ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 1,  comma 1, del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni
urgenti  per  l'attuazione  dell'art. 2  della  legge  costituzionale
23 novembre  1999,  n. 2,  in materia di giusto processo) convertito,
con  modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, e 210, comma
4,  del  codicedi  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il
9 marzo 2001 dal Tribunale di S. Angelo dei Lombardi nel procedimento
penale a carico di M. D.M., iscritta al n. 338 del registro ordinanze
2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, 1a
serie speciale, dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 30 gennaio 2002 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con ordinanza emessa il 9 marzo 2001, il Tribunale
di  S. Angelo dei Lombardi ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24,  secondo  comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 111 e 112
della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale del
combinato  disposto  degli  artt.1, comma 1, del d.l. 7 gennaio 2000,
n. 2  (Disposizioni  urgenti per l'attuazione dell'art. 2 della legge
costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo)
convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, e
210,  comma  4,  cod.  proc.  pen. "nella  parte  in cui, da un lato,
continua  a  prevedere  la  facolta'  di non rispondere in capo a chi
viene  esaminato  ai  sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., quantomeno
sui  fatti  relativi  alla  responsabilita'  altrui,  e,  dall'altro,
impedisce,  all'esito dell'esercizio di tale facolta', l'acquisizione
ed  utilizzazione  delle  dichiarazioni  precedentemente  rese  dallo
stesso";
        che il rimettente premette, in punto di fatto, che, nel corso
di  un  procedimento instaurato per il reato di estorsione aggravata,
una  delle parti offese, "esaminata ai sensi dell'art. 210 cod. proc.
pen.", si era avvalsa della facolta' di non rispondere;
        che sottolineato come la norma di cui all'art. 513 cod. proc.
pen. "debba  ritenersi  abrogata", in forza dell'art. 1 del d.l. n. 2
del  2000,  che  ha  disposto  l'immediata  applicabilita', a tutti i
processi  in  corso,  dell'art. 111 della Costituzione - il giudice a
quo  assume che l'art. 210, comma 4, cod. proc. pen. determini, sotto
il  profilo  considerato, una irragionevole disparita' di trattamento
tra  imputati  in procedimenti diversi, per il caso in cui la prova a
carico   dell'imputato  sia  costituita  dalle  dichiarazioni  di  un
coimputato o di un imputato in procedimento connesso il quale accetti
di  sottoporsi  ad  esame,  rispetto all'ipotesi analoga in cui detto
imputato o coimputato si rifiuti di rispondere;
        che,  in  forza della medesima considerazione, risulterebbero
violati  anche gli artt. 24, secondo comma, e 111 della Costituzione,
posto  che dalla suddetta insindacabile scelta verrebbero a dipendere
il    diritto   dell'imputato   a   sottoporre   al   contraddittorio
dibattimentale  la  fonte  delle accuse mosse nei suoi confronti e lo
stesso  principio  della  formazione  della prova nel contraddittorio
delle parti;
        che  le  norme  denunciate, in quanto "producono l'effetto di
paralizzare  ex  post l'iniziativa penale", si porrebbero altresi' in
contrasto con il principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, e
con  quello di legalita', sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost.,
che  "assegna  al  processo  la  funzione  di  accertare la verita'",
attraverso la piena conoscenza dei fatti ad opera del giudice;
        che,  infine,  sarebbe leso il principio della soggezione del
giudice  esclusivamente alla legge, in quanto la conoscibilita', e la
conseguente  utilizzabilita'  processuale  delle  dichiarazioni  rese
nella  fase  delle  indagini  dal  coimputato  di  reato  connesso  o
collegato,  verrebbero  a dipendere esclusivamente dalla possibilita'
di sottrarsi all'esame dibattimentale, riconosciuta a tali soggetti;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata infondata.
    Considerato  che, successivamente all'ordinanza di rimessione, e'
entrata  in  vigore la legge 1 marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice
penale  e  al  codice  di procedura penale in materia di formazione e
valutazione  della  prova in attuazione della legge costituzionale di
riforma  dell'art. 111 della Costituzione), la quale ha profondamente
innovato   la   disciplina   sia  della  formazione  della  prova  in
dibattimento,  che  del  diritto al silenzio, incidendo direttamente,
tra l'altro, sul campo di applicazione dell'art. 210 cod. proc. pen.,
per la parte in cui forma oggetto dell'odierna impugnativa;
        che a fronte di tali modifiche normative, che investono anche
il  contesto  complessivo  della  disciplina di riferimento, gli atti
devono   quindi  essere  restituiti  al  giudice  rimettente  perche'
verifichi se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.