IL TRIBUNALE Il tribunale, in composizione monocratica, nella persona del dott. Umberto Maiello, pronunciando sulla richiesta avanzata, nel corso dell'odierna udienza dibattimentale, dal Pubblico Ministero e dal difensore della costituita parte civile, volta ad ottenere una declaratoria in forza della quale questo giudice proponga innanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla delibera adottata dall'assemblea nella seduta del 5 luglio 2000, che ha dichiarato non sindacabili i fatti oggetto del presente procedimento, in quanto concernono opinioni espresse dal deputato Sgarbi nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare; Sentiti i difensori dell'imputato, che hanno chiesto la pronuncia di una sentenza di proscioglimento del precitato imputato ex art. 129 c.p.p. O s s e r v a Con decreto emesso in data 28 ottobre 1998, la Corte di appello di Salerno disponeva il rinvio a giudizio di Sgarbi Vittorio, chiamato a rispondere innanzi alla prima sezione penale del tribunale di Salerno del reato p. e p. e artt. 13 e 21, legge 47/48, in relazione all'art. 30 della legge 223/1990 perche', nel corso della trasmissione televisiva "Sgarbi quotidiani", andata in onda sull'emittente Canale 5 il giorno 26 novembre 1995, affermando che "va criticata la procura di Napoli che, per perseguire teoremi e corruzioni di politici e visioni, forse anche fondate in qualche principio logico del procuratore di Napoli, ha pero' lasciato, come osserva lo stesso Vice Presidente della Camera Violante, non perseguiti i reati comuni e criminalita' che porta violenza e morte alle persone! Quindi e' omissione in molti casi della giusta attenzione ai reati veri", offendeva la reputazione del procuratore della Repubblica del tribunale di Napoli Cordova Agostino. In Napoli querela del 22 febbraio 1996. All'udienza dibattimentale del 23 febbraio 2000 il collegio, dichiarata la contumacia dell'imputato, ritualmente citato e non comparso, rinviava la trattazione del procedimento dinanzi a questo giudice, dal momento che la cognizione dei reati indicati in rubrica, ai sensi dell'art. 33 - ter c.p.p., e' riservata al tribunale in composizione monocratica. All'udienza del 15 maggio 2000, il p.m. chiedeva di poter integrare il capo di imputazione, nel senso che dopo la parola "il giorno" venisse inserita la seguente espressione "25 novembre 1995 in prima visione ed il giorno successivo in replica", con conseguente cancellazione della data "26 novembre 1995" dalla originaria contestazione. Tanto determinava la necessita' di curare, stante la contumacia dell'imputato, gli adempimenti di cui all'art. 520 c.p.p. con conseguente ulteriore differimento del processo. All'odierna udienza del 15 gennaio 2001, questo giudice informava le parti che dalla Presidenza della Camera dei Deputati era pervenuta copia della relazione della giunta parlamentare per le autorizzazioni a procedere, nonche' del resoconto stenografico della seduta dell'assemblea, tenutasi il 5 luglio 2000, all'esito della quale l'assemblea aveva deliberato nel senso che i fatti per i quali e' processo concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma della Costituzione. Com'e' noto, la richiamata disposizione costituzionale e' immediatamente precettiva, ancorche' difettino interventi normativi attuativi, volti a delimitarne l'area operativa. Nella prassi giurisprudenziale, avallata dalla stessa Corte della costituzione (cfr. sentenza n. 1150 del 1988), e' invalso il principio secondo cui la valutazione della concreta sussumibilita' delle espressioni di un parlamentare nell'ambito previsionale delle guarentigie in commento spetti alla Camera di appartenenza, la cui deliberazione assume contenuto vincolante per l'autorita' giudiziaria, che non puo', pertanto, avuto riguardo all'autonomia ed all'indipendenza del Parlamento, direttamente sindacarla e disapplicarla. Tale disposizione e', invero, dettata non solo a tutela della liberta' di espressione del singolo parlamentare, ma anche, attraverso questa, della piena liberta' di discussione e di deliberazione delle Camere stesse (cfr. della Corte costituzionale n. 379 del 1996). Resta in ogni caso integra la facolta' del giudice ordinario, le cui funzioni sono parimenti tutelate in ambito costituzionale, di sollevare conflitto di attribuzioni, ove ritenga che le stesse siano state arbitrariamente menomate, contestando le concrete modalita' di esercizio del potere di valutazione della singola Camera per vizi del procedimento ovvero per omessa o erronea valutazione dei presupposti di volta in volta richiesti per il suo valido esercizio (cfr. della Corte costituzionale n. 443 del 1993). Appare, altresi', conforme ad una lettura sistematica del principio di cui all'art. 68 della Costituzione e del disposto di cui all'art. 129 c.p.p. l'opzione interpretativa che riconosce allo stesso giudice di merito la possibilita' di apprezzare in via diretta ed immediata la riferibilita' del comportamento per cui risulta elevata imputazione alla fattispecie contemplata dalla precitata disposizione costituzionale, con conseguente pronuncia di una sentenza di proscioglimento ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p. Nei piu' recenti arresti giurisprudenziali si evidenzia con condivisibili argomentazioni che l'area operativa del precetto contenuto al primo comma dell'art. 68 della della Costituzione non va definita in funzione di un criterio di tipo spaziale, ancorato cioe' alla specifica sede in cui il parlamentare manifesta le sue opinioni, ne' si identifica con la categoria degli atti tipici della funzione parlamentare. E', invero, oramai opinione diffusa quella secondo cui l'istituto della immunita' implichi un nesso di collegamento funzionale tra le opinioni espresse ed il mandato parlamentare, che ben consente di estendere l'efficacia delle richiamate prerogative anche alle opinioni espresse all'esterno della sede istituzionale, purche' le stesse, nel loro contenuto storico, si atteggino come atti divulgativi dell'attivita' parlamentare espletata. Tanto puo' essere accertato direttamente dal giudice, ancorche' i suddetti profili di collegamento risultino inevitabilmente sfumati nell'ipotesi di atti parlamentari atipici, laddove la qualificazione degli stessi nei termini suindicati implica inevitabilmente un'attivita' di raccordo con il contenuto del complessivo impegno parlamentare assolto dall'imputato, spesso non noto al giudice procedente. In siffatte ipotesi, assume, in prospettiva metodologica, rilievo assorbente l'esame della motivazione addotta a sostegno della pronuncia di insindacabilita' dell'assemblea, in quanto in essa vengono esplicitati i profili di collegamento funzionale tra le espressioni oggetto di contestazione e la funzione parlamentare. E', pertanto, a siffatti motivi che il giudice deve rifarsi per un corretto esercizio del potere delibativo allo stesso riconosciuto: qualora ritenga che il potere esercitato trovi adeguata giustificazione nei presupposti applicativi evidenziati nella deliberazione deve adeguarsi alla valutazione dell'assemblea e, prendendone atto, dichiarare la non punibilita' del fatto in imputazione. Viceversa, se ritenga insussistenti o, comunque, non decisivi, i profili di collegamento privilegiati nella delibera parlamentare, che, pertanto, viene a determinare nella prospettiva del remittente un'illegittima interferenza con l'esercizio delle funzioni giurisdizionali, dovra' sollevare conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte costituzionale. Orbene, venendo al caso in esame va, anzitutto, rilevato che il contesto in cui le dichiarazioni risultano rese ed il contenuto di apprezzamento critico in cui si risolvono impediscono di condividere le affermazioni difensive circa l'immediata riferibilita' delle espressioni in contestazione alle funzioni parlamentari svolte dall'on. Vittorio Sgarbi, riflettendo le stesse giudizi personali espressi dal prevenuto nella veste privatistica di commentatore televisivo. Va, pertanto, verificato se, alla stregua delle argomentazioni svolte nella delibera assembleare citata in premessa, siano individuabili ulteriori e piu' significativi indici di riconoscibilita' dell'affermato collegamento funzionale con l'attivita' parlamentare dell'imputato. Dalla relazione della giunta per le autorizzazione a procedere, la cui proposta risulta recepita dall'assemblea della Camera nel corso della seduta del 5 luglio 2000, emerge con riferimento specifico ai fatti oggetto di contestazione quanto segue: ... e' apparso evidente alla giunta che si e' trattato di una critica di natura politica, rivolta a determinate scelte di "politica giudiziaria" della procura menzionata, di tenore assolutamente generale e certamente non diretta verso specifiche persone. Un siffatto potere di critica puo' senz'altro farsi rientrare in un generale potere ispettivo che e' proprio del parlamentare e deve, dunque, ritenersi coperto dalla prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione. Occorre peraltro rilevare che l'onorevole Sgarbi in numerosissime occasioni, intervenendo nel corso dei lavori parlamentari, ha criticato alcuni aspetti della politica giudiziaria di alcune procure ed ha posto in rilievo le distorsioni che possono derivare da un cattivo uso degli strumenti dell'azione penale. A giudizio di questo tribunale, la richiamata delibera tradisce con manifesta evidenza la violazione dei segnalati limiti funzionali della disposizione costituzionale in commento, obliterando con disinvoltura le regole ermeneutiche evidenziate nei piu' recenti arresti giurisprudenziali della Corte costituzionale, al cui rispetto deve, viceversa, ritenersi subordinata la compatibilita' della pronuncia della Camera con l'assetto dei valori costituzionali di pari dignita' e rango. Invero, la Corte, nella sentenza n. 10 dell'11 - 17 gennaio 2000, richiamando precedenti conformi pronunce, ha sottolineato che "...la prerogativa di cui all'art. 68, primo comma della Costituzione, non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attivita' politica, ma solo quelle legate da "nesso funzionale" con le attivita' svolte nella qualita' di "membro", delle Camere (sentenze n. 375 del 1997, n. 289 del 1998, n. 417 del 1999). Quanto alla definizione di tale presupposto, la Corte ha precisato che "e' pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi, in occasione dello svolgimento di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare in quanto membro dell'assemblea. Invece, l'attivita' politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non puo' dirsi di per se' esplicazione della funzione parlamentare nel senso preciso cui si riferisce l'art. 68, primo comma, della Costituzione. Nello svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attivita' propri delle assemblee rappresentano piuttosto esercizio della liberta' di espressione comune a tutti i consociati: ad esse dunque non puo' estendersi, senza snaturarla, una immunita' che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di legalita' e di giustiziabilita' dei diritti, riservare alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni. Ha, inoltre, aggiunto la Corte che l'applicazione della prerogativa in esame, scissa dalla sua ontologica delimitazione funzionale, "la trasformerebbe in un privilegio personale (cfr. sentenza n. 375 del 1997), finendo per conferire ai parlamentari una sorta di statuto personale di favore quanto all'ambito ed ai limiti della loro liberta' di manifestazione del pensiero: con possibili distorsioni anche del principio di uguaglianza e di parita' di opportunita' fra cittadini nella dialettica politica". Orbene, appare evidente la marcata distonia con i principi ermeneutici suesposti dei criteri privilegiati dall'assemblea parlamentare per scriminare il comportamento dell'imputato Sgarbi, atteso che nella richiamata delibera si coglie un'impropria sovrapposizione concettuale tra l'esercizio del diritto di critica politica e quello della funzione parlamentare, nella specie del potere ispettivo. Giova, viceversa, ribadire che la garanzia dell'immunita' incontra necessariamente un limite nella stessa ratio ad essa sottesa di tutela del libero esercizio delle funzioni parlamentari e non puo', pertanto, essere dilatata - senza che a cio' si accompagni l'inaccettabile trasformazione in un ingiustificato privilegio personale - fino al punto da comprendere ogni dichiarazione, giudizio o critica aventi valenza politica espressi da un membro del parlamento. Argomentando a contrario, si avallerebbe la creazione in via di prassi di un insindacabile potere di apprezzamento direttamente legittimato dallo stesso status di membro del parlamento, esaurendo cosi' in un contesto meramente personale e soggettivo il significato e la portata della garanzia dell'immunita'. In altri termini, verrebbe sovvertita la prospettiva privilegiata dalla Carta costituzionale che rapporta le guarentigie in commento alla funzione esercitata e non gia' alla persona fisica, alla quale non puo', invece, essere riconosciuto, in ragione solo del suo status, un privilegiato ed indefinito potere censorio. Contrariamente a quanto sostenuto dall'assemblea, va, dunque, rimarcata la insufficienza, ai fini del giudizio di insindacabilita' ex art. 68, comma 1, della Costituzione, dell'affermata riconducibilita' del comportamento in contestazione al diritto di critica politica, la cui concreta configurabilita' come espressione della liberta' di manifestazione del pensiero, garantita con effetto scriminante ad ogni cittadino in base al combinato disposto degli artt. 21 della Costituzione e 51 c.p. andra' verificata in sede processuale. Viceversa, l'opzione interpretativa privilegiata dalla Camera, intesa ad assimilare i due profili in ragione della qualita' di parlamentare del soggetto imputato, con immediato arresto dell'esercizio della pretesa punitiva dello Stato, mal si concilia con il principio di uguaglianza e di pari opportunita' fra i cittadini nella dialettica politica. Ne' a valorizzare il collegamento funzionale delle opinioni dell'imputato Sgarbi con la funzione parlamentare dal medesimo svolta appaiono idonei i generici riferimenti contenuti nella relazione della Giunta agli apprezzamenti critici della politica giudiziaria di alcune procure svolti dall'imputato nel corso di non meglio precisati lavori parlamentari. Difetta, invero, il richiamo a tipici atti della funzione svolta dall'on. Sgarbi di cui le espressioni in imputazione risulterebbero veicolo di divulgazione e, sotto altro profilo, un riferimento specifico alla vicenda oggetto del presente giudizio, che, per la sua peculiarita', necessitava di un'autonoma delibazione. Sul punto, la Corte costituzionale ha precisato che non basta a giustificare l'insindacabilita' delle opinioni la semplice comunanza, tematica di argomenti con l'attivita' parlamentare svolta ne', allo stesso modo, giova invocare l'esistenza di un dibattito politico-parlamentare in cui le dichiarazioni si inseriscono. Occorre, viceversa, un preciso nesso funzionale tra le dichiarazioni e l'attivita' parlamentare, com'e' possibile riconoscere nel caso di dichiarazioni sostanzialmente riproduttive di quelle manifestate in sede parlamentare (cfr. sentenza della Corte Costituzionale n. 56/2000 - sentenza della Corte costituzionale n. 58/2000 - Corte costituzionale n. 82/2000). Alla stregua di quanto sopra evidenziato ritiene questo giudice che le opinioni espresse dall'imputato Sgarbi nel corso della trasmissione "Sgarbi quotidiani" del 25 e del 26 novembre 1995 vadano piu' propriamente ritenute espressione dell'attivita' di conduttore televisivo svolta dall'imputato e che, pertanto, non riproducendo ne' divulgando il contenuto di alcun specifico atto parlamentare, non possano essere identificate quali manifestazioni dell'attivita' svolta dal prevenuto come deputato. Si impone, dunque, l'attivazione innanzi alla Corte costituzionale del procedimento di conflitto di attribuzione a norma dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dovendo ritenersi arbitraria la valutazione espressa dalla Camera dei deputati nella delibera del 5 luglio 2000, che, pertanto, costituisce un'illegittima interferenza nella sfera di attribuzione di questo giudice, in palese contrasto con i principi di cui all'art. 101 e seguenti della Costituzione.