ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 119 del regio
decreto   16 marzo  1942,  n. 267  (Disciplina  del  fallimento,  del
concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
liquidazione  coatta  amministrativa),  promosso  con  ordinanza  del
12 dicembre  1997  dalla  Corte  d'appello di Napoli nel procedimento
civile  vertente tra Mazzella Angela e il Fallimento Duomar s.n.c. ed
altra  iscritta  al  n. 209  del registro ordinanze 2002 e pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 19, 1a serie speciale,
dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Romano Vaccarella.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Napoli, chiamata a giudicare del
reclamo  proposto da Angela Mazzella avverso il decreto del tribunale
fallimentare,  con  il quale era stata respinta l'istanza di chiusura
del  suo  fallimento, ha sollevato, con ordinanza in data 12 dicembre
1997,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 119 del
regio  decreto  16 marzo  1942,  n. 267,  nella parte in cui "esclude
dalla  reclamabilita'  il  provvedimento  di  rigetto dell'istanza di
chiusura  del  fallimento",  in  riferimento  agli  articoli 3, comma
primo, e 24, comma secondo, della Costituzione.
    2.   -   La   Corte   rimettente  premette  che,  in  conformita'
all'orientamento  della  Corte  di cassazione, l'art. 119 della legge
fallimentare  va  interpretato  - data "la chiarezza ed inequivocita'
del  dato normativo" - nel senso che il reclamo, dalla medesima norma
previsto,  e'  proponibile  esclusivamente  contro  il decreto con il
quale  il  tribunale dichiara la chiusura del fallimento, e non anche
contro  il  provvedimento  con  il  quale  esso  rigetta  la relativa
istanza.
    Ritiene  non condivisibile l'interpretazione, "costituzionalmente
orientata",  suggerita  da  una  parte della dottrina, secondo cui la
norma  consentirebbe,  nondimeno,  il reclamo contro il provvedimento
negativo,  ostandovi  il  chiaro  disposto  normativo  e  non essendo
pertinente  il  richiamo  alla  disciplina comune dei procedimenti in
camera  di  consiglio,  contenuta  nel  codice  di rito (segnatamente
all'art. 739  cod.  proc.  civ.,  che  prevede  la reclamabilita' dei
decreti camerali), attesa la specialita' della legge fallimentare.
    3.  -  Quanto alla rilevanza della questione, la Corte rimettente
osserva  che,  sulla  base  dell'interpretazione  accolta, il reclamo
della  Mazzella  sarebbe precluso, perche' inammissibile, mentre, ove
fosse  rimosso  il  limite  posto dalla norma, l'impugnativa potrebbe
essere esaminata nel merito.
    4.  - Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente
osserva   che   la   diversita'   del   regime  di  impugnazione  del
provvedimento   reso  dal  tribunale  sull'istanza  di  chiusura  del
fallimento,  a  seconda  del  suo  contenuto,  positivo  o  negativo,
comporta  una  sperequazione,  secundum eventum litis, tra i soggetti
(normalmente   i  creditori  ed  il  curatore)  che  si  dolgono  del
provvedimento  di  chiusura  (ai  quali  e' dato il reclamo) e quelli
(segnatamente  i  falliti)  che  hanno  interesse  alla  chiusura del
fallimento (cui il reclamo e' negato).
    Tale discriminazione - sostiene la Corte - non trova un'appagante
e razionale giustificazione e viola il principio di uguaglianza delle
parti e la garanzia della difesa in ogni stato e grado del giudizio.
    In  particolare,  essa  rileva  che, a riequilibrare le posizioni
delle  parti,  non  basta  la  possibilita' della riproposizione allo
stesso  tribunale  dell'istanza  di  chiusura, anche sulla base degli
stessi   motivi   gia'   disattesi,   poiche'   tra   i   due  rimedi
(reclamabilita'   e   riproponibilita'   dell'istanza)   non   vi  e'
equivalenza,   per   l'evidente maggior   garanzia  assicurata  dalla
"alterita'"  del  giudice  del  gravame  (come  osservato dalla Corte
costituzionale,   con  la  sentenza  n. 253  del  20 giugno  1994,  a
proposito  del  reclamo ex art. 669-terdecies cod. proc. civ. avverso
il provvedimento di diniego della misura cautelare).

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte d'appello di Napoli dubita - in riferimento agli
artt. 3  e 24 Cost. - della legittimita' costituzionale dell'art. 119
del  regio  decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento,
del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
liquidazione  coatta  amministrativa),  nella parte in cui esclude la
reclamabilita'  del  decreto  di rigetto dell'istanza di chiusura del
fallimento.
    2. - La questione e' fondata.
    Poiche'    il    rimettente    -   con   motivazione   confortata
dall'orientamento della dominante giurisprudenza di legittimita' e di
merito  - esclude l'interpretazione della norma denunciata secondo la
quale  il  provvedimento  che decide sull'istanza di chiusura sarebbe
sempre  reclamabile,  e'  indubbia l'illegittimita' costituzionale di
una  norma  che, senza alcuna ragionevole giustificazione, consente o
nega la proposizione del reclamo secundum eventum litis.
    Ribadito il principio, enunciato nella sentenza n. 253 del 1994 a
proposito   del  reclamo  cautelare,  secondo  il  quale  non  vi  e'
equivalenza,  quanto  a  qualita'  della  tutela giurisdizionale, tra
riproponibilita'  dell'istanza  al  medesimo giudice che gia' l'abbia
respinta  e reclamabilita' davanti ad altro giudice, e' evidente come
il  diniego  dell'esperibilita' del reclamo si risolva, per chi abbia
visto  respingere  la  sua  istanza  di  chiusura,  in un trattamento
ingiustificatamente  deteriore  rispetto  a quello riservato a chi si
opponga al decreto di chiusura.
    Non essendo qualitativamente diversi - e, quindi, suscettibili di
diversa  protezione  - gli interessi di chi insta per la chiusura del
fallimento  e  di  chi  ad  essa  si  oppone  (come dimostra, a tacer
d'altro,  la circostanza che la giurisprudenza ritiene ammissibile il
ricorso  ex  art. 111  Cost. avverso il provvedimento di accoglimento
del reclamo e, pertanto, di revoca della chiusura) l'irreclamabilita'
del   decreto   di   rigetto  dell'istanza  (peraltro,  ritenuto  non
ricorribile    ex   art. 111   Cost.)   viola   sia   l'art. 3,   per
l'irrazionalita'  del  diverso  trattamento  riservato  a  situazioni
soggettive  speculari  ma meritevoli di paritaria considerazione, sia
l'art. 24  Cost.,  per  la  compressione  degli  strumenti  di tutela
giurisdizionale  delle  ragioni di chi ha interesse alla chiusura del
fallimento.
    Le  considerazioni  appena  svolte  circa  l'irrazionalita' della
norma  vigente  per  il  fallimento sono confortate dal confronto con
l'omologa  disciplina  dell'amministrazione  straordinaria,  la quale
prevede  la  reclamabilita'  alla Corte d'appello del decreto sia che
disponga sia che neghi la chiusura della procedura (cfr. il combinato
disposto  degli  artt. 76,  comma  2,  e  71,  comma  4,  del decreto
legislativo 8 luglio 1999, n. 270).