ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale degli articoli 33; 34,
comma 1,  lettera i);  38  comma 1, lettere a) ed e); 43, comma 2; 50
comma 5 e 51 della deliberazione legislativa statutaria della Regione
Calabria  approvata  in seconda deliberazione, ai sensi dell'art. 123
Cost.,  il  31 luglio  2003,  promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri, notificato il 5 settembre 2003, depositato in
cancelleria  il  12  successivo  ed  iscritto  al  n. 68 del registro
ricorsi 2003.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Calabria;
    Udito  nella  udienza  pubblica  del  25 novembre 2003 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Uditi   l'Avvocato  dello  Stato  Ignazio  F.  Caramazza  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Vincenzo Cerulli
Irelli e Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Calabria.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, con ricorso
notificato il 5 settembre 2003, depositato il successivo 12 settembre
e  iscritto  al  n. 68  del  2003  del registro ricorsi, ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 33; 34, comma 1,
lettera i); 38, comma 1, lettere a) ed e); 43, comma 2; 50, comma 5 e
51   dello   statuto  della  Regione  Calabria,  approvato  in  prima
deliberazione  il  13 maggio  2003  e,  in  seconda deliberazione, il
31 luglio   2003,  in  riferimento  agli  artt. 117,  secondo  comma,
lettera l),  121,  122,  123,  primo comma, e 126 della Costituzione,
nonche' al principio di separazione dei poteri.
    2. - In riferimento all'art. 33 dello statuto, la difesa erariale
sostiene  che  l'art. 122,  ultimo  comma, e l'art. 126, terzo comma,
della  Costituzione, stabilirebbero un vincolo di interdipendenza tra
la giunta con il suo Presidente - ove eletto a suffragio universale e
diretto - ed il consiglio, espresso dal principio simul stabunt simul
cadent, posto a garanzia della stabilita' dell'esecutivo regionale.
    L'art. 126,  terzo  comma,  della  Costituzione  dovrebbe infatti
essere  letto  in  correlazione  con  l'art. 122, quinto comma, della
Costituzione,   ai   sensi  del  quale  il  presidente  della  giunta
regionale,  salvo  che lo statuto regionale disponga diversamente, e'
eletto a suffragio universale e diretto.
    Dal combinato disposto di dette norme si ricaverebbe, quindi, che
lo  statuto  regionale  puo'  discostarsi dal principio simul stabunt
simul  cadent,  esclusivamente  nel caso in cui sia stato previsto un
sistema  di elezione del Presidente della giunta regionale diverso da
quello a suffragio universale diretto (sentenza n. 304 del 2002).
    Secondo  il ricorrente, l'art. 33 dello statuto calabrese avrebbe
violato  le  succitate  norme.  In  base  alle  disposizioni  di tale
articolo  oggetto delle censure dello Stato, i candidati alle cariche
sia  di presidente che di vice presidente della giunta regionale sono
indicati  sulla  scheda  elettorale, sono votati contestualmente agli
altri  componenti  del  consiglio  regionale  e sono poi nominati dal
consiglio  regionale  nella  sua  seduta  di  insediamento; in questa
stessa  occasione e' approvata la mozione sul programma di governo da
essi presentata in consiglio (commi 1 e 2); viene stabilito, inoltre,
che  la  mancata nomina del Presidente e del vice presidente indicati
dal corpo elettorale comporta lo scioglimento del consiglio regionale
(comma  3);  infine, la norma statutaria, al comma 4, stabilisce che,
nei  casi  di  dimissioni  volontarie, incompatibilita' sopravvenuta,
rimozione,  impedimento  permanente  o  morte  del  presidente  della
giunta,  a  questi  subentra  il vice presidente il quale - una volta
confermato  dal  Consiglio  -  tornera'  a  disporre  del  potere  di
provocare  eventualmente  lo scioglimento del consiglio nelle ipotesi
in cui non potesse piu' ricoprire la carica o si dimettesse.
    Ad  avviso  della  difesa  erariale, l'art. 33, disciplinando una
forma  di  elezione  sostanzialmente diretta a suffragio universale -
tanto che stabilisce lo scioglimento del consiglio regionale nel caso
di  mancata  nomina  del  presidente  e  del vice presidente indicati
dall'elettorato  -  contrasterebbe  con la Costituzione in quanto non
prevede,  in  riferimento  ai  casi  di  cessazione  dal  mandato del
presidente  della  giunta  previsti dall'art. 126, terzo comma, della
Costituzione,  le  dimissioni  della  giunta  e  lo  scioglimento del
consiglio  regionale, disponendo invece che al presidente subentri il
vice presidente. Questa procedura, quindi, violerebbe sia l'art. 126,
sia l'art. 122 della Costituzione, poiche' inciderebbe sulla «materia
elettorale», coperta da riserva di legge regionale.
    3.  -  L'Avvocatura  generale dello Stato sostiene inoltre che il
combinato disposto degli artt. 34, comma 1, lettera i) e 43, comma 2,
dello statuto attribuirebbero illegittimamente al consiglio regionale
l'esercizio   di   una   potesta'   regolamentare,  nella  forma  dei
regolamenti   di   attuazione   e   di  integrazione  in  materia  di
legislazione esclusiva il cui potere regolamentare sia stato delegato
dallo   Stato   alle   regioni,   in   presenza  dell'art. 121  della
Costituzione  che,  invece, non prevede la potesta' regolamentare del
consiglio,  cosi'  come  a livello nazionale non si attribuisce detta
potesta' al Parlamento.
    L'illegittimita'    delle    norme   sarebbe   confortata   dalla
considerazione  che,  anteriormente  alla  riforma del Titolo V della
Costituzione,  il  Governo,  in  diverse  occasioni, ha esercitato il
potere  di  rinvio in riferimento a leggi regionali attributive della
potesta' regolamentare ai consigli regionali.
    4.  -  Relativamente  all'art. 38, primo comma, lettere a) ed e),
dello  statuto, il ricorrente osserva che questa norma, disciplinando
aspetti  della  materia  elettorale,  si  porrebbe  in  contrasto con
l'art. 122,  primo comma, della Costituzione, il quale dispone che il
sistema  di  elezione  e i casi di ineleggibilita' e incompatibilita'
del  presidente  e  dei  membri della giunta, nonche' dei consiglieri
regionali  devono essere disciplinati con legge regionale, nel quadro
dei  principi  fondamentali  stabiliti con legge della Repubblica. In
particolare,  si  sottolinea nel ricorso, che la lettera a) del primo
comma   dell'art. 38   prevede   un   sistema  di  elezione  su  base
proporzionale   con   voto  di  preferenza  e  premio  elettorale  di
maggioranza.
    L'introduzione  nello  statuto  di  norme  in  materia elettorale
violerebbe  la  riserva di legge regionale e limiterebbe i poteri del
consiglio  regionale,  realizzando al tempo stesso un «rafforzamento»
della  fonte  statutaria e determinando in tal modo anche una lesione
del  principio  di  democrazia  diretta. La norma impugnata, infatti,
sottrarrebbe al referendum popolare le norme elettorali, dato che, ai
sensi  dell'art. 11  dello  statuto  in  esame,  il referendum non e'
ammesso per l'abrogazione delle norme statutarie.
    Inoltre,  le  lettere a)  ed  e)  dell'art. 38  si  porrebbero in
contrasto  con l'art. 123, primo comma, della Costituzione, in quanto
estenderebbero  la  disciplina  dello  statuto a materia non prevista
dalla norma costituzionale.
    5.  -  In  relazione  all'art. 50  dello  statuto,  il ricorrente
osserva  che  la  norma  disciplina  l'organizzazione  amministrativa
regionale  ed  in  particolare  la  figura  dei  dirigenti regionali,
relativamente   ai   quali  il  quinto  comma  dell'art. 50  dispone:
«Nell'esercizio    della    potesta'    statutaria,   legislativa   e
regolamentare,   la   regione   provvede  a  disciplinare  il  regime
contrattuale   dei   dirigenti,  l'attribuzione  e  la  revoca  degli
incarichi,  l'accertamento  delle  responsabilita'  e la comminazione
delle  sanzioni,  nonche'  ad  istituire il ruolo dei dirigenti della
regione e il ruolo dei dirigenti del consiglio regionale».
    Il   riferimento   ad   una   disciplina   regionale  del  regime
contrattuale  dei  dirigenti regionali violerebbe l'art. 117, secondo
comma,  lettera l),  della  Costituzione, che riserva alla competenza
esclusiva  dello  Stato  la materia «ordinamento civile», in quanto a
questa  sarebbero  riconducibili  sia  gli  aspetti  fondamentali del
rapporto di lavoro privato che del rapporto di lavoro pubblico, oltre
che  la  disciplina  del diritto sindacale. Ed infatti, nel documento
approvato  dalla  Conferenza  dei  presidenti  delle  regioni e delle
province  autonome il 21 marzo 2002 e' stato espressamente affermato:
«Poiche'  il  rapporto  di  lavoro  pubblico e' stato fatto rientrare
nella   disciplina  privatistica,  possiamo  quindi  concludere  che,
parimenti  ai  lavoratori  privati,  anche per quelli alle dipendenze
delle  pubbliche  amministrazioni,  il legislatore regionale trova un
limite  invalicabile  nella  contrattazione nazionale, che puo' a sua
volta   ricevere  una  regolamentazione  di  sostegno  da  parte  del
legislatore regionale».
    6.  - Il ricorrente sostiene, infine, che l'art. 51 dello statuto
violerebbe  l'art. 123, primo comma, della Costituzione, in quanto ha
ad  oggetto  l'esercizio  della  potesta'  normativa tributaria della
regione  e  quindi regola una materia che non rientra tra quelle che,
secondo  la  norma  costituzionale,  possono  costituire  oggetto  di
disciplina da parte dello statuto.
    7.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituita  la Regione Calabria, in
persona  del presidente pro tempore della giunta regionale, chiedendo
che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.
    Relativamente  alle  censure  aventi  ad  oggetto  l'art. 33,  la
resistente  osserva che esse sarebbero infondate, in quanto, sotto un
profilo  strettamente  formale,  elezione  «a  suffragio  universale»
vorrebbe   dire   che  il  Capo dell'esecutivo  -  nella  specie,  il
presidente  della  giunta  regionale - «deve essere eletto da tutti i
soggetti  facenti  parte  dell'ordinamento».  L'elezione «a suffragio
diretto»  si  avrebbe infatti quando tutti i titolari dell'elettorato
attivo scelgono direttamente ed immediatamente il Capo dell'esecutivo
in  un'unica  fase, senza che la loro scelta sia filtrata o mediata o
comunque interferita da altri meccanismi o organi o procedure, con la
conseguente  immediata preposizione dell'eletto nella carica a cui e'
destinato.  Nella  norma impugnata, invece, non vi sarebbero siffatti
caratteri,  in  quanto  mancherebbe l'universalita' del voto, nonche'
l'immediatezza   tra   il   voto  degli  elettori  e  la  sussunzione
dell'eletto  alla  carica  di  presidente,  dato  che  il  potere  di
conferire  la  carica  di presidente al candidato spetta al consiglio
regionale e non direttamente al corpo elettorale.
    Infatti,  nonostante  che l'art. 33 disponga che i candidati alla
carica  di  presidente  e  di vice presidente debbano essere indicati
sulla   scheda   elettorale   e  votati  contestualmente  agli  altri
componenti  del  consiglio  regionale, dal comma 2 risulta che, anche
dopo  tale  investitura  -  che  dovra' essere concretamente modulata
dalla  legge  elettorale  regionale  - essi rimangono meri candidati,
poiche'  e'  solo il voto del consiglio regionale a conferire loro la
carica in questione. Ed e' appunto per questo che l'art. 33, comma 8,
stabilisce  che  l'insediamento  avviene  solamente  dopo  l'avvenuta
elezione consiliare, non dopo la proclamazione degli eletti, dato che
nel  modello  prescelto  il  voto  degli  elettori  non  realizza  la
preposizione degli eletti nella carica.
    Questa  ricostruzione  sarebbe  confortata  anche  dalla sentenza
n. 304  del  2002,  che  -  nel respingere la tesi della difesa della
regione,  secondo  la  quale l'art. 5 della legge costituzionale n. 1
del  1999  non  avrebbe  realizzato  una  vera  e  propria elezione a
suffragio universale e diretto - ha ritenuto inutile approfondire nel
merito  la  natura dell'elezione disciplinata dalla norma transitoria
della    legge    cost.    n. 1    del    1999,   in   considerazione
dell'assimilabilita'     «nella     valutazione    del    legislatore
costituzionale»  di questa elezione «ad una vera e propria elezione a
suffragio  diretto»:  assunto,  quest'ultimo,  dimostrato, secondo la
citata  sentenza  n. 304  del  2002,  dalla  riproduzione nel comma 2
dell'articolo 5 del principio simul stabunt, simul cadent.
    Peraltro,  secondo  la resistente, nel sistema transitorio, anche
in mancanza di previsione espressa, avrebbe dovuto ritenersi operante
il    meccanismo    della   «reciproca   dissoluzione»,   in   virtu'
dell'art. 126,  ultimo comma, della Costituzione. Infatti, l'elezione
del  presidente  della  giunta  regionale  disciplinata  dall'art. 5,
comma 1,  della legge cost. n. 1 del 1999, configurerebbe chiaramente
un'elezione  «a  suffragio  universale e diretto», in quanto la norma
dispone  che  «e'  proclamato  presidente  della  giunta regionale il
candidato  (capolista  della  lista  regionale)  che ha conseguito il
maggior  numero di voti validi in ambito regionale», senza necessita'
di alcun tipo di mediazione.
    Diversamente  accadrebbe,  invece,  nel  sistema  definito  dallo
statuto  della  Regione  Calabria,  nel  quale  la  scelta  del corpo
elettorale risulterebbe «filtrata» dall'intervento consiliare, quindi
inidonea  a  determinare  il  conferimento  della  carica in mancanza
dell'elezione da parte del consiglio regionale.
    Sotto il profilo sostanziale, la scelta operata con lo statuto in
esame    non   costituirebbe   affatto   «una   forma   di   elezione
sostanzialmente   diretta»,  in  quanto  neppure  e'  stata  prevista
un'elezione di tipo indiretto conformata sul modello nordamericano.
    Secondo  la  resistente,  ulteriori  ragioni  conforterebbero  la
propria tesi.
    In   primo  luogo,  diversamente  dal  modello  statunitense,  il
consiglio   regionale   potrebbe  scegliere  di  non  nominare  quali
presidente   e   vice  presidente  i  candidati  indicati  dal  corpo
elettorale, pur cosi' determinando il proprio autoscioglimento.
    In  secondo luogo, i membri del consiglio regionale non sarebbero
assimilabili  ai  «grandi  elettori», in quanto farebbero parte di un
«collegio  perfetto»  che  deve votare sia per i candidati al vertice
della   giunta,  sia  sul  programma  da  questi  presentato,  previo
dibattito, nelle forme previste dal regolamento interno (articolo 33,
comma 2). Questo meccanismo assicurerebbe al consiglio la facolta' di
nominare  soggetti  tali  da rappresentare gli interlocutori naturali
nella  cogestione  della  attivita' di indirizzo politico. Dunque, il
programma  della  coalizione  che  vince  le  elezioni  ed  esprime i
candidati  alla  presidenza e alla vicepresidenza (il programma della
campagna   elettorale)   non  si  trasformerebbe  automaticamente  in
programma  di  governo  e  quindi  in  indirizzo politico, in quanto,
perche'  cio' avvenisse, sarebbe necessario un voto del consiglio sul
programma.
    Ad avviso della regione, il sistema prescelto si impernierebbe su
due  fondamentali meccanismi: l'immissione nell'ufficio di presidente
(e  di  vice  presidente)  solo  dopo il voto del consiglio e solo in
ragione  di esso; l'approvazione consiliare del programma di governo,
in  forza  dei  quali  si  instaura  tra  presidente  della  giunta e
consiglio  regionale  un  rapporto politico diverso rispetto a quello
che consegue dall'elezione a suffragio universale e diretto.
    Ne'   sarebbe   possibile   equiparare  qualsiasi  legittimazione
popolare  del  vertice dell'esecutivo, ovvero qualsiasi meccanismo di
stabilizzazione  del  medesimo, all'elezione a suffragio universale e
diretto.
    La  conclusione,  secondo  la resistente, e' che nello statuto in
esame  l'indicazione  popolare  non  sarebbe vincolante, e la Regione
Calabria,  nell'esercizio della propria autonomia statutaria, avrebbe
preferito un'elezione del presidente della giunta diversa da quella a
suffragio    universale    e    diretto,   derogando   legittimamente
all'articolo 126,   terzo   comma,   della   Costituzione;   inoltre,
nell'ambito  della  autonomia  in  tema  di  «forma  di  governo»  ex
art. 123,   primo  comma,  della  Costituzione,  la  regione  avrebbe
legittimamente previsto che il vice presidente subentri al presidente
della giunta - con l'imprescindibile consenso del consiglio - qualora
questi  muoia, sia affetto da impedimento permanente, sia rimosso, si
trovi  in una situazione di incompatibilita' sopravvenuta, o rassegni
le  dimissioni  in  assenza  di  una  esplicita  rottura del rapporto
fiduciario,  allo scopo di evitare che eventi accidentali concernenti
la  vita  del  presidente  impediscano  alla maggioranza scelta dagli
elettori di realizzare il programma di governo.
    Il  presidente resterebbe «il vero dominus della giunta e arbitro
della  legislatura»,  avendo anche «ampia possibilita' di far ricorso
al  voto  di  fiducia», mentre il vice presidente entrerebbe in gioco
solo per far realizzare integralmente il programma.
    Secondo  la  resistente,  l'art. 33  dello statuto non violerebbe
neppure  la  riserva  di legge regionale in materia elettorale di cui
all'art. 122  della Costituzione. Invero, indipendentemente dal fatto
che  l'Avvocatura dello Stato non avrebbe indicato quali disposizioni
dell'articolo 33   inciderebbero   sulla   materia,   il   fondamento
dell'intera   disciplina   da   esso   recata   sarebbe   rinvenibile
nell'art. 123,  primo  comma,  della Costituzione, nella parte in cui
include nel contenuto necessario dello statuto «la forma di governo e
i   principi   fondamentali   di   organizzazione  e  funzionamento».
D'altronde e' la stessa Costituzione che, all'art. 122, quinto comma,
stabilisce  che  «il  presidente  della  giunta, salvo che lo statuto
disponga diversamente, e' eletto a suffragio universale e diretto».
    Ad  avviso  della  regione,  in  particolare,  il  comma 7  della
disposizione  impugnata, nel prevedere quale causa di ineleggibilita'
l'aver  ricoperto  per  due  mandati  consecutivi (superiori a trenta
mesi)  la  carica  di  presidente  della  giunta, disciplinerebbe una
peculiare causa di ineleggibilita' strettamente legata alla «forma di
governo»  e  direttamente incidente sull'uso di strumenti come quello
della  questione  di  fiducia, di cui all'articolo 37, comma 3, dello
statuto,  potendo svolgere un'importante ruolo deterrente rispetto al
ricorso allo stesso.
    Inoltre,   l'incensurabilita'   del   comma 8  -  concernente  la
prorogatio  della  giunta  e  del suo presidente - sarebbe confortata
dalla  sentenza di questa Corte n. 196 del 2003: lo statuto in esame,
all'art. 19,   stabilisce  la  prorogatio  della  giunta  e  del  suo
presidente  e questa norma sarebbe stata richiamata dalla Corte nella
succitata  sentenza,  a dimostrazione della naturale riconducibilita'
di una tale materia nell'alveo delle disposizioni statutarie.
    8.  -  La  Regione Calabria, in linea subordinata, per il caso in
cui si ritenesse che la norma impugnata abbia introdotto una elezione
del  presidente  della  giunta  a  suffragio universale e diretto, ha
chiesto  che  questa  Corte  sollevi  dinnanzi  a se' la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo 126,  terzo  comma, della
Costituzione, in riferimento agli articoli 3, 97, 123, 92 e 94, della
Costituzione.
    Ad   avviso   della   regione,  l'art. 126,  terzo  comma,  della
Costituzione,  prevedendo  lo  scioglimento  automatico del consiglio
anche  in  relazione ad eventi che colpiscono accidentalmente la vita
personale  del presidente della giunta, quali la morte, l'impedimento
permanente,  o  le  dimissioni  volontarie  non  dovute ad una previa
mozione  di  sfiducia,  realizzerebbe  una  scelta  irragionevole, in
contrasto  con  il  principio  del  parlamentarismo,  recepito  negli
artt. 92  e  94,  della  Costituzione,  in  quanto, pur in assenza di
rotture   del   rapporto  fiduciario,  impedirebbe  alla  maggioranza
consiliare,   che   e'   espressione   della  maggioranza  del  corpo
elettorale,  di  portare ad attuazione il programma di governo votato
dagli  elettori.  Infatti,  se la ratio del meccanismo simul stabunt,
simul  cadent  e'  quella  di garantire una maggiore stabilita' degli
esecutivi   regionali,   sarebbe   irragionevole   che   per   eventi
accidentali,  i  quali  non  pongono  in  discussione  il rapporto di
fiducia, si debba necessariamente procedere a nuove elezioni.
    Pertanto,  secondo  la  resistente,  ragionevolmente  lo  statuto
calabrese   avrebbe   previsto  una  figura  quale  quella  del  vice
presidente  che, in virtu' dell'indicazione popolare, con la volonta'
del   consiglio,   puo'  subentrare  al  presidente,  allo  scopo  di
permettere  di  realizzare  il  programma di governo sulla scorta del
quale i cittadini hanno scelto la maggioranza consiliare.
    In ordine all'ammissibilita' della questione di costituzionalita'
avente  ad  oggetto  una norma costituzionale, la regione richiama la
sentenza di questa Corte n. 1146 del 1988.
    9.  -  Secondo  la Regione Calabria, anche le censure concernenti
l'art. 34,  comma 1,  lettera i),  e  l'art. 43,  comma 2, dovrebbero
essere ritenute infondate.
    L'art. 43,  nel  distribuire  la  potesta'  regolamentare tra gli
organi della regione, attribuisce alla giunta una generale competenza
regolamentare   -   nella   forma   dei  regolamenti  esecutivi,  dei
regolamenti  di  attuazione  e di integrazione delle leggi regionali,
dei  regolamenti  «delegati»  nelle  materie  di competenza esclusiva
regionale  e  dei  regolamenti di organizzazione dell'amministrazione
regionale  -  riservando al consiglio la facolta' di esercitarla solo
limitatamente  ai  «regolamenti  di  attuazione  e di integrazione in
materia di legislazione esclusiva delegata dallo Stato» (comma 2).
    Il  principio  della  separazione  dei  poteri  che,  secondo  il
ricorrente,  sarebbe  violato  dalla  norma  impugnata,  non potrebbe
viceversa  ritenersi  vulnerato dalla attribuzione al consiglio della
potesta'  regolamentare  delegata dallo Stato ai sensi dell'art. 117,
sesto    comma,    della    Costituzione,   sia   in   considerazione
dell'attribuzione  alla giunta del nucleo tradizionale della potesta'
regolamentare  (quella esecutiva ed integrativo-attuativa delle leggi
regionali),  sia alla luce della ratio dell'attribuzione al consiglio
di  detta  potesta', da identificarsi nell'esigenza di realizzare una
soluzione  che  garantisca  le  situazioni  giuridiche soggettive dei
cittadini,  in  quanto le materie di competenza legislativa esclusiva
dello  Stato  tendenzialmente  incidono sulle medesime piu' di quanto
sulle stesse non incidano le leggi regionali.
    Inoltre,   sotto   il   profilo   storico,   la   previsione   si
ricollegherebbe  al  testo  originario  dell'art. 121, secondo comma,
della  Costituzione,  il  quale  attribuiva  ai consigli regionali la
potesta'  regolamentare,  diversamente  da  quanto  stabilito  per il
Parlamento,  con  previsione che, alla luce dei lavori dell'Assemblea
costituente,  avrebbe  dovuto essere interpretata come attributiva al
consiglio  regionale  della  potesta' regolamentare esclusivamente in
riferimento   all'attuazione   delle  leggi  statali  (tesi  peraltro
disattesa nella legislazione e nella prassi).
    Pertanto,  ad avviso della Regione Calabria, la scelta realizzata
con  lo  statuto sarebbe in «armonia con lo spirito del Costituente»,
apparendo  opportuno  che  la  delicata potesta' in esame sia gestita
dall'organo  rappresentativo del corpo elettorale, che fungerebbe «da
longa manus del legislatore nazionale».
    In   contrario,   secondo   la  resistente,  non  rileverebbe  la
circostanza  che, dopo l'entrata in vigore della legge cost. n. 1 del
1999,  la  Presidenza  del Consiglio dei ministri-Dipartimento affari
regionali, con parere reso il 15 marzo 2000, abbia ritenuto riservato
alla  giunta regionale il potere regolamentare, nonche' ricordare che
il   Governo   ha  disposto  il  rinvio  delle  delibere  legislative
regionali,  che  continuavano  ad attribuire detto potere ai consigli
regionali.  Infatti,  la posizione assunta dal Governo non riguardava
il  tipo  di  regolamenti qui in esame, «trattandosi di una tipologia
all'epoca sconosciuta», in quanto non era ancora entrata in vigore la
legge   cost.   n. 3  del  2001  che  ha  previsto,  al  sesto  comma
dell'art. 117 della Costituzione, la facolta' dello Stato di delegare
alle  regioni la potesta' regolamentare nelle materie di legislazione
esclusiva statale.
    Da  altro punto di vista, gli argomenti dell'Avvocatura sarebbero
da  rigettare in considerazione della tesi - sostenuta anche da parte
della  dottrina  -  secondo  la  quale  la legge cost. n. 1 del 1999,
modificando  il  testo  del  secondo  comma  dell'articolo 121, della
Costituzione,  avrebbe  attribuito agli statuti regionali la facolta'
di  scegliere  l'organo  o  gli  organi  cui  attribuire  la potesta'
regolamentare.  In  tal senso deporrebbero il «significativo silenzio
sul  punto  della  disposizione  costituzionale»  (art. 121,  secondo
comma,  della Costituzione), la considerazione che spetta comunque al
consiglio  regionale  la  fissazione  dei  confini  tra la disciplina
legislativa  e  la disciplina regolamentare, nonche' un significativo
obiter  dictum  contenuto  nell'ordinanza  di  questa Corte n. 87 del
2001.
    10. - La resistente contesta poi le censure riferite all'art. 38,
comma 1, lettera a) ed e), anzitutto ricordando che questa Corte, con
la  sentenza  n. 196  del  2003,  ha  precisato  che  «la  disciplina
statutaria,  cui  e'  demandata la definizione della forma di governo
regionale,   condiziona   inevitabilmente,   in   parte,  il  sistema
elettorale per l'elezione del consiglio».
    Il  principio  sarebbe confortato dalla considerazione dottrinale
secondo  la  quale il sistema elettorale sarebbe una delle principali
variabili  della  forma  di  governo,  sicche' apparirebbe «del tutto
fisiologica»   -   dunque   pienamente   ammissibile   -   non   solo
«un'interferenza»,  ma addirittura «una vera e propria interposizione
statutaria  tra  la  normativa  di  principio  statale (espressamente
stabilita  o  desumibile)  e  la normativa di dettaglio regionale» in
materia elettorale.
    In  particolare,  il  modello  di  forma  di governo scelto dalla
Regione  Calabria  avrebbe  quali corollari alcune scelte di fondo in
tema  di  sistema  elettorale;  tra queste, il premio di maggioranza,
necessario  a  garantire  la  stabilita' di governo, nel rispetto del
principio   di   rappresentanza   delle   minoranze,  tutelato  dalla
previsione  della  elezione su base proporzionale, risultando inoltre
garantita  statutariamente  la  piena liberta' di voto dell'elettore,
grazie al voto di preferenza.
    D'altronde,   queste   opzioni   non   inciderebbero  sul  libero
esplicarsi della legge regionale e sui poteri del Consiglio, dato che
residuerebbero  alla  legge  regionale  ambiti  di scelta di non poco
conto.
    In  ogni  caso, secondo la resistente, l'art. 38, lettera e), non
violerebbe  il  principio  della  «riserva  di  legge regionale», ne'
limiterebbe  i  poteri  del Consiglio o contrasterebbe con i principi
della  legge  statale,  in  quanto  si  limiterebbe  a  riprodurre il
contenuto dell'art. 122, primo comma, della Costituzione.
    Ancora, l'art. 38, comma 1, lettere a) ed e), non potrebbe essere
ritenuto  lesivo  del  «principio  di  democrazia diretta», in quanto
spetterebbe   allo   statuto   disciplinare   l'iniziativa   popolare
referendaria,  come  prescritto  dall'art. 123,  primo  comma,  della
Costituzione,  non  rilevando  in senso inverso che le relative norme
siano  sottratte  al  referendum  abrogativo;  cio'  in  quanto  esse
resterebbero  comunque suscettibili di essere sottoposte a referendum
consultivo.   Inoltre,   nella   medesima   direzione  deporrebbe  la
circostanza  secondo  la quale sarebbe comunque garantita la facolta'
dei cittadini di esprimersi sul contenuto dello statuto per mezzo del
referendum confermativo ex art. 123, terzo comma, della Costituzione.
    11.  -  In  riferimento  alla  censura  concernente l'art. 50, la
Regione  Calabria  -  pur  ammettendo  che «sicuramente la disciplina
sostanziale  del  rapporto  di  lavoro,  quella contenuta nelle leggi
civili,  puo' essere attratta alla competenza legislativa dello Stato
nell'ambito della materia «ordinamento civile» - osserva peraltro che
a  tale  materia  non  potrebbero essere ricondotte le procedure e le
modalita'  della  contrattazione  collettiva,  da ritenersi riservate
all'autonomia  degli  enti.  In ogni caso - nota la resistente - gia'
oggi  parte  della  contrattazione  collettiva si svolgerebbe in sede
regionale ed in ambito locale.
    La norma statutaria si limiterebbe a richiamare questa realta': e
cioe' che la regione disciplina con propri provvedimenti normativi il
regime contrattuale dei dirigenti, ovviamente per la parte di propria
competenza.
    In  relazione  al documento della Conferenza dei presidenti delle
regioni   e   delle  province  autonome  del  21 marzo  2002,  citato
dall'Avvocatura,  la regione evidenzia che lo stesso preciserebbe che
all'interno  della  disciplina  del  rapporto di lavoro pubblico sono
compresi  profili ancora oggi disciplinati in regime pubblicistico e,
quindi,    di    competenza   esclusiva   delle   regioni   (inerendo
all'ordinamento ed all'organizzazione amministrativa delle regioni).
    12. - Quanto alle censure concernenti l'art. 51 dello statuto, ad
avviso  della  resistente  esso  recherebbe  una  disciplina  tale da
costituire    «essenzialmente    una    ripetizione    del    dettato
costituzionale»,  in  quanto  i  primi quattro commi dell'articolo 51
riprodurrebbero quasi fedelmente le disposizioni dell'art. 119, della
Costituzione,  limitandosi,  per  alcune  di  esse,  «a  svolgerne  i
contenuti».  Cio'  varrebbe  per  il  comma 2  dell'art. 51, il quale
stabilisce  che  la  regione  deve esercitare con la legge la propria
competenza  in  materia  di applicazione di entrate e tributi propri,
specificando  i  contenuti  di  questa  competenza;  per  il comma 3,
lettera b),   che   prevede   il  coinvolgimento  della  regione  nel
procedimento  di  definizione,  da  parte dello Stato, dell'entita' e
delle  modalita'  di  distribuzione  del  fondo  perequativo;  per il
comma 5, che riproduce l'art. 120, primo comma, della Costituzione.
    L'art. 51,  comma 6,  attribuisce, infine, alla regione il potere
di  stabilire,  con legge, forme di controllo della regolare gestione
finanziaria    e    dell'efficienza    ed    efficacia    dell'azione
amministrativa,    previsione    questa    rispettosa   delle   norme
costituzionali.  Cio' in conseguenza della soppressione dei controlli
eteronomi  realizzata  dalla  legge cost. n. 3 del 2001, che peraltro
non  impedisce l'introduzione all'interno di ciascun ente di forme di
controllo   endogeno  dell'efficienza  e  dell'efficacia  dell'azione
amministrativa.
    Dunque,  ad  avviso  della resistente, la norma impugnata sarebbe
conforme  alla Costituzione ed alla legge statale di attuazione della
legge  cost. n. 3 del 2001. In realta', le censure svolte nel ricorso
riguarderebbero  non  gia'  il  contenuto della norma, bensi' la mera
esistenza  di una disciplina statutaria in materia e si fonderebbero,
con  affermazione indimostrata, sul fatto che le linee generali della
organizzazione  finanziaria  e tributaria della regione non sarebbero
riconducibili  al  concetto  di  «principi  di  organizzazione  e  di
funzionamento».
    L'art. 51 comunque non sarebbe illegittimo, in quanto gli statuti
regionali  possono  arricchirsi di contenuti nuovi ed eventuali, come
testimonierebbero  le  molte disposizioni - non impugnate - contenute
nel Titolo I dello statuto concernente i principi fondamentali.
    13.  -  In  prossimita' dell'udienza, l'Avvocatura dello Stato ha
depositato   una  memoria  nella  quale  ha  ribadito  i  rilievi  di
costituzionalita'  svolti  nel  ricorso, innanzi tutto in riferimento
all'art. 33  dello  statuto  della regione, sostenendo in particolare
che la tesi della difesa regionale, secondo la quale ci si troverebbe
dinanzi  ad  una  forma  di  governo diversa da quella della elezione
diretta  del  presidente regionale, sarebbe inaccettabile, perche' la
norma  censurata  stabilirebbe  un caso di «nomina vincolata da parte
del  consiglio».  Inoltre  la  figura del vice presidente non sarebbe
prevista  dall'art. 121  della  Costituzione,  mentre, d'altra parte,
l'art. 122  della  Costituzione  prevederebbe solo l'elezione diretta
del presidente.
    Sul  piano  delle ragioni sottostanti alla riforma costituzionale
del  1999,  nella  memoria si evidenzia inoltre come una delle scelte
fondamentali   sia   consistita   nel  «vincolo  gravante  sulle  due
coalizioni contrapposte di designare il leader di governo nel momento
del  voto», attribuendogli adeguati poteri: tale scelta sarebbe stata
sostanzialmente  -  ma  chiaramente  - elusa dalle disposizioni dello
statuto calabrese.
    Quanto  alla  tesi  subordinata sollevata dalla Regione Calabria,
relativa   alla   pretesa   incostituzionalita'   del   terzo   comma
dell'art. 126  della  Costituzione, l'Avvocatura dello Stato sostiene
che  la  questione  sarebbe  in  parte  inammissibile,  perche'  tale
sindacato  dovrebbe prendere a parametro «non gia' qualsivoglia norma
costituzionale,  ma  solo  quelle  che  esprimono i "principi supremi
dell'ordinamento     costituzionale",     che     sono     contenuti,
tradizionalmente,   nella   parte   prima   della  Costituzione».  Il
riferimento,   invece,   alla   pretesa   lesione  del  principio  di
ragionevolezza  porrebbe  una questione manifestamente infondata, dal
momento che i poteri presidenziali apparirebbero «mezzo perfettamente
congruente  con  il  fine»  perseguito,  consistente  in una maggiore
stabilita' politica.
    In  relazione  al  rilievo  di  costituzionalita'  relativo  alle
disposizioni  dell'art. 38  in  materia  elettorale,  l'Avvocatura in
particolare afferma che la riserva di legge regionale sarebbe violata
in quanto la norma statutaria impugnata non costituirebbe parte della
disciplina della forma di governo regionale.
    In ordine al rilievo di costituzionalita' concernente l'esercizio
della  potesta'  regolamentare  da  parte  del  Consiglio  regionale,
l'Avvocatura  dichiara  di  prendere  atto  di quanto stabilito dalla
sentenza di questa Corte n. 313 del 2003.
    In   relazione   alla   disposizione   relativa  alla  disciplina
contrattuale   dei   dirigenti   regionali,   di   cui   all'art. 50,
l'Avvocatura  conferma  i  propri  rilievi,  che sarebbero rafforzati
dalla recente sentenza di questa Corte n. 314 del 2003.
    L'Avvocatura  conferma,  infine,  il rilievo di costituzionalita'
relativo   all'art. 51   dello   statuto  calabrese,  in  particolare
sottolineando  che  la  potesta'  normativa  delle regioni in materia
tributaria sarebbe estranea all'art. 123 della Costituzione, il quale
delimiterebbe «rigorosamente le materie che formano legittimo oggetto
della potesta' di regolazione statutaria».
    14.  -  In  prossimita' dell'udienza anche la Regione Calabria ha
presentato   una   memoria,   nella   quale   ribadisce   le  proprie
argomentazioni a difesa delle disposizioni impugnate.
    In  relazione  all'art. 33 dello statuto, la regione conferma che
si  e'  voluta  compiere  una  scelta istituzionale diversa da quella
della  elezione  a suffragio diretto del presidente ed anzi asserisce
che  «lo  statuto calabrese si muove (...) nell'ambito della forma di
governo  parlamentare  con  i correttivi che l'evoluzione recente del
sistema politico italiano ha prodotto».
    Con  riferimento  all'art. 38,  la  memoria  difensiva afferma in
particolare  che  i  contenuti di questo articolo non sarebbero altro
che  la  enunciazione  di principi resi necessari dalle scelte che lo
statuto compie in tema di forma di governo della regione.
    Relativamente    alla    questione    concernente   la   potesta'
regolamentare,  la  memoria  difensiva  concorda  sul  fatto  che  la
questione  sia  da  ritenere  risolta  dalla  recente  giurisprudenza
costituzionale.
    In  relazione  al  regime  contrattuale dei dirigenti, invece, si
ribadisce  che la materia contrattuale «e' distribuita tra il livello
statale   e   il   livello  regionale,  a  seconda  delle  rispettive
competenze».
    Da   ultimo,  per  cio'  che  concerne  l'art. 51,  si  evidenzia
nuovamente  che  in  esso  sarebbero  «elencati  principi  del  tutto
corrispondenti a quelli di cui all'art. 119 della Costituzione».

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il   Governo  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  degli artt. 33; 34, comma 1, lettera i); 38, comma 1,
lettere a)  ed  e); 43, comma 2; 50, comma 5 e 51 dello statuto della
Regione  Calabria, approvato in prima deliberazione il 13 maggio 2003
e,  in  seconda deliberazione, il 31 luglio 2003, in riferimento agli
artt. 117,  secondo  comma,  lettera l); 121, 122, 123, primo comma e
126  della  Costituzione,  nonche'  al  principio  di separazione dei
poteri.
    L'art. 33  viene impugnato perche', disciplinando la elezione del
presidente  e  del  vice  presidente  della giunta da parte del corpo
elettorale  e la loro necessaria successiva designazione da parte del
consiglio  regionale  nella  prima  seduta,  a  meno di un automatico
scioglimento  del  consiglio  stesso,  nonche' prevedendo che il vice
presidente  subentri nella carica al presidente in caso di dimissioni
volontarie,  incompatibilita'  sopravvenuta,  rimozione,  impedimento
permanente  o  morte,  violerebbe gli artt. 122, ultimo comma, e 126,
terzo   comma,  della  Costituzione.  Cio'  in  quanto,  malgrado  un
meccanismo  di  elezione  sostanzialmente  a  suffragio  universale e
diretto,  si  verrebbe  ad  eludere il principio simul stabunt, simul
cadent,  che  e' derogabile solo se a livello statutario si operi una
scelta  istituzionale diversa dalla elezione a suffragio universale e
diretto.
    Tale  disposizione  statutaria  violerebbe,  inoltre, l'art. 122,
primo  comma, della Costituzione, perche' inciderebbe inevitabilmente
sulla   materia  elettorale,  riservata  alla  legge  regionale,  nel
rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale.
    Gli  artt. 34, comma 1, lettera i) e 43, comma 2, nell'attribuire
l'esercizio  della  potesta' regolamentare al consiglio regionale nel
caso  dei  regolamenti  di attuazione o di integrazione in materie di
legislazione  esclusiva  dello Stato da questo delegati alle regioni,
violerebbero   l'art. 121   della   Costituzione,  che  attribuirebbe
l'esercizio  del  potere  regolamentare  della  regione  alla  giunta
regionale;  sarebbe  violato, inoltre, il principio della separazione
dei poteri.
    L'art. 38,   comma 1,  lettere a)  ed  e),  disciplinando  alcuni
aspetti  della  materia elettorale, contrasterebbe con gli artt. 122,
primo  comma,  e  123,  primo  comma,  della  Costituzione, in quanto
violerebbe  la  riserva  di legge regionale nella suddetta materia e,
irrigidendo  la disciplina della materia in questione, determinerebbe
la  sottrazione  al corpo elettorale della possibilita' di esprimersi
mediante referendum su di essa.
    L'art. 50,  comma 5,  viene  impugnato  perche', attribuendo alla
potesta'  statutaria,  legislativa  e  regolamentare della regione la
disciplina   del   regime   contrattuale   dei  dirigenti  regionali,
violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione,
che  attribuisce  alla  potesta' legislativa esclusiva dello Stato la
materia  «ordinamento  civile»  a  cui  sarebbero  riconducibili  gli
aspetti  fondamentali  del  rapporto di lavoro privato e quindi anche
dell'attuale  rapporto  di  pubblico impiego, oltre che la disciplina
del diritto sindacale.
    L'art. 51,   infine,   viene   censurato  perche',  disciplinando
l'esercizio   della  potesta'  normativa  tributaria  della  regione,
violerebbe  l'art. 123,  primo  comma,  della  Costituzione,  che non
prevede  tale  materia  tra  quelle che possono costituire oggetto di
disciplina da parte dello statuto regionale.
    2.  -  La  Regione  Calabria  si  e'  ritualmente  costituita  in
giudizio,  sostenendo l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza di
tutte  le  censure prospettate nel ricorso. Inoltre, la resistente ha
chiesto  in  subordine,  nell'ipotesi  in cui dovesse essere ritenuta
fondata  la prima censura proposta dal Governo ricorrente, che questa
Corte sollevi dinnanzi a se' questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 126,  terzo comma, della Costituzione, per violazione degli
articoli 3,  97,  123,  92  e  94  della  Costituzione e dei principi
supremi  che  da  tali  disposizioni  si  deducono.  Cio'  perche' la
previsione  dello  scioglimento  automatico  del  consiglio regionale
anche  in  relazione  ad  eventi  che  colpiscano  accidentalmente la
persona  del  presidente  della giunta, quali la morte, l'impedimento
permanente  o  le  dimissioni  volontarie  non  dovute  ad una previa
mozione  di  sfiducia,  costituirebbe  una scelta irragionevole ed in
contrasto  con  il  principio  del  parlamentarismo (desumibile dagli
artt. 92  e  94  della  Costituzione),  dato  che si impedirebbe alla
maggioranza  consiliare  di  portare  ad  attuazione  il programma di
governo, pur in assenza di rotture del rapporto fiduciario.
    3.    -    La    risoluzione   delle   suesposte   questioni   di
costituzionalita'  rende  opportuno  premettere alcune considerazioni
sull'ampiezza  e  sui  limiti  del potere statutario delle regioni ad
autonomia   ordinaria  dopo  l'adozione  del  nuovo  Titolo  V  della
Costituzione,  che  ha  fatto  propria,  ma  anche  integrato  in  un
rinnovato  contesto, la riforma costituzionale introdotta dalla legge
cost.  22 novembre  1999,  n. 1  (Disposizioni concernenti l'elezione
diretta   del   presidente   della  giunta  regionale  e  l'autonomia
statutaria delle regioni). Cio' anche in considerazione del fatto che
il   presente  giudizio  riguarda  la  prima  organica  deliberazione
legislativa  regionale  di  adozione  di  uno statuto impugnata dallo
Stato.
    Questa  Corte  ha  gia'  chiarito  in  precedenti sentenze alcuni
profili  relativi alla fonte normativa statutaria, ora speciale legge
regionale  caratterizzata  da una particolare procedura di adozione e
di  controllo (cfr. sentenza n. 304 del 2002) e meglio definita nella
ampiezza  delle  materie  ad essa riservate, indicate nel primo e nel
terzo comma dell'art. 123 della Costituzione (la determinazione della
«forma  di  governo» e dei «principi fondamentali di organizzazione e
funzionamento»,   la   disciplina   dell'«esercizio  del  diritto  di
iniziativa  e  del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi
della   regione»,   nonche'  «la  pubblicazione  delle  leggi  e  dei
regolamenti  regionali»,  la disciplina del consiglio delle autonomie
locali).
    In  questi  ambiti  la  regione  dispone  di  un  autonomo potere
normativo  per  la  configurazione di un ordinamento interno adeguato
alle  accresciute  responsabilita' delineate dal nuovo Titolo V della
Costituzione  ed  alle attese di un'istituzione regionale decisamente
migliorata   sul   piano  della  funzionalita'  e  della  sua  stessa
democraticita': dopo la riforma dell'art. 123 della Costituzione e la
eliminazione  della approvazione dello statuto regionale da parte del
Parlamento,  i  limiti a questa rilevante autonomia normativa possono
derivare  solo  da  norme  chiaramente deducibili dalla Costituzione,
come  questa  Corte ha gia' avuto occasione di affermare allorche' ha
negato  che  essa  sia  comprimibile  «in  mancanza di una disciplina
costituzionale    chiaramente    riconoscibile»    o   «tramite   non
controllabili  inferenze  e deduzioni da concetti generali, assunti a
priori» (sentenza n. 313 del 2003).
    Al  tempo stesso, pero', per cio' che riguarda il rapporto fra la
potesta'  statutaria  ed  i suoi limiti, questa Corte ha chiarito che
gli  statuti  regionali  non solo, come tutte le norme giuridiche del
nostro ordinamento, devono rispettare puntualmente «ogni disposizione
della  Costituzione», ma devono anche rispettarne lo spirito, in nome
della    pure   costituzionalmente   necessaria   «armonia   con   la
Costituzione»   (sentenza   n. 304   del   2002);   cio'   che,  piu'
recentemente,  ha  trovato conferma nell'affermazione che gli statuti
«dovranno  essere  in  armonia  con  i  precetti  ed i principi tutti
ricavabili dalla Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003).
    Da  tali  premesse  la  necessita' di una lettura particolarmente
attenta  dei  rapporti  e  dei  confini fra le diverse aree normative
affidate  agli  statuti  o  alle  altre  fonti  legislative statali o
regionali,  senza  presumere la soluzione del problema interpretativo
sulla   base   della   sola   lettura  di  una  singola  disposizione
costituzionale,  tanto  piu'  ove  essa utilizzi concetti che possono
legittimamente   giustificare   interpretazioni  tra  loro  non  poco
difformi a seconda del contesto in cui sono collocati.
    4.  -  Sulla  base  di quanto detto, vanno anzitutto affrontati i
diversi   rilievi   di   costituzionalita'   sollevati  nei  riguardi
dell'art. 33  della  delibera  legislativa  di adozione dello statuto
calabrese.  Le  censure prospettate dal ricorrente sono genericamente
rivolte   alla   disposizione   nel   suo   complesso;  tuttavia,  in
considerazione  delle  motivazioni addotte nel ricorso, l'oggetto del
giudizio  cui  e'  chiamata  questa  Corte  puo'  essere  riferito ai
commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7 (quindi ne sono esclusi i commi 6 e 8).
    Le censure sono fondate.
    La  legge  costituzionale  n. 1  del  1999 ha sostituito non solo
l'art. 123   della   Costituzione,  ma  ha  mutato  radicalmente  gli
artt. 121, 122 e 126 della Costituzione, in particolare prevedendo la
elezione  del  presidente  della  regione  «a  suffragio universale e
diretto»  come  soluzione  prescritta «salvo che lo statuto regionale
disponga  diversamente», e imponendola (art. 5 della legge cost. n. 1
del  1999)  come  soluzione transitoria «fino alla data di entrata in
vigore  dei nuovi statuti regionali e delle nuove leggi elettorali ai
sensi del primo comma dell'art. 122 della Costituzione».
    L'esame  dei  lavori preparatori di questa legge costituzionale e
la  sua titolazione evidenziano con sicurezza la volonta', largamente
espressa in sede parlamentare, di imporre tale scelta nella esplicita
speranza  di  eliminare  in  tal  modo la instabilita' nella gestione
politica   delle  regioni  e  quindi  di  rafforzare  il  peso  delle
istituzioni regionali.
    A  tal  fine la soluzione istituzionale prescelta e' stata quella
che  lo  stesso  titolo  della  legge definisce «elezione diretta del
presidente della giunta regionale», espressione ricorrente nel quinto
comma   dell'art. 122   della   Costituzione   e   nel   terzo  comma
dell'art. 126  della  Costituzione,  e poi sostanzialmente sviluppata
nell'art. 5  della  legge costituzionale n. 1 del 1999 come soluzione
provvisoriamente   vigente   fino   all'adozione  dei  nuovi  statuti
regionali e delle conseguenti leggi elettorali regionali.
    Al   di  la'  delle  molteplici  e  differenziate  definizioni  e
classificazioni  dottrinali  in astratto possibili, specie sulla base
della  comparazione  fra  i  diversi sistemi di selezione dei vertici
degli organi di governo delle varie istituzioni, questa Corte ha gia'
rilevato  nella  sentenza  n. 304 del 2002 con riferimento all'art. 5
della  legge costituzionale n. 1 del 1999, che «nella valutazione del
legislatore  costituzionale l'elezione del presidente della giunta e'
assimilabile, quanto a legittimazione popolare acquisita dall'eletto,
ad  una  vera  e  propria elezione a suffragio diretto». Puo' inoltre
aggiungersi  che  analogo  sistema,  anch'esso  definito  elezione «a
suffragio  universale e diretto» dall'art. 46 del decreto legislativo
18 agosto  2000,  n. 267  (Testo  unico  delle leggi sull'ordinamento
degli  enti  locali),  e' invero da tempo previsto dalla legislazione
relativa  all'elezione  dei  sindaci  e dei presidenti delle province
(questa  normativa  -  come  ben  noto - in realta' risale alla legge
25 marzo  1993,  n. 81  recante  «Elezione  diretta  del sindaco, del
presidente della provincia, del consigliere comunale, del consigliere
provinciale»), e ha preceduto largamente la legge costituzionale n. 1
del  1999,  rispetto  alla  quale  anzi  ha sicuramente costituito un
importante modello di riferimento.
    Mentre  senza  dubhbio  non  equivale ad un sistema elettorale di
tipo  diretto  ogni  meccanismo  elettorale  di stabilizzazione delle
maggioranze  di  governo  o  anche di mera indicazione come capolista
nella  scheda elettorale del massimo esponente politico della lista o
dello   schieramento  politico,  il  sistema  elettorale  configurato
dall'art. 5  della  legge  costituzionale  n. 1 del 1999 disciplinano
certamente una forma di «elezione diretta del presidente della giunta
regionale»    (come    appunto   recita   il   titolo   della   legge
costituzionale).
    Cio',  in  primo  luogo,  attraverso  la previsione di una futura
«normale»  forma  di  governo  espressa  sinteticamente con le parole
«presidente eletto a suffragio universale e diretto» e caratterizzata
dall'attribuzione  ad  esso  di forti e tipici poteri per la gestione
unitaria  dell'indirizzo  politico  e  amministrativo  della  regione
(nomina  e  revoca  dei componenti della giunta, potere di dimettersi
facendo  automaticamente  sciogliere  sia  la giunta che il consiglio
regionale); in secondo luogo, attraverso la analitica disciplina - in
via  transitoria,  in  stretto  parallelismo  e  per la prima volta a
livello  regionale  -  di  un tipo di elezione diretta del presidente
della  giunta,  con  la  previsione  dell'elezione del candidato che,
inserito  a  capo di una lista elettorale, consegua il maggior numero
dei  voti  a  livello regionale e con il riconoscimento al presidente
eletto  degli  identici  poteri  previsti  dagli articoli 122, quinto
comma, e 126, terzo comma, della Costituzione.
    Tale scelta per una radicale semplificazione del sistema politico
a   livello  regionale  e  per  la  unificazione  dello  schieramento
maggioritario  intorno  alla  figura del presidente della giunta, pur
imposta  temporaneamente  al  sistema  politico  regionale  ed  anche
indicata  come  «normale» possibilita' di assetto istituzionale, puo'
essere   pero'   legittimamente   sostituita   da  altri  modelli  di
organizzazione   dei   rapporti  fra  corpo  elettorale,  consiglieri
regionali  e  presidente  della  giunta,  che in sede di elaborazione
statutaria   possano   essere   considerati   piu'  idonei  a  meglio
rappresentare  le diverse realta' sociali e territoriali delle nostre
regioni  o  anche  piu' adatti per alcuni sistemi politici regionali.
Peraltro,  questa  possibilita' di optare per uno dei tanti possibili
modelli   diversi   di   forme   di  governo  regionali  non  fondate
sull'elezione diretta del presidente della giunta trova un limite del
tutto   evidente   nella   volonta'   del  legislatore  di  revisione
costituzionale di prevedere ipotesi di elezione diretta nel solo caso
del  presidente  della giunta, al cui ruolo personale di mantenimento
dell'unita'  dell'indirizzo  politico  e amministrativo si conferisce
ampio  credito,  tanto  da  affidargli,  come accennato, anche alcuni
decisivi poteri politici.
    Cio'  sembra  pienamente condiviso dalla stessa Regione Calabria,
che  infatti  sostiene di aver fatto una scelta istituzionale diversa
da   quella  della  elezione  a  suffragio  diretto  del  presidente,
fondamentalmente  perche'  l'immissione nell'ufficio di presidente (e
di vice presidente) avverrebbe solo dopo il voto del consiglio e solo
in ragione di esso, mentre l'approvazione consiliare del programma di
governo   instaurerebbe  tra  presidente  della  giunta  e  consiglio
regionale un rapporto politico diverso rispetto a quello che consegue
all'elezione  a  suffragio  universale e diretto. Per tali ragioni la
difesa  della resistente giunge ad asserire che «lo statuto calabrese
si  muove (...) nell'ambito della forma di governo parlamentare con i
correttivi  che l'evoluzione recente del sistema politico italiano ha
prodotto».
    Peraltro,  non  puo'  non  notarsi  che  il  sistema  configurato
nell'art. 33  del testo statutario appare invece caratterizzato da un
meccanismo  di  elezione diretta del presidente e del vice presidente
della  giunta,  del  tutto  analogo a quello disciplinato per il solo
presidente  dall'art. 5  della  legge  cost.  n. 1 del 1999, salva la
diversita'  che  la  preposizione  alla carica consegue non alla mera
proclamazione dei risultati elettorali, ma alla «nomina» da parte del
consiglio regionale; questa diversita' appare tuttavia essenzialmente
formale se si considera che, ai sensi del secondo comma dell'art. 33,
il  consiglio regionale procede «sulla base dell'investitura popolare
espressa  dagli  elettori,  nella sua prima seduta» e che «la mancata
nomina  del  presidente  e  del  vice  presidente  indicati dal corpo
elettorale  comporta  lo  scioglimento del consiglio regionale». Cio'
porta  a ritenere che il consiglio regionale sia anche giuridicamente
vincolato ad uniformarsi alla scelta compiuta dal corpo elettorale, a
pena del suo stesso scioglimento.
    Al tempo stesso, diversamente da quanto normalmente accade quando
si  conferisce  un  potere  di  nomina,  per  l'art. 33  nessun altro
consigliere eletto puo' essere nominato presidente o vice presidente:
cio'  conferma che ci si trova dinanzi ad un procedimento di elezione
diretta  del presidente e del vice presidente, solo mascherato da una
sorta   di   obbligatoria  «presa  d'atto»  da  parte  del  consiglio
regionale.
    Non  a  caso,  al  presidente  «nominato»  restano  alcuni  degli
speciali  poteri  attribuiti  dalla Costituzione al presidente eletto
(nomina  e  revoca  dei  componenti  della  giunta,  scioglimento del
consiglio  regionale  se  viene  adottata una mozione di sfiducia nei
suoi  riguardi), mentre gli vengono sottratti i poteri di produrre lo
scioglimento  del  consiglio  nei  casi  in  cui  si verifichi la sua
«rimozione,  l'impedimento  permanente,  la  morte  o  le  dimissioni
volontarie»   (per   citare  l'elencazione  di  cui  al  terzo  comma
dell'art. 126 della Costituzione).
    In  particolare,  l'eliminazione del potere presidenziale di fare
eventualmente   venir   meno,   tramite  le  proprie  dimissioni,  la
permanenza   in  carica  dello  stesso  consiglio  regionale,  riduce
radicalmente  i suoi poteri di indirizzo, laddove il vice presidente,
ne   puo'  disporre  ove  subentri  nella  presidenza.  Ad  ulteriore
rafforzamento  di  quest'ultima  figura,  che  appare  tutt'altro che
marginale  nel  testo  statutario  malgrado  che  non risulti fra gli
organi  regionali necessari di cui al primo comma dell'art. 121 della
Costituzione,  vi  e'  inoltre  da  considerare  che  la «mozione sul
programma  di  governo»  (di  cui  al  secondo comma dell'art. 33) e'
presentata  al  consiglio  regionale  sia dal presidente che dal vice
presidente.
    Se si aggiunge che nel sistema dello statuto calabrese deliberato
dal   consiglio  regionale  il  presidente  non  puo'  nemmeno  porre
autonomamente  la  questione  di  fiducia  (cosi' l'art. 34, comma 1,
lettera f),  dal  momento che deve previamente conseguire il consenso
della  giunta su questa iniziativa, ne emerge una figura politica dai
poteri  sostanzialmente  ridotti  rispetto  a quelli attribuiti dalla
Costituzione al presidente «eletto a suffragio universale e diretto».
    Sul  punto  puo'  quindi  concludersi  che il sistema configurato
dall'art. 33   della  delibera  legislativa  concernente  lo  statuto
calabrese   consiste   sostanzialmente  nella  elezione  diretta  del
presidente  e  del vice presidente, in violazione degli articoli 122,
quinto  comma, della Costituzione a causa dell'elezione diretta anche
del  vice  presidente e 126, terzo comma, della Costituzione, a causa
della  riduzione  dei  poteri  del  presidente  della giunta eletto a
suffragio  universale  e  diretto.  Al  tempo  stesso, il primo comma
dell'art. 33,  prescrivendo  analiticamente  che  «i  candidati  alle
cariche  di  presidente  e  di vice presidente della giunta regionale
sono  indicati  sulla scheda elettorale e sono votati contestualmente
agli altri componenti del consiglio regionale», invade in modo palese
l'area  legislativa  riservata  dal  primo  comma dell'art. 122 della
Cost.  alla «legge della regione nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti con legge della Repubblica»; potrebbe anche aggiungersi che
comunque  e'  inesistente  nella  legislazione  vigente  un principio
fondamentale   che  ammetta  una  duplice  candidatura  «a  suffragio
universale e diretto».
    5.  -  La dichiarazione di illegittimita' costituzionale, sotto i
profili  indicati,  dell'art. 33,  commi 1,  2,  3,  4,  5 e 7, della
delibera  legislativa  in  questione comporta che essa sia estesa, ai
sensi  dell'art. 27  della  legge  11 marzo 1953, n. 87, all'art. 15,
all'art. 16,  comma 2, lettere a) e b), nonche' all'art. 38, comma 1,
lettera c),  della  medesima  delibera  legislativa, che disciplinano
alcune  fasi  ulteriori  dei  procedimenti di cui all'art. 33 o fanno
esplicito riferimento agli istituti ivi previsti.
    Secondo   la   giurisprudenza   di   questa  Corte,  infatti,  la
dichiarazione  di illegittimita' conseguenziale puo' essere applicata
anche  ai  giudizi in via principale (sentenze n. 20 del 2000, n. 441
del 1994 e n. 34 del 1961), in quanto esprime un principio di diritto
processuale  che  e'  valido  per  tutte le questioni di legittimita'
costituzionale  previste dal Capo II della predetta legge n. 87, come
si desume anche dalla dizione letterale del citato art. 27.
    6.  -  Occorre affrontare, a questo punto, la richiesta, avanzata
in via subordinata dalla regione resistente, che questa Corte sollevi
dinnanzi   a   se'   la  «questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 126,  comma 3,  della  Costituzione,  per  violazione degli
articoli 3,  97,  123, 92 e 94 della Costituzione» e, in particolare,
del  principio del parlamentarismo che ne sarebbe deducibile, secondo
il quale un'assemblea elettiva non potrebbe essere sciolta per eventi
accidentali in permanenza del rapporto fiduciario.
    La   regione   sostiene   la  richiesta  sulla  base  della  nota
giurisprudenza  di  questa Corte, che ha riconosciuto la possibilita'
di   sottoporre   a   giudizio   di   costituzionalita'  anche  leggi
costituzionali che siano ritenute confliggenti con i principi supremi
del nostro ordinamento costituzionale (sentenza n. 1146 del 1988).
    Non occorre in questa sede considerare che la Regione Calabria ha
prospettato   un   dubbio   di   costituzionalita'  relativo  ad  una
disposizione  facente  parte  del  testo  costituzionale (l'art. 126,
terzo comma), anziche' della disposizione contenuta nell'art. 4 della
legge costituzionale n. 1 del 1999, sostitutiva del testo precedente.
    Peraltro,  la  questione  che  si  chiede  di  sollevare  risulta
manifestamente infondata, dal momento che non solo la stessa forma di
governo  di tipo parlamentare non sembra costituire in quanto tale un
principio  organizzativo  immodificabile  del  sistema costituzionale
statale,   ma   lo   stesso   titolo  V  della  Costituzione  prevede
esplicitamente  la possibilita' di diverse forme di governo a livello
regionale,  per  di  piu'  espressamente  caratterizzandone quella in
certa  misura  «normale»,  salva  diversa  volonta'  espressa tramite
apposite disposizioni statutarie difformi, con l'elezione diretta del
presidente  della giunta. Di certo in sistemi istituzionali nei quali
anche  il  vertice  dell'esecutivo  sia eletto direttamente dal corpo
elettorale  non  sussiste  il tradizionale rapporto fiduciario con il
consiglio  rappresentativo dell'intero corpo elettorale, tanto che in
assetti  istituzionali del genere appare tutt'altro che irragionevole
che   l'organo  monocratico  eletto  disponga  anche  del  potere  di
dimettersi  trascinando  con  se'  l'intero sistema delle istituzioni
rappresentative,   evidentemente   ove  valuti  come  irraggiungibile
l'attuazione  del programma di governo sulla cui base e' stato eletto
(e  sicuramente una impegnativa scelta politica del genere non appare
annoverabile  fra  gli «eventi accidentali», come invece asserisce la
difesa regionale).
    7.  -  Le  censure di illegittimita' costituzionale relative agli
articoli 34, comma 1, lettera i), e 43, comma 2, sono infondate.
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto occasione di affermare che la mera
abrogazione, ad opera dell'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del
1999,  nel  testo  dell'art. 121  della Costituzione della precedente
disposizione   che   attribuiva   necessariamente  l'esercizio  della
funzione  regolamentare  al  consiglio  regionale  -  mentre non sono
rinvenibili norme esplicite od anche implicite che limitino sul punto
la  discrezionalita'  statutaria  - affida pienamente allo statuto la
disciplina   di   tale  funzione,  che  puo'  essere  anche  alquanto
articolata,  a seconda delle diverse tipologie di fonti regolamentari
(sentenze n. 313 e n. 324 del 2003).
    Su  questo  piano  l'art. 43  dello  statuto calabrese disciplina
diversi  tipi  di  regolamenti  regionali,  per lo piu' attribuendone
l'adozione  alla  giunta,  salvo appunto gli speciali regolamenti «di
attuazione  e  di  integrazione in materia di legislazione esclusiva»
dello  Stato  che  da  questo  siano  stati  delegati  alle  regioni:
attribuzione   al  consiglio  regionale  che  appare  tutt'altro  che
irragionevole,  in  considerazione della probabile maggiore rilevanza
di  questa  ipotetica normazione secondaria regionale di attuazione o
integrazione della legislazione esclusiva statale (e cio' anche al di
la'  della  specifica  particolare  importanza  dell'una o dell'altra
materia).
    8.   -  Le  censure  di  illegittimita'  costituzionale  relative
all'art. 38, comma 1, lettere a) ed e), sono fondate.
    Il  primo  comma  dell'art. 122  della Costituzione determina, in
parte esplicitamente ma in parte implicitamente, un complesso riparto
della  materia  elettorale  fra  le diverse fonti normative statali e
regionali.
    Anzitutto  dispone  che  la  legge  della Repubblica stabilisce i
principi   fondamentali  in  tema  di  «sistema  di  elezione»  e  di
determinazione dei «casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del
presidente  e  degli altri componenti della giunta regionale, nonche'
dei  consiglieri  regionali»;  e  sui medesimi temi viene al contempo
riconosciuta  una  competenza  del legislatore regionale per tutta la
parte residua.
    Inoltre, lo stesso primo comma dell'art. 122 prevede che la legge
statale  «stabilisce  anche  la  durata  degli organi elettivi» ed in
questo caso sembra trattarsi di una competenza legislativa piena.
    In  questo  quadro  la fonte statutaria e' chiamata a svolgere un
ruolo  necessariamente  ridotto,  seppur significativo: questa stessa
Corte,  ad esempio, ha riconosciuto che spetta allo statuto regionale
«la  disciplina  della  eventuale  prorogatio  degli  organi elettivi
regionali  dopo  la  loro  scadenza  o scioglimento o dimissioni», in
quanto   istituto   che   «riguarda   solo   l'esercizio  dei  poteri
nell'intervallo  fra  la  scadenza,  naturale  o  anticipata, di tale
mandato,  e  l'entrata  in  carica del nuovo organo eletto» (sentenza
n. 196 del 2003). Ma poi, piu' in generale, sono le scelte statutarie
in  tema  di  fonti  normative  (come,  ad  esempio, la prescrizione,
inserita   proprio   nel  primo  comma  dell'art. 38,  che  la  legge
elettorale regionale debba essere approvata a maggioranza assoluta) e
di forma di governo regionale che possono indirettamente condizionare
la legislazione elettorale regionale.
    A  questo  proposito,  peraltro, occorre prendere atto che non si
puo'  pretendere,  in  nome  della  competenza  statutaria in tema di
«forma  di  governo»,  di  disciplinare la materia elettorale tramite
disposizioni statutarie, dal momento che il primo comma dell'art. 123
ed   il   primo   comma  dell'art. 122  sono  disposizioni  tra  loro
pariordinate:  anche  se sul piano concettuale puo' sostenersi che la
determinazione  della  forma di governo puo' (o addirittura dovrebbe)
comprendere  la  legislazione  elettorale, occorre prendere atto che,
invece, sul piano della Costituzione vigente, la potesta' legislativa
elettorale  e'  stata  attribuita ad organi ed a procedure diverse da
quelli preposti alla adozione dello statuto regionale e che quindi lo
statuto  regionale  non  puo'  disciplinare  direttamente  la materia
elettorale  o  addirittura contraddire la disposizione costituzionale
che prevede questa speciale competenza legislativa.
    Anzi,  il  fatto che la legge statale e' chiamata a determinare i
principi   fondamentali   nelle   materie   di  cui  al  primo  comma
dell'art. 122  della  Costituzione  inevitabilmente  riduce la stessa
possibilita'  della fonte statutaria di indirizzare l'esercizio della
potesta' legislativa regionale in queste stesse materie.
    Sono  quindi  inammissibili  norme  statutarie  che  - come nella
lettera a)  del  primo comma dell'art. 38 - determinino direttamente,
almeno  in  parte,  il  sistema  di elezione che dovra' invece essere
disciplinato  dalla  legge  o  che  - come nella lettera e) del primo
comma  dell'art. 38  -  determinino  in  modo diverso dal primo comma
dell'art. 122  della  Costituzione,  sia  sul piano soggettivo che su
quello  oggettivo,  quanto dovra' essere disciplinato dal legislatore
regionale   sulla   base  dei  principi  fondamentali  stabiliti  dal
legislatore statale.
    9.   -  La  censura  di  illegittimita'  costituzionale  relativa
all'art. 50, comma 5, e' infondata.
    Il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri  impugna  tale
disposizione  dello statuto solo «nella parte in cui attribuisce alla
potesta'  statutaria,  legislativa  e  regolamentare della regione la
disciplina  del  regime  contrattuale  dei dirigenti», poiche' in tal
modo  riconoscerebbe  alla  regione  stessa competenze riservate allo
Stato  ai  sensi  dell'art. 117,  comma  secondo,  lettera l),  della
Costituzione  (materia  «ordinamento civile»), atteso che gli aspetti
fondamentali  del rapporto di lavoro privato e quindi del rapporto di
lavoro  pubblico,  oltre  che  la  disciplina del rapporto sindacale,
rientrerebbero nella nozione di «diritto civile».
    La Regione Calabria riconosce in modo espresso che sicuramente la
disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, quella contenuta nelle
leggi  civili, puo' essere attratta alla competenza legislativa dello
Stato  nell'ambito  della  materia «ordinamento civile»; peraltro, la
resistente  sostiene  che andrebbe escluso che a questa materia siano
riconducibili  le  procedure  e  le  modalita'  della  contrattazione
collettiva,   da   ritenersi   riservate   all'autonomia  degli  enti
direttamente interessati. In ogni caso - sempre secondo la resistente
-  gia'  oggi parte della contrattazione collettiva si svolge in sede
regionale  ed  in  ambito  locale. La norma statutaria si limiterebbe
quindi a richiamare questa realta', e cioe' che la regione disciplina
con   provvedimenti   normativi   il   regime   procedimentale  della
contrattazione con i propri dirigenti, ovviamente per la parte di sua
competenza;  ma  anche  se  si affermasse la contrattazione a livello
nazionale  dei  dirigenti  regionali,  «la  norma  manterrebbe la sua
validita'  relativamente  agli  aspetti della disciplina contrattuale
che restano affidati alla competenza regionale».
    Una interpretazione del genere della disposizione statutaria deve
essere  considerata  non implausibile e compatibile con la disciplina
costituzionale, nonche' con la stessa legislazione statale vigente in
materia  di  ordinamento  della  dirigenza  pubblica; se, infatti, la
intervenuta  privatizzazione  e  contrattualizzazione del rapporto di
lavoro dei dirigenti pubblici vincola anche le regioni (da ultimo, le
sentenze  n. 314  e  n. 274  del  2003), le quali pur sono dotate, ai
sensi  del  quarto  comma dell'art. 117 della Costituzione, di poteri
legislativi  propri  in  tema  di  organizzazione amministrativa e di
ordinamento  del personale, deve rilevarsi che la stessa legislazione
statale  in  materia  di ordinamento della dirigenza non esclude una,
seppur  ridotta,  competenza  normativa  regionale  in  materia,  dal
momento  che  anzi  prevede  espressamente  che «le regioni a statuto
ordinario,   nell'esercizio   della   propria   potesta'  statutaria,
legislativa  e regolamentare (...) adeguano ai principi dell'art. 4 e
del  presente Capo i propri ordinamenti, tenendo conto delle relative
peculiarita'  (...)»  art. 27,  primo  comma, del decreto legislativo
30 marzo  2001,  n. 165  (Norme  generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).
    10.  -  La  censura  di  illegittimita'  costituzionale  relativa
all'art. 51 e' infondata.
    Il  Presidente del Consiglio dei ministri impugna l'art. 51 dello
statuto solo perche', «disciplinando la potesta' normativa tributaria
della  regione, statuisce su materie che non rientrano tra quelle che
l'art. 123  della  Costituzione attribuisce agli statuti regionali, e
che  consistono nella forma di governo e nei principi fondamentali di
organizzazione  e  funzionamento»,  e  violerebbe  l'art. 123,  primo
comma, della Costituzione.
    Una  tesi  del  genere,  nella sua perentorieta', non puo' essere
condivisa,  dal  momento  che  la  riflessione dottrinale e la stessa
giurisprudenza  di  questa  Corte (cfr. ad esempio, sentenze n. 921 e
n. 829 del 1988) riconoscono da tempo la legittimita' dell'esistenza,
accanto  ai  contenuti  necessari  degli  statuti regionali, di altri
possibili  contenuti,  sia che risultino ricognitivi delle funzioni e
dei  compiti  della  regione,  sia  che indichino aree di prioritario
intervento   politico   o   legislativo   (tra   l'altro,  non  poche
disposizioni  del  genere sono presenti nello statuto calabrese e non
sono  state  impugnate);  contenuti  ulteriori  dei  quali  semmai e'
opinabile  la  misura  dell'efficacia  giuridica (sentenza n. 171 del
1999).
    Peraltro i riferimenti a tale potesta' contenuti nell'art. 51 non
vanno  oltre  una  parafrasi  di  quanto contenuto nei commi secondo,
terzo  e  quinto dell'art. 119, nonche' nel comma primo dell'art. 120
della Costituzione.