr. in proposito ordinanza n. 418 del 1990); che la questione deve dunque dichiararsi in parte manifestamente inammissibile e in parte manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.