ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1,
lettera  g), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul reddito delle
persone  fisiche),  come modificato dall'art. 5, comma 1, della legge
13 aprile  1977,  n. 114  (Modificazioni alla disciplina dell'imposta
sul  reddito delle persone fisiche), promosso con Ordinanza emessa il
11 novembre  1999  dalla  Corte  di cassazione sezione tributaria sul
ricorso  proposto  dal  Ministero  delle  finanze  contro Ghisalberti
Giovanni  Francesco, iscritta al n. 822 del registro ordinanze 2000 e
pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, 1a serie
speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 maggio 2001 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  cassazione  - sezione tributaria ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 10,
comma  1,  lettera  g),  del  decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre  1973, n. 597 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul
reddito delle persone fisiche), come modificato dall'art. 5, comma 1,
della  legge  13 aprile  1977,  n. 114 (Modificazioni alla disciplina
dell'imposta  sul  reddito delle persone fisiche), nella parte in cui
non  prevede  che,  in  caso  di  scioglimento  o di cessazione degli
effetti  civili del matrimonio, l'importo dell'assegno corrisposto in
unica  soluzione all'ex coniuge sia deducibile dal reddito imponibile
ai  fini dell'IRPEF, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 53,
primo comma, della Costituzione;
        che  il  giudice a quo rileva preliminarmente che il giudizio
in corso non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della  questione di legittimita' costituzionale e che la disposizione
impugnata  e' applicabile alla fattispecie sottoposta al suo giudizio
ratione  temporis,  osservando  peraltro che un'identica norma e' ora
prevista  dall'art. 10,  lettera c), del decreto del Presidente della
Repubblica  22 dicembre  1986,  n. 917  (Approvazione del testo unico
delle imposte sui redditi);
        che   ad   avviso  del  collegio  rimettente  la  Commissione
tributaria   centrale,   nella   decisione   impugnata,  considerando
deducibile   anche  l'assegno  corrisposto  in  unica  soluzione,  ha
interpretato  la  disposizione  al  di  la' del suo tenore testuale e
quindi  in  contrasto con il principio della tassativita' dei casi di
deduzione  delle  spese e degli oneri dal reddito imponibile previsti
dall'art. 10 del d.P.R. n. 597 del 1973;
        che   il  collegio  rimettente  rileva  che  la  ratio  della
deduzione   dal  reddito  complessivo  dell'obbligato  degli  assegni
periodici  corrisposti  in  conseguenza  di  separazione  legale,  di
scioglimento  o  annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi
effetti  civili,  nella  misura  in  cui  risultano  da provvedimenti
dell'autorita'  giudiziaria,  risiede  nel  fatto che tali oneri sono
estranei  alla  produzione  dei  redditi  del  contribuente, che sono
sostenuti   per   adempiere  obblighi  imposti  dalla  legge  e  sono
determinati da provvedimenti giurisdizionali;
        che   la   sezione  tributaria  della  Corte  di  cassazione,
richiamate  alcune  pronunce  di  questa  Corte  -  in particolare la
sentenza  n. 134  del 1982, l'ordinanza n. 950 del 1988 e l'ordinanza
n. 370 del 1999 - rileva che nel sistema della legge 1 dicembre 1970,
n. 898  (Disciplina  dei  casi  di  scioglimento  del  matrimonio) la
somministrazione  periodica  o  in unica soluzione dell'assegno ha la
medesima funzione assistenziale nei confronti dell'ex coniuge che non
ha  mezzi economici adeguati o che comunque non puo' procurarseli per
ragioni  oggettive,  sicche'  la  scelta  tra i due modi di pagamento
sarebbe  attribuita  dal  legislatore  alla  autonoma  e  convergente
determinazione dei coniugi, assoggettata al controllo del giudice;
        che,  essendo  tutti  gli  elementi  giuridicamente rilevanti
delle  fattispecie  poste  a  raffronto  riconducibili  ad  una ratio
unitaria, secondo la Corte di cassazione la scelta del legislatore di
consentire  la  deduzione  dei  soli  assegni  periodici  e' priva di
qualsiasi  ragionevole  giustificazione, perche' l'unico elemento che
diversifica i due modi di adempimento non e' tale da incidere in modo
determinante   sull'identita'   di  ratio  e  disciplina,  mentre  il
fondamento legislativo dell'onere in questione e lo specifico "titolo
giurisdizionale"  che  lo  impone garantiscono l'esigenza di certezza
nell'individuazione  degli  oneri  deducibili  e  di  prevenzione  da
possibili evasioni d'imposta;
        che  la  differenziazione  tra i due regimi tributari finisce
per disincentivare, creando evidenti svantaggi d'ordine economico, il
ricorso  ad  un  istituto  previsto  dalla legge, riducendo quindi la
stessa facolta' di scelta attribuita ai coniugi in sede di divorzio a
tutela  dei  loro  legittimi  interessi  economico-patrimoniali,  con
conseguente violazione dell'art. 3 Cost;
        che,  sempre  ad avviso del giudice a quo l'omessa previsione
della  deducibilita'  viola  anche  il  principio  costituzionale  di
eguaglianza  poiche'  la deducibilita' dell'onere di cui trattasi dal
reddito   complessivo  dell'obbligato,  dipendendo  unicamente  dalla
scelta  della modalita' di adempimento dell'obbligo di corresponsione
dell'assegno  di  divorzio,  si  risolverebbe in una "discriminazione
tributaria";
        che,   secondo   la  Corte  di  cassazione,  la  disposizione
impugnata  viola  anche  l'art. 53 Cost, con riferimento al principio
della  capacita'  contributiva  che  deve intendersi come espressione
dell'esigenza   che   ogni   prelievo   tributario  abbia  una  causa
giustificatrice  in  indici o presupposti concretamente rivelatori di
ricchezza,   e   cioe'  come  idoneita'  soggettiva  all'obbligazione
d'imposta;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile
o infondata;
        che,  rileva innanzitutto la difesa erariale, la disposizione
impugnata    e'   strettamente   correlata   con   quella   contenuta
nell'art. 47,  lettera  i) del d.P.R. n. 917 del 1986, che stabilisce
che  l'assegno  percepito in forma periodica dal coniuge beneficiario
e'  soggetto  a  tassazione  ai fini IRPEF quale reddito assimilato a
quello  di lavoro dipendente, costituendo "una sorta di retribuzione"
del  percettore,  mentre  la  corresponsione  dell'importo  in  unica
soluzione  realizzerebbe  una  "attribuzione  patrimoniale"  cui  non
potrebbe  essere  riconosciuta la natura di "reddito", come la stessa
Corte di cassazione ha affermato con la sentenza del 12 ottobre 1999,
n. 11437;
        che,   sempre   secondo  l'Avvocatura,  non  sarebbe  neppure
ravvisabile  una  violazione  dell'art. 53 della Costituzione poiche'
l'assegno  versato  una  tantum  e'  espressione di un accordo tra le
parti  per  il raggiungimento di un punto di equilibrio nel complesso
assetto di interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi;
        che ad avviso dell'Avvocatura la questione sarebbe, prima che
infondata,   inammissibile  ed  il  suo  accoglimento  condurrebbe  a
conseguenze   inaccettabili  sul  piano  del  sistema  tributario  in
generale, dal momento che la deduzione potrebbe essere effettuata dal
reddito  del  contribuente  sino  alla  concorrenza dello stesso, col
risultato che, qualora la somma versata una tantum fosse superiore al
reddito  tassabile  di  quell'anno  di imposta, non potrebbe comunque
effettuarsi la detrazione di quanto effettivamente corrisposto;
        che,   essendo   la   deduzione  dal  reddito  dell'obbligato
correlata   alla  imponibilita'  degli  stessi  importi  in  capo  al
percipiente, questi si troverebbe esposto al pagamento di una imposta
iniqua  perche'  eccessiva  e  la  Corte  non potrebbe limitarsi alla
pronuncia  di  incostituzionalita'  della  disposizione impugnata, ma
dovrebbe  operare  una  manipolazione additiva comportante scelte che
appartengono  alla  discrezionalita' del legislatore, quali la scelta
dell'aliquota  da  applicare  e la determinazione della detrazione da
riconoscere al beneficiario.
    Considerato  che la Corte di cassazione sezione tributaria dubita
della  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera g),
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597
(Istituzione  e  disciplina  dell'imposta  sul  reddito delle persone
fisiche), come modificato dall'art. 5, comma 1, della legge 13 aprile
1977,  n. 114 (Modificazioni alla disciplina dell'imposta sul reddito
delle   persone   fisiche),   nella  parte  in  cui  non  prevede  la
deducibilita'  dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEF dell'importo
dell'assegno corrisposto in unica soluzione all'ex coniuge in caso di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;
        che  ad  avviso  del  giudice a quo l'omessa previsione della
deduzione  violerebbe  l'art. 3,  primo  comma,  della  Costituzione,
essendo  il  frutto  di  una  scelta  irragionevole  del legislatore,
potendosi  al contrario dedurre l'importo corrispondente agli assegni
corrisposti  al beneficiario in forma periodica, pur essendo unica la
funzione  delle  due  forme di pagamento, entrambe disciplinate dalla
legge e soggette al controllo del giudice;
        che  essa  inoltre  violerebbe  anche  l'art. 3, primo comma,
della  Costituzione  sotto  il  profilo del principio di eguaglianza,
perche'  creerebbe  una  disparita' di trattamento tra i contribuenti
fondata   esclusivamente  sulla  forma  scelta  dalle  parti  per  la
regolazione  dei loro rapporti patrimoniali, nonche' l'art. 53, primo
comma,   della   Costituzione   perche'   in   tal   modo  i  redditi
dell'obbligato  sarebbero tassati in modo iniquo e non corrispondente
alla sua capacita' contributiva;
        che,  come  questa  Corte  ha  gia'  avuto piu' volte modo di
affermare  (cfr.  ex  plurimis le sentenze n. 134 e 143 del 1982 e da
ultimo l'ordinanza n. 370 del 1999), la deducibilita' o meno di oneri
e  spese  dal  reddito imponibile del contribuente non e' generale ed
illimitata,   spettando  al  legislatore  la  sua  individuazione  in
considerazione  del  necessario  collegamento  con  la produzione del
reddito,  con  il  gettito  generale  dei tributi e con l'esigenza di
adottare  le opportune misure atte ad evitare le evasioni di imposta,
secondo    scelte   che   in   questa   materia   appartengono   alla
discrezionalita'  legislativa,  col  solo  limite  del  rispetto  del
generale principio di ragionevolezza;
        che,  nel caso in esame, la previsione normativa riguarda due
forme  di  adempimento, cioe' quella periodica e quella una tantum le
quali  -  pur  avendo  entrambe  la  funzione  di regolare i rapporti
patrimoniali  derivanti  dallo  scioglimento  o  dalla cessazione del
vincolo  matrimoniale  -  appaiono sotto vari profili diverse, e tali
sono  state  considerate  dal legislatore nella disciplina dettata in
materia;
        che,  in  particolare, sull'accordo tra le parti l'importo da
corrispondere  in  forma  periodica  viene  stabilito  in  base  alla
situazione  esistente  al momento della pronuncia, con la conseguente
possibilita'  di  una  loro  revisione,  in aumento o in diminuzione;
mentre  al  contrario quanto versato una tantum - che non corrisponde
necessariamente  alla capitalizzazione dell'assegno periodico - viene
concordato  liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una
volta  per  tutte  i  loro  rapporti  per  mezzo  di una attribuzione
patrimoniale,  producendo l'effetto di rendere non piu' rivedibili le
condizioni pattuite, le quali restano cosi' fissate definitivamente;
        che  la  soluzione auspicata dal giudice rimettente finirebbe
col  rendere  deducibile  dal  reddito un trasferimento squisitamente
patrimoniale;
        che,   inoltre,  da  essa  conseguirebbe  -  a  fronte  della
deducibilita'  dal  reddito  del soggetto tenuto all'adempimento - la
necessita'  di  regolare,  con scelte che spettano al legislatore, la
(corrispondente) obbligazione tributaria in capo al percipiente;
        che pertanto il legislatore non irragionevolmente ha previsto
una  diversa  regolamentazione  tributaria per le differenti forme di
adempimento  esaminate,  secondo  un  regime che e' rimasto nel tempo
invariato anche dopo l'entrata in vigore del d.P.R. n. 917 del 1986 e
le  modifiche  introdotte  alla  legge  n. 898  del  1970 e dunque va
esclusa sotto ogni profilo la violazione dell'art. 3 Cost;
        che   del   pari  infondata  e'  la  questione  sollevata  in
riferimento   all'art. 53   Cost.,   non  provocando  la  scelta  del
legislatore   la  prospettata  lesione  del  principio  di  capacita'
contributiva,   lesione  che,  al  contrario,  potrebbe  configurarsi
qualora  si  ammettesse  la deducibilita' della somma corrisposta una
tantum  che  appare  come conseguenza di un assetto complessivo degli
interessi  personali,  familiari  e  patrimoniali  dei  coniugi,  non
direttamente  correlata  al  reddito  percepito  dal contribuente nel
periodo di imposta;
        che  pertanto  la questione e' manifestamente infondata sotto
ogni profilo.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.