ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 117 del d.P.R.
30 maggio  2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari  in  materia  di  spese  di  giustizia),  promosso  con
ordinanza  del  4 febbraio  2003  dal  Tribunale  di Pisa sul ricorso
proposto da Bartoli Ilaria, iscritta al n. 228 del registro ordinanze
2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, 1ª
serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 ottobre 2003 il giudice
relatore Fernanda Contri.
    Ritenuto  che  il  Tribunale  di  Pisa,  con  ordinanza emessa il
4 febbraio    2003,    ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 117 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia), per violazione dell'art. 3 della Costituzione;
        che  il  giudice  rimettente e' investito della decisione del
ricorso  proposto  da  un  avvocato, nominato difensore d'ufficio nel
corso  di  un  processo penale, avverso il decreto col quale e' stato
dichiarato  non  luogo a provvedere sulla sua istanza di liquidazione
dei  compensi  per  l'attivita'  svolta  a  favore  di  un  cittadino
straniero,  per  non  avere  l'istante  dimostrato  di  aver esperito
inutilmente   le   procedure   per   il   recupero  del  suo  credito
professionale,  come  richiesto  dall'art. 116  del d.P.R. n. 115 del
2002;
        che,  come  riferisce il giudice a quo, il ricorrente lamenta
l'irragionevole   disparita'   di  trattamento  che  la  disposizione
impugnata   determina   tra   il  difensore  d'ufficio  dell'imputato
dichiarato  formalmente  irreperibile  e quella del difensore, sempre
d'ufficio,  del soggetto irreperibile di fatto, quale era certamente,
nel  caso  in  esame,  l'assistito,  in  quanto  straniero,  privo di
documenti e senza fissa dimora in Italia;
        che  mentre  nel primo caso, infatti, al difensore spettano i
compensi previsti dalle norme sul patrocinio a spese dello Stato, nel
secondo  il professionista deve preventivamente esperire le procedure
civili per il recupero del credito, pur essendo le stesse destinate a
sicuro fallimento;
        che,  sempre  secondo  il  Tribunale  di  Pisa,  non  sarebbe
possibile   dare   una   diversa  interpretazione  alla  disposizione
censurata  (che non ha innovato sul punto rispetto a quanto prevedeva
l'abrogato art. 32-bis delle disposizioni di attuazione del codice di
procedura  penale), dovendosi intendere la nozione di irreperibilita'
dell'imputato «in senso tecnico», con la conseguente necessita' delle
previe  vane ricerche e della adozione di un provvedimento formale ai
sensi dell'art. 159 del codice di procedura penale;
        che,  come  osserva  il  rimettente,  il  sistema processuale
penale   da'   rilievo  non  solo  alla  irreperibilita'  formalmente
dichiarata,  ma  anche  alla  situazione  di  irreperibilita' di mero
fatto,  tanto  che  l'art. 161,  comma 5 (recte: comma 4), cod. proc.
pen.  prevede  la  notifica al difensore nel caso in cui sia divenuta
impossibile  la  notifica  al  domicilio  dichiarato  o  eletto, come
confermato dalla Corte di cassazione con sentenza 3 ottobre 1991;
        che,  sempre  secondo  il  Tribunale di Pisa, la disposizione
censurata non demanda al magistrato la liquidazione degli onorari nel
caso  di  «condannato  dichiarato  irreperibile», ma semplicemente di
«condannato irreperibile», facendo cosi' implicito riferimento ad una
condizione di mero fatto;
        che,  rileva  ancora  il  giudice  a quo, le disposizioni che
disciplinano  la  liquidazione  dei  compensi  ai difensori d'ufficio
tendono  sicuramente  a  garantire  all'indagato  o  all'imputato  la
prestazione  di una difesa responsabile ed effettiva, subordinando il
pagamento  a  carico  dello  Stato  all'effettivo  esperimento  delle
procedure  esecutive,  anche al fine di evitare abusi da parte di chi
fruisce di tali prestazioni;
        che  la  disposizione  impugnata,  imponendo  al difensore di
ricorrere  ai  mezzi  di  recupero  del  proprio credito anche quando
l'indagato  o  l'imputato  risulta  irreperibile  di fatto, detta una
disciplina  del  tutto  diversa da quella prevista per una situazione
del  tutto  analoga,  e  cioe'  quella  del  difensore di un soggetto
dichiarato   formalmente   irreperibile,  creando  in  tal  modo  una
disparita' di trattamento censurabile ai sensi dell'art. 3 Cost;
        che    e'    intervenuto   nel   giudizio   di   legittimita'
costituzionale    il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che con
una  memoria  ha  chiesto  alla  Corte  di  dichiarare  la  questione
inammissibile e infondata.
    Considerato   che   il   rimettente   dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 117 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo
unico  delle  disposizioni  legislative e regolamentari in materia di
spese  di  giustizia),  nella  parte  in cui prevede che il difensore
d'ufficio  di  un indagato, imputato o condannato irreperibile in via
di  mero  fatto  debba,  per  la  liquidazione  del  proprio  credito
professionale a carico dello Stato, dimostrare di aver esperito tutte
le  procedure  civili per il recupero del suo credito, per violazione
dell'art. 3  della Costituzione, sotto il profilo della disparita' di
trattamento  rispetto  ai difensori d'ufficio di indagati, imputati e
condannati   dichiarati   formalmente   irreperibili  nel  corso  del
processo,  che  ottengono la liquidazione del loro credito secondo le
norme del patrocinio a spese dello Stato;
        che l'ordinanza di rimessione, lungi dall'assumere una chiara
posizione  in  ordine  al significato da attribuire alla disposizione
censurata,  da  un  lato  lascia intendere che la stessa debba essere
interpretata  in  senso  letterale,  e  quindi  con  riferimento alla
nozione  di  irreperibilita'  ricavabile  dall'art. 159 del codice di
procedura  penale,  mentre dall'altro sembra ritenere possibile anche
una  diversa  interpretazione,  dalla quale potrebbe ricavarsi che la
nozione  di  irreperibilita'  del soggetto assistito dal difensore di
ufficio potrebbe essere desunta dalla mera situazione di fatto;
        che  neppure  il  giudice  a  quo  ha  verificato,  prima  di
sollevare  la  questione di legittimita' costituzionale, se potessero
adottarsi  differenti interpretazioni delle norme censurate, peraltro
gia'  emerse  in giurisprudenza, che fossero in grado di risolvere la
questione interpretativa proposta (cfr. ordinanza n. 315 del 2002);
        che,  come  ripetutamente  affermato  nella giurisprudenza di
questa  Corte, la questione di legittimita' costituzionale cosi' come
e'  stata  posta  dal  Tribunale  di  Pisa,  deve  essere  dichiarata
manifestamente   inammissibile,  non  avendo  il  rimettente  assolto
«l'onere  di  verificare  la concreta possibilita' di attribuire alla
norma denunciata un significato diverso da quello censurato e tale da
superare  i  prospettati  dubbi  di  legittimita' costituzionale» (ex
plurimis, ordinanza n. 322 del 2001).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.