ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4,
del   codice   di  procedura  penale,  promosso,  nell'ambito  di  un
procedimento  penale,  dal  Tribunale  di  Siracusa con ordinanza del
12 giugno  2001,  iscritta  al  n. 106  del registro ordinanze 2002 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1a serie
speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 5 giugno 2002 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  con  ordinanza  del 12 giugno 2001 il Tribunale di
Siracusa ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 111 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195,
comma  4,  del  codice  di procedura penale, nella parte in cui vieta
agli  ufficiali  e  agli agenti di polizia giudiziaria di deporre sul
contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalita'
di  cui  agli  artt. 351  e  357,  comma  2, lettera a), dello stesso
codice;
        che  il  Tribunale  di  Siracusa  premette  che nel corso del
dibattimento  era  stata  assunta la testimonianza di un ufficiale di
polizia  giudiziaria  sulle  dichiarazioni  acquisite, nell'ambito di
attivita'  di  indagine  delegata  dal pubblico ministero, da persone
informate sui fatti, citate in dibattimento come testimoni;
        che  il  difensore  di  uno degli imputati aveva eccepito, ai
sensi dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., cosi' come riformulato
dalla  legge  1 marzo 2001, n. 63, il divieto per gli ufficiali e gli
agenti   di  polizia  giudiziaria  di  deporre  sul  contenuto  delle
dichiarazioni  acquisite  da  testimoni  con le modalita' di cui agli
artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), cod. proc. pen;
        che  il  tribunale, rigettata l'eccezione della difesa, aveva
dato  corso  all'assunzione  della deposizione ritenendo, in adesione
alla  interpretazione  letterale della norma prospettata dal pubblico
ministero,  che  il divieto operi nelle sole ipotesi di dichiarazioni
assunte  nell'ambito  di  attivita'  di  indagine  a iniziativa della
polizia giudiziaria;
        che  i  difensori  avevano  quindi  eccepito l'illegittimita'
costituzionale    dell'art. 195,    comma   4,   cod.   proc.   pen.,
nell'interpretazione   datane   dal   giudice,  in  quanto  la  norma
determinerebbe  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  della
situazione  in esame rispetto alle dichiarazioni assunte d'iniziativa
della polizia giudiziaria;
        che  il tribunale, dopo aver ribadito che il tenore letterale
della  norma non consente di ritenere che il divieto di testimonianza
della polizia giudiziaria si estenda al contenuto delle dichiarazioni
ricevute  nel  corso  di  attivita'  di  indagine  delegata,  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 195, comma 4, cod.
proc.  pen.,  "nella  parte  in  cui  prevede che gli ufficiali e gli
agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto delle
dichiarazioni  acquisite  da  testimoni  nelle  ipotesi  di  cui agli
artt. 351 e 357, comma 2, lettera a)", ritenendo che tale norma violi
gli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost;
        che,  con  riferimento all'art. 3 Cost., il rimettente rileva
che  non  vi  e'  alcuna  ragione per differenziare le ipotesi in cui
l'ufficiale  di  polizia giudiziaria abbia assunto le informazioni di
propria iniziativa ovvero su delega del pubblico ministero, in quanto
le  due situazioni appaiono identiche, trattandosi in entrambi i casi
di  attivita'  di  assunzione  di informazioni da parte della polizia
giudiziaria,  disciplinata  nel  medesimo  modo quanto a modalita' di
documentazione,  destinazione  dell'atto  al  fascicolo  del pubblico
ministero,  utilizzabilita'  per  le  contestazioni,  possibilita' di
lettura ai sensi degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen;
        che  la disciplina censurata violerebbe inoltre gli artt. 2 e
24  Cost.,  in  quanto  -  essendo  rimessa alla discrezionalita' del
pubblico  ministero la decisione se delegare o meno l'atto e, quindi,
se consentire o meno all'ufficiale o agente di polizia giudiziaria di
deporre  sul  suo  contenuto  -  attribuirebbe  allo  stesso pubblico
ministero  il potere di sottrarre un teste alle domande del difensore
dell'imputato;
        che  sarebbe  di  conseguenza  violato  anche il principio di
parita' delle parti enunciato dall'art. 111 Cost., dal momento che il
potere  del  pubblico  ministero  di  delegare  l'atto, incidendo sul
regime  della  testimonianza  de  relato  della  polizia giudiziaria,
configurerebbe  "una  posizione  di  preminenza della pubblica accusa
sulla difesa";
        che  il  divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e
degli  agenti di polizia giudiziaria, sebbene riferibile ai soli casi
in  cui  costoro abbiano svolto attivita' d'iniziativa ai sensi degli
artt. 351  e 357, comma 2, lettera a), cod. proc. pen., riprodurrebbe
la medesima illegittimita' gia' dichiarata dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 24 del 1992;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo,  mediante integrale richiamo all'atto d'intervento
depositato  nel giudizio instaurato con ordinanza n. 514 del r.o. del
2001  e  deciso  con la sentenza n. 32 del 2002, che la questione sia
dichiarata infondata.
    Considerato   che   il   rimettente,   muovendo   dalla  premessa
interpretativa  che  il  divieto  imposto  agli ufficiali e agenti di
polizia  giudiziaria  di  deporre  sul  contenuto delle dichiarazioni
acquisite  da  testimoni  nelle  ipotesi di cui agli artt. 351 e 357,
comma  2,  lettera  a),  cod. proc. pen. sia operante solo in caso di
attivita'  di  indagine a iniziativa della polizia giudiziaria, e non
anche  in  caso  di indagini delegate dal pubblico ministero, ravvisa
nella norma censurata la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 111 Cost;
        che  il  divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali e
agenti  di  polizia  giudiziaria,  nei  casi  in  cui  abbiano svolto
attivita' di indagine di iniziativa, riprodurrebbe infatti, ad avviso
del  giudice  a  quo  la  medesima  situazione di illegittimita' gia'
dichiarata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 1992;
        che   la   disparita'   di   disciplina  della  testimonianza
indiretta,  a  seconda che abbia per oggetto attivita' di indagine di
iniziativa   o   delegate,  sarebbe  priva  di  qualsiasi  fondamento
razionale  e  che  la  discrezionalita'  del  pubblico  ministero nel
decidere   se  delegare  l'attivita'  di  indagine,  incidendo  sulla
possibilita'  di  assumere  la  testimonianza de relato violerebbe il
diritto di difesa e il principio della parita' tra le parti;
        che questione identica, sollevata dal medesimo rimettente con
ordinanza  n. 728  del  r.o.  del 2001, e' stata dichiarata da questa
Corte  manifestamente  inammissibile  per difetto di rilevanza con la
sentenza n. 32 del 2002;
        che, come emerge dall'ordinanza di rimessione, anche nel caso
in   esame   il   Tribunale   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale della norma che vieta la testimonianza indiretta della
polizia   giudiziaria   sul  contenuto  delle  dichiarazioni  assunte
nell'ambito  di attivita' di indagine di iniziativa, nonostante abbia
assunto  la  deposizione  de relato del verbalizzante ed abbia quindi
gia' fatto applicazione del comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen., in
base  al  presupposto  interpretativo,  sul quale questa Corte non e'
chiamata  a prendere posizione, che il divieto non operi nell'ipotesi
di attivita' delegata;
        che  pertanto, avendo lo stesso rimettente in precedenza gia'
assunto  la  testimonianza  dell'ufficiale di polizia giudiziaria, la
questione e' priva di rilevanza nel giudizio a quo.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.