ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di ammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati dell'11 febbraio 1999 relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse dall'on. Tiziana Parenti nei confronti del dott. Antonio Di Pietro, promosso dal Tribunale di Roma, sezione sesta penale, con ricorso depositato il 3 giugno 2002 ed iscritto al n. 223 del registro ammissibilita' conflitti. Udito nella camera di consiglio del 19 maggio 2003 il giudice relatore Fernanda Contri. Ritenuto che il Tribunale di Roma, con atto depositato nella cancelleria di questa Corte il 3 giugno 2002, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati, in relazione alla deliberazione adottata nella seduta dell'11 febbraio 1999, con la quale la Camera medesima ha ritenuto che i fatti per i quali e' in corso il procedimento penale a carico di Tiziana Parenti concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione; che il ricorrente premette di aver gia' sollevato conflitto di attribuzione nel medesimo procedimento in relazione alla stessa deliberazione, precisando che il relativo ricorso e' stato dichiarato inammissibile dalla Corte, con sentenza n. 274 del 2001, per mancanza dei requisiti prescritti dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale; che, come precisa il Tribunale ricorrente, nei confronti di Tiziana Parenti e' stato instaurato procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa, in relazione alle dichiarazioni rilasciate dalla parlamentare, sotto forma di intervista, sulle asserite motivazioni occulte dell'indagine giudiziaria denominata «mani pulite», nonche' sui collegamenti tra Antonio Di Pietro ed i servizi segreti degli Stati Uniti, che avrebbero strumentalizzato il primo per affondare la vecchia classe politica italiana; che, ad avviso del Tribunale, le espressioni contestate come diffamatorie all'on. Parenti non possono ritenersi collegate funzionalmente alla sua attivita' di parlamentare, trattandosi di opinioni e valutazioni espresse al di fuori dei compiti e delle attivita' proprie dell'assemblea e rapportabili solo ad una generica attivita' politica, non rientrante nella prerogativa costituzionale in questione, in quanto avulsa dalla specifica attivita' istituzionale di parlamentare; che il deliberato della Camera si baserebbe, secondo il ricorrente, sull'erroneo assunto che la prerogativa in esame copra tutti i comportamenti riconducibili all'attivita' politica del deputato e vanificherebbe in tal modo il requisito della connessione tra opinioni espresse dal parlamentare e relative funzioni, posto dall'art. 68 della Costituzione. Considerato che in questa fase del giudizio la Corte e' chiamata a verificare la sussistenza dei requisiti richiesti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 e a pronunciarsi sull'ammissibilita' del ricorso; che, in relazione alla medesima delibera della Camera dei deputati dell'11 febbraio 1999, il Tribunale di Roma ha gia' sollevato conflitto di attribuzione, il quale e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 459 del 1999 e, successivamente, nella fase del giudizio svoltasi nel contraddittorio delle parti, e' stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 274 del 2001, poiche' non risultavano espresse in modo compiuto le ragioni di conflitto; che il presente ricorso, in quanto propositivo del medesimo conflitto, deve dichiararsi inammissibile; che infatti «l'esigenza costituzionale che il giudizio, una volta instaurato, sia concluso in termini certi non rimessi alle parti confliggenti», sottolineata da questa Corte nella sentenza n. 116 del 2003, in relazione alle finalita' e all'oggetto del conflitto di attribuzione tra poteri, sarebbe evidentemente pregiudicata ove si consentisse la riproposizione di un medesimo conflitto; che con l'ordinanza n. 214 del 2003 si e' posto in evidenza come non possa consentirsi che sia mantenuta indefinitamente «in sede processuale una situazione di conflittualita' tra poteri, protraendo cosi' ad libitum il ristabilimento della «certezza e definitivita' di rapporti», essenziale ai fini di un regolare svolgimento delle funzioni costituzionali»; che per tale ragione il conflitto in quanto gia' proposto non puo' che essere dichiarato inammissibile.