ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 1,
del  codice  di  procedura  penale,  promosso  con  ordinanza  del 18
giugno 2002  dalla Corte d'appello di Potenza nel procedimento penale
a  carico  di V. S., iscritta al n. 487 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, 1ª serie
speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 maggio 2003 il giudice
relatore Gustavo Zagrebelsky.
    Ritenuto che nel corso di un procedimento di ricusazione la Corte
d'appello di Potenza, con ordinanza del 18 giugno 2002, ha sollevato,
in  riferimento  agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione
di  legittimita'  costituzionale dell'art. 34, comma 1, del codice di
procedura  penale,  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'
alla funzione di giudice dell'udienza preliminare per il giudice che,
nell'ambito  dello  stesso procedimento e all'esito di una precedente
udienza  preliminare,  abbia  pronunciato  sentenza  di  non  luogo a
procedere,  poi  annullata, nei confronti del medesimo imputato e per
lo stesso fatto;
        che  -  premette  il  giudice  a  quo - il procedimento ha ad
oggetto  la  dichiarazione di ricusazione proposta da un imputato nei
confronti  del  giudice  dell'udienza  preliminare  chiamato,  per la
seconda  volta  nel  corso  dello  stesso  procedimento,  a celebrare
l'udienza  preliminare  avente  ad  oggetto l'originaria richiesta di
rinvio  a  giudizio  formulata  dal  pubblico  ministero,  dopo  che,
all'esito  della  prima  udienza  preliminare, il medesimo magistrato
aveva  disposto  il  rinvio  a  giudizio  dell'imputato per due delle
originarie  imputazioni  e  aveva  emesso  sentenza  di  non  luogo a
procedere,  a  norma dell'art. 425 cod. proc. pen., in riferimento al
terzo dei reati contestati;
        che,   secondo   la  Corte  rimettente,  la  regressione  del
procedimento   alla   fase  dell'udienza  preliminare  sarebbe  stata
operante  in  riferimento  a  tutti  e  tre  i  reati originariamente
contestati,  per  effetto dell'intervenuto annullamento, da parte del
giudice dibattimentale, di atti della prima udienza preliminare, cio'
che - precisa il giudice a quo - avrebbe «travolto» anche la sentenza
di non luogo a procedere;
        che  la  Corte  d'appello  precisa  i termini della questione
sottolineando   come  «la  prima  delle  denunciate  (dal  ricusante)
incompatibilita'  del  giudice  dell'udienza preliminare (e cioe' per
avere  quegli  gia'  emesso nei confronti dello stesso imputato ed in
relazione  allo  stesso  fatto  sentenza ex art. 425 cod. proc. pen.)
implica  [...] rimessione degli atti alla Corte costituzionale», alla
stregua  della  piu' recente giurisprudenza costituzionale in materia
di  incompatibilita' - in particolare, della sentenza n. 224 del 2001
- e altresi' alla luce delle profonde trasformazioni che hanno inciso
sulla struttura e sulla natura dell'udienza preliminare a opera della
legge 16 dicembre 1999, n. 479;
        che,  ad  avviso del giudice a quo, le innovazioni normative,
operando  sia sul piano degli elementi valutativi che possono trovare
ingresso   nell'udienza   preliminare,   sia  su  quello  dei  poteri
correlativamente  attribuiti  al giudice, sia, infine, sulla gamma di
decisioni   adottabili  all'esito  dell'udienza,  fanno  si'  -  come
sottolineato  dalla Corte nella citata pronuncia - che l'«alternativa
decisoria   che  si  offre  al  giudice  quale  epilogo  dell'udienza
preliminare riposi, dunque, su una valutazione del merito dell'accusa
ormai non piu' distinguibile - quanto ad intensita' e completezza del
panorama  delibativo - da quella propria di altri momenti processuali
gia'  ritenuti  non solo «pregiudicanti» ma anche «pregiudicabili» ai
fini della sussistenza dell'incompatibilita»;
        che   le   piu'   penetranti   valutazioni  circa  il  merito
dell'accusa  che  connoterebbero  ora  la  sentenza  di  non  luogo a
procedere,  come tra l'altro dimostrato dalla possibilita' offerta al
giudice  di  non  disporre  il  rinvio  a  giudizio  anche in caso di
insufficienza,   contraddittorieta'   o  comunque  inidoneita'  degli
elementi  acquisiti  a  sostenere  l'accusa  in  giudizio  (art. 425,
comma 3,  cod.  proc.  pen.),  deporrebbero  per il superamento delle
ragioni che, prima della citata riforma introdotta dalla legge n. 479
del  1999,  avevano  indotto la Corte costituzionale ad affermare, in
riferimento all'udienza preliminare celebrata nel processo ordinario,
che in tale sede il giudice non era chiamato ad esprimere valutazioni
sul  merito  dell'accusa, ma solo a verificare, in una delibazione di
carattere  processuale,  la  legittimita'  della  domanda di giudizio
formulata dal pubblico ministero;
        che,   conclude   la  rimettente,  anche  se  talune  recenti
decisioni  della  Corte  costituzionale - e segnatamente le ordinanze
n. 39  del  2002 e n. 185 del 2001 - lasciano trasparire l'intenzione
di  tenere  ferma  la  precedente giurisprudenza relativa alla natura
processuale  dell'udienza preliminare, la citata pronuncia n. 224 del
2001   lascerebbe   intatta   «la  perdurante  problematicita'  della
questione»,  imponendo di sollevare la questione di costituzionalita'
dell'art. 34,   comma 1,   cod.   proc.   pen.,   nei  termini  sopra
considerati,   in   riferimento   agli   artt. 3,   24  e  111  della
Costituzione;
        che  nel giudizio cosi' promosso e' intervenuto il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
infondata.
    Considerato   che  la  Corte  d'appello  di  Potenza  dubita,  in
riferimento   agli  artt. 3,  24  e  111  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 34,  comma 1,  del  codice di
procedura  penale,  nella parte in cui non prevede l'incompatibilita'
alla funzione di giudice dell'udienza preliminare per il giudice che,
nell'ambito  dello  stesso procedimento e all'esito di una precedente
udienza  preliminare,  abbia  pronunciato  sentenza  di  non  luogo a
procedere,  poi  annullata, nei confronti del medesimo imputato e per
lo stesso fatto;
        che,   indipendentemente  dalla  esattezza  dell'assunto  del
giudice  a  quo  circa  l'annullamento  della sentenza di non luogo a
procedere  quale  effetto  necessario  di un provvedimento emesso dal
giudice dibattimentale in relazione ad atti dell'udienza preliminare,
ai  fini della decisione della questione e' sufficiente osservare che
questa  Corte  ha  recentemente  dichiarato l'infondatezza di analoga
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 34  cod. proc.
pen.,  sollevata  in  quanto  tale disposizione non considerava quale
ipotesi   di   incompatibilita'   quella   della   ripetizione  della
trattazione dell'udienza preliminare da parte dello stesso magistrato
in caso di regressione del procedimento (sentenza n. 335 del 2002);
        che,  in  particolare,  avendo  rilevato  che  le innovazioni
legislative  ricordate  dal  rimettente (legge n. 479 del 1999) hanno
profondamente inciso sulla struttura dell'udienza preliminare, questa
Corte  ha  affermato che tale udienza e' divenuta, agli effetti della
disciplina   dell'incompatibilita'   del   giudice,   un  momento  di
«giudizio»   e   che   pertanto,  ove  ne  sussistano  gli  ulteriori
presupposti,  essa  rientra  nelle previsioni dell'art. 34 cod. proc.
pen.  che  dispongono  l'incompatibilita'  del giudice che abbia gia'
giudicato  sulla  medesima  res  iudicanda  (v., oltre alla pronuncia
sopra  citata,  altresi'  la  sentenza n. 224 del 2001 e le ordinanze
n. 367 e n. 490 del 2002);
        che,    pertanto,   essendo   tale   conclusione   idonea   a
ricomprendere      nel     raggio     di     azione     dell'istituto
dell'incompatibilita'   la   funzione   di  trattazione  dell'udienza
preliminare,  indipendentemente dalla specifica causa che di volta in
volta   abbia  determinato  la  reiterazione  di  detta  funzione  in
capo allo  stesso  giudice-persona  fisica,  nell'ambito dello stesso
procedimento  e  in  relazione alla medesima res iudicanda, spetta al
giudice  trarre  le  conseguenze  di  tale principio in rapporto alla
singola situazione processuale che e' chiamato a definire;
        che  dunque  la  questione  sollevata  deve essere dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.