ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 3 e 8 in
relazione  all'art. 10, commi 1, 3 e 4, della legge 11 novembre 1996,
n. 574  (Nuove  norme  in  materia  di utilizzazione agronomica delle
acque  di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), promossi con
n. 3  ordinanze  emesse  il  28 ottobre  1998  dal pretore di Pescara
rispettivamente iscritte ai nn. 722, 723 e 724 del registro ordinanze
2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, 1a
serie speciale, dell'anno 2000.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 maggio 2001 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  con tre ordinanze di identico contenuto, emesse il
28 ottobre  1998, nel corso di altrettanti procedimenti penali aventi
ad  oggetto  lo scarico sul suolo di acque di vegetazione provenienti
dalla  molitura  delle  olive  senza  il  possesso  della  prescritta
autorizzazione,  il  pretore  di Pescara ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 9, secondo comma, 32 e 41 della Costituzione, questione
di   legittimita'   costituzionale  degli  artt. 3,  8  in  relazione
all'art. 10,  commi  1,3,e  4,  della  legge 11 novembre 1996, n. 574
(Nuove  norme  in  materia di utilizzazione agronomica delle acque di
vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari);
        che  il  giudice  rimettente  si fa carico della decisione di
questa Corte relativa ad identica questione sfociata in una pronuncia
di manifesta inammissibilita' (ordinanza n. 20 del 1998), e ripropone
la questione di legittimita' costituzionale gia' sollevata, basandosi
sulla  considerazione che il nuovo regime di favore introdotto con la
legge   n. 574   del   1996   per   gli   scarichi  dei  frantoi  sia
complessivamente  in  contrasto  con  i  principi  fondamentali della
Costituzione,  in  quanto la sanzione dell'illecito spandimento delle
acque  di  vegetazione  e'  ora  di  natura amministrativa, mentre in
precedenza  era  di  natura  penale,  tenuto  conto che la disciplina
precedente continuerebbe ad essere applicata agli scarichi effettuati
prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 574  del  1996, con
evidente disparita' di trattamento;
        che,  sotto  il  profilo  della  rilevanza,  il giudice a quo
osserva  che  nel  caso  di  "depenalizzazione  di  una  materia", la
valutazione di tale requisito debba ispirarsi a criteri piu' ampi, in
particolare  modo  quando  la fattispecie sottoposta al giudizio deve
essere  sanzionata  in  base alla legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme
per  la  tutela  delle acque dall'inquinamento), soggetta, quindi, ad
una  sanzione  di natura penale, mentre il fatto ora non sarebbe piu'
previsto  come  reato,  con  evidente  disparita'  di trattamento tra
coloro  che  hanno commesso il fatto prima o dopo l'entrata in vigore
della nuova legge di depenalizzazione;
        che  la  disparita' di trattamento, sempre secondo il giudice
rimettente, apparirebbe ancor piu' evidente, qualora si consideri che
la  depenalizzazione  non  e'  conseguenza  di una attenuazione della
tutela  del bene giuridico protetto, giacche' la tutela dell'ambiente
rimane un valore primario dell'ordinamento;
        che,   d'altro   canto,  una  interpretazione  eccessivamente
rigorosa  del  requisito  della  rilevanza sottrarrebbe, di fatto, al
sindacato  della  Corte  costituzionale  le leggi di depenalizzazione
sulla  base  di una disposizione ordinaria (art. 23 della legge n. 87
del  1953),  senza  tenere  conto che tutte le leggi che incidono sul
giudizio  di liceita' delle condotte umane e sulla relativa sanzione,
interagirebbero  in  modo  diretto  con  i  diritti  di  liberta' dei
cittadini e con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza;
        che,   in  sintesi,  il  giudice  rimettente  assume  che  la
valutazione  della  capacita'  inquinante delle acque di vegetazione,
operata  con assimilazione alla categoria delle acque da insediamenti
produttivi dal legislatore del 1976, sarebbe tuttora rispondente alla
esigenza  di  tutelare  l'ambiente  (art. 9  della Costituzione) e la
salute   umana   (art. 32  della  Costituzione)  ed  a  garantire  lo
svolgimento  della  libera iniziativa economica secondo i principi di
non discriminazione (artt. 41 e 3 della Costituzione);
        che  nei  giudizi  introdotti  con  le  citate  ordinanze  e'
intervenuto   il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  con  il
patrocinio  dell'Avvocatura  generale  dello Stato, che ha concluso -
oltre   che  per  l'infondatezza  -  per  la  inammissibilita'  della
questione  per  difetto  di  rilevanza,  in  quanto  il giudice a quo
riconoscerebbe esplicitamente che nel giudizio principale debba farsi
applicazione  della  normativa  di  cui  alla  legge  n. 319 del 1976
relativa allo sversamento non autorizzato di acque di vegetazione sul
suolo,  senza peraltro sollevare dubbi, salvo quello della disparita'
di  trattamento, sulla legittimita' costituzionale di tale normativa,
che prevede, per tali fatti, la sanzione penale;
        che l'inammissibilita' e' fatta valere anche sotto il profilo
del  contrasto  con  il  principio di stretta legalita' in materia di
reati  e  di pene, in quanto l'eventuale accoglimento della questione
concretizzerebbe     ovvero     ripristinerebbe    una    fattispecie
incriminatrice  diversa o ulteriore rispetto a quelle configurate dal
legislatore.
    Considerato  che,  stante la identita' delle questioni sollevate,
deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che,  preliminarmente,  giova  chiarire  che  l'art. 10 della
legge    n. 574    del    1996   non   viene   contestato   ai   fini
dell'applicabilita'  della  legge  n. 319  del  1976 alle fattispecie
anteriori  (fatti  commessi  in data anteriore a quella di entrata in
vigore   della   legge)   non   in   regola   con   taluni   obblighi
transitoriamente   previsti   dal   d.l.   26 gennaio   1987,   n. 10
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di scarichi dei frantoi oleari),
convertito,  con modificazioni, nella legge 24 marzo 1987, n. 119; in
realta' si denuncia la differente scelta del legislatore (rispetto al
caso  in  esame)  di  non contemplare sanzioni penali per le semplici
violazioni  alle  nuove  norme  sulla  utilizzazione agronomica delle
acque  di  vegetazione  provenienti  da frantoi oleari, estranee alla
fattispecie in esame, purche' successive alla legge n. 574 del 1996;
        che  in  realta'  quest'ultimo  profilo  deriva da una scelta
discrezionale    del   legislatore,   che   non   e'   manifestamente
irragionevole  ne'  palesemente  arbitraria,  in quanto i cambiamenti
normativi  in  ordine  alla  possibilita' di utilizzazione agronomica
delle  acque  di  vegetazione  e  residui  assimilati, provenienti da
frantoi  oleari,  deriva  da  una innovativa tendenza a facilitare il
riuso  delle  scorie e dei residui di talune lavorazioni di prodotti,
ed    e'    accompagnata   da   nuove   (ritenute   non   applicabili
retroattivamente)   procedure   amministrative   (con  previsione  di
semplici sanzioni amministrative) e da limiti oggettivi tassativi: la
nuova  disciplina  riguarda  solo  acque  residuate dalla lavorazione
meccanica  delle  olive che non hanno subito alcun "trattamento", ne'
ricevuto alcun "additivo";
        che,  del resto, sul piano della ragionevolezza della scelta,
deve  essere  sottolineato  che  rimangono  non assorbite dal sistema
sanzionatorio amministrativo tutte le fattispecie in cui (osservate o
meno   le   procedure  di  autorizzazione  e  le  relative  modalita'
attuative)  si verifichi, per dolo (o anche per colpa a seconda delle
ipotesi)  un  concreto danno alle acque o alla salute dell'uomo, tale
da  integrare  gli  elementi  costitutivi  di  distinta previsione di
reato, cio' anche in base al principio di specialita';
        che  l'ordinanza  di  rimessione della questione contiene una
valutazione  plausibile  che  le  condotte  (scarico  di  un frantoio
oleario),  oggetto  del giudizio penale, rientravano nella previsione
dell'art. 21 della legge10 maggio 1976, n. 319, anche alla luce della
normativa   transitoria   contenuta   nell'art. 10,  comma  4,  della
sopravvenuta  legge  11 novembre  1996,  n. 574,  in  quanto scarichi
effettuati, prima dell'entrata in vigore della anzidetta legge n. 574
del 1996 e quindi assimilati a scarico di insediamento produttivo, da
soggetto che non aveva adempiuto agli obblighi previsti dagli artt. 1
e  2  del  d.l.  26 gennaio 1987, n. 10, convertito in legge 24 marzo
1987, n. 119;
        che  tale valutazione compiuta dal giudice a quo comporta che
lo  stesso  giudice  ha  gia'  esaurito  il  suo  giudizio in base al
predetto  art. 10,  comma  4, della legge n. 574 del 1996, escludendo
l'ipotesi  di  non  punibilita' prevista dalla medesima disposizione,
per  cui  e'  evidente  l'irrilevanza  della  relativa  questione  di
legittimita' costituzionale;
        che  la  stessa  ordinanza  non  contesta  ne' pone dubbi sul
profilo  della  applicabilita'  alla  fattispecie  al suo esame delle
sanzioni  penali dell'art. 21 della legge n. 319 del 1976, ma solleva
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sulla  disparita' di
trattamento  e  sulla  depenalizzazione  e  la  futura (rispetto alle
fattispecie  successive  all'entrata in vigore della legge n. 574 del
1996) applicabilita' di sole sanzioni amministrative per una serie di
violazioni  alla  nuova  disciplina  (ormai  in  parte derogatoria ed
integrativa rispetto a quella generale degli scarichi da insediamenti
produttivi),  relativa  alla  utilizzazione agronomica delle acque di
vegetazione  e  delle  sanse  umide  provenienti  da  frantoi oleari,
contenuta nella anzidetta legge n. 574 del 1996;
        che,  in  altri  termini,  l'ordinanza  di rimessione ha come
dichiarato  obiettivo  di  far  si'  che "la disciplina e le sanzioni
della  legge  n. 319  del  1976"  siano  applicabili per gli scarichi
(rectius: per la utilizzazione di residui derivati) da frantoi oleari
non  "solo  per  le  violazioni  pregresse di cui in imputazione" nel
procedimento  a  quo ma anche per le violazioni successive alla legge
n. 574 del 1996, estranee, tuttavia, al giudizio a quo;
        che,  in  definitiva,  l'ordinanza  di rimessione utilizza la
fattispecie  al  suo  esame  -  rispetto  alla quale e al tempo della
commissione dei fatti ed in relazione alla disposizione penale che il
giudice ritiene di dovere applicare (legge n. 319 del 1976) non viene
profilato  alcuno  specifico  e  rilevante  problema  di legittimita'
costituzionale - come mero espediente per sollevare una questione con
riferimento  ad  un'altra  norma  contenente depenalizzazione, che lo
stesso giudice afferma non applicabile nel giudizio a quo;
        che,  quindi,  difetta  del  tutto  la  incidentalita'  della
questione   per   il  difetto  assoluto  di  rilevanza,  non  essendo
consentito  al  giudice  di  proporre autonomamente ed in via diretta
questioni  di legittimita' costituzionale, che non siano collegate al
giudizio  in  corso,  attraverso  la  norma da applicare nello stesso
giudizio  per  profili  processuali, ovvero attinenti al merito della
controversia e alla loro definizione;
        che,  pertanto,  le  questioni  sollevate sono manifestamente
inammissibili.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.