ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

    Nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 98 e 99
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
25 gennaio  2001  dal  Tribunale  di  Milano  sul ricorso proposto da
Caguana  Valentin Pablo Antonio contro Fallimento Isla de John Martin
S.a.s.  di  Maragno  Rosa  &  C.,  iscritta  al  n. 224  del registro
ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 13, 1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il giudice
relatore Annibale Marini.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 25 gennaio 2001, il giudice
del  Tribunale  di  Milano, delegato al fallimento della Isla de John
Martin  S.a.s.  di  Maragno  Rosa  & C., ha sollevato, in riferimento
all'art. 111    della   Costituzione,   questione   di   legittimita'
costituzionale  degli  artt. 98 e 99 del regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267   (Disciplina   del  fallimento,  del  concordato  preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa),  "nella parte in cui il primo prevede che il ricorso
in  opposizione allo stato passivo sia presentato al giudice delegato
ed  il  secondo  prevede  che  il  giudice  delegato  sia  il giudice
istruttore della causa di opposizione";
        che, ad avviso del rimettente, l'aspetto realmente innovatore
del  novellato  art. 111  della  Costituzione  va  individuato  nella
acquisita  autonomia  dei principi da esso fissati, ed in particolare
del  principio  dell'indipendenza  del  giudice,  rispetto ai singoli
precetti  costituzionali di cui agli artt. 24, 25, 101 e 111 (vecchio
testo) Cost;
        che  da  tale considerazione discenderebbe una valutazione di
"potenziale  conflitto"  tra  l'art. 98 della legge fallimentare e lo
stesso art. 111 Cost., nella parte in cui quest'ultimo prevede che il
processo debba svolgersi davanti ad un giudice imparziale;
        che  il giudice infatti - sempre secondo il rimettente - puo'
ritenersi  davvero  imparziale  "soltanto  se  il  suo  approccio  al
processo  non  e'  alterato  da  conoscenze  acquisite  in precedenza
(nell'esercizio  delle  funzioni giudiziarie) che si collochino al di
fuori  del  medesimo  giudizio  e  se,  biunivocamente, le conoscenze
apprese  nel  processo  possano  condizionare l'esercizio delle altre
funzioni assegnategli e cio' indipendentemente dal fatto [...] che vi
sia identita' di valutazione contenutistica della fattispecie";
        che  la  piu'  recente  giurisprudenza  della  Corte,  ed  in
particolare  la  sentenza  n. 387  del  1999, sembrerebbe al riguardo
voler  superare  -  ad  avviso  del rimettente - quella diversita' di
approccio  fra  il processo penale e quello civile che aveva condotto
la  stessa  Corte  ad  affermare,  in  passato, che il problema della
prevenzione  cognitiva  si  attenua  nel  processo civile per effetto
della mediazione offerta dall'impulso paritario delle parti;
        che  il medesimo rimettente si dice consapevole del fatto che
questione  analoga  a quella da lui sollevata e' stata dichiarata non
fondata   con   sentenze   n. 94   del  1975  e  n. 158  del  1970  e
manifestamente infondata con ordinanza n. 304 del 1998;
        che,  tuttavia, gli argomenti posti a base della pronuncia di
manifesta  infondatezza  sarebbero,  a  suo  avviso,  suscettibili di
critica,  sia nella parte in cui tenderebbero a sminuire il ruolo del
giudice delegato nell'ambito del collegio, nella fase di opposizione,
sia  nella  parte  in  cui  mirerebbero  a  sottolineare una profonda
diversita'  di  profilo  cognitorio  tra  la  fase della verifica del
passivo  e  la  fase  dell'opposizione,  sull'assunto  che nella fase
sommaria la cognizione sarebbe limitata a prove cartolari;
        che, sotto il primo profilo, la natura collegiale dell'organo
cui  e'  affidata  la  decisione  nel  giudizio  di  opposizione  non
costituirebbe garanzia sufficiente a salvaguardare il principio della
imparzialita' del giudice;
        che,  sotto  il  secondo  aspetto,  da  un  lato  non sarebbe
corretto affermare che nel processo di opposizione allo stato passivo
possano  essere  assunti  tutti  i  mezzi  di  prova  previsti per il
processo  di  cognizione,  essendo  escluse  le prove costituende che
presuppongono la disponibilita' della lite, come la confessione ed il
giuramento,   dall'altro  sarebbe  altresi'  inesatta  l'affermazione
secondo  cui,  nella  fase della verificazione del passivo, le uniche
prove  utilizzabili  dal giudice delegato sarebbero quelle cartolari,
potendo  egli  assumere  anche  le  opportune  informazioni  previste
dall'art. 95 della legge fallimentare;
        che  nemmeno  potrebbe  ritenersi,  d'altro canto, al fine di
escludere  il denunciato vizio di legittimita' costituzionale, che la
fase   necessaria  della  verifica  sommaria  del  passivo  e  quella
eventuale  dell'opposizione costituiscano fasi dello stesso processo,
dovendo al contrario riconoscersi la natura impugnatoria del giudizio
di opposizione allo stato passivo;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  concludendo  per la declaratoria di manifesta infondatezza o,
in  subordine,  di infondatezza della questione, in quanto identica a
quella  gia'  dichiarata  non  fondata con sentenze n. 157 del 1970 e
n. 94 del 1975;
        che  nelle  suddette  sentenze  si  porrebbe  in luce come il
processo  fallimentare sia ispirato al principio della concentrazione
presso  i  suoi  organi  di  ogni  controversia  che  ne  deriva, con
conseguenti inevitabili collegamenti ed interferenze processuali, non
rilevanti  tuttavia  agli  effetti  della legittimazione del giudice,
"per  la  prevalente  apprezzabile  esigenza  di  portare allo stesso
organo giurisdizionale tutto il procedimento e di ridurlo ad unita'";
        che  tali  considerazioni  resterebbero  valide  -  ad avviso
dell'Avvocatura  -  anche dopo la riforma del processo civile operata
dalla  legge  n. 353  del  1990,  stante  la riserva di collegialita'
riguardante  le  controversie  in  tema  di  opposizione  allo  stato
passivo,  verosimilmente  ispirata proprio dall'esigenza di mantenere
una   dialettica   interna   all'organo,   in   considerazione  della
partecipazione  al  collegio  del  magistrato da cui il provvedimento
opposto promana;
        che  la  stessa  Corte, del resto, dichiarando manifestamente
infondata  la  medesima  questione, con ordinanza n. 304 del 1998, ha
precisato    che   condizione   necessaria   per   l'incompatibilita'
endoprocessuale  e'  la  preesistenza  di valutazioni ricadenti sulla
medesima  res  iudicanda  e  che non vi e' identita' di res iudicanda
quando  due  cognizioni dello stesso fatto siano, caratterizzate come
appunto,  secondo  la  parte  pubblica, e' nella specie - l'una dalla
particolare sommarieta' e l'altra dalla completezza dell'accertamento
effettuato sulla base di tutto il materiale probatorio acquisibile;
        che  la  sentenza n. 387 del 1999 - diversamente da quanto il
rimettente  mostra di ritenere - non modificherebbe, ad avviso ancora
dell'Avvocatura,   siffatta   impostazione  ne'  il  testo  novellato
dell'art. 111  della  Costituzione  introdurrebbe elementi di novita'
nella  questione, essendo indubbio che il valore costituzionale della
terzieta'  ed  imparzialita'  del  giudice fosse gia' acquisito nella
costituzione  vivente  e  nella  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale.
    Considerato  che  questa Corte, con ordinanza n. 167 del 2001, ha
dichiarato  identica  questione  manifestamente  infondata, anche con
riferimento al novellato art. 111 Cost;
        che  si  osserva in tale pronuncia come gia' nelle precedenti
sentenze n. 94 del 1975 e n. 158 del 1970 e nell'ordinanza n. 304 del
1998 richiamate dallo stesso rimettente fosse stata esclusa qualsiasi
incompatibilita'  tra  l'attivita'  istruttoria  e decisoria relativa
alla  causa  di  opposizione  allo  stato  passivo e quella svolta in
precedenza  dal  giudice  delegato  per  la  formazione  dello  stato
passivo;
        che   l'evocazione   dell'ulteriore  parametro  rappresentato
appunto  dall'art. 111 Cost., nella nuova formulazione, non introduce
rispetto  a  tale  giurisprudenza  -  "profili  nuovi  o  diversi  di
illegittimita'  costituzionale, essendo la terzieta' ed imparzialita'
del  giudice  -  alla  cui stregua la questione e' posta - pienamente
tutelate  nella carta costituzionale, anche anteriormente alla citata
novella";
        che  nella medesima pronuncia si rileva altresi' come non sia
pertinente  il  richiamo,  operato  anche dall'attuale rimettente, ai
principi  enunciati  nella  successiva  sentenza n. 387 del 1999, del
resto  pienamente  coerente  con  la  precedente giurisprudenza della
Corte  in  argomento,  in quanto la formazione dello stato passivo ad
opera   del   giudice  delegato  e  la  pronuncia  sulla  (eventuale)
opposizione  al  medesimo  stato  passivo  non  attengono alle stesse
valutazioni  decisorie,  ne' i due provvedimenti sono contraddistinti
da una uguale idoneita' al giudicato;
        che, sotto il primo aspetto, va ribadita la netta distinzione
tra  la  cognizione  sommaria del giudice delegato - il cui potere di
assumere  "le  opportune  informazioni" non puo' certo essere confuso
con  la  possibilita',  a lui certamente negata, di avvalersi di ogni
mezzo  di  prova  -  e quella piena del giudice dell'opposizione, che
incontra  i  soli  limiti  connaturati  alla  indisponibilita'  della
materia;
        che, per quanto riguarda il secondo profilo, alla stregua del
diritto  vivente,  l'efficacia  preclusiva  dello  stato  passivo non
opposto  e'  di  natura  meramente endoprocessuale e solo la sentenza
resa  sulla  opposizione  e'  suscettibile  di  assumere  effetti  di
giudicato;
        che   la  questione  va  pertanto  dichiarata  manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
innanzi alla Corte costituzionale.