ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 1, comma 2,
della  legge  25 febbraio 2000, n. 35 (recte: decreto-legge 7 gennaio
2000,  n. 2,  convertito,  con modificazioni, nella legge 25 febbraio
2000,  n. 35),  promosso  con  ordinanza  emessa l'11 maggio 2000 dal
Tribunale  militare  di Torino nel procedimento penale a carico di P.
S., iscritta al n. 178 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica,  1a  serie  speciale,  n. 11
dell'anno 2001.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 5 dicembre 2001 il Giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che, con ordinanza emessa l'11 maggio 2000 nel corso di
un  processo  penale  nei  confronti di persone imputate del reato di
peculato  militare,  il  Tribunale  militare  di  Torino ha sollevato
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, della
legge  25 febbraio  2000  (recte:  del  d.l.  7 gennaio  2000,  n. 2,
convertito,  con  modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35)
in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, nella parte in
cui  non  esclude  dal regime probatorio ivi previsto "le deposizioni
rese a discarico dell'imputato";
        che  il  rimettente premette, in punto di fatto, che a fronte
dell'esercizio  da  parte  di  un coimputato, in sede dibattimentale,
della  facolta'  di  non rispondere ai sensi dell'art. 210 cod. proc.
pen., il difensore di uno degli imputati aveva chiesto l'acquisizione
al  fascicolo del dibattimento dei verbali di interrogatorio resi dal
coimputato   nella  fase  delle  indagini  preliminari  e  contenenti
dichiarazioni  favorevoli  al proprio assistito, in forza dell'art. 1
del  d.l.  7 gennaio 2000, n. 2, convertito, con modificazioni, nella
legge  25 febbraio  2000,  n. 35:  richiesta alla quale, peraltro, il
pubblico ministero non aveva prestato il proprio consenso;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il  Tribunale rimettente rileva come il principio del contraddittorio
nella  formazione  della  prova,  enunciato  dall'art. 111  Cost., si
presti   a   due  diverse  interpretazioni,  la  prima  delle  quali,
attribuendo    valore    assoluto    al    precetto,    implicherebbe
l'inutilizzabilita'  di  tutte  le  dichiarazioni comunque rese nella
fase   delle   indagini,   comprese   quelle,   "non   confermate  in
dibattimento, favorevoli all'imputato";
        che,   a   parere   del   giudice  a  quo,  tale  prospettiva
interpretativa  contrasterebbe  tuttavia  con l'autentica ratio della
regola  del  contraddittorio,  la quale dovrebbe considerarsi posta a
tutela   dell'imputato   e   del   suo   interesse   ad  ottenere  il
riconoscimento della completa innocenza, ponendosi dunque in funzione
strumentale  rispetto al principio dell'inviolabilita' del diritto di
difesa di cui all'art. 24 Cost., con la conseguenza che il divieto di
utilizzazione si riferirebbe " solo alle prove di colpevolezza, e non
a quelle di innocenza";
        che,   in   questa  prospettiva,  la  norma  denunciata,  non
distinguendo,  ai  fini del divieto di utilizzazione da essa sancito,
tra  "dichiarazioni  di accusa e dichiarazioni di difesa", verrebbe a
porsi  in  contrasto  con  il  combinato  disposto  dei  due precetti
costituzionali dianzi indicati;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata  inammissibile  e,  comunque,  infondata:  cio' in ragione
dell'erroneo  presupposto  da  cui muoverebbe il rimettente, il quale
sovrapporrebbe  i  due  diversi  profili  dell'acquisizione  e  della
valutazione   della   prova,   facendo   derivare   dalle  regole  di
quest'ultima la disciplina della prima.
    Considerato  che  il  Tribunale  militare  di  Torino solleva, in
riferimento  agli  artt. 111  e  24  Cost., questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 1 del d.l. 7 gennaio 2000, n. 2, convertito,
con  modificazioni,  nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, nella parte
in cui, "non distinguendo tra dichiarazioni di accusa e dichiarazioni
di  difesa",  impedirebbe  di  acquisire  agli atti del fascicolo del
dibattimento e di utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni
rese  nella fase delle indagini preliminari da soggetti che, ai sensi
dell'art. 210 cod. proc. pen., si siano avvalsi in dibattimento della
facolta'  di  non  rispondere, anche se il contenuto delle precedenti
dichiarazioni   sia  favorevole  all'imputato  e  rilevante  al  fine
dell'accertamento della sua innocenza;
        che, peraltro, tenuto conto dell'assenza di "diritto vivente"
e   della  circostanza  che  la  norma  censurata  e'  volta  a  dare
attuazione,  in  via transitoria, allo stesso precetto costituzionale
in  tema  di  "giusto  processo"  assunto  a  parametro, il Tribunale
rimettente  ha  omesso  di  operare  il  doveroso  scrutinio circa la
praticabilita'  di  una  lettura  della  norma  conforme  ai principi
costituzionali, come ricostruiti dal medesimo giudice a quo;
        che,  infatti,  secondo  il  costante  orientamento di questa
Corte  (cfr.,  ex  plurimis, sentenza n. 350 del 1997; ordinanza n. 7
del  1998),  quanto meno in assenza di un indirizzo giurisprudenziale
consolidato,  "il  giudice  ha il dovere di seguire l'interpretazione
ritenuta  piu'  adeguata ai principi costituzionali", configurandosi,
altrimenti,   la   questione  di  costituzionalita'  quale  improprio
strumento  rivolto  ad ottenere "l'avallo di questa Corte a favore di
una  determinata  interpretazione  della  norma,  attivita',  questa,
rimessa al giudice di merito" (v. sentenza n. 356 del 1996; ordinanze
n. 466 del 2000; n. 367 del 2001; n. 7 del 1998);
        che  la  censura  prospettata  si  profila  quale mero dubbio
interpretativo,  sollevato  senza  adeguata verifica di una possibile
interpretazione conforme ai parametri costituzionali invocati, con la
conseguenza  che, a prescindere da ogni valutazione sulla correttezza
o  meno  della  ricostruzione  del  quadro  normativo  coinvolto,  la
questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.