ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 210, comma 4,
in   relazione  al  comma  1,  del  codice  di  procedura  penale,  e
dell'art. 1  del  decreto-legge  7 gennaio  2000,  n. 2 (Disposizioni
urgenti  per  l'attuazione  dell'art. 2  della  legge  costituzionale
23 novembre  1999,  n. 2, in materia di giusto processo), convertito,
con  modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, promosso con
ordinanza  emessa  il  16 ottobre  2000  dal  tribunale di Ragusa nel
procedimento penale a carico di A.C. ed altri, iscritta al n. 222 del
registro  ordinanze  2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 13, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella camera di consiglio del 26 settembre 2001 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto che con ordinanza emessa il 16 ottobre 2000 il tribunale
di  Ragusa  ha sollevato questione di legittimita' costituzionale: a)
dell'art. 210,  comma  4,  in  relazione al comma 1, cod. proc. pen.,
nella  parte  in  cui  accorda  al coimputato o all'imputato di reato
connesso  la  facolta'  di  non  rispondere  su  fatti concernenti la
responsabilita'  di  altri,  per violazione degli artt. 3 e 112 della
Costituzione;  b)  dell'art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2
(Disposizioni   urgenti  per  l'attuazione  dell'art. 2  della  legge
costituzionale   23 novembre   1999,   n. 2,  in  materia  di  giusto
processo),  convertito,  con  modificazioni,  nella legge 25 febbraio
2000,  n. 35,  nella  parte  in  cui consente, a certe condizioni, la
valutazione   delle   dichiarazioni  ivi  contemplate  solo  se  gia'
acquisite   al   fascicolo   per   il  dibattimento,  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione;
        che  l'ordinanza  premette  che, nel corso di un procedimento
nei  confronti  di  persone  imputate  dei  reati di associazione per
delinquere,  truffa  in  danno  della  Comunita' europea ed altro, il
pubblico  ministero  aveva  chiesto  l'esame  dibattimentale  di  una
persona  coimputata dei medesimi reati, nei confronti della quale era
stata  disposta  la  separazione  del  procedimento  a  seguito della
formulazione di richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod.
proc. pen.: persona la quale, peraltro, si era avvalsa della facolta'
di non rispondere;
        che  -  sottolineato  come  l'art. 513  cod. proc. pen. debba
considerarsi  implicitamente  abrogato  nella parte in cui consentiva
l'utilizzazione  delle  dichiarazioni  rese  nel corso delle indagini
preliminari  dal coimputato che si sottrae all'esame dibattimentale -
il  giudice  a  quo  assume che l'art. 210 cod. proc. pen. determini,
sotto   il  profilo  considerato,  una  irragionevole  disparita'  di
trattamento  fra  il  caso in cui la prova a carico dell'imputato sia
costituita  dalle  dichiarazioni di un coimputato o di un imputato in
procedimento  connesso  il  quale  accetti  di  sottoporsi  ad esame,
concorrendo  cosi'  all'affermazione di responsabilita' della persona
da  giudicare,  ed il caso analogo in cui detto imputato o coimputato
si rifiuti di rispondere, determinandone cosi' l'assoluzione;
        che  la  medesima  considerazione farebbe dubitare, altresi',
della   legittimita'   costituzionale  della  disciplina  transitoria
dettata,  in  attuazione dei principi del "giusto processo" di cui al
nuovo  testo dell'art. 111 Cost., dall'art. 1 del d.l. n. 2 del 2000,
convertito,  con modificazioni, nella legge n. 35 del 2000, allorche'
consente,  nei  processi in corso, a certe condizioni, la valutazione
delle  dichiarazioni  rese da persone che si sono sottratte all'esame
in contraddittorio, ma solo se le dichiarazioni stesse risultino gia'
acquisite al fascicolo per il dibattimento, e dunque in dipendenza di
una  circostanza  meramente  "occasionale" (di fatto non verificatasi
nel procedimento a quo);
        che  l'art. 210, comma 4, cod. proc. pen. si porrebbe inoltre
in  contrasto con il principio di obbligatorieta' dell'azione penale,
sottraendo  al  pubblico  ministero  il  potere  di  far  entrare nel
processo  fonti  di  prova  legittimamente acquisite nella fase delle
indagini e che hanno sorretto l'esercizio di detta azione;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il quale ha concluso per la
declaratoria di inammissibilita' o infondatezza della questione.
    Considerato  che  successivamente  all'ordinanza di rimessione e'
intervenuta  la legge 1 marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale
e   al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di  formazione  e
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111 della Costituzione), la quale ha profondamente
innovato  la  disciplina  del  diritto al silenzio e della formazione
della  prova  in  dibattimento,  incidendo  in  senso limitativo, tra
l'altro, sul campo di applicazione dell'art. 210 cod. proc. pen., per
la parte in cui forma oggetto dell'odierna impugnativa;
        che a fronte di tali modifiche normative, che investono anche
il  contesto  complessivo  della  disciplina di riferimento, gli atti
devono   quindi  essere  restituiti  al  giudice  rimettente  perche'
verifichi se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.