ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 271 del codice
penale,  promosso  con ordinanza emessa il 16 giugno 2000 dal giudice
dell'udienza  preliminare  del  tribunale  di Verona nel procedimento
penale  a  carico di Contin Cristian ed altri, iscritta al n. 707 del
registro  ordinanze  2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 48, 1a serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  costituzione di Contin Cristian e di Contin
Flavio  ed  altro  nonche'  l'atto  di  intervento  delPresidente del
Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  22  maggio  2001  il  giudice
relatore Fernando Santosuosso;
    Uditi  gli  avvocati  Piero  Longo  per  Contin Cristian, Alessio
Morosin  per Contin Flavio ed altro e l'avvocato dello Stato Giuseppe
Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico di Contin
Cristian  e altri, accusati - tra l'altro - del reato di associazione
antinazionale   (art. 271   cod.  pen.),  diretta  a  "distruggere  o
deprimere  il  sentimento nazionale inteso come coscienza dell'unita'
territoriale,   sociale   e   politica   dell'Italia",   il   giudice
dell'udienza  preliminare del tribunale di Verona, richiesto dal p.m.
dell'emissione  del  decreto che dispone il giudizio, ha promosso, in
riferimento  agli artt. 2, 18 e 21 della Costituzione, il giudizio di
legittimita' costituzionale dell'art. 271 del codice penale.
    Ad  avviso  del  rimettente,  tale  precetto violerebbe anzitutto
l'art. 21  della  Costituzione,  poiche'  l'unico  limite posto dalla
Costituzione alla libera manifestazione del pensiero, quello del buon
costume, non avrebbe alcuna attinenza al "sentimento nazionale".
    Neppure sarebbe ipotizzabile un limite implicito alla liberta' di
manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) capace di dare fondamento
alla   fattispecie   incriminatrice   esaminata,  soprattutto  se  di
quest'ultima   viene   valutato  il  bene  giuridico  tutelato.  Esso
s'identifica  con  "il  sentimento  nazionale",  vale  a  dire con il
patriottismo, inteso come coscienza dell'unita' territoriale, sociale
e   politica   del   Paese.  Tale  valore  e'  stato  gia'  preso  in
considerazione  dalla  Corte costituzionale nella pronuncia n. 87 del
1966  che  ha  dichiarato  illegittimo l'art. 272, secondo comma, del
codice  penale,  il  quale  puniva  le  condotte  di  propaganda "per
distruggere  o  deprimere  il  sentimento  nazionale", un reato cioe'
assimilabile a quello per il quale si procede nell'odierno giudizio.
    Tra  la  fattispecie  dichiarata illegittima e quella oggetto del
giudizio  non vi sarebbero, secondo il rimettente, diversita' tali da
giustificare   un  diverso  trattamento  davanti  alla  giurisdizione
costituzionale.  Le due "attivita'" sarebbero dirette a perseguire le
stesse  finalita'; inoltre, considerato che il fenomeno oggetto della
censura posta dall'art. 271 copre un'area comportamentale piu' vasta,
questo  - per la parte eccedente l'area della liberta' di espressione
- ricadrebbe sotto altre censure penali presenti nell'ordinamento.
    In   conclusione,   anche   associazioni  che  si  propongono  la
depressione  o  la  distruzione  del  sentimento  nazionale sarebbero
lecite  purche'  non  facciano  ricorso,  diretto  o  indiretto, alla
violenza.   Esse,   allora,   potrebbero   dirsi  formazioni  sociali
tutelabili ai sensi dell'art. 2 della Costituzione.
    2.  - Si sono costituite, con memorie, le parti private Cristian,
Flavio  e  Severino  Contin,  concludendo  per  l'accoglimento  della
questione sollevata.
    Osservano  gli  imputati che, da tempo, la fattispecie penale non
trova  applicazione,  ed  essa  e'  considerata  -  dalla  dottrina -
incompatibile con la Costituzione oppure tacitamente abrogata.
    La  norma  finirebbe  per  punire  con  la  sanzione  penale solo
un'opinione  e  una  associazione,  in violazione degli artt. 21 e 18
della Costituzione.
    3.  -  E'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
per l'infondatezza della questione.
    Premette  l'Avvocatura  che la questione e' stata sollevata sulla
base di un falso presupposto, costituito dall'erronea interpretazione
della  sentenza  della Corte costituzionale n. 87 del 1966; la quale,
al contrario di quanto ritenuto nell'ordinanza di rimessione, avrebbe
riconosciuto meritevole di tutela il bene del "sentimento nazionale".
Tale  valore,  infatti, avrebbe - secondo l'interventore - una sicura
rilevanza   costituzionale.   Inoltre,  la  disciplina  sanzionatoria
stabilita  dall'art. 271 del codice penale, con riferimento al limite
del  rispetto  della  legge  penale  stabilito,  per  la  liberta' di
associazione,  dall'art. 18  della  Costituzione, non sarebbe affatto
irragionevole ne' priva di fondamento.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Viene  all'esame  della Corte la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 271  del codice penale, il quale punisce le
condotte  di  promozione,  costituzione,  organizzazione  e direzione
delle  associazioni  che  si  propongono  di  svolgere o che svolgono
attivita'  dirette a distruggere o deprimere il sentimento nazionale,
perche' se ne assume il contrasto con:
        a)  l'art. 21  della  Costituzione,  in quanto l'unico limite
posto  dalla  Costituzione  alla  libera manifestazione del pensiero,
quello  del  buon  costume,  non  avrebbe  alcuna  attinenza  con  il
"sentimento nazionale", ne' potrebbe identificarsi con la morale o la
coscienza etica;
        b)  l'art. 18 della Costituzione, perche' esso pone un limite
alla liberta' associativa con riferimento soltanto a quelle segrete o
che  perseguono scopi politici mediante organizzazioni militari, onde
anche  le  associazioni che si propongono quale fine la depressione o
la  distruzione del sentimento nazionale sarebbero lecite purche' non
facciano ricorso, diretto o indiretto, alla violenza;
        c)  l'art. 2 della Costituzione, atteso che tali associazioni
costituirebbero  formazioni sociali ove si svolge la personalita' del
singolo.
    2. - La questione e' fondata.
    3.  -  Il  codice  penale del 1930 aveva posto alcune fattispecie
associative  in  diretta  correlazione  con  i reati di propaganda ed
apologia  sovversiva o antinazionale (in tal senso anche il paragrafo
n. 127  della  Relazione del Guardasigilli, che pone "in rispondenza"
le  due  previsioni  punitive).  In  particolare,  appaiono  chiari i
collegamenti   tra   il   primo  comma  dell'art. 272  e  il  delitto
riguardante  le  associazioni  sovversive  (art. 270), nonche' tra il
secondo  comma  della  stessa  disposizione  e  quello riguardante le
associazioni  antinazionali  (art. 271),  sia  per  l'identita' delle
espressioni  usate  nelle  parallele  figure  delittuose,  sia per le
convergenti riflessioni dottrinarie sviluppatesi al riguardo. Esulano
dalla   tipicita'  del  fatto  descritto  in  dette  disposizioni,  e
risultano  quindi  estranee  al  modello legale in esame, le condotte
violente,  diverse  dalle  attivita' di propaganda, anche se poste in
essere per lo svolgimento di tali comportamenti.
    Com'e' noto, questa Corte, con la sentenza n. 87 del 1966, mentre
ha  respinto  il  dubbio di costituzionalita' relativo al primo comma
dell'art. 272   del   codice   penale   (propaganda  sovversiva),  ha
dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   del   secondo  comma
(propaganda  antinazionale),  sulla base della considerazione che "il
sentimento  nazionale"  costituisce  soltanto un dato spirituale che,
sorgendo  e sviluppandosi nell'intimo della coscienza di ciascuno, fa
parte  esclusivamente  del  mondo  del  pensiero  e  delle idealita',
sicche' la relativa propaganda - non indirizzata a suscitare violente
reazioni,  ne'  rivolta  a vilipendere la nazione o a compromettere i
doveri  che il cittadino ha verso la Patria, od a menomare altri beni
costituzionalmente garantiti - non poteva essere vietata senza che si
profilasse  il contrasto con la liberta' di cui all'articolo 21 della
Costituzione.
    4.  -  Va  premesso  che  la  presente questione non coinvolge il
significato  e  la  portata dei valori costituzionali della nazione e
dell'unita'  nazionale  (artt. 5, 9, 67, 87 e 98 Cost.), ne' le forme
di tutela che vi si possono riferire.
    La  questione  invece  concerne  esclusivamente  il  dubbio sulla
legittimita'  costituzionale dell'incriminazione della condotta sotto
forma  associativa,  intesa  a "distruggere o deprimere il sentimento
nazionale".
    Orbene,  le  considerazioni  che  hanno  portato  questa  Corte a
dichiarare    l'illegittimita'   costituzionale   della   fattispecie
incriminatrice  della  propaganda  antinazionale  (art. 272,  secondo
comma),   forniscono   sufficiente  ragione  per  addivenire  a  pari
conclusione - in relazione ai parametri costituzionali ora invocati -
anche  riguardo  alla  figura  del  reato,  punito  dalla  norma  qui
denunziata  che vieta le associazioni per l'attivita', diretta sempre
al fine di "distruggere o deprimere il sentimento nazionale".
    Invero,  se non e' illecito penale che il singolo svolga opera di
propaganda  tesa  a  tale  scopo  - ove non trasmodi in violenza o in
attivita' che violino altri beni costituzionalmente garantiti fino ad
integrare  altre  figure  criminose  -  non  puo' costituire illecito
neppure   l'attivita'  associativa  volta  a  compiere  cio'  che  e'
consentito  all'individuo; cosi' come e' stabilito dall'art. 18 della
Costituzione, che riconosce - nei limiti posti dal secondo comma - la
liberta'  di  associazione  per  i fini che non siano "... vietati ai
singoli dalla legge penale".
    La  permanenza della norma censurata - essendo stata gia' espunta
dall'ordinamento   quella  che  considerava  illecita  la  propaganda
diretta  all'identico  fine  perseguito  perfino  dalla totalita' dei
cittadini  uti  singuli  -  verrebbe  ad  incidere  unicamente  sulla
liberta' di associazione garantita dalla Costituzione.