ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 197, comma 1,
lettera  a),  e  210, comma 4, in relazione al comma 1, del codice di
procedura  penale,  promossi,  nell'ambito  di  diversi  procedimenti
penali,  con  ordinanze  emesse  il  1o  giugno 2000 dal tribunale di
Padova,  il 20 giugno 2000 dal tribunale di Milano, il 29 giugno 2000
dal  tribunale di Rovereto, il 20 ottobre 2000 dal tribunale militare
di  Verona  e  il  30  ottobre 2000 dal tribunale di Napoli, iscritte
rispettivamente  ai  nn. 483,  563,  659 e 797 del registro ordinanze
2000  e n. 68 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica, 1a serie speciale, nn. 38, 42, 46 e 52,
dell'anno 2000 e n. 6, dell'anno 2001;
        dell'art.  197,  comma 1, lettera a), del codice di procedura
penale,   promosso,   nell'ambito  di  un  procedimento  penale,  con
ordinanza  emessa il 16 maggio 2000 dal tribunale di Milano, iscritta
al  n. 556  del  registro  ordinanze  2000, pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, 1a serie speciale, n. 42 dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri,  nonche' l'atto di costituzione, nel giudizio relativo alla
questione  iscritta  al  n. 483  del  registro  ordinanze  del  2000,
dell'imputato in procedimento connesso;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 6 giugno 2001 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 1o
giugno 2000 (r.o. n. 483 del 2000), ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  111  e  112  della  Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  degli artt. 197, comma 1, lettera a), e 210, comma 4,
in  relazione al comma 1, del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  prevedono:  il  primo,  l'incompatibilita'  con l'ufficio di
testimone dei coimputati del medesimo reato o degli imputati di reato
connesso  a  norma  dell'art. 12  cod.  proc. pen., anche se nei loro
confronti  sia  stata  pronunciatasentenza  irrevocabile  o  comunque
definitiva;  il  secondo, che possano avvalersi della facolta' di non
rispondere  anche  le  persone  nei  confronti  delle quali sia stata
pronunciata sentenza irrevocabile;
        che  questioni  analoghe sono state sollevate, in riferimento
agli  artt. 2,  3,  24,  111 e 112 Cost., dal tribunale di Milano con
ordinanza  del  20 giugno 2000 (r.o. n. 563 del 2000); in riferimento
agli  artt. 2,  3, primo comma, 24, secondo comma, 25, secondo comma,
97,  101, secondo comma, 111, dal primo al quinto comma, e 112 Cost.,
dal  tribunale  di  Rovereto  con  ordinanza del 29 giugno 2000 (r.o.
n. 659  del  2000);  in  riferimento  agli artt. 101 e 111 Cost., dal
tribunale  militare di Verona con ordinanza del 20 ottobre 2000 (r.o.
n. 797  del  2000);  in  riferimento  agli  artt. 3  e 112 Cost., dal
tribunale di Napoli con ordinanza del 30 ottobre 2000 (r.o. n. 68 del
2001);
        che  il tribunale di Milano, con ordinanza del 16 maggio 2000
(r.o. n. 556 del 2000), ha sollevato, inriferimento agli artt. 3, 25,
101,  secondo  comma,  111  e  112  Cost.,  questione di legittimita'
costituzionale  del  solo  art. 197,  comma 1, lettera a), cod. proc.
pen.,   "nella  parte  in  cui  stabilisce  la  incompatibilita'  con
l'ufficio  di testimone delle persone coimputate nel medesimo reato o
imputate  in  un  procedimento  connesso  nei cui confronti sia stata
pronunciata sentenza di condanna divenuta irrevocabile";
        che   tutte  le  censure  fanno  specifico  riferimento  alla
situazione  dell'imputato  di reato connesso che ha gia' "definito la
propria  posizione  rispetto ai fatti di causa" (cosi', testualmente,
r.o.  n. 68 del 2001), e che, avendo in precedenza reso dichiarazioni
eteroaccusatorie,  si  avvale, in dibattimento, della facolta' di non
rispondere:precisandosi  nelle  ordinanze  iscritte  ai nn. 483, 556,
563,  659  e  797  del r.o. del 2000 che la fattispecie rilevante nei
giudizi  a  quibus  e'  quella di "dichiaranti" che hanno definito la
propria posizione con sentenza di patteggiamento;
        che esplicitamente nelle ordinanze nn. 483, 659, 797 del 2000
e  68 del 2001 i rimettenti rilevano che, in assenza dell'accordo tra
le  parti, i verbali delle dichiarazioni rese da tali persone durante
le  indagini  non sono in alcun modo ne' acquisibili al fascicolo del
dibattimento ne' utilizzabili;
        che  la  preclusione  discende,  a parere dei rimettenti, dal
nuovo  testo  dell'art. 111 della Costituzione(r.o. n. 68 del 2001) o
meglio,  non  solo e non tanto dalla "natura di norme self executive"
che  va  riconosciuta  "alle disposizioni piu' dettagliate" del nuovo
testo  costituzionale,  ma  dal  decreto-legge  7  gennaio 2000, n. 2
(Disposizioni  urgenti  per  l'attuazione  dell'art.  2  della  legge
costituzionale  23 novembre 1999, n. 2, in materia di giustoprocesso)
convertito,  con  modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35,
che   all'art. 1,   comma  1,  "disponel'immediata  applicazione  dei
principi  di  cui  all'art. 111 della Costituzione ai procedimenti in
corso",  con "conseguente tacita abrogazione di tutte le disposizioni
processuali  con  essa incompatibili e, pertanto, anchedell'art. 513,
secondo  comma  c.p.p., cosi' come modificato da Corte costituzionale
n. 361/1998" (r.o. n. 659 e, in senso analogo, r.o. nn. 483 e 797 del
2000);
        che ad avviso dei rimettenti, poiche' la ratio del diritto al
silenzio   non  riposa  in  una  presunzione  diinattendibilita'  del
dichiarante,  ma  nel  suo  interesse  a non essere obbligato a edere
contra  se  e cioe' nell'esigenza che sia garantito il suo diritto di
difesa  (che  pero',  si  rileva  nella ordinanza n. 659 del 2000, e'
assicuratodall'art. 24,  secondo  comma, della Costituzione solamente
con  riferimento  a ogni stato e grado del procedimento nei confronti
del dichiarante stesso, non oltre);
        che  pertanto  l'"eccesso  di  tutela" a favore di coloro che
hanno  oramai definito la propria posizioneprocessuale determinerebbe
la lesione di altri interessi di rilievo costituzionale, contrapposti
al "diritto di difesa" del dichiarante;
        che sarebbe cosi' violato l'art. 3 Cost.:
          perche'  sono irragionevolmente regolate in maniera diversa
la  situazione  del  testimone  rispetto  a  quella  dell'imputato in
procedimento  connesso  che  ha  reso  dichiarazioni erga alios (r.o.
nn. 556,  563  del  2000),  nonche'  la  situazione  dell'imputato in
procedimento  connesso  prosciolto  con sentenza irrevocabile, per il
quale   non  vige  l'incompatibilita'  con  l'ufficio  di  testimone,
rispetto  a  quella dell'imputato in procedimento connesso condannato
con    sentenza    irrevocabile,   per   il   quale   invece   quella
incompatibilita'  sussiste,  nonostante  si  tratti di situazioni del
tutto  equivalenti  dal  punto  di  vista  del  concreto  pregiudizio
processuale  che  il  dichiarante  potrebbe  subire  nel  caso  renda
dichiarazioni autoindizianti (r.o. nn. 483, 556, 659 del 2000);,
          e  perche'  -  costituendo  la  disciplina dei rapporti tra
"obbligo   di  testimoniare"  e  "diritto  al  silenzio"  uno  "snodo
fondamentale  del  sistema  processuale  penale, che impone sempre un
ragionevole  e  meditato  bilanciamento  di contrapposti valori" - la
tutela  incondizionata  di  uno  solo  degli  interessi in gioco, col
conseguente  sacrificio  degli  interessi  contrapposti, incide sulla
"tenuta   complessiva   del   sistema"   determinandone  l'intrinseca
irragionevolezza (r.o. nn. 563, 556, 659 del 2000);
        che  sarebbero  quindi violati gli artt. 24, secondo comma, e
111, terzo comma, Cost., nei quali trovariconoscimento costituzionale
il diritto di difesa dell'imputato nel processo in cui il dichiarante
e' chiamato arendere l'esame, con specifico riferimento alla facolta'
"di  interrogare  o  di  fare  interrogare  le  persone  che  rendono
dichiarazioni   a   suo   carico"   e   dunque   alla   garanzia  del
contraddittorio  come esplicazione del diritto di difesadell'imputato
(r.o. nn. 563, 659 del 2000, nonche' r.o. nn. 483, 556, 797 del 2000,
ma solo in riferimento all'art. 111 Cost.);
        che  sarebbe anche, e soprattutto, violato l'art. 111, quarto
comma, prima parte, Cost., che riconosce il principio (oggettivo) del
contraddittorio   nella   formazione   della   prova   quale   metodo
privilegiato   di  accertamento  della  verita'  e  che  impone  "una
revisione   dei   confini   tra   il   diritto   alla  formazione  in
contraddittorio   della   prova,   ed  il  diritto  al  silenzio  del
dichiarante erga alios";
        che  il  riconoscimento  della  facolta'  di  non  rispondere
svuoterebbe  di  effettivita'  tale principio(r.o. nn. 483, 556, 563,
797  del  2000;  nella  ordinanza  n. 68  del 2001 censura analoga e'
svolta  in  riferimento  all'art. 3 Cost.), consentendo a un soggetto
estraneo  al processo di condizionare in senso restrittivo, in base a
una  scelta  del tutto insindacabile, l'ambito conoscitivo offerto al
contraddittorio,   che  invece  "postula  che  laselezione  dei  dati
rilevanti per il giudizio sia la piu' ampia possibile, in funzione di
garanzia   contro   una   selettivita'   arbitraria   determinata  da
un'indagine  a senso unico" e "svolge la funzione di massimizzare non
semplicemente le possibilita' di controllo critico ma anche le stesse
informazioni utili ai fini della decisione a disposizione delgiudice"
(r.o. n. 659 del 2000);
        che la disciplina censurata sarebbe, inoltre, in contrasto:
          con gli artt. 25, secondo comma, e 111, primo comma, Cost.,
in  quanto  incide sulla funzione conoscitiva del processo penale che
e'    strumento,    non    disponibile   dalle   parti,   finalizzato
all'accertamento  dei  fatti reato e delle relative responsabilita' e
quindi  a  una giusta decisione (r.o. nn. 556 e 659 del 2000; censure
sostanzialmente  analoghe  sono svolte nella ordinanza n. 68 del 2001
per   violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e,  quindi,  in
riferimento all'art. 3 Cost.);
          con  l'art. 2  Cost., in quanto la liberta' sostanzialmente
accordata  al  dichiarante  di  difendersi anche accusando falsamente
altri,  ovvero  di sottrarsi nel dibattimento al confronto dialettico
con l'accusato nonostante le rilevanti conseguenze prodotte sul piano
investigativo,   cautelare   e   processuale,   dalle   dichiarazioni
accusatorie  rese  nella fase predibattimentale, confligge con i piu'
elementari  doveri  di  solidarieta'  sociale  (r.o. nn. 563, 659 del
2000);
          con l'art. 97 Cost., in quanto le disposizioni che regolano
i  rapporti  tra  "obbligo  di  testimoniare" e "diritto al silenzio"
finiscono  per incidere sul buon andamento e sull'imparzialita' della
amministrazione giudiziaria (r.o. n. 659 del 2000);
          con   l'art. 101,   secondo  comma,  Cost.,  in  quanto  la
disciplina    censurata   comporta   l'irragionevole   einaccettabile
sacrificio  del  principio del libero convincimento, desumibile dalla
soggezione  del  giudice  soltanto alla legge (r.o. nn. 556, 659, 797
del 2000);,
          con  l'art. 112  Cost.,  incidendo  tale  disciplina  sulla
indefettibilita'   della   giurisdizione   e   sulla  obbligatorieta'
dell'azione  penale  (r.o.  nn. 483,  556, 563, 659 del 2000 e 68 del
2001);
        che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  che  ha  chiesto  che le questioni siano dichiarate infondate
facendo  riferimento,  inparticolare,  ai principi di cui all'art. 24
della  Costituzione e, nelle memorie successivamente depositate, alla
legge  1o  marzo  2001,  n. 63,  che, medio tempore, ha modificato le
disposizioni censurate;
        che  nel  giudizio relativo alla questione iscritta al n. 483
del   r.o.  del  2000  si  e'  costituito  l'imputato  inprocedimento
connesso,  in  relazione al cui "diritto al silenzio" e' sollevata la
questione, rappresentato e difesodall'avv. Piero Longo, chiedendo che
la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
    Considerato   che   identica  e'  la  sostanza  delle  questioni,
concernenti  tutte  il  diritto al silenzio riconosciuto alle persone
che  hanno in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie imputate
in un procedimento connesso e gia' giudicate;
        che,  nonostante sia formalmente indirizzata al solo art. 197
cod.  proc.  pen.,  la questione sollevata con l'ordinanza n. 556 del
2000  e'  sostanzialmente  uguale a quelle che investono il combinato
disposto  degli  artt. 197  e  210  cod.  proc.  pen.,  in  quanto il
tribunale   di   Milano  ritiene  che  l'art. 197  cod.  proc.  pen.,
stabilendo  "il  discrimine  fra  la figura dell'imputato e quella di
testimone",  contempli "categorie di soggetti nei confronti dei quali
non pare possa riconoscersi il diritto al silenzio";
        che  deve  pertanto  essere disposta la riunione dei relativi
giudizi;
        che   successivamente   alle   ordinanze   di  rimessione  e'
intervenuta la legge 1o marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale
e  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di formazione e di
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111  della  Costituzione),  che  ha  profondamente
inciso  sulla  disciplina  del diritto al silenzio e della formazione
della  prova in dibattimento, modificando, tra l'altro, gli artt. 64,
197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen.,
che  individua  e  regola  le  ipotesi  in  cui le persone imputate o
giudicate  in un procedimento connesso o per reato collegato assumono
l'ufficio ditestimone;
        che  di  conseguenza,  essendo mutati le norme censurate e il
contesto  complessivo della disciplina diriferimento, gli atti devono
essere  restituiti  ai  giudici rimettenti, perche' verifichino se le
questioni siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus.