IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  proc. n. 5399/1999 A, a scioglimento della
riserva che precede;
    Premesso  che  all'udienza  odierna un teste, benche' ritualmente
intimato, non e' comparso senza addurre alcun legittimo impedimento;
    Ritenuto  necessario  condannare il teste al pagamento della pena
pecuniaria prevista dall'art. 255, primo comma, c.p.c.;
    Constatato  che  tale  norma  prevede  che  detta  pena  sia  non
inferiore a L. 4.000 e non superiore a L. 10.000;
    Ritenuto  che l'ammontare massimo di L. 10.000 non sia seriamente
in  grado  di  persuadere  alcun  testimone  a  camparire per rendere
l'ufficio cui egli e' chiamato;
    Osservato  che  invece l'art. 133 primo comma c.p.p. prevede, per
la stessa ipotesi, la condanna del teste al pagamento di una somma da
L. 100.000 a L. 1.000.000;
    Ritenute  incomprensibili  le  ragioni per le quali un teste che,
senza  legittimo impedimento, non compare in un processo civile viene
assoggettato  ad  una sanzione massima di L. 10.000, mentre invece se
non  compare  in un processo penale incorre in una sanzione che va da
L. 100.000 a L. 1.000.000;
    Ritenuto  quindi  -  d'ufficio  -  rilevante e non manifestamente
infondato  il  dubbio  che il cit. art. 255, primo comma, c.p.c. sia.
contrario all'art. 3 Cost.;
    Osservato   che   tale   questione   a'   gia'   stata   gudicata
manifestamente  infondata  dalla Corte costituzionale con l'ordinanza
n. 30 del 4 febbraio 2000;
    Constatato  che in tale provvedimento, la Corte, pur ricanoscendo
la  inadeguatezza della sanzione prevista dalla norma denunziata, non
rivalutata  nel  tempo  secondo  il  mutato  valore  della moneta, ha
evidenziato  che  "la  determinazione  della  misura  delle  sanzioni
appartiene  alla  discrezionalita'  del legislatore, cui e' riservata
anche  la  modifica  e l'adeguamento delle stesse, non potendo questa
Corte  sostituire  la  propria  valutazione  a  quella  che spetta al
legislatore nelle discrezionali scelte, sia per la determinazione dei
precetti,  sia  quanto  al  tipo  che alla quantita' delle rispettive
sanzioni".  La  stessa  Corte  ha  poi  osservato  che  "vi  e' piena
autonomia del sistema processuale civile rispetto a quello penale, di
modo  che  essi  non  sono  comparabili  ai fini della violazione del
principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.";
    Ritenuto che nessuno dei due argomenti utilizzati dalla Corte sia
condivisibile;
    Evidenziato  infatti  che  il primo argomento (vale a dire quello
della  discrezionalita'  del  legislatore  nello  stabilire la misura
delle  sanzioni),  appare  fuorviante.  E' pur vero infatti che nella
materia   sanzionataria   -   secondo   la   costante  giurisprudenza
costituzionale  -  rientra nella discrezionalita' del legislatore sia
stabilire  quali comportamenti debbano essere puniti, sia determinare
quali debbano essere la qualita' e la misura della pena; ma la stessa
Corte  costituzionale ha significativamente precisato che l'esercizio
di  tale  discrezionalita'  legislativa  puo' e deve essere censurato
quando non rispetti il limite della ragianevolezza e dia quindi luogo
ad  una  disparita'  di  trattamento  irrazionale  ed ingiustificata.
Esaminando   la   giurisprudenza   costituzionale  pia'  recente,  in
applicazione  di  tali consolidati principi la Corte, con l'ordinanza
n. 460  del 1997, ha dichiarato manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 629  c.p.  sollevata  con
riferimento  agli  artt. 3  e  27 Cost. Il giudice remittente l'aveva
sollevata  ritenendo che il trattamento sanzionatorio minimo previsto
dal   cit.   art. 629   c.p.  per  il  delitto  di  estorsione  fosse
irragionevole rispetto a quello previsto per i ben piu' gravi delitti
di  rapina  e  di  concussione, entrambi puniti con una pena edittale
minima  inferiore  a quella prevista per l'estorsione. La Corte, come
detto,  dichiaro'  la manifesta infondatezza della questione, ma solo
dopo aver precisato che il confronto tra il delitto di estorsione, da
un  lato, ed i delitti di rapina e di concussione dall'altro, non era
ammissibile,  trattandosi  di reati sostanzialmente diversi, sicche',
mancando  un  pertinente ed univoco termine di raffronto (cd. tertium
comparationis)   ogni  paragone  concernente  la  misura  della  pena
risultava  inconferente.  La  questione  di legittimita' venne invece
accolta  dalla  Corte  nella  sentenza  n. 341  del  1994 relativa al
trattamento  sanzionatorio  minimo previsto per il reato di oltraggio
dall'art. 341   c.p.   In   quella  occasione,  uno  degli  argomenti
utilizzati dalla Corte fu proprio il raffronto tra il minimo edittale
previsto per l'oltraggio ed il minimo edittale previsto dall'art. 594
c.p.  per  il  reato  di  ingiuria.  Trattandosi  di reati costituiti
sostanzialmente   dallo   stesso   elemento  materiale,  la  notevole
differenza  di  trattamento  sanzionatorio  minimo  venne dalla Corte
ritenuta irragionevole ed arbitraria;
    Ritenuto  che proprio questo accada nella fattispecie oggetto del
presente  giudizio.  Non  sembra  infatti ontologicamente rinvenibile
alcuna  differenza  tra  la  condotta del testimone che non compare a
rendere  il  proprio ufficio in un processo civile e quello che fa la
stessa   cosa  in  un  processo  penale,  sicche'  la  disparita'  di
trattamento sanzionatorio appare irragionevole ed arbitraria;
    Osservato  che di tale avviso sembra essere stato anche lo stesso
legislatore,  il  quale,  sia pure in altra occasione, ha ritenuto di
sanzionare con la stessa pena la falsa testimonianza (art. 372 c.p.),
senza  distinguere  tra  deposizione  resa  in  un  processo civile e
deposizione resa in un processo penale;
    Osservato  ancora  che  dello  stesso  avviso sembra essere stata
anche  la  stessa  Corte costituzionale, sia pure in altra occasione,
allorche',  con  la  sentenza  5 maggio  1995  n. 149, nel dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 251  c.p.c., ha esteso al
testimone   che  depone  nel  processo  civile  la  formula  prevista
dall'art. 497  c.p.p per il testimone che depone nel processo penale.
Segno questo che, almeno sotto qualche profilo, il processo civile ed
il  processo penale non sono forse cosi' drasticamente incomparabili,
come  invece  ritenuto  dalla  Corte  nella  cit. ordinanza n. 30 del
4 febbraio 2000;
    Rilevato  quindi  che  permane  l'interrogativo gia' sollevato da
questo  giudice: non si capisce perche' un teste che, senza legittimo
impedimento,  non compare in un processo civile viene assoggettato ad
una  sanzione  che va da L. 4.000 a L. 10.000, mentre invece se fa la
stessa  cosa  in un processo penale incorre in una sanzione che va da
L. 100.000 a L. 1.000.000;
    Ritenuto  infine  che  la  norma impugnata confligga anche con il
principio  della  ragionevole  durata  del processo sancito dal nuovo
art. 111, secondo comma, Cost., perche' non si puo' certo dire che il
timore  di  subire una sanzione di L. 10.000 possa indurre il teste a
comparire alla prima intimazione, evitando rinvii al processo;