ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 255, primo
comma,  del codice di procedura civile, promosso con Ordinanza emessa
il  11 luglio  2001  dal Tribunale di Padova, nel procedimento civile
vertente  tra  Pase  Davide  ed  altra e la Direzione provinciale del
Lavoro  -  sede  di Padova, iscritta al n. 892 del registro ordinanze
2001  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44,
1a serie speciale, dell'anno 2001.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 23 ottobre 2002 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di Padova ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 255, primo comma, del codice di
procedura  civile,  per  violazione  degli  articoli 3 e 111, secondo
comma, della Costituzione;
        che  il  giudice rimettente e' investito della trattazione di
un  giudizio  civile  nel  corso del quale un testimone, regolarmente
intimato, non e' comparso senza addurre un legittimo impedimento;
        che  il  giudice a quo ritiene quindi di dover procedere alla
condanna del teste alla pena pecuniaria che la disposizione impugnata
stabilisce  nella misura minima di lire quattromila e massima di lire
diecimila;
        che  il  rimettente,  rilevato  che  l'art. 133 del codice di
procedura  penale  prevede per il testimone non comparso il pagamento
di   una   somma  da  lire  centomila  a  lire  un  milione,  ritiene
incomprensibile  una  tale  disparita' di trattamento per i testi non
comparsi;
        che, come osserva il giudice a quo la questione e' gia' stata
ritenuta  manifestamente  infondata dalla Corte con l'ordinanza n. 30
del  2000,  con  la  quale,  pur riconoscendosi l'inadeguatezza della
sanzione  prevista  dalla  norma  censurata,  si e' stabilito che "la
determinazione   della   misura   delle   sanzioni   appartiene  alla
discrezionalita'  del legislatore, cui e' riservata anche la modifica
e  l'adeguamento delle stesse, non potendo questa Corte sostituire la
propria   valutazione  a  quella  che  spetta  al  legislatore  nelle
discrezionali  scelte,  sia  per  la determinazione dei precetti, sia
quanto  al tipo che alla entita' delle rispettive sanzioni" e che "vi
e'  piena  autonomia del sistema processuale civile rispetto a quello
penale,  di  modo  che  essi  non  sono  comparabili  ai  fini  della
violazione  del  principio  di  eguaglianza  di  cui all'art. 3 della
Costituzione";
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  nessuno dei due argomenti
utilizzati  dalla  Corte  appare  condivisibile,  dal  momento che la
stessa    giurisprudenza   costituzionale   ha   precisato   che   la
discrezionalita'  del  legislatore  deve  rispettare  il limite della
ragionevolezza,  senza  dar  luogo  ad  una disparita' di trattamento
irrazionale ed ingiustificata, e che non vi sarebbe alcuna differenza
tra  la  condotta del testimone che non compare nel processo penale e
quella  di  chi  rifiuta  il suo ufficio in quello civile, sicche' la
disparita'  di trattamento sarebbe irragionevole ed arbitraria, anche
in  considerazione  del  medesimo  trattamento  sanzionatorio  penale
invece  previsto  dall'art. 372  del  codice  penale per il teste che
dichiara il falso;
        che,  come  rileva  ancora  il  rimettente,  la Corte, con la
sentenza    n. 149   del   1995,   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 251 cod. proc. civ., estendendo in tal modo
al  testimone  nel processo civile la formula del giuramento prevista
dall'art. 497  cod.  proc.  pen.,  "segno  questo  che,  almeno sotto
qualche  profilo,  il  processo civile ed il processo penale non sono
forse  cosi'  drasticamente incomparabili, come invece ritenuto dalla
Corte nella citata ordinanza n. 30 del 4 febbraio 2000";
        che,   come   osserva  infine  il  Tribunale  di  Padova,  la
disposizione  impugnata  si  pone  in contrasto anche con l'art. 111,
secondo  comma,  Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del
processo,  perche'  il timore della irrogazione di una sanzione tanto
esigua  non  puo'  certo  indurre  il  teste  a  comparire davanti al
giudice.
    Considerato  che il Tribunale di Padova dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 255,  primo  comma, del codice di procedura
civile,  nella  parte  in  cui  prevede per il testimone non comparso
senza  un  giustificato motivo la condanna ad una pena pecuniaria non
inferiore  a  lire  quattromila e non superiore a lire diecimila, per
violazione   dell'art. 3   della   Costituzione,  per  disparita'  di
trattamento  con  la  sanzione  pecuniaria prevista dall'art. 133 del
codice  procedura  penale  per  il  teste  non  comparso nel processo
penale,  nonche'  dell'art. 111  Cost.,  essendo la sanzione, per sua
stessa esiguita', contraria al principio della ragionevole durata del
processo;
        che  questa Corte ha gia' dichiarato manifestamente infondata
analoga   questione   di  legittimita'  costituzionale  della  stessa
disposizione  oggi  impugnata, stabilendo che la determinazione della
misura   delle   sanzioni   appartiene   alla   discrezionalita'  del
legislatore, cui e' riservata anche la modifica e l'adeguamento delle
stesse,  non  potendo  la  Corte  sostituire la propria valutazione a
quella  che  spetta  al legislatore sia in ordine alla determinazione
dei  precetti,  sia  quanto  al  tipo  e all'entita' delle rispettive
sanzioni (ordinanza n. 30 del 2000);
        che  questa  Corte  ha inoltre costantemente affermato che il
sistema  processuale  civile e quello penale sono fra loro autonomi e
non sono quindi comparabili ai fini della violazione del principio di
eguaglianza  di  cui  all'art. 3 Cost. (da ultimo, sentenza n. 78 del
2002);
        che  gli  argomenti  addotti  dall'odierno  rimettente  nulla
aggiungono  al  riguardo,  neppure  sotto  il  diverso  profilo della
ragionevole   durata   del   processo,   ora  espressamente  previsto
dall'art. 111,   secondo   comma,  Cost.,  non  essendo  di  per  se'
l'esiguita'  della  sanzione  pecuniaria  irrogabile al testimone non
comparso suscettibile di arrecare un ritardo al processo, ben potendo
il  giudice  ricorrere  anche  alle altre misure (nuova intimazione o
accompagnamento  coattivo del testimone all'udienza stessa o ad altra
successiva) previste dalla stessa disposizione oggi impugnata;
        che la questione appare quindi manifestamente infondata sotto
ogni profilo.
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.