ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
24 novembre   1981,   n. 689   (Modifiche   al   sistema  penale),  e
dell'art. 7,  comma  13,  del  decreto  legislativo  8 novembre 1997,
n. 389  (Modifiche  ed integrazioni al decreto legislativo 5 febbraio
1997,  n. 22,  in  materia  di  rifiuti,  di  rifiuti  pericolosi, di
imballaggi  e  di  rifiuti  di  imballaggio),  promossi con ordinanze
emesse  il  21 gennaio  2002 dal Tribunale di Milano e il 31 dicembre
2001  (n. 2  ordinanze)  dal  giudice  di  pace di Trino, iscritte ai
numeri 144,  226 e 227 del registro ordinanze 2002 e pubblicate nella
Gazzetta   Ufficiale   della  Repubblica  numeri 14  e  20,  1a serie
speciale, dell'anno 2002.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 6 novembre 2002 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto   che,   con   ordinanza   del   21 gennaio  2002  (r.o.
n. 144/2002),  il  Tribunale  di  Milano, nel corso di un giudizio di
opposizione  a  ordinanza-ingiunzione,  ha  sollevato, in riferimento
all'art. 3  della  Costituzione,  questione  di costituzionalita' (a)
dell'art. 1,  secondo  comma,  della  legge  24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche  al  sistema  penale), "ovvero" (b) dell'art. 7, comma 13,
del   decreto  legislativo  8 novembre  1997,  n. 389  (Modifiche  ed
integrazioni  al  decreto  legislativo  5 febbraio  1997,  n. 22,  in
materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti
di  imballaggio),  "entrambi nella parte in cui non prevedono che, se
la  legge  in  vigore  al  momento in cui fu commessa la violazione e
quella  posteriore  stabiliscono sanzioni amministrative [pecuniarie]
diverse,  si applichi la legge piu' favorevole al responsabile, salva
la  definitivita'  del  provvedimento  di irrogazione o l'intervenuto
pagamento";
        che,   previa   esposizione  della  fattispecie  oggetto  del
giudizio   a   quo  concernente  l'opposizione  proposta  dal  legale
rappresentante  di  una tintoria avverso una ordinanza-ingiunzione di
pagamento  di  una  somma  di  oltre trenta milioni di lire, ai sensi
degli  articoli 12,  comma  1, e 52, comma 2, del decreto legislativo
5 febbraio  1997,  n. 22  (Attuazione  delle direttive 91/156/CEE sui
rifiuti,   91/689/CEE   sui   rifiuti  pericolosi  e  94/62/CE  sugli
imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio),  per  avere  omesso la
registrazione  di un prodotto considerato rifiuto speciale pericoloso
dalla   legislazione   vigente,   il   rimettente   sottolinea  come,
successivamente  al  tempo  della  commessa  violazione,  la sanzione
amministrativa  pecuniaria  prevista  per  l'omessa  registrazione di
rifiuti   pericolosi   (variabile  da  lire  trenta  milioni  a  lire
centoottanta  milioni)  sia  stata  ridotta, "nel caso di imprese che
occupano  un  numero  di unita' lavorative inferiore a 15 dipendenti"
(come  e' nella specie per l'opponente), a un importo piu' esiguo (da
lire   quattro   milioni   a  lire  ventiquattro  milioni),  a  opera
dell'art. 7, comma 13, del decreto legislativo n. 389 del 1997;
        che  pero',  in  mancanza  -  nel  citato decreto legislativo
n. 389  del  1997  -  di  una norma tale da consentire l'applicazione
della nuova disciplina ai fatti pregressi, e' necessario fare ricorso
ai   principi   di  irretroattivita'  e  di  legalita'  ricollegabili
all'art. 1, secondo comma, della legge n. 689 del 1981;
        che,  cio'  premesso,  il  giudice  a  quo - che richiama una
propria  precedente  ordinanza  di rimessione di analoga questione di
costituzionalita'   in   data   11 aprile   2001  [iscritta  al  r.o.
n. 473/2001]  -  osserva  che  la  questione  e'  rilevante in quanto
l'eventuale  accoglimento  della  stessa consentirebbe l'irrogazione,
nel  caso  di specie, di una sanzione di importo sensibilmente minore
rispetto a quella prevista e applicata;
        che,  nel  merito,  il  giudice  rimettente  muove da recenti
interventi  del legislatore con i quali, in materia di successione di
leggi  nel  tempo,  e'  stato  esteso  a talune tipologie di illecito
amministrativo  il  principio - proprio della materia penale (art. 2,
terzo   comma,  cod.  pen.)  -  dell'applicazione  della  legge  piu'
favorevole  al  responsabile della violazione, e cio' in particolare:
a)  nel  sistema  delle  sanzioni  amministrative tributarie, a opera
dell'art. 3,  comma 3,  del  decreto  legislativo  18 dicembre  1997,
n. 472  (Disposizioni  generali in materia di sanzioni amministrative
per  le  violazioni  di  norme tributarie, a norma dell'art. 3, comma
133,  della legge 23 dicembre 1996, n. 662), il quale dispone che "Se
la  legge in vigore al momento in cui e' stata commessa la violazione
e  le  leggi  posteriori stabiliscono sanzioni di entita' diversa, si
applica  la  legge  piu'  favorevole,  salvo  che il provvedimento di
irrogazione  sia divenuto definitivo"; (b) nel sistema delle sanzioni
amministrative  valutarie,  con  norma  di formulazione identica alla
precedente,  a  opera  dell'art. 23-bis, comma 3, del d.P.R. 31 marzo
1988,  n. 148  (Approvazione  del  testo unico delle norme in materia
valutaria),  come  modificato  dalla  legge  7 novembre  2000, n. 326
(Modifiche  al testo unico approvato con decreto del Presidente della
Repubblica  31 marzo  1988,  n. 148,  in  materia  di sanzioni per le
violazioni tributarie);
        che   tali   scelte,  secondo  il  giudice  a  quo  sarebbero
espressive di una "evoluzione ordinamentale", che troverebbe conferma
sia  nell'intervenuta  abrogazione,  a opera dell'art. 24 del decreto
legislativo  30 dicembre  1999,  n. 507  (Depenalizzazione  dei reati
minori  e  riforma  del  sistema  sanzionatorio, ai sensi dell'art. 1
della   legge  25 giugno  1999,  n. 205),  dell'art. 20  della  legge
7 gennaio  1929,  n. 4  (Norme  generali  per  la  repressione  delle
violazioni  delle leggi finanziarie), che prevedeva l'"ultrattivita'"
delle   norme   penali   finanziarie,   sia   in   talune  iniziative
parlamentari,  non  concluse a causa dello scioglimento delle Camere,
rivolte  appunto  all'introduzione, nel corpo del decreto legislativo
n. 22  del  1997, della previsione dell'applicazione della legge piu'
favorevole all'autore della violazione;
        che,  in tale quadro, al rimettente appare non manifestamente
infondata  la  questione  di costituzionalita' delle norme impugnate,
per  l'irragionevole disparita' di trattamento sanzionatorio che esse
verrebbero  a determinare (a) per fatti di identica natura commessi a
distanza  di  pochi  mesi e poi contestualmente giudicati e (b) per i
fatti oggetto del giudizio a quo cui sarebbe applicabile il principio
dell'applicazione  della  legge  in  vigore  al  momento  del  fatto,
rispetto   a   "settori   contigui   dell'ordinamento   sanzionatorio
amministrativo  (tributario  e  valutario)  oltreche'  penale", per i
quali  vige  il  contrapposto principio di retroattivita' della legge
posteriore piu' favorevole;
        che  nel giudizio cosi' promosso e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  che  ha  concluso  per  l'infondatezza della
questione;
        che  con  due ordinanze di contenuto analogo, emesse entrambe
in  data  31 dicembre  2001  nel  corso  di  due  distinti giudizi di
opposizione  a  ordinanza-ingiunzione  promossi dal medesimo soggetto
(r.o.  n. 226  e  n. 227  del  2002),  il giudice di pace di Trino ha
sollevato,  in  riferimento  agli  articoli 3,  primo  comma, 24, 25,
secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di
costituzionalita'  dell'art. 1  della  legge  n. 689  del 1981, nella
"parte  di  esclusione  dell'applicazione del favor rei alle sanzioni
amministrative";
        che  il rimettente osserva come i giudizi a quibus abbiano ad
oggetto   opposizioni   a   ingiunzioni   di  pagamento  di  sanzioni
amministrative  pecuniarie  irrogate  per violazione dell'art. 74 del
d.P.R. 12 febbraio 1965, n. 162 (Norme per la repressione delle frodi
nella  preparazione  e  nel  commercio  dei  mosti, vini ed aceti), e
rileva  che  la  suddetta disposizione e' stata abrogata dall'art. 3,
comma  1,  del  d.P.R.  9 novembre  1998, n. 433 (Regolamento recante
norme   per   la   semplificazione  dei  procedimenti  relativi  alla
detenzione  e  alla  commercializzazione  di  sostanze zuccherine, ai
sensi dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59);
        che,   prosegue   il   rimettente,  nonostante  l'intervenuta
abrogazione dell'illecito amministrativo contestato all'opponente, le
sanzioni  per  esso previste devono continuare a trovare applicazione
in  relazione  ai  fatti  commessi durante la vigenza della norma, in
forza  dei principi di legalita', di irretroattivita' e di divieto di
applicazione dell'analogia, risultanti dall'art. 1 della legge n. 689
del   1981,   con   conseguente   inapplicabilita'  della  disciplina
posteriore   piu'   favorevole,   "sia  che  si  tratti  di  illeciti
amministrativi  derivanti  da  depenalizzazione, sia che essi debbano
considerarsi  tali  ab  origine,  senza  che  rilevi  in contrario la
circostanza  che  la  piu' favorevole disciplina posteriore alla data
della  commissione  del  fatto  sia  entrata  in vigore anteriormente
all'emanazione  dell'ordinanza-ingiunzione  per  il  pagamento  della
sanzione   pecuniaria   e  senza  che  possano  trovare  applicazione
analogica,   attesa   la   differenza  qualitativa  delle  situazioni
considerate,  gli opposti principi di cui all'art. 2, commi secondo e
terzo, del codice penale";
        che  il  rimettente  ritiene  che  la  mancata estensione del
principio   dell'applicabilita'   della  disciplina  posteriore  piu'
favorevole  anche alla materia degli illeciti amministrativi si ponga
in  contrasto  con  gli articoli 3, primo comma, e 25, secondo comma,
della  Costituzione,  "poiche' tale istituto e' invece applicabile in
materia  penale  (art. 2,  commi  2 e 3 c.p.) ed ora anche in materia
tributaria (art. 3 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 e
art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 [Statuto contribuente])" e,
di  conseguenza,  "visti gli articoli 3, 24, 25 e 111, secondo comma,
della  Costituzione",  solleva,  in  entrambi  i giudizi, la medesima
questione di legittimita' costituzionale, nei termini sopra indicati;
        che  anche  nei  due giudizi cosi' promossi e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura   generale   dello  Stato,  che,  con  argomentazioni
coincidenti a quelle formulate nel giudizio di cui al r.o. n. 144 del
2002, ha concluso per l'infondatezza della questione.
    Considerato   che   le  tre  ordinanze  di  rimessione  sollevano
questioni in parte coincidenti e sorrette da analoghe argomentazioni,
e  che pertanto e' opportuno che i relativi giudizi siano riuniti per
essere definiti con unica pronuncia;
        che,  chiamata  a  pronunciarsi  su  precedente  questione di
costituzionalita'   (r.o.   n. 473/2001),   analoga  a  quella  (r.o.
n. 144/2002)  ora in esame, anche se riferita al comma 12 dell'art. 7
del  decreto  legislativo  n. 389  del 1997, e sollevata dal medesimo
organo   giudiziario   (Tribunale   di  Milano),  questa  Corte,  con
l'ordinanza   n. 140   del   2002,  ne  ha  dichiarato  la  manifesta
infondatezza,  escludendo  il  contrasto  con l'invocato art. 3 della
Costituzione:  (a)  sia  dell'impugnato art. 1 della legge n. 689 del
1981,  che  pone  in generale il principio di stretta legalita' nella
materia  delle violazioni e delle sanzioni amministrative pecuniarie,
con  assoggettamento  della  violazione  alla disciplina in vigore al
tempo  della  sua  commissione  e con la conseguente inapplicabilita'
della  eventuale  disciplina  posteriore piu' favorevole, perche', in
mancanza  di un vincolo costituzionale per il legislatore, appartiene
alla discrezionalita' di quest'ultimo la valutazione circa l'adozione
di  criteri  di maggiore o minor rigore, a seconda dell'oggetto, come
appunto  si  e'  verificato  per  le  discipline  in tema di illeciti
valutari  e  tributari  assunte  a  termini  di  raffronto;  (b)  sia
dell'art. 7,  comma  12, del decreto legislativo n. 389 del 1997, per
la   gia'   rilevata  inesistenza,  alla  stregua  dell'art. 3  della
Costituzione,  di  un  obbligo di estensione delle scelte legislative
effettuate in determinate materie ad altre e diverse materie;
        che  nella richiamata decisione di questa Corte si e' inoltre
osservato che neppure potrebbe dirsi, sotto altro aspetto, violato il
principio  di  uguaglianza  per  il  fatto  della  sottoposizione  di
medesime   fattispecie  di  illecito  amministrativo  a  una  diversa
disciplina,  in dipendenza del tempo in cui sono state commesse, cio'
che  costituisce semplicemente la conseguenza, sul piano applicativo,
del  principio  di  stretta  legalita'  che sorregge la materia delle
sanzioni amministrative pecuniarie;
        che  le  osservazioni che precedono sono ripetibili anche per
la  questione  sollevata  dal  Tribunale di Milano, in particolare in
relazione  al comma 13 dell'art. 7 del decreto legislativo n. 389 del
1997,  il  quale,  per  quanto qui rileva, pone una disposizione piu'
favorevole  per  la  violazione amministrativa dell'art. 52, comma 2,
del  decreto  legislativo  n. 22  del  1997,  al  pari del comma 12 -
oggetto  della  citata  pronuncia  n. 140  del 2002 di questa Corte -
relativo  alla  violazione  amministrativa  di  cui  al comma 1 dello
stesso art. 52 del decreto legislativo n. 389;
        che  i  medesimi  rilievi  valgono  altresi' per le questioni
sollevate,  sul  solo art. 1 della legge n. 689 del 1981, dal giudice
di  pace  di  Trino  (r.o.  n. 226 e n. 227/2002), che invoca in modo
assertivo  gli  ulteriori  parametri  degli  articoli 24, 25, secondo
comma,  e 111, secondo comma, della Costituzione, facendo menzione di
alcuni  di  essi (articoli 24 e 111) nel solo dispositivo di entrambe
le  ordinanze  di rinvio, e comunque senza fornire una corrispondente
motivazione per ciascuno;
        che,  in  mancanza  di  argomenti  che possano indurre questa
Corte   a   discostarsi  dalle  conclusioni  raggiunte  nella  citata
pronuncia,  le  questioni sollevate devono pertanto essere dichiarate
manifestamente infondate.
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.