ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 29, commi 3 e
5,  della  legge  25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco,
del   presidente  della  provincia,  del  consiglio  comunale  e  del
consiglio  provinciale),  promosso  con ordinanza emessa il 18 agosto
1999  dal  giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di
Bologna nel procedimento penale a carico di P. L., iscritta al n. 112
del  registro  ordinanze  2001  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 8, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 20 giugno 2001 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  (infra: g.i.p.)
presso  il  tribunale  di  Bologna  ha  sollevato,  con ordinanza del
18 agosto 1999, pervenuta alla Corte il 29 gennaio 2001, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 29,  commi 3 e 5, della legge
25 marzo  1993,  n. 81  (Elezione diretta del sindaco, del presidente
della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale),
in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
    2. - Il rimettente premette che nel giudizio a quo si procede nei
confronti  di un candidato alle elezioni comunali, imputato dei reati
previsti  dall'art. 9  della  legge  4 aprile  1956,  n. 212  (recte:
illecito  amministrativo)  e  dall'art. 29,  commi 3 e 5, della legge
n. 81  del  1993  e  che per entrambe le norme egli ha gia' sollevato
questione  di legittimita' costituzionale, dichiarata da questa Corte
manifestamente   inammissibile   per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza (ordinanza n. 301 del 1998).
    Il  g.i.p.  deduce  che  con lo stesso provvedimento con il quale
propone  la  questione  egli ha dichiarato "non luogo a procedere" in
ordine alla contestazione riferita all'art. 9, della legge n. 212 del
1956,  poiche'  l'illecito  previsto  da  quest'ultima norma e' stato
depenalizzato.   Egli   ritiene,   invece,  di  impugnare  nuovamente
l'art. 29,  commi  3  e  5, della legge n. 81 del 1993, integrando la
motivazione  svolta  nell'ordinanza  con  la quale, in precedenza, ha
gia' censurato detta disposizione.
    Il  rimettente espone, quindi, che la norma impugnata punisce con
la  pena  della  multa da lire un milione a lire cinquanta milioni la
diffusione   di   pubblicazioni   di   propaganda   elettorale  prive
dell'indicazione  del nome del committente responsabile e precisa che
all'imputato,  candidato  alle  elezioni  amministrative comunali, e'
stato contestato di avere affisso manifesti pubblicizzanti la propria
candidatura, privi di siffatta indicazione.
    Secondo il g.i.p., una condotta analoga a quella in esame, tenuta
in  "un  contesto  logicamente  identico"  ossia  in  occasione delle
elezioni  politiche,  e' punita meno gravemente, dato che per essa e'
prevista  la  sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a
lire cinquanta milioni.
    A  suo  avviso,  la  norma  impugnata  si  porrebbe,  quindi,  in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, sia perche', in violazione
del   principio  di  eguaglianza,  realizzerebbe  una  ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra due situazioni omologhe, sia perche'
tutti  gli  illeciti  previsti  dalla legge n. 212 del 1956 sarebbero
stati depenalizzati, cosicche' sarebbe irragionevole che soltanto per
la  "ipotesi  residuale"  in  esame  permanga  la  previsione  di una
sanzione penale.

                       Considerato in diritto

    1. - La  questione  di  legittimita' costituzionale sollevata con
l'ordinanza  indicata  in  epigrafe  concerne l'art. 29, commi 3 e 5,
della  legge 25 marzo 1993, n. 81, nella parte in cui stabilisce che,
in    occasione   delle   campagne   elettorali   per   le   elezioni
amministrative,  la  mancata  indicazione  del  nome  del committente
responsabile sulle pubblicazioni di propaganda elettorale specificate
nel  comma 3 e' punita con la multa da un milione a cinquanta milioni
di lire.
    Secondo  il  giudice  rimettente  la  norma  impugnata violerebbe
l'art. 3    della    Costituzione,    sia    perche'    realizzerebbe
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  rispetto all'identica
condotta,  punita  con una sanzione amministrativa pecuniaria, tenuta
in occasione delle campagne elettorali per le elezioni politiche, sia
perche'  tutti  gli illeciti previsti in materia dalla legge 4 aprile
1956,  n. 212  (Norme  per la disciplina della propaganda elettorale)
sono   stati   depenalizzati,  cosicche'  sarebbe  irragionevole  che
soltanto  per  la  "ipotesi  residuale"  in  esame  sia  mantenuta la
previsione di una sanzione penale.
    2. - Preliminarmente   va   dichiarata   l'ammissibilita'   della
questione, gia' in precedenza ritenuta da questa Corte manifestamente
inammissibile  per  difetto di motivazione sulla rilevanza (ordinanza
n. 301  del  1998),  in  quanto  il  giudice  a  quo  ha integrato la
precedente  motivazione  (ex  plurimis,  sentenza  n. 176  del 2000),
specificando   che   i  dubbi  di  costituzionalita'  prospettati  si
riferivano  ad  una  vicenda verificatasi in occasione delle elezioni
amministrative.
    Ancora  in  via  preliminare  va  precisato  che  la questione di
legittimita'   si   deve   incentrare   esclusivamente  sul  comma  5
dell'art. 29  della  legge  n. 81  del  1993, giacche' il rimettente,
nonostante  abbia  espressamente  indicato nell'ordinanza di rinvio i
commi  3 e 5 del citato articolo, non svolge alcuna censura in ordine
alla  prima  di  queste due disposizioni, la quale stabilisce appunto
l'obbligo  di  indicare  il  nome  del committente responsabile sulle
pubblicazioni di propaganda elettorale.
    3. - Nel  merito  la  questione e' fondata nei termini di seguito
indicati.
    Va   premesso   che,   secondo   la   consolidata  giurisprudenza
costituzionale, pur rientrando nella "discrezionalita' legislativa il
potere  di  configurare le ipotesi criminose (...) e di depenalizzare
fatti dianzi configurati come reato" (da ultimo, ordinanza n. 144 del
2001),  tuttavia  lo scrutinio di costituzionalita' puo' investire il
merito  delle  scelte  del  legislatore  quando l'opzione legislativa
contrasti   con   il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il  profilo
dell'arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza (tra le piu'
recenti: sentenze n. 531 e n. 508 del 2000).
    Nel  quadro  di  questi  orientamenti  giurisprudenziali  occorre
dunque  accertare se la fattispecie oggetto della norma censurata sia
omologa  rispetto al tertium comparationis individuato dal rimettente
con  riferimento  alla  corrispondente  condotta  tenuta in occasione
delle  campagne  elettorali per le elezioni politiche (artt. 3, comma
2,  e  15,  comma  2,  della  legge 10 dicembre 1993, n. 515, recante
"Disciplina  delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei
deputati  e  al  Senato della Repubblica"). In proposito va ricordato
che  l'art. 29,  comma 3, della legge n. 81 del 1993 nel disciplinare
la  propaganda  elettorale in occasione delle elezioni amministrative
dispone  espressamente,  tra  l'altro, che "tutte le pubblicazioni di
propaganda elettorale a mezzo di scritti, stampa o fotostampa, radio,
televisione, incisione magnetica ed ogni altro mezzo di divulgazione,
debbono  indicare il nome del committente responsabile". Analogamente
l'art. 3,  comma  2,  della  legge  n. 515  del  1993 stabilisce, con
formulazione   lessicalmente  identica,  lo  stesso  obbligo  per  le
campagne  elettorali  per  le elezioni alla Camera dei deputati ed al
Senato della Repubblica.
    A  questa identita' delle condotte oggetto delle due norme citate
si   contrappone  invece  un  differente  trattamento  sanzionatorio,
giacche',  in  caso  di inosservanza, l'art. 29, comma 5, della legge
n. 81  del 1993 prevede, quando si tratta di elezioni amministrative,
"la  multa  da  lire  un  milione  a  lire cinquanta milioni", mentre
l'art. 15,  comma  2,  della legge n. 515 del 1993 prevede, quando si
tratta  di elezioni politiche, "la sanzione amministrativa pecuniaria
da lire un milione a lire cinquanta milioni".
    4.  - La prospettata diversita' della disciplina sanzionatoria in
riferimento  a condotte sostanzialmente identiche appare quindi priva
di  giustificazioni.  Tanto  piu'  che  la  materia  della propaganda
elettorale,  nella  quale  tradizionalmente  vengono  ricompresi  gli
illeciti  in  esame  (sentenza  n. 52  del  1996),  e' stata da tempo
caratterizzata,  a  partire  dalla legge n. 212 del 1956 per arrivare
alla legge 22 febbraio 2000, n. 28, da una disciplina sostanzialmente
applicabile  a  qualsiasi tipo di competizione elettorale, in base ad
un   criterio   di  omogeneita',  non  derogato  dalle  modificazioni
introdotte   dalla  legge  24 aprile  1975,  n. 130  (Modifiche  alla
disciplina   della   propaganda  elettorale  ed  alle  norme  per  la
presentazione  delle  candidature e delle liste dei candidati nonche'
dei  contrassegni  nelle elezioni politiche, regionali, provinciali e
comunali).
    In  particolare  va  poi  tenuto presente che la legge n. 515 del
1993,  nel  disciplinare  le  campagne  elettorali  per  le  elezioni
politiche,  da  un  lato  ha  operato - come ha anche rilevato questa
Corte  (sentenza  n. 52 del 1996) - "un ampio intervento sul versante
della  decriminalizzazione"  che  ha  riguardato  "figure di reati in
materia  di  propaganda  elettorale" gia' previste dalla legge n. 212
del   1956.   Dall'altro  lato  e'  specificamente  intervenuta,  con
l'art. 15,  comma  18, proprio sull'impugnato art. 29, comma 5, della
legge  n. 81  del 1993, sostanzialmente modificando l'originaria pena
della  multa  in sanzione pecuniaria amministrativa per le ipotesi di
violazioni  ivi  previste,  ad  eccezione  appunto di quella relativa
all'obbligo   di   indicazione  del  committente  responsabile  sulle
pubblicazioni di propaganda elettorale.
    In  via  di  principio,  peraltro, l'introduzione, da parte della
citata  legge n. 81 riguardo alle campagne elettorali per le elezioni
amministrative,  della  figura  del  committente responsabile avrebbe
potuto  anche corrispondere ad una ratio tale da rendere, di per se',
non   arbitraria   la  singolarita'  della  disciplina  sanzionatoria
irrogata  appunto  nel  caso di violazione dell'obbligo stabilito dal
comma  3 dell'art. 29. Ma essendo stati previsti, a distanza di pochi
mesi,  in  riferimento  alle  campagne  elettorali  per  le  elezioni
politiche,  un'analoga  figura  ed  un analogo obbligo, risulta ancor
meno  individuabile,  nel  quadro  di  una disciplina sostanzialmente
unitaria   della   materia,   una   qualsiasi  giustificazione  della
disparita'  di trattamento sanzionatorio, posta in essere dalla norma
impugnata riguardo all'altra fattispecie omologa.
    Si deve dunque ritenere che l'art. 29, comma 5, della legge n. 81
del   1993   stabilisca,   nella   parte  censurata,  un  trattamento
sanzionatorio  arbitrariamente  piu'  severo rispetto alla situazione
invocata  come  tertium  comparationis,  tanto  piu'  irrazionale  ed
ingiustificato  nel  contesto  delle  modificazioni legislative sopra
ricordate  e nel quadro di depenalizzazione degli illeciti in materia
di  propaganda  elettorale  disposta  per i vari tipi di competizione
elettorale dalla citata legge n. 515 del 1993.
    Si  deve pertanto ripristinare l'eguaglianza violata, dichiarando
illegittima,  per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, la norma
censurata  nella  parte  in  cui dispone, per il caso di inosservanza
dell'obbligo previsto dal comma 3, la multa da lire un milione a lire
cinquanta  milioni,  anziche'  prevedere  la  sanzione amministrativa
pecuniaria da lire un milione a lire cinquanta milioni.