ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art. 47-ter,
comma 1,  lettera a),  della  legge  26 luglio  1975,  n. 354  (Norme
sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative  della  liberta), promosso con ordinanza del
23 dicembre  2002  dal Tribunale di sorveglianza di Bari sull'istanza
proposta  da  Scirocco  Severina,  iscritta  al  n. 101  del registro
ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 12, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 1° ottobre 2003 il giudice
relatore Fernanda Contri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il Tribunale di sorveglianza di Bari, con ordinanza emessa
il  23 dicembre  2002,  ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione,     questione     di     legittimita'    costituzionale
dell'art. 47-ter,  comma 1,  lettera a),  della legge 26 luglio 1975,
n. 354  (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle
misure  privative e limitative della liberta), nella parte in cui non
prevede la concessione del beneficio della detenzione domiciliare nei
confronti  della  condannata  che  sia madre di un figlio invalido al
100%, con lei convivente.
    Il  Tribunale  rimettente  espone  di  dover  decidere  in ordine
all'istanza  di detenzione domiciliare proposta da una condannata che
deve  espiare  una pena detentiva residua inferiore a quattro anni di
reclusione,  per reati non compresi nell'elenco di cui all'art. 4-bis
della  legge  n. 354  del  1975.  Come  riferisce  il  giudice a quo,
l'istante,  avendo  un  figlio  portatore  di  handicap, riconosciuto
invalido  civile  al  100% in quanto paralizzato agli arti inferiori,
invoca l'applicazione estensiva dell'art. 47-ter, comma 1, lettera a)
della  predetta  legge,  che  consente la detenzione domiciliare alla
madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci, con lei convivente.
    Il  giudice a quo, ritenendo che la citata disposizione non possa
estendersi  al  caso  di specie, in quanto si tratta di una norma che
introduce   una   eccezione   rispetto  alla  regola  generale  della
espiazione della pena detentiva in carcere, afferma di condividere le
censure  di  illegittimita'  costituzionale prospettate dal difensore
della istante.
    In particolare, ad avviso del rimettente, la norma contrasterebbe
con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza per la previsione
di  un trattamento difforme in ordine a situazioni familiari analoghe
e  del  tutto equiparabili fra loro, quali sono quelle della madre di
un  figlio  incapace perche' minore degli anni dieci, ma con un certo
margine  di  autonomia  almeno  sul piano fisico, e della madre di un
figlio  disabile  e  totalmente  incapace di provvedere da solo anche
alle  piu'  elementari  esigenze, il quale, ancorche' maggiorenne, ha
maggiore  necessita'  di  essere assistito dalla madre rispetto ad un
bambino di eta' inferiore agli anni dieci.
    Osserva   il   Tribunale   che  il  legislatore  ha  previsto  la
possibilita'  di  concedere il beneficio della detenzione domiciliare
alla  madre  di  prole  di  eta'  inferiore  a  dieci  anni,  con lei
convivente, senza porre la condizione del decesso dell'altro genitore
o  della assoluta impossibilita' di assistenza alla prole da parte di
questo,  come  invece  e'  stabilito  nella  lettera b)  del medesimo
comma 1,  dell'art. 47-ter.  Pertanto,  il ricongiungimento familiare
tra  la  madre  ed  il  figlio  minore  di  anni  dieci  e'  favorito
indipendentemente  dalla  presenza  di  altri familiari idonei a dare
assistenza  alla prole per due possibili finalita': la prima potrebbe
essere  quella  di  garantire  la  presenza  costante della madre per
assicurare  il  regolare  sviluppo  psico-fisico  del bambino. In tal
caso,  secondo  il  rimettente,  sarebbe  ragionevole  la  scelta del
legislatore  di  escludere dalla previsione normativa l'ipotesi della
condannata   madre   di   un   figlio   ultradecenne   totalmente   e
permanentemente  invalido,  perche'  oltre  il limite dei dieci anni,
discrezionalmente  fissato  dal legislatore nella norma in esame, non
vi  sarebbe  piu'  necessita'  della  presenza della madre, dovendosi
considerare gia' compiuto lo sviluppo psico-fisico.
    La  seconda finalita' potrebbe invece essere quella di assicurare
puramente  e  semplicemente  il  ricongiungimento  tra madre e figlio
incapace;   in   questo   caso   la   norma   realizzerebbe  in  modo
ingiustificato  e irragionevole un trattamento peggiore nei confronti
della  condannata  madre di figli conviventi che, pur essendo di eta'
superiore  al  limite  dei  dieci  anni,  siano  affetti  da handicap
invalidanti.
    Secondo  il rimettente, questa seconda lettura della norma, oltre
ad  essere  preferibile, risulterebbe in linea con le recenti riforme
dell'ordinamento     penitenziario,    tese    a    valorizzare    il
ricongiungimento  familiare  attraverso  diversi  istituti introdotti
dalla legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione a
tutela   del   rapporto  tra  detenute  e  figli  minori),  che  sono
applicabili  anche  al padre detenuto, quando la madre sia deceduta o
impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al
padre;  in  particolare,  quando non ricorrono le condizioni previste
dall'art. 47-ter,  puo'  essere  concessa  la  detenzione domiciliare
speciale,  ai  sensi dell'art. 47-quinquies, se vi e' la possibilita'
di  ripristinare  la  convivenza  con i figli di eta' non superiore a
dieci  anni,  al  fine  di  provvedere  alla cura e all'assistenza di
questi;  ed  e'  altresi'  prevista  dall'art. 21-bis la possibilita'
dell'assistenza all'esterno dei figli di eta' non superiore agli anni
dieci.
    La  norma  impugnata,  conclude  il rimettente, sarebbe quindi in
contrasto  con  l'art. 3  Cost., in quanto non prevede la concessione
del  beneficio  della  detenzione  domiciliare  nei  confronti  della
condannata madre di figlio portatore di handicap invalidante al 100%,
che  necessiti  della  costante  presenza  della  madre, prevedendola
invece nell'analoga situazione della madre di prole di eta' inferiore
ad anni dieci.
    2.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
    Ad avviso della difesa erariale, la disposizione impugnata, i cui
presupposti   non   sono   mutati  con  la  riforma  dell'ordinamento
penitenziario,  e'  posta  ad  esclusiva tutela dei minori degli anni
dieci,  ma  non  in  funzione di un mero ricongiungimento tra madre e
figlio  a  fini  assistenziali,  bensi'  per assicurare al minore una
presenza  genitoriale,  preferibilmente  materna,  e consentirgli una
crescita il piu' possibile normale.
    La  norma  sarebbe  quindi  conforme  ai  principi  di protezione
dell'infanzia,  sanciti dall'art. 31 della Costituzione, come ha gia'
riconosciuto  la  stessa Corte costituzionale, pronunciandosi proprio
sulla stessa norma con la sentenza n. 215 del 1990.
    Le   situazioni   poste  a  confronto  dal  Tribunale  rimettente
sarebbero  percio'  diverse  e  non  richiederebbero una identita' di
disciplina,  consentendo  al  legislatore  un  margine  di intervento
discrezionale che non puo' essere ritenuto irragionevole.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Bari  dubita  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 47-ter,  comma 1, lettera a),
della   legge   26 luglio   1975,   n. 354   (Norme  sull'ordinamento
penitenziario  e  sull'esecuzione delle misure privative e limitative
della  liberta), nella parte in cui non prevede la possibilita' della
concessione  del beneficio della detenzione domiciliare nei confronti
della  condannata  madre  di figlio, con lei convivente, portatore di
handicap invalidante al 100%, pur consentendo tale misura nel caso di
madre di prole di eta' inferiore ad anni dieci, con lei convivente.
    Ad avviso del rimettente la disposizione impugnata si porrebbe in
contrasto   con  l'art. 3  della  Costituzione,  violando  quindi  il
principio di eguaglianza e di ragionevolezza, con la previsione di un
trattamento   difforme   per   situazioni   familiari   analoghe   ed
equiparabili  fra  loro,  quali  sono quella della madre di un figlio
incapace  perche' minore degli anni dieci, ma con un certo margine di
autonomia, almeno sul piano fisico, e quella della madre di un figlio
disabile  e  totalmente incapace di provvedere da solo anche alle sue
piu'  elementari  esigenze,  il  quale,  pur  se maggiorenne, ha piu'
necessita'  di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino di
eta' inferiore agli anni dieci.
    2. - La questione e' fondata.
    2.1.  - La detenzione domiciliare, contraddistinta all'origine da
finalita'  prevalentemente  umanitarie  ed  assistenziali,  ha visto,
attraverso   i   successivi   interventi  del  legislatore,  ampliare
notevolmente  il proprio ambito di applicazione e costituisce ora una
modalita'  di  esecuzione prevista per una pluralita' di ipotesi, fra
loro  eterogenee  e,  in parte, sganciate dalle condizioni soggettive
del condannato.
    L'art. 47-ter  e'  stato  inserito nell'ordinamento penitenziario
dalla   legge   10 ottobre   1986,   n. 663   (Modifiche  alla  legge
sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
privative  e  limitative  della  liberta).  Nel  testo  originario la
disposizione prevedeva, per alcune categorie di detenuti in regime di
espiazione ordinaria della pena in carcere, tra le quali quella della
madre   di  prole  convivente  di  eta'  inferiore  a  tre  anni,  la
possibilita'  di eseguire nella forma della detenzione presso il loro
domicilio  le  pene della reclusione non superiore a due anni - anche
se costituenti parte residua di una maggior pena - e dell'arresto.
    Il  legislatore  ha,  a  piu'  riprese, modificato i presupposti,
oggettivi   e   soggettivi,  che  consentono  di  essere  ammessi  al
beneficio,  aumentando,  tra  l'altro,  il limite di eta' della prole
della   madre   detenuta   prima  a  cinque  anni  (decreto-legge  14
giugno 1993,   n. 187,   «Nuove  misure  in  materia  di  trattamento
penitenziario,  nonche' sulla espulsione dei cittadini stranieri»), e
quindi  a  dieci  anni  (legge  27 maggio  1998,  n. 165,  «Modifiche
all'art. 656  del  codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio
1975,   n. 354,   e   successive   modificazioni»)  e  prevedendo  la
possibilita'  di  concedere  la detenzione domiciliare anche al padre
detenuto    qualora   la   madre   sia   deceduta   o   assolutamente
impossibilitata  a  dare  assistenza  ai figli (art. 47-ter, comma 1,
lettera b)   dell'ordinamento  penitenziario),  in  attuazione  della
sentenza di questa Corte n. 215 del 1990.
    2.2.   -  La  detenzione  domiciliare,  inserita  tra  le  misure
alternative   alla   detenzione   di   cui   al   Titolo  I,  Capo VI
dell'ordinamento  penitenziario,  realizza  ormai,  come affermato da
questa  Corte  sin dalla sentenza n. 165 del 1996, una modalita' meno
afflittiva  di  esecuzione della pena. L'istituto - come questa Corte
ha  ritenuto  nella  sentenza  n. 422  del 1999, successiva all'ampia
riforma  realizzata  con la legge n. 165 del 1998 - ha assunto quindi
aspetti  piu' vicini e congrui alla ordinaria finalita' rieducativa e
di  reinserimento  sociale della pena, non essendo piu' limitato alla
protezione  dei  «soggetti  deboli»  prima  previsti come destinatari
esclusivi  della  misura,  ed  essendo applicabile in tutti i casi di
condanna a pena non superiore a due anni (anche se residuo di maggior
pena),   purche'   idoneo   ad   evitare  il  pericolo  di  recidiva.
Conseguentemente  la  Corte,  nella  sentenza  da  ultimo  citata, ha
ritenuto che la stessa detenzione domiciliare concessa «d'ufficio» al
condannato  che  ne abbia titolo non soltanto non e' in contrasto, ma
piuttosto  realizza  lo  scopo  rieducativo  di cui all'art. 27 Cost.
Nello  stesso  senso,  la  successiva  ordinanza  n. 532  del 2002 ha
nuovamente  affermato  che  la  detenzione domiciliare e' una «misura
alternativa che presuppone l'esecuzione della pena» e che essa assume
connotazioni   del   tutto  peculiari,  «avuto  riguardo  ai  profili
polifunzionali che la caratterizzano».
    Per quanto riguarda, in particolare, la condizione della detenuta
madre  di  prole  di  minore eta', un ulteriore rilevante ampliamento
delle  possibilita'  di  accesso  alla misura e' stato previsto dalla
recente legge 8 marzo 2001, n. 40 (Misure alternative alla detenzione
a tutela del rapporto tra detenute e figli minori).
    2.3.  -  L'evoluzione  normativa  dell'istituto  della detenzione
domiciliare   concedibile  alla  madre  di  prole  minore  e'  dunque
connotata  dalla  tendenza verso una sempre maggiore estensione delle
condizioni  che  consentono tale misura, essendo chiaro l'intento del
legislatore  di  tutelare  il  rapporto  tra  la  madre  (e, nei casi
previsti,  il  padre)  ed i figli, pur nella situazione di esecuzione
della  pena detentiva. In particolare, come questa Corte ha affermato
con  la  sentenza  n. 422 del 1999, la detenzione domiciliare risulta
«volta  ad  assecondare  il passaggio graduale allo stato di liberta'
pieno  mediante  un  istituto  che  sviluppa  la ripresa dei rapporti
familiari  ed  intersoggettivi»,  rapporti  che  appaiono  tanto piu'
meritevoli  di tutela quando riguardino le relazioni tra i genitori e
la prole.
    Anche per la madre di figli minori, come per tutti i soggetti che
possono  essere  ammessi  alla  detenzione  domiciliare,  e' peraltro
escluso  dalla  legge  un  rigido automatismo nella concessione della
misura, dovendo sussistere le condizioni rappresentate dal non essere
intervenuta  condanna per alcuno dei delitti indicati dall'art. 4-bis
dell'ordinamento penitenziario, ed essendo previste ipotesi di revoca
del  beneficio  per  il  venir  meno delle condizioni stabilite dalla
legge (art. 47-ter, comma 7), o per il sopravvenire di fatti ostativi
quali   comportamenti   incompatibili  (art. 47-ter,  comma 6)  e  la
condanna  per  il delitto di evasione (art. 47-ter, comma 8), oltre a
specifici divieti che ostano alla sua concessione (art. 58-quater).
    3.  -  Allo stato, dunque, il presupposto soggettivo per accedere
alla  misura  della  detenzione domiciliare e' che si tratti di madre
(o,  nei casi previsti, di padre) di prole di eta' inferiore ai dieci
anni,  mentre quello oggettivo e' dato dalla circostanza che la pena,
o il residuo di pena, da scontare sia di quattro anni.
    Nella  evoluzione  normativa,  ad un allargamento del presupposto
oggettivo,  reso  gradualmente  piu'  ampio sino al suo raddoppio (il
limite  di  pena,  o  di residuo di pena, inizialmente fissato in due
anni  e'  stato  innalzato  dapprima  a tre e poi a quattro anni), ha
corrisposto  anche  una  estensione di quello relativo all'eta' della
prole,  che  originariamente  fissato  in  tre  anni e' stato elevato
dapprima a cinque e poi a dieci anni, secondo una tendenza alimentata
da  spirito  di favore verso le esigenze di sviluppo e formazione del
bambino   il   cui   soddisfacimento   potrebbe   essere   gravemente
pregiudicato dall'assenza della figura genitoriale.
    3.1.  -  Proprio  al  fine  di  favorire  il pieno sviluppo della
personalita'  del  figlio,  la  norma  censurata  prevede  percio' la
possibilita'  di  una  esecuzione  della pena che avvenga nella forma
della  detenzione  domiciliare,  limitandola  pero'  all'ipotesi  del
genitore del minore di eta' inferiore ad anni dieci.
    Non  e'  stata  presa  in considerazione la condizione del figlio
gravemente  invalido, rispetto alla quale il riferimento all'eta' non
puo'   assumere   un   rilievo  dirimente,  in  considerazione  delle
particolari esigenze di tutela psico-fisica il cui soddisfacimento si
rivela  strumentale nel processo rivolto a favorire lo sviluppo della
personalita'  del  soggetto.  La  salute  psico-fisica di questo puo'
essere  infatti,  e  notevolmente,  pregiudicata  dall'assenza  della
madre,  detenuta  in  carcere,  e  dalla mancanza di cure da parte di
questa,  non  essendo indifferente per il disabile grave, a qualsiasi
eta',  che  le  cure e l'assistenza siano prestate da persone diverse
dal genitore.
    In questa prospettiva, la possibilita' di concedere la detenzione
domiciliare   al   genitore  condannato,  convivente  con  un  figlio
totalmente   handicappato,   appare   funzionale   all'impegno  della
Repubblica, sancito nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione,
di  rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno
sviluppo della personalita'.
    3.2.  -  Sul punto viene quindi in rilievo l'esigenza di favorire
la  socializzazione  del  soggetto  disabile,  presa  in  particolare
considerazione  dal  legislatore  sin  dalla  legge  5 febbraio 1992,
n. 104  (Legge-quadro  per  l'assistenza,  l'integrazione sociale e i
diritti  delle  persone  handicappate),  che ha predisposto strumenti
rivolti  ad  agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella
scuola  e  nel lavoro, in attuazione del principio, espresso anche da
questa  Corte  nella  sentenza  n. 215  del 1987, secondo il quale la
socializzazione   in   tutte  le  sue  modalita'  esplicative  e'  un
fondamentale  fattore  di  sviluppo  della  personalita' ed un idoneo
strumento  di  tutela  della salute del portatore di handicap, intesa
nella  sua  accezione  piu'  ampia  di  salute psico-fisica (v. anche
sentenze n. 167 del 1999, n. 226 del 2001 e n. 467 del 2002).
    Il  particolare  ruolo  della  famiglia nella socializzazione del
soggetto  debole  -  che  nel caso in esame viene in rilievo sotto il
profilo  della  tutela  del  disabile  -  e'  del  resto  gia'  stato
considerato  dal  legislatore  in  relazione alle stesse modalita' di
esecuzione  delle  pene  detentive  che,  dalle  originarie misure di
rinvio dell'esecuzione di cui agli artt. 146 e 147 del codice penale,
aventi   prevalenti  finalita'  umanitarie,  e'  passato  all'attuale
disciplina   degli   artt. 47-ter   e  47-quinquies  dell'ordinamento
penitenziario, seguendo l'evoluzione normativa sopra indicata.
    Alla  luce  delle considerazioni che precedono la norma censurata
e'  in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto prevede
un  sistema  rigido  che preclude al, ai fini della concessione della
detenzione  domiciliare,  di  valutare  l'esistenza  delle condizioni
necessarie  per  un'effettiva  assistenza psico-fisica da parte della
madre  condannata  nei  confronti  del  figlio  portatore di handicap
accertato  come totalmente invalidante. Cio' determina un trattamento
difforme rispetto a situazioni familiari analoghe ed equiparabili fra
loro,  quali  sono  quella  della madre di un figlio incapace perche'
minore degli anni dieci, ma con un certo margine di autonomia, almeno
sul  piano  fisico,  e  quella  della  madre  di un figlio disabile e
incapace  di  provvedere  da  solo  anche  alle  sue  piu' elementari
esigenze,  il  quale,  a  qualsiasi  eta',  ha  maggiore  e  continua
necessita'  di essere assistito dalla madre rispetto ad un bambino di
eta' inferiore agli anni dieci.