IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    All'esito  della  udienza  di  convalida  dell'arresto di Igiebor
Gladys,  nata a Kano (Nigeria) il 3 aprile 1981, domiciliata di fatto
a   Torino  in  via  Nizza  ed  elettivamente  domiciliata  ai  sensi
dell'art. 161  del  codice  di  procedura penale presso il difensore,
difesa  di  ufficio  dall'avv.  Paolo  Donalisio del foro di Saluzzo,
indagata  per  il  reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter, d.lgs.
n. 286/1998  per  essersi  trattenuta, senza giustificato motivo, nel
territorio  dello  Stato  in violazione dell'ordine di abbandonare il
territorio  nazionale emesso dal Questore di Torino il 13 giugno 2003
ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, d.lgs. n. 286/1998 e notificatole
lo stesso 13 giugno 2003.
    Accertato in Casalgrasso l'11 agosto 2003.
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Alle  ore  10,30  del  giorno  11 agosto  2003, una pattuglia dei
Carabinieri  di Morello procedeva all'arresto di Igiebor Gladys nella
flagranza del reato sopra rubricato.
    In  data 11 agosto 2003 il pubblico ministero emetteva - ai sensi
degli  artt. 389 c.p.p. e 121 disp. att. c.p.p. - decreto motivato di
liberazione,   ritenendo   di   non  formulare  alcuna  richiesta  di
applicazione  di misura coercitiva. Presentava quindi tempestivamente
a questo ufficio richiesta di convalida dell'arresto.
    Dubita  il  giudice  scrivente  di  poter  convalidare  l'arresto
perche'    ritiene    che    il    disposto   di   cui   all'art. 14,
comma 5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (come modificato dalla legge
n. 189/2002) si ponga in conflitto con alcune norme costituzionali.
    Violazione dell'art. 3 Cost.
    Nel  nostro  ordinamento  l'arresto  obbligatorio in flagranza di
reato   e'  previsto  dall'art. 380  c.p.p.  in  correlazione  a  due
categorie  di reati: a) genericamente per tutti i delitti per i quali
la  legge  stabilisce  la pena dell'ergastolo ovvero della reclusione
non  inferiore nel minimo a cinque anni e nel massima a venti; b) per
una  serie  di  reati  specificamente  elencati  i quali, pur essendo
puniti  con  una pena detentiva inferiore, sono manifestazione, nella
valutazione  del  legislatore, di una spiccata pericolosita' sociale.
Puo'   dunque   affermarsi   che  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e'
correlato  a  reati  che  hanno  natura  di  delitti  (e  quindi sono
caratterizzati    dall'elemento   psicologico   del   dolo)   e   che
rappresentano un grave attentato ai valori e agli interessi giuridici
sociali.
    L'art. 14,   comma   5-quinquies,  d.lgs.  n. 286/1998  (dopo  la
modifica  apportata  dalla legge n. 189/2002) ha introdotto l'arresto
obbligatorio anche per un reato - quale quello di cui all'imputazione
- che:
        nella  stessa  valutazione  del  legislatore  e'  di  modesta
gravita', tanto da essere punito con l'arresto da sei mesi a un anno;
        e' un reato contravvenzionale, punito pertanto anche a titolo
di mera colpa.
    Queste    due    caratteristiche   allontanano   la   fattispecie
incriminatrice  in  esame  da  tutte le altre ipotesi per le quali e'
stabilito   l'arresto   obbligatorio,   avvicinandolo   invece   alle
numerosissime  contravvenzioni  per  le  quali  e'  escluso  non solo
l'obbligo,   ma   anche  la  facolta'  di  procedere  all'arresto  in
flagranza.
    E'  dunque  indubitabile  che  la norma in oggetto introduca, per
l'autore  del  reato  di  cui all'art. 14 comma 5-ter, un trattamento
diverso  -  e  ben  piu' affittivo - da quello previsto per tutti gli
altri   autori   di   reati   contravvenzionali,  anche  piu'  gravi,
equiparando  invece  la  sua  posizione  processuale  e sostanziale a
quella degli autori di gravi delitti contemplati dall'art. 380 c.p.p.
    Tale  disparita'  di  trattamento  risulta inoltre confermata dal
confronto  della norma incriminata con l'altra ipotesi di arresto per
contravvenzione  introdotto dalla legge n. 189/2002; l'art. 13, comma
13,  punisce  con la medesima pena (arresto da sei mesi a un anno) lo
straniero  espulso  che  trasgredisca  al  divieto  di  rientrare nel
territorio  dello  Stato  in  difetto  di speciale autorizzazione del
Ministro  dell'interno;  ebbene, in questo caso, caratterizzato da un
piu'  forte  elemento  soggettivo  e  punito con la medesima sanzione
penale, l'arresto e' soltanto facoltativo.
    Se  dunque  e' vero che spetta al legislatore stabilire i casi in
cui    e'   imprescindibile   incidere   sulla   liberta'   personale
dell'imputato,  e'  ugualmente  vero  che la nuova ipotesi di arresto
obbligatorio  in  flagranza  rappresenta  un  elemento di rottura del
sistema  normativo  che  si ritiene debba conservare una sua coerenza
intrinseca  al  fine  di salvaguardare il principio costituzionale di
eguaglianza   che   esige   un  trattamento  non  discriminatorio  di
situazioni omogenee.
    Violazione dell'art. 13, terzo comma Cost.
    Poiche'  la  previsione  dell'arresto  obbligatorio  in flagranza
incide,  comprimendola,  la  liberta' personale di un individuo, deve
ritenersi   che   la   sua  legittimita'  vada  confrontata  anche  e
soprattutto  con la disposizione costituzionale che detta i parametri
da  rispettare  nell'adozione  di  provvedimenti  provvisori  in tema
appunto di liberta' personale.
    Con la disposizione di cui all'art. 13, terzo comma Costituzione,
si  e'  dettato un preciso e chiarissimo limite alla discrezionalita'
del  legislatore  ordinario, stabilendo che l'intervento degli organi
di  P.S.  sia  giustificato  dalla ricorrenza di «casi eccezionali di
necessita' ed urgenza».
    Orbene,  l'arresto  obbligatorio  in  flagranza  del reato di cui
all'art. 14,  comma 5-ter, del d.lgs. n. 286/1998, tenuto conto della
complessiva  disciplina  processuale  e  sostanziale, si presenta non
solo  estraneo  alla categoria dei «casi eccezionali di necessita' ed
urgenza», ma del tutto inutile.
    E'   palese   come   l'istituto   dell'arresto  in  flagranza  e'
caratterizzato  (anche) da una evidente finalita' anticipatoria degli
effetti  della  applicazione,  da  parte  del  giudice, di una misura
cautelare   coercitiva.:  cio'  emerge  con  chiarezza  dal  disposto
dell'art. 391  comma 5 c.p.p. che consente al giudice della convalida
l'applicazione  di  misure coercitive anche al di fuori dei limiti di
pena  previsti  dagli  artt. 274,  comma  1,  lettera c) e 280 c.p.p.
Orbene,  nel caso in esame questa finalita' difetta del tutto: non vi
e'  infatti  alcuna  norma che consenta al giudice, dopo la convalida
dell'arresto,  di  applicare una misura cautelare; dunque, il sistema
delineato  dal  legislatore  comporta che all'arresto obbligatorio in
flagranza consegue necessariamente la liberazione dell'arrestato o da
parte  del  g.i.p.  all'esito  della  fase  di convalida dell'arresto
oppure,  ancora  prima, dal pubblico ministero ai sensi dell'art. 121
disp. att. c.p.p., come avvenuto doverosamente nel caso di specie.
    L'utilita' dell'arresto in flagranza in tali ipotesi di reato non
puo' essere giustificato altrimenti:
        non  con  la  esigenza di procedere immediatamente a giudizio
direttissimo:   la   previsione  di  un  processo  rapido  nel  quale
all'arresto   segua   il   processo,   la  condanna,  l'espulsione  e
l'accompagnamento  alla  frontiera  e'  incompatibile  con il sistema
processuale   che  consente  all'arrestato,  dopo  la  convalida,  di
ottenere  un  termine  a  difesa e gli da' diritto di lasciare l'aula
libero  nella  persona  e di presentare nelle successive udienze ogni
prova  a  sostegno  della  sussistenza di un giustificato motivo alla
inottemperanza   all'ordine  del  questore;  per  altro  verso,  deve
evidenziarsi  che  non e' necessario l'arresto in flagranza per poter
procedere   con   il   rito  direttissimo,  essendo  sufficiente  una
situazione   di  particolare  evidenza  della  prova  (art. 449,  450
c.p.p.);
        non  con  l'esigenza di garantire con l'arresto la successiva
esecuzione  della  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera:
premesso   infatti   che   l'autorita'  amministrativa  puo'  sempre,
autonomamente  dalla  autorita'  giudiziaria,  eseguire  l'espulsione
coattivamente   e   che  puo'  fare  affidamento  su  un  periodo  di
complessivi  60  giorni  per risolvere le difficolta' pratiche che si
interpongano  alla  esecuzione  coattiva, e' evidentemente utopistico
pensare  che  l'arresto  in  flagranza  faciliti  la procedura: se la
polizia  e' in grado di eseguire l'espulsione al momento dell'arresto
dello  straniero  la miglior soluzione sarebbe eseguirla subito senza
dover  mettere  l'arrestato a disposizione del p.m. e del giudice; se
non  e'  in  grado per difficolta' oggettive di procedervi al momento
dell'arresto certamente non lo sara' neppure dopo 48 ore.
    In  conclusione,  ritiene il remittente che non siano ravvisabili
nella  fattispecie  in  esame gli estremi costituzionalmente previsti
per una limitazione della liberta' personale, dimostrandosi l'arresto
in  flagranza una previsione sostanzialmente inutile perche' priva di
finalita'   processuali   e  sostanziali  e  non  giustificata  dalla
ricorrenza di un caso eccezionale di necessita' o urgenza.
    La   questione  di  legittimita'  costituzionale  appare  inoltre
rilevante anche se l'arrestato e' stato posto in liberta' per decreto
del pubblico ministero, essendo evidente che permane la necessita' di
accertare e dichiarare la legittimita' o meno dell'operato della p.g.
ai fini della convalida dell'arresto.
    Vista la legge 11 marzo 1953 n. 87;