ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 210 del codice
di  procedura  penale,  promossi, nell'ambito di diversi procedimenti
penali,  con  ordinanze  emesse  il  12 gennaio 2000 dal tribunale di
Crotone, il 19 aprile 2000 dal tribunale di Milano, il 23 giugno 2000
dal  tribunale  di  Foggia, il 14 giugno 2000 dal tribunale di Nocera
Inferiore  e  il  9  ottobre  2000  dal tribunale di Foggia, iscritte
rispettivamente  ai  nn. 167,  447,  649,  721  e  851  del  registro
ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
nn. 17,  35,  45, 48, 1a serie speciale, dell'anno 2000 e n. 3, prima
serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 giugno 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il tribunale di Crotone con ordinanza emessa il 12
gennaio 2000 (r.o. n. 167 del 2000) ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  97,  111,  112  e  113  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionaledell'art. 210,  comma  4,  del  codice di
procedura  penale,  nella  parte  in  cui  prevede la facolta' di non
rispondere  per  i  soggetti  nei  cui  confronti  si procede o si e'
proceduto  separatamente,  che hanno in precedenza reso dichiarazioni
eteroaccusatorie;
        che analoga questione e' stata sollevata, in riferimento agli
artt. 3,  24,  111 e 112 Cost., dal tribunale di Milano con ordinanza
emessa  il  19  aprile  2000 (r.o. n. 447 del 2000) e, in riferimento
agli  artt.  3,  111  e  112  Cost.,  dal tribunale di Foggia con due
ordinanze  di  identico  contenuto emesse il 23 giugno e il 9 ottobre
2000(r.o. nn. 649 e 851 del 2000);
        che  il  tribunale  di  Crotone - premesso che un imputato in
procedimento   connesso  "gia'  giudicato  con  sentenza  di  perdono
giudiziale",  citato  ai  sensi  dell'art. 210 cod. proc. pen., si e'
avvalso   della   facolta'   di   non  rispondere  e  che  la  difesa
dell'imputato  non  ha prestato consenso alla "formazione della prova
in   assenza   dicontraddittorio"   -   rileva   che   le  precedenti
dichiarazioni  rese  da tale soggetto non sono suscettibili di essere
acquisite  con  il meccanismo delle contestazioni di cui all'art. 513
cod.   proc.   pen.,   attesa   la  loro  assoluta  inutilizzabilita'
discendente  dai  principi  di cui all'art. 111 Cost., immediatamente
operativi  ai sensi dell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio
2000,  n. 2  (Disposizioni  urgenti  per l'attuazione dell'articolo 2
della  legge  costituzionale  23  novembre  1999, n. 2, in materia di
giusto  processo),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 25
febbraio  2000,  n. 35,  che  dispone  l'immediata  applicazione "dei
principi  di  cui all'art. 111 della Costituzione" ai procedimenti in
corso;
        che  il  tribunale  di  Milano - premesso che "un imputato in
procedimento connesso gia' coimputato per i medesimi fatti contestati
agli  imputati", chiamato ex art. 210 cod. proc. pen. in dibattimento
per  la prima volta nell'aprile 2000, si e' avvalso della facolta' di
non  rispondere  -  rileva che "trova applicazione" il nuovo art. 111
della   Costituzione   e   non   la  disciplina  transitoria  dettata
dall'art. 1, comma 2, del d.l. n. 2 del 2000;
        che  il  tribunale di Foggia premette, nella prima ordinanza,
che   nel  corso  del  dibattimento  celebrato  in  un  processo  per
concussione  alcuni  imprenditori,  gia'  indagati  per  corruzione e
sentiti   nella  qualita'  di  cui  al  comma  1  della  disposizione
censurata,  si sono avvalsi della facolta' di non rispondere, e nella
seconda  che  del  diritto  al  silenzio si e' avvalso un imputato di
reato  connesso ex art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nei
cui confronti si stava procedendo separatamente;
        che  di  conseguenza,  ad  avviso  del tribunale, per effetto
dell'art. 111  Cost.,  come  modificato dalla legge costituzionale 23
novembre  1999, n. 2, e dell'art. 1, comma 1, del d.l. n. 2 del 2000,
recante  norme  per  l'attuazione  dell'art. 2  della  predetta legge
costituzionale,    che    hanno   introdotto   regole   assolutamente
incompatibili con la disciplina dell'art. 513 cod. proc. pen. dopo la
sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale, le dichiarazioni
in  precedenza  rese da tali soggetti non possono essere acquisite al
fascicolo per il dibattimento;
        che  a  parere  dei  giudici  a  quibus  la  facolta'  di non
rispondere  prevista  dall'art. 210,  comma  4, cod. proc. pen. per i
soggetti  di  cui al comma 1, contrasta in primo luogo con l'art. 111
della Costituzione (terzo e quarto comma);
        che  tale  norma,  garantendo  il  diritto  delle parti e, in
particolare,  dell'imputato  di  interrogare  le  persone che rendono
dichiarazioni  accusatorie  (r.o.  nn. 167,  649  e  851  del  2000),
imporrebbe  "un riassetto dei confini tra diritto alla formazione nel
contraddittorio  della prova e il diritto al silenzio del dichiarante
erga  alios"(r.o.  nn. 167, 447, 649 e 851 del 2000), e comporterebbe
che  coloro  i  quali  hanno  scelto  nella fase predibattimentale di
rendere  dichiarazioni  su  fatti  concernenti  la responsabilita' di
altri  "non possono poi sottrarsi nel dibattimento penale al ruolo di
fonte  di  prova  liberamente  assunto  in  precedenza",  avendo tali
dichiarazioni   rilevanti   riflessi  sia  in  termini  di  esercizio
dell'azione  penale, sia in termini di provvedimenti adottabili prima
del dibattimento (r.o. nn. 649 e 851 del 2000);
        che la disciplina censurata sarebbe inoltre in contrasto:
          con  gli  artt. 3  e  24  Cost.,  in quanto le nuove regole
fissate dall'art. 111 Cost., incidendo sui rapporti tra il diritto di
difesa   dell'accusato  e  il  diritto  di  difesa  del  dichiarante,
implicano che "alla maggior tutela del primo" deve corrispondere "una
compressione  del  secondo",  e  cioe'  dello  spazio  del diritto al
silenzio (r.o. n. 167 e 447);
          con  gli artt. 112 (r.o. nn. 167, 447, 649 e 851 del 2000),
113  e  97  della  Costituzione  (r.o. n. 167 del 2000), in quanto la
censurata disciplina del diritto al silenzio vanifica l'attuazione di
principi  costituzionali  di  paririlevanza, quali l'indefettibilita'
della  giurisdizione,  l'obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione
penale,  l'inderogabile  funzione conoscitiva del processo, il libero
convincimento  del  giudice  (r.o. n. 447 e 649 e 851), condizionando
l'esercizio della giurisdizione "nel suo estrinsecarsi e nel suo buon
andamento" (r.o. n. 167) alla facolta' di non rispondere del soggetto
da  esaminare,  pur  in  assenza di reali esigenze di salvaguardia di
suoi  interessi  costituzionalmente protetti, trattandosi di soggetto
gia' giudicato (r.o. n. 167) o a tutela del quale comunque soccorrono
le norme che lo garantiscono da autoincriminazioni, ex artt. 63 e 198
cod. proc. pen. (r.o. n. 447, 649 e 851);
          con  l'art. 3  Cost.,  per  la  irragionevole diversita' di
disciplina  della  acquisizione  e  utilizzazione delle dichiarazioni
eteroaccusatorie  a  seconda  che provengano da un testimone o da uno
dei  soggetti  di  cui  all'art. 210 cod. proc. pen. (r.o. n. 167), e
perche',   per   effetto   di   un'opzione   affatto  arbitraria  del
dichiarante,  si  possonoformare giudicati contrastanti nei confronti
di  posizioni  processuali  del  tutto simili (r.o. nn. 649 e 851 del
2000);
        che  il tribunale di Nocera Inferiore con ordinanza emessa il
14  giugno  2000  (r.o. n. 721 del 2000) solleva, in riferimento agli
artt. 3 e 111 Cost., analoga questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 210  cod. proc. pen., censurando tuttavia tale disposizione
non  solo  nella  parte  in  cui  garantisce  il  diritto al silenzio
dell'imputato   in   procedimento   connesso   che  abbia  gia'  reso
dichiarazioni  nella fase delle indagini, ma anche nella parte in cui
"non  prevede  che  il  rifiuto dell'esame, quanto alle dichiarazioni
eteroaccusatorie,  sia  penalmente  sanzionato,  al  pari del rifiuto
opposto dal testimone";
        che  il  predetto  tribunale  -  premesso  che  nel corso del
dibattimento,  il  7  aprile  2000,  erano  state  acquisite senza il
consenso  dei difensori, con "il sistema delle contestazioni previsto
dall'art. 513  c.p.p.,  come  modificato  dalla  sentenza della Corte
costituzionale   n. 361/1998",   le  dichiarazioni  rese  nella  fase
investigativa  da  imputati  in procedimento connesso, gia' giudicati
con  rito  abbreviato,  che avevano rifiutato di sottoporsi all'esame
dibattimentale   -  rileva  che  tale  acquisizione  e'  da  ritenere
"erronea, alla luce delle disposizioni introdotte con legge n. 35 del
25  febbraio  2000,  che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 2
del  7  gennaio  2000,  attuativodell'art. 2, legge costituzionale 23
novembre  1999,  n. 2",  con  la  conseguenza  che  le "dichiarazioni
illegittimamente  acquisite"  sarebbero  inutilizzabili ai fini della
decisione;
        che  l'art. 210  cod.  proc.  pen.,  garantendo il diritto al
silenzio  all'imputato  in  procedimento connesso che abbia gia' reso
dichiarazioni erga alios, sarebbe quindi in contrasto:
          con l'art. 111 della Costituzione in quanto, imponendo tale
norma  il  metodo  dialettico ai fini dell'accertamento della verita'
materiale   e   "rendendo   esplicita   la   scelta  secondo  cui  il
contraddittorio  tra  le parti e' da considerarsi come il solo metodo
probatorio idoneo ad eruendam veritatem", non sono compatibili con la
scelta  operata  dal  costituente  "regole che limitino la pienezza e
l'effettivita'  del  contraddittorio,  non  giustificate daprincipi a
loro volta di rango o pari valore costituzionale";
          con   l'art. 3   Cost.,  in  quanto  e'  irragionevole  "la
indiscriminata  tutela  del  diritto al silenzio di colui che, avendo
gia'  reso  dichiarazioni  nel  processo  che  lo  riguarda, ha anche
subito,  grazie al meccanismo previstodall'art. 513, una compressione
del  proprio  diritto  di  difesa, diritto che non puo' essere dunque
invocato per garantirne il silenzio nel procedimento connesso";
        che  nei  giudizi  relativi  alle questioni iscritte nel r.o.
nn. 167,  721  e  851  del  2000  e'  intervenuto  il  Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che le questioni siano dichiarate
infondate,   facendo  particolare  riferimento  ai  principi  di  cui
all'art. 24 Cost.
    Considerato  che  identica  e'  la  sostanza delle questioni, che
concernono  tutte  il  diritto  al silenzio riconosciuto alle persone
imputate  o  giudicate  in  un  procedimento  connesso che abbiano in
precedenza  reso  dichiarazionieteroaccusatorie,  per cui deve essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che   successivamente   alle   ordinanze   di  rimessione  e'
intervenuta la legge 1o marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale
e  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di formazione e di
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111  della  Costituzione),  che  ha  profondamente
inciso  sulla  disciplina  del diritto al silenzio e della formazione
della prova in dibattimento, in particolare modificando gli artt. 64,
197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen.,
che  individua le ipotesi in cui lepersone imputate o giudicate in un
procedimento  connesso  o  per  reato collegato assumono l'ufficio di
testimone;
        che  di  conseguenza,  essendo mutati la norma censurata e il
contesto  complessivo della disciplina diriferimento, gli atti devono
essere  restituiti  ai  giudici rimettenti, perche' verifichino se le
questioni siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus.