ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  sorto  a seguito del
decreto  19 ottobre  1998  del Presidente del Consiglio dei ministri,
recante  "Definizione  dei  criteri e delle modalita' di ripartizione
delle  risorse  del  Fondo  nazionale di intervento per la lotta alla
droga  per gli esercizi finanziari 1997 e 1998", promosso con ricorso
della Regione Lombardia, notificato il 2 febbraio 1999, depositato in
cancelleria  il  17  successivo  ed  iscritto  al  n. 9  del registro
conflitti 1999.
    Visto  l'atto  di  costituzione  del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  udienza  pubblica  del  20 febbraio 2001 il giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi  gli  avvocati Giuseppe F. Ferrari e Massimo Luciani per la
Regione  Lombardia  e l'Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  del  29 gennaio  1999  la Regione Lombardia ha
sollevato  conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  in  relazione  all'adozione  del  d.P.C.m.
19 ottobre  1998,  pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 4 dicembre
1998,  n. 284,  recante "Definizione dei criteri e delle modalita' di
ripartizione  delle  risorse del Fondo nazionale di intervento per la
lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998".
    2. - La  ricorrente richiama, in via preliminare, gli artt. 117 e
118  della  Costituzione, che attribuiscono alle Regioni ordinarie la
materia   della  "beneficenza  pubblica  e  assistenza  sanitaria  ed
ospedaliera",  per rilevare poi che essa rientra nel settore organico
dei  "servizi  sociali"; nozione, quest'ultima, ridefinita dal d.lgs.
31 marzo  1998,  n. 112,  e  comprensiva dei "servizi alla persona ed
alla comunita'".
    La  programmazione  e la gestione dei servizi socio-assistenziali
sono  state da sempre attribuite alle regioni, per effetto del d.P.R.
14 gennaio  1972, n. 4 e del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 9, del d.P.R.
24 luglio  1977, n. 616, della legge di riforma sanitaria 23 dicembre
1978,  n. 833,  e,  da  ultimo,  del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502.
Prosegue  la ricorrente osservando che, in questo piu' ampio settore,
le  funzioni  di  prevenzione  ed intervento contro l'uso di sostanze
stupefacenti  e  psicotrope  sono state riconosciute alla regione per
effetto  del  d.P.R.  9 ottobre  1990, n. 309, con il solo limite dei
criteri    di    indirizzo    e    di    coordinamento    provenienti
dall'amministrazione dello Stato.
    L'art. 127  di  tale  d.P.R.  ha previsto l'istituzione presso la
Presidenza  del  Consiglio dei ministri di un fondo denominato "Fondo
nazionale   di   intervento   per   la  lotta  alla  droga",  per  il
finanziamento  di  progetti  curati  dalle  diverse amministrazioni e
finalizzati  alla  realizzazione degli obiettivi del testo unico. Con
la  legge 27 dicembre 1997, n. 449, collegata alla finanziaria per il
1998,  le risorse del fondo sono confluite nel fondo per le politiche
sociali, successivamente denominato dal d.lgs. n. 112 del 1998 "Fondo
nazionale  per  le  politiche  sociali",  tra  le  cui  finalita'  si
annoverano   anche   quella  di  "promozione  di  interventi  per  la
realizzazione  di  standard  essenziali  ed  uniformi  di prestazioni
sociali   su   tutto  il  territorio  dello  Stato"  concernenti  "la
prevenzione ed il trattamento delle tossicodipendenze".
    Ai  sensi  dell'art. 59,  comma  46, della legge n. 449 del 1997,
come  novellato dal d.lgs. n. 112 del 1998, alla ripartizione annuale
delle  risorse  confluite nel fondo si sarebbe provveduto con decreto
del  Ministro  della  solidarieta'  sociale,  da  emanarsi  sentiti i
ministri  interessati  e  sentita  la  conferenza unificata di cui al
d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
    Nelle  more,  aggiunge  il ricorrente, in attuazione della delega
conferita  con  la legge 15 marzo 1997, n. 59, gli artt. da 128 a 134
del  d.lgs.  n. 112 del 1998 hanno modificato ulteriormente il quadro
delle  competenze  tra Stato e regioni in materia di servizi sociali:
l'art. 131  ha  conferito le funzioni in oggetto alle regioni ed agli
enti  locali,  fatta  eccezione per quanto previsto dagli artt. 129 e
130, ribadendo il potere regionale di disciplina dell'esercizio delle
dette  funzioni  ed il potere dei comuni di provvedere all'erogazione
dei servizi ed alla realizzazione della rete. L'art. 132, inoltre, ha
disposto  che  sia la regione ad individuare puntualmente con legge i
compiti  e  le  funzioni  amministrative  da  conferire ai comuni nei
singoli settori, trasferendo altresi' alle regioni funzioni e compiti
di  promozione  e  coordinamento  operativo degli "attori dei servizi
sociali".
    In asserita applicazione degli artt. 129, comma 1, lettera e) del
d.lgs.  n. 112 del 1998, e 59, comma 46, della legge n. 449 del 1997,
che  riservano  allo  Stato  la  determinazione  dei  criteri  per la
ripartizione  del  fondo nazionale per le politiche sociali, e' stato
emanato  il  decreto  del  Presidente  del Consiglio dei ministri del
19 ottobre  1998,  recante "Definizione dei criteri e delle modalita'
di  ripartizione  delle risorse del fondo nazionale di intervento per
la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998".
    3. - Tale  decreto,  secondo la regione Lombardia, opererebbe una
illegittima  invasione  delle  competenze  regionali  in  materia  di
"beneficenza  pubblica  e  assistenza  sanitaria  e  ospedaliera", in
violazione delle corrispondenti prerogative costituzionali.
    La  ricorrente,  in particolare, espone i seguenti motivi: con il
primo  deduce  la  violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e del
d.lgs.  31 marzo 1998, n. 112, con riferimento agli artt. 5, 97, 117,
118 e 119 della Costituzione.
    Il  d.P.C.m.  sarebbe stato adottato, giusta quanto risulta dalle
premesse del testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale sulla base del
parere  della Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, alla quale
non  partecipa  di  diritto  alcun  rappresentante delle regioni, con
evidente e grave lesione del diritto di partecipazione collegato alle
competenze regionali costituzionalmente garantite.
    La   mancata   audizione   della   Conferenza   Stato-regioni  o,
quantomeno,  della  Conferenza  allargata,  avrebbe  pregiudicato  la
legittima  aspettativa  dei rappresentanti delle regioni ad esprimere
il  loro  avviso, trattandosi di materia che sul piano costituzionale
rientrerebbe  nella  "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed
ospedaliera"  e per la quale alle regioni sarebbe attribuito un ruolo
primario,   anche   in   funzione   eventualmente  consultiva,  dagli
artt. 131, 132 e 133 del d.lgs. n. 112 del 1998. In specie, l'obbligo
dell'audizione   della   conferenza  Stato-regioni  sarebbe  ribadito
dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997.
    La  ricorrente  regione  si  richiama,  altresi',  al consolidato
orientamento  della  Corte,  in  base al quale un regolamento, pur se
configurato  come  esecutivo di leggi statali, non puo' dettare norme
intese  a limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie
ad  esse  attribuite,  sia  in  ossequio  alle  norme  costituzionali
sull'ordine delle fonti, sia in applicazione dell'art. 17 della legge
n. 400  del 1988., Con il secondo motivo la ricorrente pone l'accento
sulle   percentuali   particolarmente  rigide  di  ripartizione  "per
settori"  delle  risorse  disponibili sugli stanziamenti per la lotta
alla droga confluiti nel fondo nazionale per le politiche sociali: 25
per cento per il finanziamento dei progetti presentati dai Ministeri;
68  per  cento  per il finanziamento di quelli presentati dai comuni,
singoli  o  associati:  7  per  cento  per il finanziamento di quelli
regionali.
    Si  tratta,  secondo  la  Regione  Lombardia,  di  un criterio di
riparto  aprioristico  ed irragionevole, che non terrebbe conto della
qualita'   dei  progetti  e  che  escluderebbe,  incomprensibilmente,
eventuali progetti elaborati dalle aziende sanitarie locali.
    L'irragionevolezza,  oltre  che lesiva delle competenze regionali
sul  piano  dei  contenuti, sarebbe aggravata dalla mancata audizione
delle regioni.
    Ne', osserva la ricorrente, un elemento di flessibilizzazione del
sistema  potrebbe  derivare  dall'art. 3 del d.P.C.m., che prevede la
possibilita'  che  i residui di un settore siano nuovamente ripartiti
tra  gli  altri  settori.  Ed  invero,  le  risorse  ai progetti sono
assegnate  secondo  la  rispettiva  meritevolezza solo all'interno di
ciascun  settore,  senza pero' un raffronto tra i settori diversi. Ne
risulterebbe  la  lesione  del diritto fondamentale alla salute e del
principio di buon andamento dell'attivita' amministrativa.
    I   criteri   di  riparto,  oltretutto,  non  potrebbero  neppure
spiegarsi  sulla  base  dell'art. 127,  comma 3, del d.P.R. 9 ottobre
1990,  n. 309,  ai  sensi  del  quale "una quota almeno pari al 7 per
cento  degli  stanziamenti  di  cui  al  comma  11  e'  destinata  al
finanziamento  di  progetti  di  iniziativa  delle regioni volti alla
formazione  integrata  degli operatori dei servizi pubblici e privati
convenzionati      per      l'assistenza     socio-sanitaria     alle
tossicodipendenze,  anche  con  riguardo alle problematiche derivanti
dal  trattamento  di  tossicodipendenti  sieropositivi". In proposito
rileva  la  ricorrente  che: a) tale previsione concernerebbe solo la
percentuale relativa alle regioni, senza menzionare le altre inserite
nel  decreto  impugnato;  b)  il  7 per cento indicherebbe una soglia
minima  e  di  certo non un tetto massimo; c) la percentuale suddetta
concernerebbe  solo  i progetti con una particolare finalita', ma non
si  riferirebbe anche agli altri progetti che, pur in questa materia,
abbiano  finalita'  diverse  e  che  ben potrebbero essere finanziati
oltre  questo  limite. La competenza delle regioni in questo settore,
del resto, sarebbe particolarmente ampia.
    Sicche'  si  deduce  la  violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119
della  Costituzione, anche con riferimento all'art. 127, comma 3, del
detto  d.P.R.  n. 309  del  1990.  Con  il  terzo  motivo  la Regione
Lombardia  si  richiama  al testo dell'art. 2 del d.P.C.m. 19 ottobre
1998,  che individua i dati da utilizzare per ripartire per regione i
fondi  assegnati  ai  comuni mediante il riferimento alla popolazione
giovanile residente, individuata in base ai dati ISTAT, al livello di
diffusione   delle   tossicodipendenze,  al  numero  delle  strutture
pubbliche  e  del  privato sociale ed al rapporto fra rete di servizi
pubblici e privati esistente e livello dei bisogni.
    Si  censura  la  scelta  di  richiamare  solo  dati disponibili a
livello nazionale, senza tenere conto di dati sulle tossicodipendenze
raccolti   a  livello  locale  e  regionale,  ne'  delle  indicazioni
provenienti  dalle  regioni medesime. Si deduce, altresi', il difetto
di  consultazione  e  la  lesione  delle  competenze programmatorie e
gestionali  delle  regioni,  nonche'  la  violazione del principio di
leale  collaborazione  tra  Stato  e regioni. Con il quarto motivo la
ricorrente  afferma che l'art. 4 del d.P.C.m., indicando le priorita'
cui  devono  attenersi  le  amministrazioni  statali, le regioni ed i
comuni  nella  predisposizione  dei  progetti  da finanziare, avrebbe
attuato  una  illegittima funzione di indirizzo e di coordinamento in
materia  riservata  alla  competenza regionale: siffatta funzione non
potrebbe  esplicarsi  con  l'adozione  di  un  atto di questa natura,
mancando  sia  il  requisito formale, consistente nella deliberazione
apposita  del  Consiglio  dei ministri, sia il requisito sostanziale,
consistente  in  una idonea base legislativa che definisca principi e
criteri   normativi  idonei  ad  orientare  la  discrezionalita'  del
Governo.
    Oltretutto,  con la citata disposizione e la determinazione delle
finalita'  prioritarie  incidenti anche sui compiti e le funzioni dei
comuni  nella  materia  in  esame,  si  sarebbe pregiudicato anche il
potere  delle  regioni  di  individuare  tali  compiti e funzioni con
proprio  provvedimento legislativo, cosi' come previsto dall'art. 132
del  d.lgs.  n. 112  del  1998.  Il  predetto  art. 4,  inoltre,  nel
descrivere   le   finalita'   dei  progetti  regionali,  non  avrebbe
considerato  ulteriori  finalita'  fondamentali  collegate  all'ampia
competenza  costituzionale delle regioni. A titolo esemplificativo si
richiamano  le funzioni di prevenzione ed informazione, che lo stesso
d.P.R.  n. 309  del 1990 affida alle regioni e che invece il d.P.C.m.
impugnato  indica  irragionevolmente  tra  le  priorita' dei progetti
statali.
    Si  dovrebbe  cosi'  registrare un ulteriore profilo di contrasto
con  gli  artt. 117  e  118  della Costituzione, con riferimento alle
norme  interposte dettate dai d.P.R. n. 4 del 1972, n. 616 del 1977 e
n. 309  del  1990,  nonche'  dal  d.lgs.  n. 112 del 1998., Il quinto
motivo  dedotto  dalla  ricorrente  concerne  l'art. 6  del  d.P.C.m.
19 ottobre  1998,  secondo  il  quale  i  progetti  presentati per il
finanziamento  sono  istruiti  da  un'apposita  commissione istituita
presso  la Presidenza del Consiglio dei ministri; e che, in ordine ai
progetti presentati dai comuni, prevede che le regioni effettuino una
valutazione  preliminare  di  essi,  per poi sottoporne le risultanze
all'esame della predetta commissione istruttoria.
    Poiche'  l'assegnazione  dei  fondi  e'  riservata  all'esclusiva
competenza  dello  Stato,  con  questo  sistema  si  realizzerebbe un
fenomeno  di  sostanziale avvalimento degli uffici regionali da parte
dello  Stato medesimo, che se ne serve per l'istruzione dei progetti.
Detto   avvalimento,   tuttavia,  sarebbe  legittimo  -  prosegue  la
ricorrente   -   solo   ove   si   assicuri  il  rispetto  necessario
dell'autonomia  delle regioni, anche sotto il profilo della provvista
dei   mezzi   finanziari  necessari  per  fronteggiare  nuovi  oneri.
Circostanza,  quest'ultima, che non sarebbe per niente garantita, con
la connessa violazione degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, 118 e 119 della
Costituzione.,  Il  sesto ed ultimo motivo e' riferito all'art. 7 del
d.P.C.m.,  secondo  il  quale l'approvazione dei progetti e' disposta
con   decreto   ministeriale,   sentito   il  Comitato  nazionale  di
coordinamento  per  l'azione  antidroga  di cui all'art. 1 del d.P.R.
n. 309 del 1990 e la Conferenza unificata di cui all'art. 8, comma 1,
del d.lgs. n. 281 del 1997.
    L'audizione  della Conferenza unificata Stato-citta' ed autonomie
locali  e  Stato-regioni,  tuttavia,  dovrebbe essere circoscritta ai
casi in cui si provveda in materia di interesse comune delle regioni,
delle  province,  dei comuni, delle comunita' montane. Sicche' non vi
sarebbe   ragione   di   sentire   sempre  la  Conferenza  unificata,
soprattutto   quando   vengono   approvati   progetti  esclusivamente
regionali,  essendo  sufficiente  in tali ipotesi sentire soltanto la
Conferenza  Stato-regioni.  Anche  per  tale aspetto si configura una
lesione delle prerogative costituzionali delle regioni.
    4. - Con atto del 12 febbraio 1999 si e' costituito il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato.
    Dopo   aver   proposto   un  inquadramento  della  disciplina  di
riferimento,  la  difesa  dello  Stato  si  e'  soffermata sui motivi
esposti  nel  ricorso, rilevando anzitutto che il d.P.C.m. 19 ottobre
1998  e'  stato  emanato  a  seguito  della regolare acquisizione del
parere della Conferenza unificata Stato-regioni e Stato-citta', nella
riunione  del  30 luglio  1998  e  che, per mero errore materiale, in
corso  di  rettifica nella Gazzetta Ufficiale si sarebbe riportata in
premessa  la  pronuncia del solo parere della Conferenza Stato-citta'
ed autonomie locali.
    La  previsione  dei  criteri  percentuali  di riparto dell'art. 1
sarebbe  non  solo  ragionevole, ma rispettivamente conforme al testo
dell'art. 127  del  d.P.R.  n. 309  del  1990, per quanto concerne le
regioni,  ed  a  precedenti  orientamenti  del Parlamento (disegno di
legge AS 3543), per le percentuali degli altri enti.
    Quanto  ai  dati riportati all'art. 2 del d.P.C.m., relativi alla
popolazione  giovanile  residente, individuata in base ai dati ISTAT,
al  livello  di  diffusione  delle tossicodipendenze, al numero delle
strutture  pubbliche e del privato sociale ed al rapporto fra rete di
servizi  pubblici  e  privati esistente e livello dei bisogni, non si
tratterebbe  in  realta'  di  previsione contraria alle istanze della
ricorrente:  si  richiama, a questo riguardo, il d.P.C.m. 30 novembre
1998,  in  corso  di  registrazione,  relativo alla definizione delle
quote del fondo da assegnare per regione ai comuni.
    Le  priorita' indicate dall'art. 4 non costituirebbero oggetto di
un  atto  di  indirizzo  e coordinamento, ma sitratterebbe solo della
indicazione di criteri e linee guida non vincolanti per le regioni.
    Quanto  all'intervento  degli  uffici regionali nell'attivita' di
istruzione  dei progetti presentati dai comuni, strumentale all'esame
della  commissione  statale,  lungi dal pregiudicarne la posizione di
autonomia   costituzionalmente  garantita,  costituisce,  secondo  la
difesa dello Stato, espressione del principio di leale collaborazione
tra Stato e regioni.
    Con  riferimento  all'ambito  applicativo del d.P.C.m., si rileva
poi  che  il  trasferimento delle funzioni alle regioni in materia di
servizi  sociali  previsto  dagli artt. 128-134 del d.lgs. n. 112 del
1998  non  e'  ancora  efficace,  fino  all'emanazione dei decreti di
trasferimento del personale e dei mezzi finanziari.
    Infine,   l'Avvocatura   dello  Stato  osserva  che  il  d.P.C.m.
19 ottobre  1998  detta  disposizioni  di  carattere  transitorio, in
attesa che l'approvazione del disegno di legge in materia attribuisca
alle   Regioni   la   piena   capacita'   di  programmare  e  gestire
l'utilizzazione  delle  quote  del  Fondo  loro  trasferite; conclude
infine per il rigetto del ricorso per conflitto di attribuzione.
    5. - Nell'imminenza  dell'udienza pubblica, la ricorrente Regione
Lombardia  ha  depositato una memoria, nella quale insiste sui motivi
gia' dedotti a conforto del sollevato conflitto di attribuzione.
    In  primo  luogo,  la  ricorrente  ribadisce  che  la materia dei
servizi  sociali,  assegnata  alla  competenza  regionale dalle fonti
legislative,   comprende   anche   i  settori  della  beneficenza  ed
assistenza   sanitaria   ed   ospedaliera,   espressamente   previsti
dall'art. 117  della Costituzione. Nel confermare tale competenza, il
d.lgs. n. 112 del 1998 si collocherebbe in linea di continuita' con i
precedenti  e, soprattutto, con il d.P.R. n. 616 del 1977, risultando
come  l'esito  ultimo  di un consolidato processo evolutivo. Ne' vale
l'obiezione  formulata  dalla  Presidenza del Consiglio dei ministri,
secondo  cui  le  norme  del  d.lgs.  n. 112  del 1998 non dovrebbero
tenersi  in  conto  in  quanto  non  efficaci fino all'intervento dei
decreti di attuazione relativi al trasferimento di risorse, personale
e  mezzi  finanziari,  previsti  dall'art. 7  del  medesimo d.lgs. Ed
invero,  le  regioni  sono  comunque tenute ad emanare entro sei mesi
dall'entrata  in  vigore  del  d.lgs.  n. 112  del  1998 "la legge di
puntuale  individuazione  delle  funzioni  trasferite  o  delegate ai
comuni ed agli enti locali e di quelle mantenute in capo alle regioni
stesse" (v. l'art. 132, comma 1).
    Del  resto,  secondo  la  Regione Lombardia, anche al di fuori di
tale  ambito  normativo  resterebbe  decisivo il fatto che la materia
specifica dell'"intervento per la lotta contro la droga" e' assorbita
nella  richiamata  nozione  costituzionale  di "beneficenza pubblica,
assistenza  sanitaria ed ospedaliera", anche alla luce dell'opportuna
interpretazione  evolutiva  delle  materie  di  competenza  regionale
indicate  nella  Costituzione,  gia'  piu'  volte seguita dal giudice
delle leggi.
    La ricorrente, quindi, conferma le censure sollevate con riguardo
ai  criteri  di  riparto  del fondo tra i soggetti beneficiari ed, in
specie, con riguardo all'esigua percentuale del 7 per cento riservata
alle  regioni:  essa  risulterebbe irragionevole e priva di riscontro
legislativo,  poiche'  una  considerazione  cosi'  limitata  del peso
regionale  non  potrebbe fondarsi ne' sull'art. 127 del d.P.R. n. 309
del  1990,  nella  sua  originaria  stesura,  ne'  sull'art. 127 come
novellato  dall'art. 1, comma 2, della legge 18 febbraio 1999, n. 45.
Tale  ultima legge ha, invero, previsto che una ben diversa quota del
75  per cento del fondo deve attribuirsi alle regioni, cui compete di
governare  la  leva  del  finanziamento dei progetti presentati dagli
enti  locali.  A  questo  proposito la ricorrente smentisce l'assunto
sostenuto  dalla  Presidenza  del Consiglio, che trae argomento dagli
orientamenti   maturati   nel  Parlamento  per  sorreggere  la  detta
percentuale  del  7 per cento, giacche' proprio nei decreti-legge non
convertiti,  oggetto  della  legge  di  sanatoria n. 86 del 1997, era
anticipata la previsione del trasferimento del 75 per cento del fondo
direttamente alle regioni.
    La  ridotta  percentuale  del  7 per cento contenuta nel d.P.C.m.
impugnato,  infine,  non  risponderebbe al principio, affermato dalla
Corte  costituzionale,  per  cui  i  flussi  finanziari  destinati ai
compiti  istituzionali degli enti locali inerenti a materie regionali
debbono  essere  erogati  per  il tramite delle regioni. L'erogazione
statale  diretta,  invero,  e' consentita solo se si tratta di flussi
aggiuntivi  rispetto a quelli ordinari, in quanto legati a situazioni
di  emergenza  di carattere eccezionale e temporaneo (sentenza n. 476
del  1991), in considerazione della posizione di centralita' che alle
regioni compete.
    Alla  stessa  stregua risulterebbe l'irragionevolezza del riparto
per  settori regolato nel d.P.C.m., su cui si ripropongono le censure
gia' svolte nel ricorso introduttivo.
    La  ricorrente  ritorna,  altresi',  sul  motivo  con  cui  si e'
denunciato, nei confronti della Presidenza del Consiglio, l'esercizio
di un'illegittima funzione statale di indirizzo e di coordinamento in
carenza  dei  necessari  presupposti,  mediante  l'indicazione  delle
priorita'  cui  devono  attenersi le amministrazioni pubbliche per la
predisposizione  dei progetti. Siffatta funzione, invero, mancherebbe
sia  del  requisito formale, consistente nella delibera del Consiglio
dei   ministri,   sia  del  requisito  sostanziale,  consistente  nel
riscontro  di una base legislativa idonea a garantire il principio di
legalita' sostanziale.
    Anche  nel  merito,  del  resto,  secondo la ricorrente i vincoli
imposti alle regioni sarebbero irragionevoli.
    La  Regione  Lombardia,  infine,  ribadisce  i motivi esposti nei
confronti degli artt. 6 e 7 del d.P.C.m.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  ricorso  per  conflitto  di  attribuzione proposto dalla
Regione  Lombardia  nei  confronti  del  Presidente del Consiglio dei
ministri ha per oggetto il d.P.C.m. 19 ottobre 1998, pubblicato nella
Gazzetta  Ufficiale 4 dicembre 1998, n. 284, recante "Definizione dei
criteri  e  delle  modalita'  di ripartizione delle risorse del fondo
nazionale  di  intervento  per  la  lotta alla droga per gli esercizi
finanziari 1997 e 1998".
    Si deduce anzitutto come motivo del ricorso la circostanza legata
alla   mancata  acquisizione  del  prescritto  parere  delle  regioni
attraverso  l'audizione  della  Conferenza  Stato-regioni. Inoltre si
rappresenta  che,  se  il  decreto fosse da configurarsi come atto di
indirizzo  e  coordinamento,  sarebbe  anche  carente la delibera del
Consiglio  dei  ministri.  Infine,  le  disposizioni di tale decreto,
anche  in  contrasto con le previsioni della legge statale, avrebbero
operato  una  illegittima  invasione  delle competenze costituzionali
della  regione  in  materia  di  "beneficenza  pubblica  e assistenza
sanitaria  e  ospedaliera",  in  violazione degli artt. 3, 5, 32, 97,
117,   118   e   119   della   Costituzione,  con  riferimento  anche
all'art. 127,  comma  3,  del  d.P.R.  n. 309  del  1990,  al  d.lgs.
28 agosto 1997, n. 281 e al d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
    2. - Preliminarmente  deve essere esaminato il motivo del ricorso
con  cui,  rilevandosi  che  nelle  premesse del decreto risulterebbe
acquisito  il  parere  della  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali,  si deduce, tra l'altro, che sarebbe mancata la consultazione
delle   regioni,  attraverso  la  Conferenza  Stato-regioni  o  della
Conferenza  unificata,  nonostante  la materia rientrasse nel settore
della "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria edospedaliera".
    Infatti, il motivo coinvolge l'intero decreto, tenuto conto anche
dell'invocata  previsione normativa dell'art. 133 del d.lgs. 31 marzo
1998,   n. 112,  che,  integrando  "l'art. 59,  comma  46,  penultima
proposizione" della legge 27 dicembre 1997, n. 449, prescrive che, ai
fini della ripartizione annuale delle risorse finanziarie affluite al
fondo,  sia  sentita anche "la Conferenza unificata di cui al decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281".
    In  realta',  sia  in  sede  di discussione in udienza, sia dalla
documentazione  acquisita  dalle parti e' risultato che lo schema del
decreto  impugnato  e'  stato effettivamente sottoposto al preventivo
esame  della  Conferenza  unificata,  che,  il  30 luglio  1998,  con
l'assenso  del  Governo,  ha  espresso parere favorevole sul predetto
schema,  con  allegazione di alcuni emendamenti, che risultano essere
stati  concordati  in  pari  data.  Ed  il  parere  e' stato espresso
all'unanimita'  e  senza  che  risultino dissensi nell'ambito dei due
gruppi  delle  autonomie  che  compongono la Conferenza unificata, in
modo che non ricorreva neppure l'esigenza sussidiaria di operativita'
del  principio maggioritario  nell'ambito  di  ciascun  gruppo,  come
previsto dall'art. 9, comma 4, del d.lgs n. 281 del 1997 (v. sentenza
n. 408 del 1998).
    Si  deve,  tuttavia,  avvertire  fin  da adesso che lo schema sul
quale  la  Conferenza  unificata  si  e'  pronunciata non comprendeva
l'attuale  art. 4:  il  contenuto  di  esso non trova alcun riscontro
nell'originario   articolato,   ne'  risulta  collegato  a  modifiche
concordate in sede di Conferenza.
    Ferma  quest'ultima  riserva,  su  cui  si tornera' tra breve, la
necessita' dell'intervento della Conferenza unificata non puo' essere
posta  in  discussione,  sia perche' espressamente prevista dal testo
allora  vigente dell'art. 59, comma 46, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449  (con  le  modifiche  introdotte  dall'art. 133,  comma 4, del
d.lgs.  31 marzo  1998,  n. 112),  sia  perche'  ricorrono "materie e
compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni
e  delle  comunita'  montane"  e  "argomenti di interesse comune vuoi
delle regioni, vuoi degli enti locali".
    Di  conseguenza,  deve ritenersi privo di fondamento - per questa
parte  -  il  primo  motivo di ricorso,per difetto del presupposto di
fatto,  in  quanto  risulta essere stato preventivamente acquisito il
parere dellaConferenza unificata.
    Un   discorso  separato,  invece,  merita  l'attuale  art. 4  del
d.P.C.m.  impugnato,  per il quale si e' rilevato il difetto assoluto
della  richiesta  di  parere  e  della sottoposizione all'esame della
Conferenza.
nel  contempo,  l'atto  impugnato,  per  la  parte che qui interessa,
dev'essere considerato come atto amministrativo a contenuto generale,
che  trova  la  sua  base  normativa nella previsione di ripartizione
annuale  delle risorse ed assume per oggetto la predeterminazione dei
criteri di ripartizione e delle relative modalita' attuative.
    Deve,  infatti,  escludersi  -  sempre  per  questa  parte  -  il
carattere  di  atto  di  indirizzo  e  di  coordinamento del decreto,
poiche'  esso  riguarda  una  ripartizione  di fondi speciali statali
destinati  ad  esigenze straordinarie e unitarie sul piano nazionale,
senza  incidere  direttamente  sulle  ordinarie competenze e funzioni
regionali nella materia dell'assistenza e dei servizi sociali.
    Anche  per  tale  profilo  una soluzione differente dovra' invece
proporsi  con riferimento all'art. 4 dell'attuale d.P.C.m. impugnato,
che,  attraverso  la  previsione  di priorita' tassative, presenta un
contenuto precettivo e vincolante sull'azione regionale e comunale.
    3. - Si  passa  cosi' all'esame delle censure relative all'art. 4
del d.P.C.m. 19 ottobre 1998.
    Risulta  dalle predette considerazioni la fondatezza - per questa
parte - del primo e quarto motivo di ricorso.
    In  primo  luogo, l'art. 4 non e' stato mai sottoposto all'esame,
per  il  parere,  della  Conferenza  unificata,  non essendovi alcuna
previsione  corrispondente  nello  schema di decreto preso in visione
dalla   Conferenza,   ne'  alcun  collegamento  con  gli  emendamenti
suggeriti  nel  parere.  La  mancanza  della necessaria consultazione
delle  regioni  attraverso  la  Conferenza Stato-regioni o Conferenza
unificata  (cosi'  come prevista dalla vigente normativa sui rapporti
Stato-regioni)  ha,  invero,  l'effetto  di viziare quella singola ed
autonoma disposizione non inclusa nel testo su cui il parere e' stato
chiesto  ed espresso e che, oltretutto, neppure e' stata inserita per
l'adeguamento alle modifiche suggerite in sede consultiva.
    Con  cio'  non  si  esclude, in via tassativa, che lo Stato possa
introdurre modifiche aggiuntive ed innovative (a parte quelle di mero
coordinamento  formale) ad un testo concordato in sede di Conferenza,
ma   si   affermal'esigenza   -   del   resto   rispondente   ad  una
interpretazione  delle  norme procedurali conforme ai piu' elementari
principi  di  leale  collaborazione tra Stato e regioni - che in tali
evenienze  si proceda ad una nuova consultazione della Conferenza: il
che   non   risulta  sia  avvenuto  nella  fattispecie  con  riguardo
all'art. 4 in esame.
    In  secondo  luogo,  il carattere aggiuntivo e la natura di nuova
disposizione dell'art. 4 del d.P.C.m. impugnato (rispetto allo schema
originario   sottoposto   alla  Conferenza)  risulta  evidente  dalla
constatazione   del  relativo  contenuto,  che  stabilisce  priorita'
tassative  alle quali dovrebbero attenersi le regioni e i comuni, con
valore precettivo e vincolante sull'azione regionale e comunale nella
predisposizione   dei  progetti  da  finanziare,  senza  le  garanzie
procedurali  e  sostanziali del legittimo esercizio della funzione di
indirizzo e coordinamento (v. sentenza n. 169 del 1999).
    Pertanto,  deve  dichiararsi  che  non  spetta allo Stato, e, per
esso,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  di fissare con
d.P.C.m. le priorita' cui devono attenersi le regioni ed i comuni per
la  predisposizione  dei  progetti da presentare per il finanziamento
del  fondo  nazionale  di  intervento per la lotta alla droga per gli
esercizi  finanziari  1997 e 1998, quando non siano state previamente
consultate  le  regioni  mediante  Conferenza unificata e al di fuori
della  ipotesi  di  legittimo esercizio delle funzioni di indirizzo e
coordinamento.  Conseguentemente  deve  essere annullato, nella parte
riguardante  le  regioni e i comuni, l'art. 4 del d.P.C.m. 19 ottobre
1998,  firmato  per  delega dal Ministro per la solidarieta' sociale,
impugnato con il ricorso in epigrafe.
    4. - Gli altri motivi proposti dalla Regione Lombardia sono privi
di fondamento.
    In   ordine  al  secondo  motivo,  superata  in  punto  di  fatto
l'asserita  mancata  audizione  delle regioni, deve escludersi che la
scelta    delle   percentuali   di   ripartizione   sia   palesemente
irragionevole.
    Da  un  canto deve tenersi conto che la ripartizione e' contenuta
nei  limiti  minimi  degli  stanziamenti  previsti dalla legge per le
regioni, che si tratta di finanziamenti di carattere straordinario ed
aggiuntivo  dello  Stato  e  che  essa non esclude ed anzi presuppone
(date  le  finalita'  dei  progetti)  che  le regioni intervengano in
materia  di  azione  di  prevenzione  e  assistenza  per i soggetti a
rischio  di  droga  anche con proprie ulteriori iniziative e mediante
l'utilizzo  di  fondi del proprio bilancio. D'altro canto, a conferma
della  non  irragionevolezza  della previsione, assume un significato
notevole,   sul   piano   logico-giuridico,  la  circostanza  che  la
Conferenza   unificata  aveva  espresso,  sul  punto  e  senza  alcun
dissenso,   parere  favorevole;  come  pure  la  circostanza  che  le
competenze  regionali sui servizi sociali erano all'epoca in una fase
transitoria  di non completa attuazione. Sicche' non e' irragionevole
la differenza rispetto alle successive percentuali di ripartizione.
    Del  resto,  e'  evidente il carattere transitorio dei criteri di
ripartizione,   limitati   agli   anni   1997   e   1998,  in  attesa
dell'attuazione  dell'art. 132  del  d.lgs.  31 marzo 1998, n. 112, e
della  elaborazione delle nuove norme in materia di lotta alla droga,
che nel complesso avrebbero determinato un ampliamento delle funzioni
regionali  e  quindi  giustificato  una modifica delle percentuali di
ripartizione del fondo.
    Quanto  alla  mancata  considerazione  di  progetti di iniziativa
delle  aziende  sanitarie  locali (A.S.L.), e' sufficiente il rilievo
che  le A.S.L. non erano all'epoca previste come soggetti legittimati
a  presentare  direttamente progetti da finanziare sui predetti fondi
statali (si veda il d.P.R. n. 309 del 1990, nell'originario testo), e
che  non  vi  era alcuna preclusione a che tali progetti rientrassero
senz'altro  nella  quota  dei  comuni,  come  interventi  comunali in
collaborazione  con  le  A.S.L.  territorialmente  competenti  (cio',
nonostante  l'annullamento  della previsione prioritaria dell'art. 4,
ultimo  comma,  del  d.P.C.m.).  Tale interpretazione rafforza la non
irragionevolezza  della scelta operata sulle percentuali da ripartire
alle regioni.
    5. - Anche  per  il  terzo  motivo e' caduto il profilo attinente
alla mancata consultazione delle regioni.
    Per   quanto  riguarda  i  dati  di  riferimento  ai  fini  della
ripartizione,  l'art. 2  del  d.P.C.m.  si  richiama a dati nazionali
(ISTAT)  solo  per  la  popolazione  giovanile  residente, mentre non
esiste  alcun  limite circa la provenienza degli altri elementi base,
alla cui elaborazione certamente possono concorrere le regioni, anche
in  merito alla ripartizione regionale dei fondi destinati ai comuni.
Sicche'  deve  escludersi  qualsiasi  lesione della sfera regionale e
negarsi  conseguentemente fondatezza al motivo proposto dalla Regione
Lombardia.
    6. - Egualmente  privo  di  fondamento  e'  il  quinto motivo, in
quanto  la previsione dell'art. 6 del d.P.C.m. impugnato, relativa al
concorso  delle regioni nella valutazione dei progetti presentati dai
comuni, non rappresenta affatto una devoluzione di istruttoria (con i
relativi  oneri  e  aggravi  di  spese)  alle regioni; cio' in quanto
l'istruttoria  e'  affidata espressamente ad una apposita commissione
istituita  presso  la  Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 6,
comma  1),  del resto in conformita' al sistema istruttorio (mediante
apposita  commissione)  previstodall'art.  127, comma 6, del d.P.R. 9
ottobre  1990,  n. 309  (nel  testo  anteriore alla legge 18 febbraio
1999,  n. 45)  e  dall'art. 1,  comma  10, della legge 28 marzo 1997,
n. 86.
    La  partecipazione  regionale,  mediante  preliminare  esame  dei
progetti  dei  comuni - pienamente accettata dalle regioni in sede di
Conferenza  unificata  -,  deve  leggersi  come  avente  la finalita'
esclusiva  di  rispetto  sia  delle  prerogative  regionali  sia  del
principio   di   leale  collaborazione  nei  rapporti  Stato-regioni.
Soprattutto   tale  previsione  risponde  all'esigenza  che  ciascuna
regione  (nell'ambito  della rispettiva competenza territoriale) sia,
quanto  meno, partecipe e coinvolta nel procedimento di finanziamento
delle iniziative e dei progetti dei comuni (ed altri enti locali).
    Le  regioni  possono  cosi'  esprimere  anche  valutazioni e sono
facoltizzate  ad  inviare  elementi  sulla situazione locale, proprio
nelle   ipotesi   ritenute   ammissibili   di  finanziamento  statale
nell'ambito  di fondi straordinari ed unitari, quando tali iniziative
e   progetti   comunque  interferiscano  con  materie  di  competenza
regionale.  Infatti,  e' stato riconfermato - ed anzi accentuato - il
ruolo   regionale   come   "centro   propulsore  e  di  coordinamento
dell'intero sistema delle autonomie locali" (sentenze n. 408 del 1998
e  n. 343  del  1991), anche nella fase transitoria, caratterizzata -
all'epoca del decreto impugnato - dall'attesa del previsto intervento
regionale  di  definizione  del  riparto,  nel  proprio  interno, tra
funzioni  delle  stesse  regioni  e  funzioni  rimesse alle autonomie
locali,  secondo criteri analoghi a quelli delle legislazione statale
(sentenza n. 408 del 1998).
    7. - Infine  e'  privo  di  fondamento  anche  il sesto ed ultimo
motivo  di  ricorso,  riferito  all'art. 7 del d.P.C.m. impugnato, in
quanto   l'audizione  della  Conferenza  unificata  (Stato-citta'  ed
autonomie  locali  e  Stato-regioni), per l'approvazione dei progetti
sia regionali sia comunali, rientra nell'ipotesi di materie e compiti
di  interesse  comune  (art. 8,  comma  1, del d.lgs. 28 agosto 1997,
n. 281) e corrisponde a quelle stesse esigenze - sopra sottolineate -
di  esame  unitario  nella  ripartizione dei fondi, che valgono anche
nella fase finale dell'approvazione dei progetti.
    D'altro   canto   il  sistema  procedimentale  di  espressione  e
formazione  dell'assenso  dei partecipanti alla Conferenza unificata,
quale  previsto  dalla  legge  di  delega e dall'art. 9, comma 4, del
d.lgs.  28 agosto  1997,  n. 281,  garantisce  pienamente l'identita'
delle  due  Conferenze  e  delle rappresentanze in esse presenti, nel
quadro  di  una  semplice  unificazione  funzionale,  che mantiene il
sistema  di  rappresentanza  delle istanze regionali, con espressione
distinta della volonta' delle regioni (sentenza n. 408 del 1998).