ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 2 e 7
della   deliberazione  legislativa  statutaria  della  Regione  Valle
d'Aosta/Vallee   d'Aoste,   approvata   il  25 luglio  2002,  recante
"Modificazioni  alla legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3 (Norme per
l'elezione   del  Consiglio  regionale  della  Valle  d'Aosta),  gia'
modificata  dalle  leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13 e 1 settembre
1997,   n. 31,   e   alla   legge  regionale  19 agosto  1998,  n. 47
(Salvaguardia  delle  caratteristiche  e  tradizioni  linguistiche  e
culturali delle popolazioni walser della valle del Lys)" promosso con
ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri, notificato il
2 settembre  2002,  depositato  in  cancelleria  il  12 successivo ed
iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2002.
    Visto  l'atto  di  costituzione della Regione Valle d'Aosta e gli
atti  di  intervento della consulta regionale femminile delle Regioni
Valle d'Aosta e Campania;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 gennaio  2003  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del
Consiglio  dei  ministri, l'avvocato Gustavo Romanelli per la Regione
Valle  d'Aosta,  e  l'avvocato  Marinella  De  Nigris per la consulta
regionale femminile delle Regioni Valle d'Aosta e Campania.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ricorso  notificato il 2 settembre 2002 e depositato il
successivo  12 settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri ha
sollevato,  in  riferimento agli articoli 3, primo comma, e 51, primo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 7, comma 1, e (occorrendo, ove la norma non sia ritenuta di
carattere  meramente  propositivo e non cogente) dell'art. 2, comma 2
(rectius:  art. 2, comma 1, nella parte in cui introduce l'art. 3-bis
comma  2,  nella  legge regionale 12 gennaio 1993, n. 3), della legge
della   Regione  Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  adottata  ai  sensi
dell'art. 15,  secondo  comma, dello statuto speciale, pubblicata nel
Bollettino Ufficiale 2 agosto 2002, recante "Modificazioni alla legge
regionale  12 gennaio  1993  n. 3 (Norme per l'elezione del Consiglio
regionale della Valle d'Aosta), gia' modificata dalle leggi regionali
11 marzo  1993,  n. 13  e  1  settembre  1997,  n. 31,  e  alla legge
regionale 19 agosto 1998, n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e
tradizioni  linguistiche  e  culturali delle popolazioni walser della
valle del Lys)".
    L'Avvocatura  dello  Stato espone che il testo di legge approvato
dal   Consiglio  regionale  nella  seduta  del  25 luglio  2002,  con
la maggioranza  dei due terzi dei suoi componenti, contiene, nel capo
I, varie disposizioni di modificazione della normativa per l'elezione
del  Consiglio  regionale  della  Valle  d'Aosta  dettata dalla legge
regionale  12 gennaio 1993, n. 3. In particolare, l'art. 2 inserisce,
dopo  l'art. 3  della  suddetta legge, un art. 3-bis sotto la rubrica
"condizioni  di  parita' fra i sessi", a termini del quale ogni lista
di  candidati  all'elezione del Consiglio regionale deve prevedere la
presenza di candidati di entrambi i sessi.
    L'art. 7,  contenente  modificazioni  dell'art. 9  della medesima
legge,   al  comma  1  prevede  che  vengano  dichiarate  non  valide
dall'ufficio   elettorale  regionale  le  liste  presentate  che  non
corrispondano  alle  condizioni  stabilite, fra cui quella "che nelle
stesse siano presenti candidati di entrambi i sessi".
    L'Avvocatura  ricorda  ancora che l'art. 15, secondo comma, dello
statuto   regionale   stabilisce,  fra  l'altro  -  con  enunciazione
ritenuta,  dalla  stessa  difesa erariale, di natura programmatica -,
che  la  legge  regionale  che  determina  la  forma di governo della
regione  e  le  modalita'  di elezione del Consiglio della Valle, "al
fine  di  conseguire  l'equilibrio della rappresentanza dei sessi ...
promuove  condizioni  di  parita'  per  l'accesso  alle consultazioni
elettorali".
    Il  disposto  dell'art. 7,  comma 1, della legge impugnata, nella
parte  in  cui  prevede detta invalidita', e l'art. 2, comma 1, nella
parte  in  cui,  introducendo  l'art. 3-bis  comma 2, nel testo della
legge  regionale n. 3 del 1993, dispone che ogni lista deve prevedere
la  presenza  di candidati di entrambi i sessi ("ove questa norma non
fosse  ritenuta  meramente  propositiva  e priva di valore cogente"),
sarebbero  in  contrasto  con  gli  artt. 3, primo comma, e 51, primo
comma,   della   Costituzione,  limitando  di  fatto  il  diritto  di
elettorato passivo.
    Si  riproporrebbe,  secondo l'Avvocatura, la stessa situazione di
cui  all'art. 5,  comma 2, ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993,
n. 81,  sulla  elezione  diretta  del  sindaco,  del presidente della
provincia,  del  consiglio  comunale e del consiglio provinciale, che
prevedeva  che  "nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi puo'
essere  di  norma  rappresentato in misura superiore a due terzi": di
tale disposizione la Corte costituzionale, con la sentenza n. 422 del
1995,  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale, per contrasto
con gli artt. 3 e 5l della Costituzione, unitamente, per conseguenza,
ad  altre  norme  statali  e  regionali  similari, fra le quali anche
l'art. 32,  commi  3  e  4, della legge regionale della Valle d'Aosta
9 febbraio  1995,  n. 4,  relativa alla elezione diretta del sindaco,
del vice sindaco e del consiglio comunale.
    La  difesa  statale  conclude  quindi il suo ricorso riproducendo
testualmente  le  considerazioni  gia'  svolte  dalla Corte in quella
sentenza,  ritenendole perfettamente pertinenti al caso di specie, in
quanto   nessuna   differenza   sostanziale  potrebbe  farsi  fra  la
previsione  di  una  quota  di riserva (pari ad una percentuale delle
presenze) e la previsione di una presenza minima quale che sia, anche
di un solo candidato, di uno dei due sessi.
    2. - Si e' costituita in giudizio la Regione Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste, chiedendo il rigetto del ricorso governativo.
    Secondo   la   difesa   regionale,  con  le  piu'  recenti  norme
costituzionali  si  e' passati dal semplice riconoscimento alle donne
dei  diritti elettorali attivi e passivi all'affermazione del diritto
delle donne ad avere comunque la possibilita' di vedere rappresentato
il proprio sesso nelle competizioni elettorali. Infatti, ai sensi del
vigente  testo dell'art. 117 della Costituzione, cosi' come riformato
dalla  legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le leggi regionali
non  si  devono limitare a riconoscere una eguale possibilita' ai due
sessi  di  accedere  alle  cariche elettive, ma debbono promuovere la
parita' di accesso introducendo in conseguenza meccanismi che valgano
a   controbilanciare   lo  svantaggio  che  tuttora  caratterizza  la
posizione delle donne nell'accesso a tali cariche.
    La  difesa  regionale ricorda che e' in stadio avanzato l'iter di
approvazione  di  un  disegno di legge di modifica dell'art. 51 della
Costituzione,  il  quale  prevede che venga aggiunto al medesimo, con
previsione  di  portata generale, il seguente periodo: "a tal fine la
Repubblica  promuove  con appositi provvedimenti le pari opportunita'
tra donne e uomini".
    La  legge  regionale  impugnata,  inoltre  -  prosegue  la difesa
regionale  -  e'  stata  adottata ai sensi dell'art. 15 dello statuto
speciale,  il  cui  secondo comma, introdotto dall'art. 2 della legge
costituzionale  31 gennaio  2001,  n. 2,  espressamente  prevede  fra
l'altro che, "al fine di conseguire l'equilibrio della rappresentanza
dei sessi", la legge regionale, approvata con la maggioranza assoluta
dei  consiglieri  assegnati,  che determina la forma di governo della
regione,   "promuove   condizioni   di  parita'  per  l'accesso  alle
consultazioni  elettorali".  Sarebbe  dunque la stessa norma di rango
costituzionale   a  prevedere  che  il  legislatore  regionale  debba
adottare   una   disciplina  volta  a  garantire  l'equilibrio  della
rappresentanza   dei   sessi  nella  competizione  elettorale,  e  si
tratterebbe,  peraltro, di norma del tutto coerente con la previsione
del nuovo testo dell'art. 117 della Costituzione.
    Le disposizioni impugnate, dunque, non sarebbero in contrasto con
i  principi costituzionali, ma al contrario darebbero attuazione alle
precise indicazioni di norme costituzionali di recente intervenute.
    3. - Hanno  depositato  due  memorie  di  intervento  di identico
contenuto  la  Consulta  regionale femminile della Valle d'Aosta e la
Consulta regionale femminile della Campania, chiedendo il rigetto del
ricorso governativo.
    4. - In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste ha depositato una memoria illustrativa.
    Con  gli artt. 2 e 7 della legge regionale statutaria oggetto del
ricorso  la  regione  si  sarebbe  in  realta'  limitata a dettare le
disposizioni necessarie a garantire l'equilibrio della rappresentanza
tra   i   sessi  e  le  condizioni  di  parita'  per  l'accesso  alle
consultazioni  elettorali,  in  conformita'  di  quanto espressamente
previsto dall'art. 15 dello Statuto di autonomia speciale della Valle
e dal nuovo art. 117 della Costituzione.
    Si  tratterebbe di previsioni conformi ai vincoli che derivano da
una  serie  di  strumenti  di diritto internazionale, cui l'Italia ha
aderito,  e  che  ribadiscono  l'esigenza  di una tutela anche attiva
della  posizione  della  donna, in particolare per quanto concerne la
rappresentanza elettorale (in questo senso, nella memoria si menziona
la convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei
confronti  della  donna,  aperta alla firma a New York il 18 dicembre
1979,  e  ratificata  dall'Italia  il  10 giugno 1985, ai sensi della
legge  n. 132 del 14 marzo 1985); e di previsioni coerenti alle nuove
prospettive   emergenti   dalla   Carta   dei   diritti  fondamentali
dell'Unione  europea,  adottata  a  Nizza  il 7 dicembre 2000, il cui
art. 23,  secondo comma, proclama che "il principio della parita' non
osta  al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi
specifici a favore del sesso sottorappresentato".
    Da   cio'   si   ricaverebbe   che   il   quadro  di  riferimento
costituzionale,  rispetto al quale vanno collocate le norme regionali
oggi  all'esame  della  Corte,  non  coincide  con  quello vigente al
momento  della  sentenza  di illegittimita' costituzionale n. 422 del
1995, invocata nel ricorso del Governo.
    Una   vicenda  simile  di  successione  nel  tempo  di  parametri
costituzionali  nella  medesima materia, si osserva nella memoria, ha
indotto  in  Francia il Conseil constitutionnel a decidere in maniera
opposta  questioni di legittimita' apparentemente analoghe, a seguito
dell'introduzione,  nell'art. 3  della  vigente  Carta costituzionale
francese,  del  principio  secondo  il  quale "La loi favorise l'egal
acces  des  femmes  et des hommes aux mandats electoraux et fonctions
electives"  (ultimo  comma,  risultante  dalla  legge  costituzionale
dell'8 luglio   1999).   Sulla  base  di  questa  norma,  il  Conseil
constitutionnel  ha  radicalmente  mutato indirizzo rispetto alle sue
precedenti     decisioni,    che    escludevano    la    legittimita'
dell'imposizione  di  quote  legate  al sesso nelle liste elettorali,
affermando,  ora,  la  legittimita'  di  disposizioni  legislative di
tutela della presenza nelle liste di candidature femminili.
    E'  noto,  del  resto, che, allo stato, il numero degli eletti di
sesso  femminile  nelle  consultazioni  elettorali  in  Italia non e'
affatto  in  proporzione al numero degli elettori di sesso femminile:
di  qui,  conclude  la regione, la necessita' di eliminare, anche con
misure  legislative,  gli  ostacoli  ad  un  effettivo  esercizio del
diritto  di  elettorato  passivo  delle  donne  in  Italia, superando
pregiudizi e pratiche consuetudinarie o di altro genere, che di fatto
integrano indiscutibili ostacoli, mediante l'introduzione di vantaggi
specifici a favore del sesso sottorappresentato.

                       Considerato in diritto

    1. - Il  Governo, con ricorso proposto ai sensi dell'articolo 15,
terzo  comma,  dello  statuto  speciale  per  la Valle d'Aosta/Vallee
d'Aoste,  come modificato dall'art. 2 della legge costituzionale n. 2
del  2001, ha promosso questione di legittimita' costituzionale degli
articoli  2, comma 2, e 7, comma 1, della legge regionale della Valle
d'Aosta  recante "Modificazioni alla legge regionale 12 gennaio 1993,
n. 3  (Norme  per  l'elezione  del  Consiglio  regionale  della Valle
d'Aosta),  gia' modificata dalle leggi regionali 11 marzo 1993, n. 13
e  1  settembre  1997,  n. 31, e alla legge regionale 19 agosto 1998,
n. 47 (Salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e
culturali  delle  popolazioni walser della valle del Lys)", approvata
dal  Consiglio regionale a maggioranza di due terzi dei componenti il
25 luglio  2002,  e  pubblicata  per notizia nel Bollettino Ufficiale
della  Regione  del  2 agosto 2002. Successivamente alla proposizione
del ricorso la legge regionale impugnata una volta decorso il termine
per  la richiesta di referendum e' stata promulgata e pubblicata come
legge regionale 13 novembre 2002, n. 21.
    Le    disposizioni    impugnate,   rispettivamente,   inseriscono
l'art. 3-bis e sostituiscono l'art. 9, comma 1, lettera a nella legge
regionale  12 gennaio  1993, n. 3 (Norme per l'elezione del Consiglio
regionale della Valle d'Aosta).
    Precisamente,  il  nuovo art. 3-bis della legge sull'elezione del
Consiglio, inserito dall'art. 2 della legge impugnata, stabilisce, al
comma  2,  che  le  liste elettorali devono comprendere "candidati di
entrambi  i  sessi";  a sua volta il nuovo art. 9, comma 1, lettera a
della  legge elettorale, sostituito dall'art. 7, comma 1, della legge
impugnata,  prevede  che  vengano  dichiarate non valide dall'ufficio
elettorale  regionale  le liste presentate che non corrispondano alle
condizioni stabilite, fra cui quella "che nelle stesse siano presenti
candidati di entrambi i sessi".
    Tali disposizioni sono censurate dal ricorrente per contrasto con
gli articoli 3, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione.
    Sostiene  il  Governo  che le predette disposizioni - l'art. 7 in
quanto   espressamente  condiziona  la  validita'  delle  liste  alla
presenza  di  candidati di entrambi i sessi, l'art. 2 in quanto venga
interpretato  non  come  semplice  indicazione programmatica, ma come
disposizione  vincolante  in  sede di controllo della validita' delle
liste  presentate  -  limitano  di  fatto  il  diritto  di elettorato
passivo.  Richiamandosi alla sentenza di questa Corte n. 422 del 1995
(che    dichiaro'    l'illegittimita'   costituzionale   di   diverse
disposizioni  di  legge prevedenti l'obbligo di riservare a candidati
di  ciascuno  dei  due sessi quote minime di posti nelle liste per le
elezioni  delle  Camere  e  dei  Consigli  regionali  e comunali), il
Governo osserva che l'appartenenza all'uno o all'altro sesso non puo'
mai  essere  assunta come requisito di eleggibilita', ne' quindi come
requisito  di  "candidabilita'",  poiche'  questa sarebbe presupposto
della  eleggibilita';  e che pertanto contrasterebbe con il principio
di   eguaglianza   nell'accesso   alle   cariche   elettive,  sancito
dall'art. 3,   primo   comma,  e  dall'art. 51,  primo  comma,  della
Costituzione,  una  norma  di  legge  che imponga nella presentazione
delle  candidature "qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei
candidati".  Ad avviso del ricorrente, anche la semplice previsione -
come  contenuta  nella legge impugnata - della necessaria presenza in
ogni  lista  di  candidati  dei  due  sessi  non  si differenzierebbe
sostanzialmente,  da  questo  punto di vista, dalla previsione di una
"quota" di riserva di candidature all'uno e all'altro sesso.
    Il  ricorrente  richiama bensi' la norma, contenuta nell'articolo
15, secondo comma, secondo periodo, dello statuto della Valle d'Aosta
(come  modificato  dall'art. 2  della  legge  costituzionale n. 2 del
2001),  secondo  cui,  "al  fine  di  conseguire  l'equilibrio  della
rappresentanza  dei  sessi",  la legge che stabilisce le modalita' di
elezione  del Consiglio regionale "promuove condizioni di parita' per
l'accesso alle consultazioni elettorali": ma ritiene che si tratti di
una  "enunciazione  programmatica", onde la norma di legge regionale,
secondo  cui  ogni  lista  di  candidati  all'elezione  del Consiglio
regionale  deve  prevedere  la  presenza  di  candidati di entrambi i
sessi,  potrebbe  ritenersi  legittima  e conforme allo spirito della
disposizione   statutaria   solo  se  intesa  come  "norma  meramente
propositiva,  quasi  un  auspicio";  mentre sarebbe irrimediabilmente
illegittima  la  norma  che  condiziona  a tale presenza la validita'
delle liste.
    2. - Deve    essere,    anzitutto,    dichiarato    inammissibile
l'intervento  spiegato  in  giudizio  dalle  Consulte femminili della
Campania   e   della  Valle  d'Aosta:  nei  giudizi  di  legittimita'
costituzionale   promossi  in  via  principale  non  e'  prevista  la
possibilita'  di  intervento  di  soggetti diversi dal titolare delle
competenze   legislative  in  contestazione  o  con  queste  comunque
connesse (cfr. sentenze n. 353 del 2001 e n. 533 del 2002).
    3. - La questione e' infondata.
    3.1. - In  primo  luogo,  deve  osservarsi  che  le  disposizioni
contestate  non pongono l'appartenenza all'uno o all'altro sesso come
requisito  ulteriore  di eleggibilita', e nemmeno di "candidabilita'"
dei   singoli   cittadini.   L'obbligo  imposto  dalla  legge,  e  la
conseguente  sanzione  di  invalidita',  concernono solo le liste e i
soggetti che le presentano.
    In  secondo  luogo,  la misura prevista dalla legge impugnata non
puo' qualificarsi come una di quelle "misure legislative, volutamente
diseguali",  che  "possono  certamente  essere adottate per eliminare
situazioni di inferiorita' sociale ed economica, o, piu' in generale,
per  compensare  e  rimuovere  le  disuguaglianze  materiali  tra gli
individui   (quale   presupposto  del  pieno  esercizio  dei  diritti
fondamentali)", ma che questa Corte ha ritenuto non possano "incidere
direttamente   sul   contenuto   stesso  di  quei  medesimi  diritti,
rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini in quanto
tali",  tra  cui,  in  particolare,  il diritto di elettorato passivo
(sentenza n. 422 del 1995).
    Non  e'  qui prevista, infatti, alcuna misura di "disuguaglianza"
allo  scopo di favorire individui appartenenti a gruppi svantaggiati,
o di "compensare" tali svantaggi attraverso vantaggi legislativamente
attribuiti.
    Non  vi  e', insomma, nessuna incidenza diretta sul contenuto dei
diritti  fondamentali  dei  cittadini,  dell'uno  o dell'altro sesso,
tutti  egualmente  eleggibili sulla base dei soli ed eguali requisiti
prescritti.
    Nemmeno  potrebbe  parlarsi  di  una  incidenza  su  un ipotetico
diritto  di aspiranti candidati ad essere inclusi in lista, posto che
la  formazione  delle  liste  rimane  interamente rimessa alle libere
scelte   dei  presentatori  e  degli  stessi  candidati  in  sede  di
necessaria  accettazione  della candidatura (cfr. sentenza n. 203 del
1975).  Non  si realizza, in tale sede, alcun metodo "concorsuale" in
relazione  al quale un soggetto non incluso nelle liste possa vantare
una  posizione  giuridica  di  priorita'  ingiustamente sacrificata a
favore di un altro soggetto in essa incluso.
    In  altri  termini,  le  disposizioni  in  esame  stabiliscono un
vincolo  non  gia'  all'esercizio  del  voto  o  all'esplicazione dei
diritti  dei  cittadini  eleggibili,  ma alla formazione delle libere
scelte  dei  partiti  e  dei gruppi che formano e presentano le liste
elettorali,  precludendo  loro  (solo)  la possibilita' di presentare
liste formate da candidati tutti dello stesso sesso.
    Tale  vincolo  negativo  opera soltanto nella fase anteriore alla
vera  e  propria competizione elettorale, e non incide su di essa. La
scelta degli elettori tra le liste e fra i candidati, e l'elezione di
questi,  non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei candidati:
tanto  meno  in quanto, nel caso di specie, l'elettore puo' esprimere
voti  di  preferenza,  e  l'ordine  di  elezione dei candidati di una
stessa  lista  e'  determinato  dal  numero  di voti di preferenza da
ciascuno  ottenuti  (cfr. articoli 34 e 51 della legge regionale n. 3
del  1993).  A  sua volta, la parita' di chances fra le liste e fra i
candidati della stessa lista non subisce alcuna menomazione.
    3.2. - Non  puo',  d'altronde,  dirsi  che  la  disciplina  cosi'
imposta   non   rispetti   la  parita'  dei  sessi,  cioe'  introduca
differenziazioni   in  relazione  al  sesso  dei  candidati  o  degli
aspiranti  alla  candidatura:  sia  perche'  la  legge fa riferimento
indifferentemente  a  candidati "di entrambi i sessi", sia perche' da
essa  non discende alcun trattamento diverso di un candidato rispetto
all'altro in ragione del sesso.
    3.3. - Neppure,  infine, e' intaccato il carattere unitario della
rappresentanza  elettiva  che si esprime nel Consiglio regionale, non
costituendosi  alcuna  relazione  giuridicamente  rilevante  fra  gli
elettori,  dell'uno  e  dell'altro  sesso  e  gli eletti dello stesso
sesso.
    4. - Il   vincolo  che  la  normativa  impugnata  introduce  alla
liberta' dei partiti e dei gruppi che presentano le liste deve essere
valutato  oggi  anche  alla  luce  di  un  quadro  costituzionale  di
riferimento  che  si e' evoluto rispetto a quello in vigore all'epoca
della  pronuncia  di  questa Corte invocata dal ricorrente a sostegno
dell'odierna questione di legittimita' costituzionale.
    La  legge  costituzionale  n. 2  del 2001, integrando gli statuti
delle regioni ad autonomia differenziata, ha espressamente attribuito
alle   leggi  elettorali  delle  regioni  il  compito  di  promuovere
"condizioni  di parita' per l'accesso alle consultazioni elettorali",
e   cio'   proprio   "al   fine   di  conseguire  l'equilibrio  della
rappresentanza  dei  sessi" (art. 15, secondo comma, secondo periodo,
statuto  Valle  d'Aosta;  e  nello  stesso senso, anche testualmente,
art. 3,  primo  comma,  secondo  periodo,  statuto  speciale  per  la
Sicilia,  modificato  dall'art. 1 della legge costituzionale n. 2 del
2001;  art. 15,  secondo comma, secondo periodo, statuto speciale per
la  Sardegna,  modificato dall'art. 3 della legge costituzionale n. 2
del  2001;  art. 47, secondo comma, secondo periodo, statuto speciale
per  il  Trentino-Alto  Adige/Südtirol,  modificato dall'art. 4 della
legge  costituzionale  n. 2 del 2001; art. 12, secondo comma, secondo
periodo,  statuto  speciale  per il Friuli-Venezia Giulia, modificato
dall'art. 5 della legge costituzionale n. 2 del 2001).
    Le  nuove disposizioni costituzionali (cui si aggiunge l'analoga,
anche  se non identica, previsione del nuovo art. 117, settimo comma,
della  Costituzione,  come modificato dalla legge costituzionale n. 3
del  2001) pongono dunque esplicitamente l'obiettivo del riequilibrio
e  stabiliscono come doverosa l'azione promozionale per la parita' di
accesso   alle   consultazioni,   riferendoli   specificamente   alla
legislazione elettorale.
    Questa  Corte  ha riconosciuto che la finalita' di conseguire una
"parita'  effettiva"  (sentenza  n. 422  del 1995) fra uomini e donne
anche  nell'accesso  alla  rappresentanza  elettiva  e' positivamente
apprezzabile dal punto di vista costituzionale. Si tratta, invero, di
una  finalita'  -  che trova larghi riconoscimenti e realizzazioni in
molti ordinamenti democratici, e anche negli indirizzi espressi dagli
organi   dell'Unione   europea   -   collegata   alla  constatazione,
storicamente  incontrovertibile,  di  uno squilibrio di fatto tuttora
esistente    nella   presenza   dei   due   sessi   nelle   assemblee
rappresentative,  a sfavore delle donne. Squilibrio riconducibile sia
al  permanere  degli effetti storici del periodo nel quale alle donne
erano  negati  o  limitati  i  diritti  politici,  sia  al permanere,
tuttora,  di  ben  noti  ostacoli  di  ordine economico, sociale e di
costume   suscettibili  di  impedirne  una  effettiva  partecipazione
all'organizzazione politica del Paese.
    Un  aspetto,  se non decisivo, certo assai influente del fenomeno
e'  costituito  dai comportamenti di fatto prevalenti nell'ambito dei
partiti  e  dei  gruppi  politici  che  operano  per  organizzare  la
partecipazione   politica   dei  cittadini,  anche  e  principalmente
attraverso la selezione e la indicazione dei candidati per le cariche
elettive.  Cosi'  che,  gia'  in  passato,  la  Corte ha espresso una
valutazione  positiva di misure - tendenti ad assicurare "l'effettiva
presenza  paritaria delle donne (....) nelle cariche rappresentative"
-  "liberamente  adottate  da partiti politici, associazioni o gruppi
che  partecipano  alle  elezioni,  anche  con apposite previsioni dei
rispettivi  statuti  o regolamenti concernenti la presentazione delle
candidature"  (sentenza  n. 422  del 1995), sul modello di iniziative
diffuse in altri paesi europei.
    Le  disposizioni  impugnate  della  legge  elettorale della Valle
d'Aosta  operano  su  questo  terreno, introducendo un vincolo legale
rispetto  alle  scelte  di chi forma e presenta le liste. Quello che,
insomma,   gia'  si  auspicava  potesse  avvenire  attraverso  scelte
statutarie  o  regolamentari  dei  partiti (i quali pero', finora, in
genere   non   hanno   mostrato   grande   propensione   a   tradurle
spontaneamente  in  atto  con  regole  di  autodisciplina previste ed
effettivamente  seguite) e' qui perseguito come effetto di un vincolo
di  legge.  Un  vincolo  che si giustifica pienamente alla luce della
finalita'   promozionale  oggi  espressamente  prevista  dalla  norma
statutaria.
    4.1. - Deve  peraltro  osservarsi  che,  nella specie, il vincolo
imposto,  per  la  sua  portata oggettiva, non appare nemmeno tale da
incidere  propriamente,  in  modo  significativo, sulla realizzazione
dell'obiettivo  di un riequilibrio nella composizione per sesso della
rappresentanza.  Infatti  esso  si  esaurisce  nell'impedire che, nel
momento  in cui si esplicano le libere scelte di ciascuno dei partiti
e  dei  gruppi  in  vista  della formazione delle liste, si attui una
discriminazione  sfavorevole  ad  uno  dei  due  sessi, attraverso la
totale  esclusione  di candidati ad esso appartenenti. Le "condizioni
di  parita'"  fra  i  sessi,  che la norma costituzionale richiede di
promuovere,   sono  qui  imposte  nella  misura  minima  di  una  non
discriminazione,  ai  fini della candidatura, a sfavore dei cittadini
di uno dei due sessi.
    5. - In  definitiva  -  ribadito che il vincolo resta limitato al
momento  della formazione delle liste, e non incide in alcun modo sui
diritti  dei cittadini, sulla liberta' di voto degli elettori e sulla
parita'  di  chances  delle  liste  e dei candidati e delle candidate
nella  competizione  elettorale,  ne'  sul  carattere  unitario della
rappresentanza   elettiva   -  la  misura  disposta  puo'  senz'altro
ritenersi   una   legittima   espressione   sul   piano   legislativo
dell'intento  di  realizzare  la finalita' promozionale espressamente
sancita  dallo statuto speciale in vista dell'obiettivo di equilibrio
della rappresentanza.