LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso promosso da
Luciano  D'Agostino contro l'ordinanza 8 giugno 2001 del Tribunale di
Torino.
    Udita la relazione del consigliere Antonio Stefano Agro'.
    Udito  il  p.g.  Gianfranco  Ladecola  che  ha  concluso  per  la
rimessione degli atti alla Corte costituzionale.
    Udito,  per  il  ricorrente,  l'avvocato  Antonio  Manago' che ha
concluso per l'accoglimento del ricorso.

                  Considerato in fatto e in diritto

    1. - Luciano  D'Agostino, catturato l'11 marzo 1999 nel corso del
processo  d'appello  per  reati  di  associazione  per  delinquere ed
estorsione,  il 17 aprile del 2001, durante il giudizio di rinvio che
si  era  aperto  a seguito di parziale annullamento della Cassazione,
presentava  istanza di rimessione in liberta', perche', trascorsi due
anni dall'esecuzione della custodia senza che fosse stata pronunziata
sentenza  di  condanna  in  appello, la misura cautelare, a suo dire,
aveva perso efficacia.
    2.  -  La  Corte  d'appello  di  Torino respingeva l'istanza e il
Tribunale   del   riesame,  l'8  giugno  del  2001,  confermava  tale
decisione,  ritenendo  che,  nel  calcolare  i  termini  finali della
custodia  di  fase (commisurati in anni 1+1) non si dovevano sommare,
ai  fini dell'art. 304, comma 6 c.p.p., i periodi sofferti durante il
giudizio  di  cassazione,  conclusosi,  come  s'e'  accennato, con il
parziale   annullamento   dell'originaria  sentenza  d'appello  e  il
conseguente rinvio del procedimento in questo grado.
    3.-  Il D'Agostino proponeva ricorso e la prima sezione di questa
Corte   la  rimetteva  alle  Sezioni  Unite  in  quanto,  intervenuta
l'ordinanza  n. 529  del  2000  della  Corte  costituzionale, s'erano
nuovamente  verificati  nella  giurisprudenza  della  Cassazione quei
contrasti  in  ordine  al  computo dei termini finali di fase, che la
sentenza  delle  stesse  sezioni  unite n. 4 del 29 febbraio del 2000
(ric. Musitano) s'era proposta di risolvere.
    4.   -   Tanto   premesso,   occorre   ricordare   che  la  Corte
costituzionale,  con  sentenza  n. 292  del  1998,  disattendendo  la
costante     lettura     della     giurisprudenza,    riteneva    che
un'interpretazione  adeguata  del  sistema  normativo  consentiva  di
concludere  che l'art. 304, comma 6 c.p.p., costituiva limite estremo
e  meccanismo  di chiusura della disciplina della custodia cautelare,
talche'  il  superamento  del doppio dei termini di fase era causa di
scarcerazione  anche  nell'ipotesi  di  regressione  del procedimento
(art. 303, comma 2 c.p.p).
    5.  -  Pubblicata questa pronunzia, sorgeva tuttavia un contrasto
in  sede di legittimita', non gia' sulla possibilita' di aderire alla
decisione  della  Consulta,  bensi'  sul  metodo con cui calcolare il
termine  finale  in  caso  di regressione: parte della giurisprudenza
riteneva  che  si  dovesse  considerare  tutta la detenzione comunque
sofferta  dall'inizio  di  una  determinata  fase  o  grado  fino  al
provvedimento   che   dispone  il  regresso,  sommandola  con  quella
successiva; in altre decisioni, invece, si affermava che si dovessero
congiungere  alla  detenzione  in  atto  nella fase o grado in cui il
procedimento  era  regredito  solo  i  periodi  di  privazione  della
liberta' gia' subiti nella fase o nel grado medesimi.
    6.  -  Le  Sezioni  Unite,  con  la  ricordata sentenza Musitano,
indicavano  quest'ultima  soluzione,  solo  sulla  base  di argomenti
letterali, logici e sistematici.
    Infatti  la  decisione  respinge  l'idea  che l'annullamento o la
diversa  causa  determinante  la regressione del procedimento rendano
apparente  - oggi per allora - l'esistenza del passaggio di fase o di
grado ed i suoi effetti (come chi, per esempio, dicesse che avendo la
Cassazione  annullato  la  sentenza di appello, mai si e' validamente
usciti   dall'appello,  con  la  conseguenza  che  anche  il  periodo
storicamente  trascorso  in  Cassazione  va  giuridicamente  imputato
all'appello).  E  la rifiuta - richiamando il contenuto di precedenti
sentenze  -  per  la  dizione del comma 2, dell'art. 303 c.p.p., che,
prevedendo  che i termini "decorrono di nuovo", evidentemente esclude
che siano continuati a decorrere.
    Ritiene  quindi  che,  per  i  termini di fase della custodia, il
codice abbia accolto una concezione "monofasica" o "endofasica" e che
tale  impianto autonomistico debba rilevarsi dal tenore dell'art. 303
c.p.p.  nel  suo  complesso  e  specificamente  dalla distinzione tra
termine  di fase e termine complessivo che la disposizione unicamente
conosce,  mentre  in  nessun luogo viene in considerazione il periodo
"interfasico".  Derivandone  cosi'  che  quando  l'art. 303,  comma 2
c.p.p., fa riferimento ai termini che decorrono di nuovo, a questi si
possono  sommare  (nel  rispetto dell'art. 304, comma 6) solo entita'
omogenee e cioe' i periodi trascorsi nella stessa fase.
    Osserva  ancora (e in questa prospettiva conclusivamente) che nel
codice  manca  una  norma alla quale possano ricondursi le basi della
fictio iuris giustificativa di un indifferenziato conglobamento delle
fasi intermedie.
    7.- A ben vedere tuttavia, la sentenza Musitano, sebbene dichiari
esplicitamente   di   non   aver  reperito  nel  deciso  dal  giudice
costituzionale  alcun  suggerimento  circa  il sistema di computo dei
termini,  offre  in  vari passaggi anche argomenti idonei a collegare
l'interpretazione   prescelta   a   quei   principi   che   la  Corte
costituzionale aveva espresso nella sentenza n. 292.
    In   primo   luogo   la  Consulta  s'era  rifatta  al  canone  di
proporzionalita'  dei  termini  di  custodia cautelare. Orbene questa
proporzionalita',  nel  pensiero  della sentenza delle Sezioni Unite,
non  puo'  che  commisurarsi  a  parametri  diversi,  a seconda della
funzione  del termine di custodia che si considera. In particolare la
proporzionalita' va riferita alla sola gravita' del reato entita' del
fatto   e  sanzione  irrogabile)  per  la  durata  complessiva  della
custodia,  in  cui  si  tratta  di valutare l'incidenza globale delle
esigenze  cautelari  sulla liberta' personale. Essa tuttavia non puo'
razionalmente prescindere dalle attivita' previste nella singola fase
se  riferita all'arco di tempo della custodia determinato per questa.
Insomma,  la  durata  del  termine di fase e' stata discrezionalmente
fissata  in  contemplazione  dell'addebito  ma  anche per consentire,
permanendo  la custodia, il compimento di specifici atti processuali.
Ne  discende che imputare alla fase in cui il procedimento regredisce
l'intervallo  in  cui  non  era dato svolgere le attivita' proprie di
quella  fase significa allora scardinare l'assetto delle esigenze che
erano  state  contemperate.  Si sarebbe creato un termine parziale di
durata complessiva, avulso da ogni concreta funzionalita'.
    E a questo riguardo non puo' poi opporsi che, essendo il detenuto
incolpevole  dell'invalidita'  del  passaggio di fase, e' ragionevole
addossare  all'autorita'  il  relativo  rischio.  L'art. 304, comma 6
c.p.p.,   nella   lettura   della   Corte   costituzionale,  accomuna
indifferentemente l'ipotesi di regressione (art. 303, comma 2 c.p.p.)
a  quella  di  evasione (art. 303, comma 3 c.p.p.) e percio', essendo
eguale  il  criterio  del  limite  del doppio dei termini di fase per
colpevoli  e incolpevoli, unico e oggettivo deve essere il computo da
operarsi.
    8.-  Del resto (e qui si viene anche all'altro principio espresso
nella  sentenza  n. 292,  quello  cioe'  della  riduzione  al  minimo
necessario  del  sacrificio  della  liberta'  personale),  il periodo
trascorso  nella  fase  intermedia  (allo  stato  sterilizzato non va
perduto, ma, per cosi' dire, accreditato alla fase di competenza, con
la  conseguenza  chevi  sara'  sommato quando il procedimento l'avra'
raggiunta.  In  questo  modo il sacrificio per il soggetto privato e'
comunque  di  carattere transitorio e certo non puo' paragonarsi - in
un  equilibrato  bilanciamento  degli  interessi  -  agli  effetti di
rottura  del  sistema  che  il  criterio  del  cumulo indifferenziato
irragionevolmente e' in grado di provocare.
    Ne' il principio del sacrificio minore possibile puo' significare
che  il  termine,  in caso di regressione, deve ulteriormente ridursi
rispetto al tempo che la Corte costituzionale individua come punto di
contemperamento  tra liberta' e autorita' fissato dal legislatore. E'
questo  pero' quella che inconsapevolmente pretendono quanti assumono
che sia dimostrata la matematica inutilita' della soluzione prescelta
dalle  sezioni  unite,  lamentando  che,  con  la  somma dei segmenti
omogenei  di  detenzione,  il  termine  ordinario  di fase riprende a
decorrere in genere (e cioe' salvo pregresse proroghe o sospensioni o
molteplici  regressioni)  per  tutta la durata prevista dall'art. 303
c.p.p.  Dimenticano pero' che, se si deve computare nel regresso solo
quello che e' sommabile perche' omogeneo e cioe' il presofferto nella
stessa  fase,  il  metodo  della  addizione  dei segmenti omogenei e'
comunque  operativo  nell'arco  del doppio della durata dei termini e
cioe'  in  quel  periodo  che,  segnando  il limite di tolleranza del
sistema,  costituisce  la garanzia per il soggetto. Ne risulta che il
problema  non e' di carattere matematico, ma e' quello di stabilire e
per  altra  via) il giusto criterio e questo - per quanto osservato -
non puo' essere che il cumulo dei periodi della stessa fase.
    9.  -  E'  altresi' opportuno notare che la successiva esperienza
mostrato  che  il cumulo di tutta la custodia sofferta nella fase cui
il  procedimento  regredisce  non  rappresenta  in  realta', sempre e
comunque, un beneficio per l'imputato.
    Infatti,  la  valutazione  di  maggiore  o minore utilita' per il
detenuto  dei  due metodi si e' rilevata avere un senso solo sotto il
profilo  statistico,  tant'e'  vero  che  nei  casi considerati dalla
sentenza  della sesta sezione n. 5874 del 23 maggio 2001, Martinelli,
e  dalla  sentenza della prima sezione n. 42794 del 28 novembre 2001,
Schiavone,  i  ricorrenti  non  sono stati scarcerati proprio perche'
l'intera  detenzione  antecedente  al regresso e' stata imputata alla
fase  in  cui  il  procedimento  e' regredito, mentre sarebbero stati
rimessi in liberta' se si fosse seguito il sistema Musitano.
    10.-  Per le ragioni fin qui riassunte le sezioni unite opinavano
dunque  che  l'interpretazione  adottata  del  computo  del termine a
seguito  di regresso, non solo fosse l'unica esegeticamente corretta,
ma  rappresentasse  anche  una  soluzione  quantomeno  accettabile in
relazione  agli  artt. 3  e  13 della Costituzione da cui erano stati
tratti  i  principi di proporzionalita' e quello del minor sacrificio
possibile.
    11.- L'idea di aver fornito un'interpretazione costituzionalmente
plausibile  e'  oggi  da ritenersi azzardata alla luce dell'ordinanza
n. 529  del  2000 della Corte costituzionale e sorge invece il dubbio
che  il  criterio  della  cumulabilita'  dei  soli  segmenti omogenei
contrasti con le norme costituzionali appena richiamate.
    Tale  pronunzia  innanzitutto fa carico alle sezioni unite di non
aver  inteso come la sentenza n. 292 del 1998 avesse gia' indicato il
criterio del cumulo di tutto il periodo di detenzione. Doveva infatti
capirsi, dall'esposizione delle premesse in fatto che dettero origine
a  quella  decisione,  che  il  riesame  della  rilevanza, al momento
dell'elaborazione di questa sentenza, non si era fermato ad accertare
se  ci  si trovasse dinanzi ad un procedimento regredito (caso in cui
secondo   la  giurisprudenza  allora  corrente  non  era  applicabile
l'art. 304,  comma  6  c.p.p.),  ma  si era spinto a valutare l'esito
favorevole   per   la   parte   dall'applicazione   di  questo  comma
dell'art. 304  nell'auspicata  diversa  interpretazione. Siccome quel
soggetto  non  sarebbe  stato  scarcerato  se,  una  volta  stabilita
l'applicabilita',  non  si fosse cumulata tutta la custodia sofferta,
ecco che l'adozione di un simile metodo di computo doveva chiaramente
risultare  dalla  pronunzia  (altrimenti,  e' sottinteso, la Consulta
avrebbe   dichiarato   inammissibile   per   irrilevanza  la  dedotta
questione).
    In  ogni  modo,  aggiunge  l'ordinanza,  solo  se  si include nel
calcolo  del termine finale dell'art. 304, comma 6 c.p.p. la custodia
cautelare  subita  dall'imputato  in  fasi  diverse,  la disposizione
mantiene  integra  la  sua naturale sfera di applicazione e non resta
limitata   ai   casi   eccezionali   di  molteplici  regressioni  del
procedimento.  Il  cumulo  di  tutti  i periodi, conclude, e' il solo
coerente  con l'art. 13 della Costituzione che impone di privilegiare
la  soluzione  che  riduca  al  minimo  il  sacrificio della liberta'
personale.
    12.  -  Giunti  a  questo  punto,  le  sezioni  unite riaffermano
tuttavia  che  l'art. 303,  comma 2 c.p.p. esprime una norma che, sia
pure  considerando i principi piu' volte ricordati e quindi - forse -
in  contrasto  con  essi,  impedisce  di addizionare, nel calcolo del
doppio  del termine finale di fase, periodi di detenzione sofferti in
fasi  o  in  gradi  diversi  da  quelli  in  cui  il  procedimento e'
regredito.   Non   potendo   percio'   il   ricorso   essere   deciso
indipendentemente  dalla  soluzione  della  questione di legittimita'
costituzionale,  chiedono  alla  Corte  costituzionale,  nel rispetto
delle  reciproche  attribuzioni,  di  intervenire  sulla disposizione
indicata   con  una  pronunzia  caducatoria,  se  il  dubbio  dovesse
rivelarsi fondato.
    13.  -  I motivi per cui il comma 2, dell'art. 303 c.p.p., non e'
suscettibile di diversa lettura, sono stati prima esposti e va quindi
solo  richiamato  quanto  gia'  detto nei numeri precedenti in ordine
alla  natura  monofasica  dei  termini  che,  secondo  la  vigente ed
applicabile  norma denunziata, devono decorrere di nuovo e che quindi
bisogna  sommare, ai fini del calcolo del loro doppio, con addendi di
natura  omogenea  e  cioe'  con periodi di detenzione trascorsi nella
stessa fase o grado.
    Le  sezioni  unite d'altronde non ritengono che l'interpretazione
assunta  sia  influenzata  da  modifiche  normative  sopravvenute. La
voluntas  legis  di  mantenere  intatto  il  dettato  previsto  dalla
disposizione  in  esame  anche a seguito dell'interpretazione offerta
dalla  Corte  costituzionale  con  la  sentenza n. 292 del 1998, puo'
ricavarsi  dal  fatto che le numerose manipolazioni di cui l'art. 303
c.p.p.  e' stato oggetto non hanno toccato il comma discusso (cfr. da
ultime  legge  5  giugno  2000,  n. 144  e  19  gennaio 2001, n. 4 di
conversione del d.l. n. 341 del 2000).
    Quest'ultima  legge,  nel  consentire  in  casi  eccezionali  una
interconnessione tra le fasi, conferma semmai come il canone generale
dell'autonomia  dei  termini  di  fase  possa essere derogato solo da
specifiche  previsioni  normative. Essa quindi verifica la necessita'
di un intervento del legislatore (o di una sentenza costituzionale di
accoglimento)  per  consentire la cumulabilita' di periodi relativi a
fasi  o  a  gradi  diversi,  secondo  quanto  aveva  gia' concluso la
sentenza n. 4 del 29 febbraio 2000.
    14.-  Il  procedimento va quindi sospeso ferma restando la misura
cautelare  in  atto.  La  cancelleria  provvedera'  agli  adempimenti
previsti dalla legge n. 87 del 1953.