ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 69-bis, della
legge  26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione  delle  misure privative e limitative della liberta),
introdotto dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge
26 luglio  1975,  n. 354,  in  materia  di  liberazione  anticipata),
promosso   con  ordinanza  del  30 gennaio  2003  dal  Magistrato  di
sorveglianza  di  Vercelli sull'istanza proposta da C.G., iscritta al
n. 246  del  registro  ordinanze  2003  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 ottobre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  l'ordinanza  in  epigrafe  il  Magistrato  di
sorveglianza  di  Vercelli  ha sollevato, in riferimento all'art. 24,
secondo   comma,   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 69-bis  della  legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme  sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta), nella parte in cui non prevede
che  al  procedimento  di  liberazione  anticipata  si  applichino le
disposizioni regolative del procedimento di sorveglianza, di cui agli
artt. 666 e 678 del codice di procedura penale;
        che  il  giudice  a  quo  premette  di essere investito della
richiesta  di concessione della liberazione anticipata avanzata da un
detenuto  e  di dover fare quindi applicazione della nuova disciplina
dettata  al  riguardo  dal  citato art. 69-bis - aggiunto dalla legge
19 dicembre  2002,  n. 277  (Modifiche  alla  legge  26 luglio  1975,
n. 354,  in materia di liberazione anticipata) - in forza della quale
il  magistrato  di sorveglianza provvede sull'istanza «con ordinanza,
adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti»;
        che  ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  impugnata - nel
prevedere  una  procedura  camerale caratterizzata dall'assenza di un
effettivo contraddittorio fra le parti - si porrebbe in contrasto con
il  principio  di  inviolabilita'  del  diritto  di  difesa,  sancito
dall'art. 24, secondo comma, Cost;
        che  la  nuova disciplina non si presterebbe, infatti, ad una
lettura  «costituzionalmente orientata», atta a ricondurla nell'alveo
delle  procedure  garantite dal contraddittorio, non essendo prevista
ne'  quella forma «minimale» di partecipazione al procedimento che in
altri  casi  si  attua  tramite  l'audizione dell'interessato; ne' la
facolta'  di  quest'ultimo di produrre memorie difensive, contemplata
viceversa   in  via  generale  per  i  procedimenti  di  sorveglianza
dall'art. 666  cod. proc. pen. (per il richiamo fattone dall'art. 678
cod.  proc.  pen.):  omissione  che non potrebbe essere d'altra parte
emendata  in via di interpretazione estensiva, apparendo l'operazione
in contrasto con la ratio legis;
        che,   inoltre,   il  previsto  obbligo  di  comunicazione  o
notificazione  del  provvedimento  del magistrato di sorveglianza «ai
soggetti  indicati  nell'art. 127 del codice di procedura penale» non
varrebbe   ad   assicurare   all'interessato   una   difesa  tecnica,
trattandosi   di  obbligo  finalizzato  unicamente  a  consentire  la
proposizione  dell'eventuale  reclamo  al  tribunale  di sorveglianza
(sede  nella  quale  soltanto sarebbe garantita dagli artt. 666 e 678
cod. proc. pen. la difesa tecnica);
        che  ad  escludere  la  lesione  del parametro costituzionale
evocato  non varrebbe neppure il «tradizionale argomento» per cui, in
un  procedimento  scandito per fasi, il principio del contraddittorio
non  imporrebbe  che  il  diritto  di  difesa  sia assicurato in ogni
singola  fase,  essendo  sufficiente che esso sia garantito nel corso
della procedura complessivamente considerata;
        che il procedimento in esame non potrebbe essere considerato,
infatti,   ne'  un  sub-procedimento  nell'ambito  di  una  scansione
procedimentale  piu'  ampia  (essendo la fase successiva, del reclamo
davanti  al  tribunale di sorveglianza, meramente eventuale); ne' una
fase  di tipo cautelare, in rapporto alla quale possa giustificarsi -
come  per altri istituti propriamente cautelari previsti dallo stesso
ordinamento  penitenziario - il differimento delle garanzie difensive
ad  una  fase successiva, rispetto a quella nella quale il giudice di
prima istanza decide sul provvisorio assetto del diritto azionato;
        che,  al  contrario,  il  procedimento di cui all'art. 69-bis
dell'ordinamento   penitenziario   sarebbe   «esso  stesso»  la  fase
processuale  a carattere giurisdizionale in cui si decide del diritto
azionato dall'interessato a vedersi riconosciuta la riduzione di pena
a  titolo  di  liberazione  anticipata; senza che, tuttavia, venga in
esso  assicurata  la  garanzia  defensionale  contemplata dalla Carta
costituzionale;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Considerato  che  la nuova disciplina del procedimento in materia
di  liberazione  anticipata,  che  il  giudice  rimettente  assume in
contrasto  con  l'art. 24, secondo comma, Cost. - disciplina in forza
della   quale  il  magistrato  di  sorveglianza  decide  sull'istanza
dell'interessato  de  plano,  salva una fase successiva di reclamo, a
contraddittorio  pieno,  davanti  al  tribunale  di sorveglianza - e'
stata  introdotta dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 in risposta ad
esigenze  di snellimento procedurale fortemente sentite nella prassi,
anche  in  correlazione  all'elevato  numero  delle istanze di cui si
discute;
        che,   in   particolare,   veniva  avvertita  come  fonte  di
ingiustificato   aggravio   la   previsione  di  un  procedimento  in
contraddittorio,  in  vista dell'adozione di un provvedimento che ben
poteva  essere  (ed in larga parte dei casi era) di segno positivo e,
dunque,   consentaneo   alla   richiesta  dello  stesso  interessato:
apparendo,  di  contro, assai piu' ragionevole che l'instaurazione di
un contraddittorio pieno fosse contemplata solo nel caso di eventuale
insoddisfazione  del  richiedente  (o  del pubblico ministero) per la
decisione assunta;
        che,  cio'  premesso, questa Corte ha peraltro reiteratamente
riconosciuto  la  piena  compatibilita'  con  il diritto di difesa di
modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito: i quali,
cioe',  in  ossequio  a  criteri di economia processuale e di massima
speditezza,  adottino  lo  schema della decisione de plano seguita da
una  fase  a  contraddittorio pieno, attivata dalla parte che intenda
insorgere  rispetto  al  decisum  (cfr.,  ex  plurimis,  rispetto  al
procedimento  per  decreto, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 432 del 1998
ed i precedenti ivi richiamati);
        che  tale  conclusione  si  innesta sul consolidato principio
secondo  cui  l'esercizio  del  diritto  di difesa e' suscettibile di
essere regolato in modo diverso, onde adattarlo alle esigenze ed alle
specifiche  caratteristiche dei singoli procedimenti: purche' di tale
diritto  siano  assicurati lo scopo e la funzione (cfr., ex plurimis,
ordinanze  n. 8  del  2003  e  n. 203  del  2002  ed i precedenti ivi
richiamati);
        che le affermazioni di principio ora ricordate sono a maggior
ragione  riferibili al procedimento in esame, nel quale il giudice e'
chiamato  a  decidere  su una domanda proposta dalla stessa parte del
cui  diritto  di difesa si discute: particolare che rende tra l'altro
non   persuasiva   la   tesi   -  prospettata  (peraltro  in  termini
problematici)  dal  giudice a quo - secondo cui la mancata previsione
espressa della facolta' del richiedente di produrre memorie difensive
equivarrebbe   a   diniego   della  stessa;  potendosi  ritenere,  al
contrario,  che  se  la  legge  riconosce  al condannato il potere di
richiedere  (su  base  argomentativa e documentale) l'applicazione di
una  determinata  misura, essa lo abilita con cio' stesso (in assenza
di un'esplicita preclusione) anche a successive produzioni a sostegno
degli argomenti addotti;
        che,  d'altra  parte,  lo stesso valore del contraddittorio -
dalla  cui  compromissione  deriverebbe,  secondo  il  rimettente, il
vulnus  all'art. 24,  secondo  comma, Cost. - presuppone un contrasto
tra parti, e non gia' tra soggetto richiedente ed organo decidente;
        che  nell'ipotesi  in  esame, dunque, piu' che una violazione
del principio del contraddittorio, potrebbe venire semmai in rilievo,
dal  lato  del richiedente, solo un diretto sacrificio del diritto di
difesa: evenienza che, peraltro, non puo' dirsi realizzata, posto che
il condannato, da un lato, e' in grado di illustrare e «difendere» la
propria  domanda  di liberazione anticipata e, dall'altro, di opporsi
ad una eventuale decisione reiettiva;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.