ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4,
del  codice  di  procedura  penale,  promossi, nell'ambito di diversi
procedimenti  penali,  dal  Tribunale  di  Lecce  e  dal Tribunale di
Sondrio  con  ordinanze  del  27 aprile 2001 e del 19 settembre 2001,
iscritte  al  n. 910  e  al  n. 948  del  registro  ordinanze  2001 e
pubblicate  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 e n. 49,
1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 giugno 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con  ordinanza del 27 aprile 2001 (r.o. n. 910 del
2001)  il  Tribunale di Lecce ha sollevato, in riferimento all'art. 3
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 195,  comma  4, del codice di procedura penale, nella parte
in  cui  vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di
deporre  sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con
le  modalita'  di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b),
dello stesso codice;
        che  il  Tribunale,  a  seguito dell'opposizione della difesa
dell'imputato  all'audizione  di  un ufficiale di polizia giudiziaria
sul  contenuto  delle  dichiarazioni rese da un teste nel corso delle
indagini   preliminari,   ha  sollevato  d'ufficio  la  questione  di
costituzionalita',    in    quanto   la   norma   censurata   avrebbe
"sostanzialmente  ripristinato"  il divieto per gli appartenenti alla
polizia  giudiziaria  di  deporre  sul  contenuto delle dichiarazioni
ricevute da testimoni oggetto dell'obbligo di documentazione mediante
verbalizzazione,  gia'  dichiarato  incostituzionale  con la sentenza
n. 24  del  1992, e sarebbe quindi affetta dai medesimi vizi rilevati
dalla Corte con la citata sentenza;
        che  infatti,  non  essendo prevista dall'art. 197 cod. proc.
pen. l'incompatibilita'  a  testimoniare degli ufficiali ed agenti di
polizia  giudiziaria  ed  essendo  assurdo ritenere che tali soggetti
siano  meno  affidabili  di  un  "testimone  comune",  non vi sarebbe
ragione  di  inibire  solo  ad essi la testimonianza indiretta, tanto
piu'  ove si consideri che analogo divieto non e' invece previsto per
gli  investigatori  privati  abilitati  all'espletamento  di indagini
difensive;
        che le considerazioni svolte dalla Corte nella sentenza n. 24
del 1992 non potrebbero dirsi travolte per effetto del nuovo art. 111
Cost.,  dal  quale non discenderebbe affatto la necessita' di vietare
agli   appartenenti   alla   polizia   giudiziaria  la  testimonianza
indiretta,  che  non  incide  ne'  sul  principio di oralita', ne' su
quello  del  contraddittorio,  in  quanto il teste puo' essere sempre
sottoposto a esame e a controesame;
        che  analoga  questione  di  costituzionalita' dell'art. 195,
comma  4,  cod. proc. pen., in riferimento all'art. 3 Cost., e' stata
sollevata  con  ordinanza  del  19 settembre  2001  dal  Tribunale di
Sondrio (r.o. n. 948 del 2001);
        che,  in  punto di rilevanza, il rimettente - premesso che in
dibattimento  uno  dei  testi  escussi  aveva  negato  di  aver  reso
dichiarazioni  in  relazione ad "alcune circostanze", trasfuse invece
nel  verbale  redatto  ex  art. 357,  comma 2, lettera b), cod. proc.
pen. e  utilizzato  dal  pubblico  ministero  per le contestazioni ai
sensi  dell'art. 500 dello stesso codice - rileva che la disposizione
censurata impedisce "l'esame e l'approfondimento della veridicita' di
tali  circostanze"  mediante  l'escussione  dell'ufficiale di polizia
giudiziaria verbalizzante;
        che  la  norma censurata sarebbe affetta dagli stessi vizi di
incoerenza e irragionevolezza che avevano determinato la declaratoria
di  incostituzionalita' della analoga disposizione previgente, e cio'
tanto  piu'  quando  "l'esame  dei  testimoni-fonte obbligatoriamente
indicati  sia  impossibile per morte, infermita' o irreperibilita'" o
nelle  ipotesi, non infrequenti nella pratica, in cui venga omessa la
"documentazione   dell'attivita'  svolta  dalla  polizia  giudiziaria
nell'immediatezza del fatto";
        che  e'  intervenuto  nei giudizi il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo,  mediante integrale richiamo all'atto d'intervento
depositato  nel giudizio instaurato con ordinanza n. 514 del r.o. del
2001,  deciso  con la sentenza n. 32 del 2002, che le questioni siano
dichiarate infondate.
    Considerato  che  entrambi  i rimettenti dubitano, in riferimento
all'art. 3  Cost.,  della  legittimita' costituzionale dell'art. 195,
comma  4,  cod. proc. pen., nella parte in cui vieta agli ufficiali e
agli  agenti  di  polizia  giudiziaria  di  rendere testimonianza sul
contenuto   delle   dichiarazioni  acquisite  dai  testimoni  con  le
modalita'  di  cui  agli  artt. 351  e 357, comma 2, lettere a) e b),
dello stesso codice;
        che   ad  avviso  dei  rimettenti  la  disciplina  censurata,
vietando  la  testimonianza indiretta degli appartenenti alla polizia
giudiziaria,   li  discriminerebbe  ingiustificatamente  rispetto  ai
testimoni   "comuni"   e   agli   investigatori   privati   abilitati
all'espletamento   di   indagini   difensive  e  sarebbe  ancor  piu'
irragionevole  quando l'esame dei testimoni-fonte risulti impossibile
o l'attivita' svolta non sia stata ritualmente documentata;
        che, investendo le questioni la medesima norma in riferimento
allo  stesso  parametro  costituzionale,  va disposta la riunione dei
relativi giudizi;
        che successivamente alle ordinanze di rimessione questa Corte
ha   esaminato   questioni   analoghe,   sollevate   sulla   base  di
argomentazioni  che  traevano anch'esse spunto da quelle svolte nella
sentenza  n. 24  del  1992,  dichiarando  non fondata, in riferimento
all'art. 3   Cost.,   la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 195,  comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui vieta la
testimonianza indiretta della polizia giudiziaria sul contenuto delle
dichiarazioni   rese   da  testimoni  (sentenza  n. 32  del  2002)  e
manifestamente   infondata   la   medesima   questione  sollevata  in
riferimento agli artt. 3, 24, 25, 111 e 112 Cost. (ordinanze n. 292 e
n. 293 del 2002);
        che in dette pronunce questa Corte ha rilevato come, rispetto
al  momento  in  cui tale sentenza era stata emessa, e' profondamente
mutato  "il quadro di riferimento costituzionale, ora integrato dalla
previsione,   contenuta   nella   prima   parte   del   quarto  comma
dell'art. 111   Cost.,   del   principio  del  contraddittorio  nella
formazione della prova";
        che   tale   previsione  costituzionale,  con  la  quale  "il
legislatore  ha  dato  formale riconoscimento al contraddittorio come
metodo  di  conoscenza  dei  fatti oggetto del giudizio", esprime una
generale  regola di esclusione probatoria, in base alla quale nessuna
dichiarazione  raccolta  unilateralmente  durante  le  indagini  puo'
essere  utilizzata come prova del fatto in essa affermato, se non nei
casi  eccezionali,  contemplati dal quinto comma dell'art. 111 Cost.,
di  consenso  dell'imputato,  di  accertata  impossibilita' di natura
oggettiva  di  formazione della prova in contraddittorio e di provata
condotta illecita;
        che,   nell'ambito   della   disciplina   attuativa  di  tale
principio, il divieto della testimonianza indiretta degli ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria previsto dalla norma censurata e' volto
ad   evitare   che   dichiarazioni  assunte  unilateralmente  possano
surrettiziamente  confluire  nel materiale probatorio utilizzabile in
giudizio ed e' coerente con la regola dettata dall'art. 500, comma 2,
cod.  proc.  pen., che mira a preservare la fase del dibattimento "da
contaminazioni  probatorie  fondate  su atti unilateralmente raccolti
nel corso delle indagini preliminari" (v. ordinanza n. 36 del 2002);
        che  anche  la  censura concernente la supposta irragionevole
disparita'  di  trattamento  tra  la  disciplina  impugnata  e quella
prevista  per gli investigatori privati autorizzati, ex art. 327-bis,
comma  3, cod. proc. pen., all'espletamento di indagini difensive, e'
stata  gia' ritenuta infondata da questa Corte, che ha osservato, "da
un lato, che il divieto della testimonianza indiretta degli ufficiali
e  agenti  di  polizia  giudiziaria  e'  coerente  con  il  principio
costituzionale  del  contraddittorio  nella formazione della prova e,
dall'altro,       che      interpretazioni      della      disciplina
dell'incompatibilita'  a testimoniare degli investigatori privati che
consentissero  di  aggirare  le  regole  di  esclusione probatoria si
porrebbero   in   contrasto  con  l'art. 111,  quarto  comma,  Cost."
(sentenza n. 32 del 2002);
        che,  infine, la disciplina censurata, finalizzata ad evitare
l'elusione  del  contraddittorio  ed  essa  stessa  espressione di un
principio assunto a regola costituzionale, non puo' ritenersi affetta
da  incoerenza  e  irragionevolezza neppure nelle ipotesi, menzionate
nella  sentenza n. 24 del 1992 e richiamate da uno dei rimettenti, in
cui  "l'esame  dei  testimoni-fonte  obbligatoriamente  indicati  sia
impossibile per morte, infermita' o irreperibilita'";
        che,  rispetto  al  momento in cui e' intervenuta la sentenza
n. 24  del  1992,  e' infatti significativamente mutato - per effetto
delle modifiche legislative intervenute a far data dal d. l. 8 giugno
1992,  n. 306,  convertito,  con  modificazioni, nella legge 7 agosto
1992,  n. 356  -  anche  "il  sistema  delle  norme  che disciplinano
l'attivita' investigativa della polizia giudiziaria e il regime della
lettura degli atti irripetibili" (sentenza n. 32 del 2002);
        che  tale  regime  consente  ora  di  dare  lettura,  a norma
dell'art. 512  cod.  proc. pen. e nel rispetto dei principi enunciati
nel  quarto  e  quinto  comma dell'art. 111 Cost., degli atti assunti
dalla  polizia  giudiziaria  quando  la  formazione  della  prova  in
dibattimento   e'   divenuta  impossibile  per  fatti  o  circostanze
imprevedibili;
        che  nella  medesima  ottica  deve  essere  quindi apprezzata
l'innovazione  al testo originario dell'art. 195, comma 4, cod. proc.
pen. introdotta  dalla  legge  1  marzo  2001,  n. 63, secondo cui la
testimonianza  indiretta  non  e' vietata negli "altri casi", e cioe'
quando non ha per oggetto informazioni che sono, o dovrebbero essere,
consacrate in verbali;
        che  in  tali  situazioni,  "non  presentandosi l'esigenza di
evitare  l'aggiramento  della regola di esclusione probatoria" di cui
all'art. 111,  quarto  comma,  Cost.,  "non sussiste alcun profilo di
irragionevolezza  nella disciplina che consente [...] di applicare le
regole  generali  in tema di testimonianza indiretta" (sentenza n. 32
del 2002);
        che,  non  risultando  profili  diversi  o  aspetti ulteriori
rispetto  a  quelli  gia'  valutati  con  le  richiamate pronunce, le
questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.