ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
del  decreto  legislativo  25 luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla  condizione  dello  straniero), aggiunto dall'art. 13, comma 1,
della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla normativa in
materia  di  immigrazione  e  di  asilo),  promossi con ordinanze del
29 novembre 2002 dal Tribunale di Ferrara e del 14 gennaio 2003 (n. 5
ordd.)  dal  Tribunale  di Torino rispettivamente iscritte ai nn. 99,
184,  185,  186,  187  e 248 del registro ordinanze 2003 e pubblicate
nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 11, 15 e 19, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 15 ottobre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1.1.  -  Con ordinanza emessa il 29 novembre 2002 il Tribunale di
Ferrara  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 24  e  25 della
Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma 5-ter,  del  decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo
unico  delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello straniero), aggiunto dall'art. 13,
comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa
in  materia  di  immigrazione e di asilo), nella parte in cui punisce
con  l'arresto  da  sei  mesi  ad  un  anno  lo straniero che, «senza
giustificato  motivo»,  si  trattiene  nel  territorio dello Stato in
violazione   dell'ordine   impartito   dal   questore  ai  sensi  del
comma 5-bis del medesimo articolo.
    Il giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere investito
del    processo   penale   nei   confronti   di   quattro   stranieri
extracomunitari,  imputati del reato di cui all'art. 14, comma 5-ter,
del d.lgs. n. 286 del 1998 per essersi trattenuti, senza giustificato
motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine, ad essi
impartito   dal  questore  ai  sensi  del  comma 5-bis  dello  stesso
articolo,  di  lasciare  detto  territorio entro il termine di cinque
giorni.
    Ad  avviso  del  rimettente,  la  norma  impugnata  violerebbe il
principio   di   tassativita'   della   fattispecie   penale  sancito
dall'art. 25 Cost., in quanto la formula «senza giustificato motivo»,
che  descrive  uno  degli elementi costitutivi dell'ipotesi criminosa
contestata,  risulterebbe  talmente  indeterminata  da  rimettere, in
sostanza,    all'arbitrio   dell'interprete   l'identificazione   del
comportamento incriminato.
    Il  legislatore  penale,  in  effetti,  potrebbe  far ricorso «ad
espressioni  indicative  di  comuni  esperienze o a termini presi dal
linguaggio  comunemente  usato»,  giacche'  il principio di legalita'
stabilito  dall'art. 25, secondo comma, Cost. non imporrebbe «in ogni
caso  una  rigorosa  descrizione  del fatto», ma con il limite che il
contenuto  precettivo della norma penale resti comunque comprensibile
sulla  base  dell'interpretazione  della  disciplina  specifica ed in
relazione  ai fini che la legge si propone. Nella specie, per contro,
il  significato  della  locuzione  «senza  giustificato  motivo»  non
sarebbe in alcun modo desumibile ne' dall'articolo denunciato e dalla
disciplina  in  cui  esso  si  iscrive,  ne'  dalle  finalita' che la
disciplina stessa si prefigge. Se, infatti, l'obiettivo perseguito e'
la  tutela  dell'ordine  pubblico  ed il rafforzamento dell'ordine di
espulsione,  da  cio'  solo non si potrebbe dedurre quando ricorra un
giustificato  motivo di permanenza dello straniero espulso, posto che
il   raffronto  con  beni  costituzionali  che  riguardano  anche  lo
straniero  - quali il diritto alla vita, alla salute, alla famiglia o
al  lavoro  - offrirebbe ipotesi interpretative talmente ampie da non
potersi porre come «argine ermeneutico».
    Sotto  tale  aspetto,  sarebbe  significativo  il raffronto della
norma incriminatrice denunciata con quella di cui all'art. 4, secondo
comma,  della  legge  18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della
disciplina  vigente  per  il  controllo delle armi, delle munizioni e
degli  esplosivi),  nella  quale  l'espressione  «senza  giustificato
motivo»  parimenti compare, relativamente all'ipotesi del porto fuori
della  propria  abitazione  di  strumenti  da  punta  o  da taglio, o
comunque  atti  ad  offendere.  In  quest'ultimo  caso,  difatti, dal
contesto  stesso della disposizione incriminatrice sarebbe desumibile
che  il  «giustificato  motivo»  deve  essere  tale  da  escludere la
finalita'  di  offesa alla persona, tenuto conto delle circostanze di
tempo e di luogo in cui il porto dello strumento avviene.
    La  norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con il diritto
di   difesa,   sancito   dall'art. 24,  secondo  comma,  Cost.:  essa
riverserebbe,  difatti,  sullo  straniero destinatario dell'ordine di
allontanamento    -    arrestato   obbligatoriamente   (ex   art. 14,
comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998) in quanto si trovi nel
territorio  nazionale - l'onere di dare giustificazione della propria
permanenza,  senza  peraltro  che egli sia in grado di conoscere cosa
possa   giustificarla   e   quindi  di  addurre  prove,  proprio  per
l'indeterminatezza della fattispecie.
    La  questione  sarebbe  rilevante, infine, nel giudizio a quo, in
quanto,  per  poter  fare  applicazione della norma incriminatrice in
parola, il giudice dovrebbe, in ogni caso, preventivamente stabilirne
la  portata  precettiva:  e  cio' indipendentemente dal fatto che gli
imputati  abbiano o meno addotto un motivo di permanenza (nel caso di
specie,  non  aver  trovato lavoro nei tempi ristretti concessi dalla
legge).
    1.2.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata non fondata.
    Ad  avviso  della  difesa  erariale,  l'argomento  di  fondo  che
sostiene l'ordinanza di rimessione non sarebbe convincente, avendo il
legislatore  stabilito, anche se con distinti provvedimenti, in quali
ipotesi il diritto al lavoro ed alla famiglia giustifichi la presenza
dello straniero extracomunitario nel territorio dello Stato.
    Non  sarebbe  dunque  corretto  affermare  che la norma in esame,
anche  alla  luce  del  generale  contesto normativo, non consenta al
giudice l'ordinaria funzione interpretativa e all'imputato la propria
difesa:  e  cio'  senza  considerare  che - come lo stesso rimettente
ricorda   -   l'utilizzazione  nel  precetto  penale  di  espressioni
indicative  di  comuni  esperienze, o di termini presi dal linguaggio
comune,  e'  stata  ritenuta  piu'  volte  compatibile con i precetti
costituzionali.
    2.1.  -  Con ordinanza emessa il 14 gennaio 2003, nel corso di un
processo  penale  nei  confronti  di  uno  straniero extracomunitario
parimenti  imputato  del  reato  di  trattenimento senza giustificato
motivo  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione dell'ordine del
questore,   il   Tribunale   di  Torino  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  del  medesimo art. 14, comma 5-ter, del
d.lgs.  n. 286 del 1998 in riferimento agli artt. 2, 3, 27 e 97 della
Costituzione.
    Il rimettente osserva come, alla stregua dell'iter amministrativo
prefigurato  per  le  ipotesi  considerate,  l'ordine del questore di
lasciare il territorio dello Stato, penalmente sanzionato dalla norma
impugnata, venga impartito quando siano decorsi sessanta giorni senza
che sia stato possibile eseguire il provvedimento di espulsione dello
straniero:  in  sostanza,  ove  non  si possa trattenere lo straniero
presso un centro di permanenza temporanea e non si sia riusciti - per
i piu' diversi motivi (quali l'impossibilita' di munire l'interessato
di  valido  documento, o la mancanza di disponibilita' economiche per
dotare  tutti i destinatari della norma di biglietto di viaggio) - ad
eseguire   l'espulsione,  ci  si  affiderebbe  alla  «buona  volonta'
dell'extracomunitario»,   punendolo   peraltro  con  sanzione  penale
qualora   disattenda   l'ordine   di  allontanamento.  Nella  pratica
operativa,  d'altra  parte  -  prosegue il giudice a quo - quella che
dovrebbe  costituire  l'eccezione  sarebbe  divenuta  la  regola, non
tentandosi   neppure,   nella   generalita'  di  casi,  di  procedere
preliminarmente all'espulsione con mezzi dello Stato.
    In  tale  prospettiva, la norma impugnata violerebbe, quindi, gli
artt. 2,  3,  27  e 97 Cost., sotto i profili, rispettivamente, della
«mancanza  di solidarieta' sociale ed economica», della disparita' di
trattamento, dell'introduzione di casi di responsabilita' oggettiva e
del  contrasto  con  il  principio  di  buon andamento della pubblica
amministrazione.
    La  condotta  imposta  allo  straniero,  infatti, risulterebbe in
concreto  «inesigibile»,  richiedendosi in pratica ad un soggetto che
normalmente  versa in condizioni di indigenza di munirsi di biglietto
di  viaggio  e di documenti nel termine di soli cinque giorni, quando
nemmeno   lo  Stato,  in  un  termine  assai  piu'  ampio  e  con  la
possibilita',  almeno  teorica,  «di  superare  tutta  una  serie  di
barriere  burocratiche», e' riuscito a dare esecuzione al «precetto».
Risulterebbe  introdotta,  in  tal  modo, in violazione dell'art. 27,
primo  comma,  Cost.,  una  ipotesi  di responsabilita' oggettiva: lo
straniero  che,  nonostante  tutto, volesse eseguire l'ordine per non
incorrere  nella  sanzione penale, non avrebbe altro mezzo che quello
di   commettere   ulteriori   illeciti,  quali  l'attraversare  Stati
confinanti  regolati  dal  trattato  di  Schengen  senza  documenti o
approfittare clandestinamente di un vettore.
    D'altro canto, se la norma dovesse essere intesa nel senso che lo
straniero,  una volta arrestato, puo' utilmente dimostrare al giudice
di  essersi  trovato nell'impossibilita' di eseguire l'ordine, per un
verso  il  precetto  «si  svuoterebbe di contenuto», risultando detta
situazione  di  impossibilita'  assolutamente comune; e, per un altro
verso,  si  verrebbe a sancire un'irragionevole inversione dell'onere
della prova a carico dell'imputato.
    L'attuazione  della norma in esame, da ultimo, sarebbe fonte - in
contrasto  con  il principio di cui all'art. 97, primo comma, Cost. -
di  un  rilevante  aggravio per gli uffici giudiziari, con i connessi
costi  attinenti  all'assistenza  giudiziaria,  al traduttore ed alle
scorte.
    2.2. -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione  sia  dichiarata non fondata, riportandosi alle difese gia'
spiegate in rapporto ad analoghe questioni.
    3.1. -  La  disposizione  di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter, del
d.lgs.  n. 286 del 1998 e' stata ulteriormente sottoposta a scrutinio
di  costituzionalita', in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e
24,  secondo  comma,  della Costituzione, dal Tribunale di Torino con
quattro  ordinanze  di  identico  tenore,  emesse  il 14 gennaio 2003
nell'ambito  di  altrettanti processi penali nei confronti di persone
imputate del reato previsto dalla norma impugnata.
    Il  giudice  a  quo  premette  che  -  alla stregua della vigente
disciplina  legislativa  dell'espulsione  dello  straniero, a seguito
delle  modifiche  apportate  al  d.lgs.  n. 286  del 1998 dalla legge
n. 189  del  2002;  e  prescindendo  da  prassi  operative  con  essa
contrastanti,  che  pure  il rimettente assume diffuse - l'espulsione
amministrativa  disposta dal prefetto deve essere sempre eseguita dal
questore  tramite  accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza
pubblica, ad eccezione del caso in cui il provvedimento consegua alla
scadenza  da  piu' di sessanta giorni del permesso di soggiorno dello
straniero,  senza  che  ne  sia  stato  chiesto  il rinnovo (art. 13,
commi 4 e 5, del d.lgs. n. 286 del 1998).
    Il  comma 1  del  successivo art. 14 prevede, peraltro, in via di
eccezione  a  tale  regola,  che quando non e' possibile eseguire con
immediatezza  l'espulsione  -  perche'  occorre procedere al soccorso
dello  straniero, ad accertamenti supplementari sulla sua identita' o
nazionalita',  o all'acquisizione di documenti di viaggio; ovvero per
l'indisponibilita' di un vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo
-  il  questore  dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo
strettamente  necessario  presso il centro di permanenza temporanea e
assistenza  piu'  vicino,  tra  quelli  individuati  o costituiti con
apposito decreto ministeriale.
    Il  comma 5-bis  del  medesimo  art. 14  introduce,  a sua volta,
un'«eccezione  all'eccezione»,  stabilendo  che  quando non sia stato
possibile  trattenere  lo  straniero  presso  un centro di permanenza
temporanea,  ovvero siano trascorsi i termini massimi di permanenza -
suscettibili   di  arrivare  sino  a  sessanta  giorni  -  senza  che
l'espulsione sia stata eseguita, il questore ordina con provvedimento
scritto allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il
termine di cinque giorni.
    A  tale  disposizione si correla la norma sanzionatoria di cui al
comma 5-ter dell'art. 14, oggetto di censura, in forza della quale lo
straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio
dello  Stato  in  violazione  dell'ordine  del questore e' punito con
l'arresto da sei mesi ad un anno.
    Ad avviso del rimettente, la fattispecie penale cosi' delineata -
fattispecie  che,  quantunque la condotta incriminata venga descritta
in  forma  apparentemente  commissiva («si trattiene»), ha in realta'
carattere   omissivo,   concretandosi   propriamente   nella  mancata
ottemperanza  all'ordine  di allontanamento - risulterebbe carente di
determinatezza.  Se, infatti, alla stregua delle previsioni di legge,
l'ordine  di  allontanamento  viene impartito solo in quanto vi siano
difficolta'  tali  da  impedire  l'accompagnamento  alla  frontiera -
difficolta'  a  fronte  delle  quali o non si interviene affatto, per
l'impossibilita'   di   trattenere  lo  straniero  in  un  centro  di
permanenza;   o  non  si  procede  all'espulsione,  pur  dopo  averlo
trattenuto per il tempo consentito (il che implica che le difficolta'
permangano)  -  non  si comprenderebbe quale condotta dovrebbe tenere
nei  cinque  giorni  successivi il destinatario dell'ordine, il quale
versa  nella stessa situazione di grave difficolta' presupposta dalla
norma  (per  mancanza di documenti di riconoscimento o di viaggio, di
denaro,  o  per  analoghe  ragioni),  onde evitare di incorrere nella
sanzione penale.
    In  tal ottica, il precetto penale censurato risulterebbe persino
piu'  generico  di quello dell'art. 7-bis, comma 1, del decreto-legge
30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico,
di   ingresso   e   soggiorno  dei  cittadini  extracomunitari  e  di
regolarizzazione   dei  cittadini  extracomunitari  ed  apolidi  gia'
presenti  nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni,
in   legge   28 febbraio  1990,  n. 39  -  aggiunto  dall'art. 8  del
decreto-legge  14  giugno 1993,  n. 187  (Nuove  misure in materia di
trattamento  penitenziario,  nonche'  sull'espulsione  dei  cittadini
stranieri),  convertito,  con modificazioni, in legge 12 agosto 1993,
n. 296  -  il  quale  puniva  lo  straniero che non si adoperasse per
ottenere  dalla  competente  autorita'  diplomatica  o  consolare  il
rilascio  del  documento  di  viaggio occorrente per l'esecuzione del
provvedimento  di  espulsione:  norma  dichiarata incostituzionale da
questa Corte con sentenza n. 34 del 1995 per violazione del principio
di  legalita' di cui al secondo comma dell'art. 25 Cost., sul rilievo
che  neppure  la  valorizzazione  dell'elemento finalistico («... per
ottenere  il rilascio del documento») risultava nella specie idonea a
delimitare  e  specificare la condotta dell'«adoperarsi», dato che la
natura   omissiva  del  reato  non  consentiva  di  prestabilire  una
relazione causale tra condotta e finalita'.
    La   diversa   tecnica   descrittiva   seguita   dal  legislatore
nell'ipotesi oggi in esame - consistente nell'individuare la condotta
repressa  non  piu' nell'omissione di un comportamento finalizzato ad
uno  scopo,  ma  direttamente  nel  risultato  finale  che si intende
evitare  («si  trattiene»),  con indicazione di un preciso termine di
adempimento  (cinque  giorni)  -  non  avrebbe  peraltro  superato il
problema,  ma  lo  avrebbe  anzi  aggravato:  giacche'  nella vecchia
disposizione, ancorche' in modo indeterminato, era comunque stabilito
che  ci si dovesse adoperare per ottenere il documento occorrente per
l'espulsione;  nell'attuale  situazione,  invece,  non si riuscirebbe
neppure  a  capire  che  cosa  si richieda allo straniero, per uscire
dalla  descritta  situazione  di  «grave  difficolta»  ed  evitare di
trattenersi nel territorio dello Stato oltre il termine stabilito.
    A  rendere  l'odierna  fattispecie  diversa  da quella cancellata
dalla sentenza n. 34 del 1995 non varrebbe, d'altro canto, neanche la
previsione della non punibilita' del fatto commesso in presenza di un
«giustificato  motivo»:  e  cio' per un duplice ordine di ragioni. In
primo  luogo,  dovrebbe  escludersi  che il giustificato motivo possa
coincidere  con  quelle  stesse  difficolta'  che  hanno  indotto  il
legislatore  a  prevedere una modalita' di esecuzione dell'espulsione
diversa  dall'accompagnamento alla frontiera e, quindi, l'intimazione
stessa  del  questore, posto che, in una simile prospettiva, la norma
finirebbe  per perdere ogni significato. Ma se il giustificato motivo
deve  essere  cercato  in  ragioni  diverse  da  quelle  poste a base
dell'ordine   del   questore,   diventerebbe   difficile  individuare
situazioni  idonee  ad  evitare  la  sanzione  e,  in ogni caso, esse
avrebbero  un'incidenza  concreta  del  tutto  marginale.  In secondo
luogo,   poi,  il  giustificato  motivo,  non  essendo  un  requisito
attinente  alla  condotta incriminata, non potrebbe comunque valere a
renderla  meno indeterminata: tanto piu' che non risulterebbe neppure
ben chiaro a quali situazioni esso faccia riferimento.
    Anche  qualora, peraltro, si volesse adottare una interpretazione
diversa ed «allargata» del concetto di «giustificato motivo», tale da
ricomprendere  in  esso le difficolta' esecutive che stanno alla base
dell'ordine  del  questore,  la norma impugnata resterebbe ugualmente
lesiva  dei  principi costituzionali. Infatti, da un lato, la polizia
operante  non  sarebbe  tenuta,  ne'  «qualificata» per verificare al
momento   dell'arresto   l'esistenza  del  giustificato  motivo,  con
evidenti riflessi negativi sulla liberta' personale dell'interessato;
e,  dall'altro  lato,  si  verificherebbe  una «pericolosa inversione
dell'onere   della  prova»,  in  violazione  del  diritto  di  difesa
consacrato  nell'art. 24, secondo comma, Cost.: violazione che questa
Corte  aveva  pure ravvisato nella citata sentenza n. 34 del 1995, in
rapporto  all'art. 7-bis  del  decreto-legge  n. 416  del 1989. Nella
specie,  difatti,  pur  a  fronte del mutamento del tipo di prova che
dovrebbe  essere  offerta  dallo straniero - dovendo egli dimostrare,
non  piu'  di «essersi adoperato», bensi' di «essersi trattenuto» nel
territorio   dello   Stato   per   un   «giustificato  motivo»  -  si
determinerebbe  ugualmente  la  situazione  che questa Corte aveva in
precedenza  censurato,  con  analoghe  incertezze  nel  prevedere  in
anticipo  quale  possa  essere  la  prova  sufficiente a far ritenere
soddisfatto il precetto.
    3.2.  -  E'  intervenuto,  in  tutti  i giudizi costituzionalita'
introdotti  dalle  ordinanze  da  ultimo  indicate, il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  il  quale  ha  chiesto  che la questione sia
dichiarata  non  fondata, riportandosi alle difese svolte in rapporto
ad analoghe questioni.

                       Considerato in diritto

    1.1.  -  Il  Tribunale  di  Ferrara  ed  il Tribunale di Torino -
quest'ultimo   con   cinque   distinte  ordinanze  -  dubitano  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter, del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello   straniero),   aggiunto  dall'art. 13,  comma 1,  della  legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla  normativa  in  materia di
immigrazione  e di asilo), il quale punisce con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno «lo straniero che senza giustificato motivo si trattiene
nel  territorio  dello  Stato in violazione dell'ordine impartito dal
questore  ai sensi del comma 5-bis» del medesimo articolo. Poiche' le
ordinanze  propongono  questioni  identiche  o  connesse,  i relativi
giudizi vanno riuniti per essere definiti con un'unica decisione.
    1.2.  -  L'ordinanza  del  Tribunale di Ferrara si incentra sulla
formula  «senza  giustificato  motivo»,  utilizzata nella descrizione
della fattispecie criminosa: formula che - ad avviso del rimettente -
per   la   sua   assoluta  indeterminatezza,  rimetterebbe  di  fatto
all'arbitrio   dell'interprete  l'identificazione  del  comportamento
incriminato,  ponendo  cosi'  la  norma impugnata in contrasto con il
principio   di   tassativita'   della   fattispecie  penale,  sancito
dall'art. 25 Cost.
    La  facolta', che pur compete al legislatore penale, di ricorrere
ad espressioni indicative di comuni esperienze o a termini tratti dal
linguaggio   corrente,   i  quali  non  implichino  una  «descrizione
rigorosa»  del  fatto, troverebbe infatti un limite nell'esigenza che
il   contenuto   precettivo   della   norma   penale  resti  comunque
comprensibile  alla luce della disciplina complessiva della materia e
dei  fini  che  la  legge  si  propone.  Nella  specie, viceversa, il
significato  della  locuzione «senza giustificato motivo» non sarebbe
in  alcun  modo  ricavabile  con  i  predetti  criteri:  giacche'  se
l'obiettivo  perseguito  e'  la  tutela  dell'ordine  pubblico  ed il
rafforzamento  del  provvedimento  di espulsione, da cio' solo non si
potrebbe  dedurre quando ricorra un giustificato motivo di permanenza
dello  straniero,  posto  che  il  riferimento  a beni costituzionali
riguardanti  anche  quest'ultimo  -  quali il diritto alla vita, alla
salute, alla famiglia o al lavoro - offrirebbe ipotesi interpretative
talmente ampie da non poter costituire un serio «argine ermeneutico».
    Ne  deriverebbe  anche  una  violazione del diritto di difesa, in
quanto  la norma impugnata riverserebbe sullo straniero, destinatario
dell'ordine,  l'onere  di  giustificare  la  propria  permanenza  nel
territorio  dello Stato, senza che egli sia in grado di comprendere -
proprio  per  l'indeterminatezza  della  fattispecie  -  quale sia la
giustificazione idonea e conseguentemente di addurre prove.
    1.3.  -  Le  cinque  ordinanze  del  Tribunale di Torino muovono,
invece,  da  una ricognizione preliminare dei presupposti dell'ordine
del  questore,  la  cui  inosservanza  integra il reato. Esse pongono
segnatamente  l'accento  sul  fatto  che,  alla stregua della vigente
disciplina  legislativa  dell'espulsione  dello  straniero, a seguito
delle  modifiche  apportate  al  d.lgs.  n. 286  del 1998 dalla legge
n. 189  del  2002  -  e  prescindendo  da  prassi  operative con essa
contrastanti,  che  si assumono peraltro diffuse - l'ordine in parola
viene  impartito  allorche' sussistono specifiche situazioni ostative
all'accompagnamento  dello  straniero  alla  frontiera  a mezzo della
forza   pubblica:   accompagnamento   che  costituisce  la  modalita'
ordinaria   di   esecuzione   dell'espulsione  amministrativa,  fatta
eccezione  per  l'ipotesi  in  cui  il  provvedimento  consegua  alla
scadenza  da  piu' di sessanta giorni del permesso di soggiorno senza
che ne sia stato chiesto il rinnovo (art. 13, commi 4 e 5, del d.lgs.
n. 286  del 1998). Piu' precisamente, in presenza di dette situazioni
-  legate  in  particolare  all'esigenza  di  prestare  soccorso allo
straniero;  o a quella di effettuare accertamenti supplementari sulla
sua  identita'  o nazionalita'; ovvero all'acquisizione dei documenti
per  il viaggio; o alla indisponibilita' di un vettore o altro idoneo
mezzo  di  trasporto  -  il  questore  dispone  che  lo straniero sia
trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il piu' vicino
centro  di  permanenza  e assistenza temporanea (art. 14, comma 1): e
solo  in  ultima  istanza  -  ossia  quando  il trattenimento non sia
possibile;  o  siano  spirati  i  termini  massimi di permanenza (che
possono  arrivare  sino a sessanta giorni) senza che l'espulsione sia
stata eseguita - egli ordina con provvedimento scritto allo straniero
di  lasciare  il territorio dello Stato entro cinque giorni (art. 14,
comma 5-bis).
    A  fronte  di tale scansione normativa dell'iter dell'espulsione,
la  prima  delle  ordinanze  del  Tribunale  di Torino ritiene che la
disposizione  impugnata  violi gli artt. 2, 3, 27 e 97 Cost., sotto i
profili,  rispettivamente, della «mancanza di solidarieta' sociale ed
economica»,  della  disparita'  di  trattamento, dell'introduzione di
casi di responsabilita' oggettiva e del contrasto con il principio di
buon  andamento  della  pubblica amministrazione. La condotta imposta
allo  straniero  sotto  comminatoria  di sanzione penale risulterebbe
difatti  «inesigibile», in quanto si richiederebbe ad un soggetto che
normalmente  versa in condizioni di indigenza di munirsi di biglietto
e  di  documenti  di viaggio in soli cinque giorni, quando nemmeno lo
Stato,  in  un  termine  assai  piu'  ampio e fruendo di ben maggiori
mezzi,   e'   riuscito  ad  ottemperare  al  «precetto».  Si  sarebbe
configurata,  cosi',  una  ipotesi di responsabilita' oggettiva, dato
che  lo  straniero  che  volesse  eseguire l'ordine non avrebbe altro
mezzo che quello di commettere ulteriori illeciti (attraversare Stati
confinanti  senza  documenti,  approfittare  clandestinamente  di  un
vettore):  dovendosi  invero  escludere  che  egli  possa  evitare la
sanzione penale dimostrando di essersi trovato nell'impossibilita' di
ottemperare (in forme lecite) all'intimazione, giacche', ove la norma
fosse  cosi'  intesa,  da  un  lato,  il  precetto  si svuoterebbe di
contenuto - essendo detta situazione di impossibilita' la regola - e,
dall'altro  lato,  si  verrebbe a sancire un'irragionevole inversione
dell'onere della prova a carico dell'imputato.
    In  pari tempo, la previsione punitiva censurata sarebbe fonte di
rilevante  aggravio  per  gli  uffici giudiziari, anche sul piano dei
costi,  in  contrasto  con  il principio espresso dall'art. 97, primo
comma, Cost.
    1.4.  -  Le  altre  quattro  ordinanze del medesimo Tribunale, di
identico  tenore,  ravvisano  invece,  nell'assetto  considerato, una
violazione  del principio di determinatezza della fattispecie penale,
di  cui  all'art. 25, secondo comma, Cost., assumendo che se l'ordine
di  allontanamento  viene  impartito solo quando vi siano difficolta'
tali   da   impedire   l'accompagnamento   alla   frontiera,  non  si
comprenderebbe   quale   condotta  debba  tenere  nei  cinque  giorni
successivi  il  destinatario  -  che versa nella stessa situazione di
difficolta'  presupposta  dalla  norma  -  onde  non  incorrere nella
sanzione penale. La disposizione censurata risulterebbe, sotto questo
aspetto,    persino    piu'   generica   di   quella   -   dichiarata
incostituzionale  da  questa  Corte  con  sentenza n. 34 del 1995 per
violazione  del  principio  di  legalita'  -  di  cui all'art. 7-bis,
comma 1,  del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con
modificazioni,  in  legge  28 febbraio  1990,  n. 39,  che  puniva lo
straniero  il  quale  non si adoperasse per ottenere dalla competente
autorita'  diplomatica  o  consolare  il  rilascio  del  documento di
viaggio  occorrente per l'esecuzione del provvedimento di espulsione:
e  cio' perche' mancherebbe, nella nuova norma, qualsiasi indicazione
(presente  invece  nella  vecchia,  sia  pure  in modo indeterminato)
riguardo  alla  concreta  attivita'  richiesta  allo  straniero  onde
evitare  di  trattenersi  nel territorio dello Stato oltre il termine
stabilito.  Ne',  a  rendere  l'odierna fattispecie diversa da quella
gia'  dichiarata  incostituzionale,  varrebbe la previsione della non
punibilita'    dell'inottemperanza    per    «giustificato   motivo»:
quest'ultimo   non   potrebbe   consistere,   difatti,  nelle  stesse
difficolta'   che   costituiscono   il  presupposto  dell'ordine  del
questore,  pena la perdita di significato della norma, mentre ragioni
giustificative  diverse  (peraltro  non  agevolmente  identificabili)
resterebbero  di  incidenza pratica affatto marginale; d'altra parte,
trattandosi  di  requisito  non  attinente alla condotta incriminata,
esso non potrebbe comunque servire a renderla meno indeterminata.
    Anche qualora si adottasse, peraltro, una lettura «allargata» del
concetto   di  giustificato  motivo,  comprensiva  delle  difficolta'
esecutive  che  stanno  alla  base dell'ordine del questore, la norma
impugnata  resterebbe  -  secondo  le ordinanze in esame - ugualmente
lesiva  dei principi costituzionali: giacche', da un lato, la polizia
giudiziaria   non   sarebbe   tenuta  a  verificare  l'esistenza  del
giustificato  motivo  in sede di accertamento del reato, con riflessi
negativi  sulla  liberta'  personale  dell'interessato in rapporto al
regime     di    arresto    obbligatorio    previsto    dall'art. 14,
comma 5-quinquies,  d.lgs.  n. 286  del  1998; e, dall'altro lato, si
verificherebbe una «pericolosa inversione dell'onere della prova», in
violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma,
Cost.:  violazione che questa Corte aveva pure ravvisato nella citata
sentenza n. 34 del 1995, in rapporto all'art. 7-bis del decreto-legge
n. 416 del 1989.
    2. - Le questioni non sono fondate.
    2.1.  -  Quanto  alle  denunce  di  violazione  del  principio di
determinatezza della fattispecie penale, il relativo dubbio ha motivo
di  porsi, in effetti, unicamente in rapporto alla clausola negativa,
a  carattere  elastico, «senza giustificato motivo», che figura nella
descrizione  dell'ipotesi  criminosa:  per il resto ed «in positivo»,
difatti,  la condotta omissiva incriminata dall'art. 14, comma 5-ter,
del  d.lgs. n. 286 del 1998 si presenta - a differenza di quella gia'
repressa  dall'art. 7-bis, comma 1, del decreto-legge n. 416 del 1989
-  pienamente  definita  sul  piano  contenutistico,  ivi  incluso il
profilo  temporale,  consistendo nel mancato abbandono del territorio
dello  Stato  da  parte  dello straniero nei cinque giorni successivi
alla  ricezione  del  relativo  ordine.  E' evidente, nondimeno, come
nella prospettiva dei giudici rimettenti il difetto di determinatezza
della   clausola   in   questione   travolgerebbe  comunque  l'intera
fattispecie  criminosa,  stante  il ruolo chiave che - anche a fronte
dei  particolari  presupposti dell'ordine sanzionato - detta clausola
assolverebbe   nella   determinazione  dei  limiti  dell'inadempienza
penalmente rilevante.
    Cosi'   puntualizzato  l'oggetto  dell'indagine,  giova  peraltro
osservare  come  la  formula «senza giustificato motivo» e formule ad
essa  equivalenti  od  omologhe - «senza giusta causa», «senza giusto
motivo»,  «senza  necessita», «arbitrariamente», ecc. - compaiano con
particolare  frequenza  nel  corpo  di  norme incriminatrici, ubicate
tanto  all'interno  dei  codici  (cfr. artt. 616, 618, 619, 620, 621,
622, 633, 652, 727, 731 cod. pen; artt. 111, 113, 117, 123, 124, 125,
147,  148,  151, 243 cod. pen. mil. pace; artt. 63, 94, 96, 100, 101,
126,  145, 146, 151, 168, 170, 184, 185, 218, 221, 222 cod. pen. mil.
guerra)  che in leggi speciali (cfr., ex plurimis, art. 4 della legge
18 aprile  1975,  n. 110;  art. 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152;
art. 180  del  d.lgs.  24 febbraio  1998,  n. 58;  art. 56 del d.lgs.
28 agosto  2000, n. 274; nonche' art. 6, comma 3, dello stesso d.lgs.
n. 286  del  1998),  e  descrittive  di  reati di natura non soltanto
commissiva,  ma  anche  omissiva,  quale  quello  in  esame (cfr., ad
esempio,  artt. 652  e  731  cod. pen; artt. 113, 117, 123, 125, 147,
148, 151, 243 cod. pen. mil. pace; art. 108 del d.P.R. 30 marzo 1957,
n. 361;  art. 89  del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; art. 6, comma 3,
del d.lgs. n. 286 del 1998).
    Dette  clausole  sono  destinate in linea di massima a fungere da
«valvola  di  sicurezza»  del  meccanismo repressivo, evitando che la
sanzione  penale  scatti allorche' - anche al di fuori della presenza
di  vere  e  proprie  cause  di  giustificazione  -  l'osservanza del
precetto appaia concretamente «inesigibile» in ragione, a seconda dei
casi,  di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di
obblighi  di  segno  contrario,  ovvero  della necessita' di tutelare
interessi  confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello
protetto  dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento
di valori.
    Il   carattere  «elastico»  della  clausola  si  connette,  nella
valutazione  legislativa (come rileva, del resto, lo stesso Tribunale
di  Torino  nella  prima  delle  sue  ordinanze  di rimessione), alla
impossibilita' pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni
astrattamente  idonee  a  «giustificare» l'inosservanza del precetto.
Una  simile  elencazione sconterebbe immancabilmente - a fronte della
varieta'  delle  contingenze  di  vita  e  della  complessita'  delle
interferenze  dei  sistemi  normativi  - il rischio di lacune: lacune
che,  peraltro,  tornerebbero  non  a  vantaggio, ma a danno del reo,
posto  che  la  clausola  in  parola  assolve  al ruolo, negativo, di
escludere  la  punibilita' di condotte per il resto corrispondenti al
tipo legale.
    La  frequenza  dell'impiego  di  una  determinata  formula  nella
legislazione  ordinaria  non  equivale  ancora,  ovviamente,  ad  una
patente  di legittimazione sul piano costituzionale: rimanendo ferma,
al  contrario,  l'esigenza  di  accertare,  in  relazione  al singolo
contesto  di utilizzo, che la locuzione de qua - in quanto incidente,
sia  pure  in negativo, sulla delimitazione dell'area dell'illiceita'
penale  -  non  ponga  la  norma  incriminatrice  in contrasto con il
fondamentale   principio   di  determinatezza,  rimettendo  di  fatto
all'arbitrio  giudiziale la fissazione dei confini d'intervento della
sanzione criminale.
    Deve  essere  peraltro  di  guida, in tale indagine, il criterio,
reiteratamente  affermato  da  questa  Corte, per cui la verifica del
rispetto  del  principio  di  determinatezza  va  condotta  non  gia'
valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell'illecito,
ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie
e  con  la  disciplina in cui questa si inserisce. L'inclusione nella
formula  descrittiva dell'illecito penale di espressioni sommarie, di
vocaboli polisensi, ovvero - come nella specie - di clausole generali
o   concetti   «elastici»,  non  comporta  un  vulnus  del  parametro
costituzionale  evocato,  quando la descrizione complessiva del fatto
incriminato  consenta  comunque  al  giudice  -  avuto  riguardo alle
finalita'  perseguite  dall'incriminazione  ed al piu' ampio contesto
ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di
tale  elemento, mediante un'operazione interpretativa non esorbitante
dall'ordinario   compito   a   lui   affidato:  quando  cioe'  quella
descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della
fattispecie  concreta  alla  fattispecie  astratta,  sorretto  da  un
fondamento  ermeneutico  controllabile; e, correlativamente, permetta
al  destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente
chiara   ed  immediata  del  relativo  valore  precettivo  (cfr.,  ex
plurimis,  sentenze  n. 34 del 1995; n. 31 del 1995; n. 122 del 1993;
n. 247  del  1989;  v., altresi', sentenza n. 263 del 2000; ordinanza
n. 270 del 1997).
    2.2. - Il criterio suddetto appare rispettato nel caso di specie.
Contrariamente  a  quanto  sostenuto dai rimettenti, e in particolare
dal   Tribunale   di   Ferrara,  la  valenza  della  clausola  «senza
giustificato  motivo»  riceve  infatti  adeguata luce dalla finalita'
dell'incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta.
    Sotto  il primo profilo, deve tenersi conto della circostanza che
la norma incriminatrice, mirando a rendere effettivo il provvedimento
di  espulsione,  persegue  l'obiettivo  di  rimuovere  situazioni  di
illiceita'  o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel
territorio  dello Stato, nella cornice del piu' generale potere - che
al  legislatore  indubbiamente  compete  -  di  regolare  la  materia
dell'immigrazione,  in  correlazione ai molteplici interessi pubblici
da  essa  coinvolti  ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori
incontrollati   (cfr.   sentenza   n. 105  del  2001):  avendo  detto
provvedimento  come  presupposto,  a mente dell'art. 13, commi 1 e 2,
del  d.lgs. n. 286 del 1998, motivi di ordine pubblico o di sicurezza
dello   Stato,   nel   caso   di  espulsione  disposta  dal  Ministro
dell'interno;  ovvero,  la condizione di clandestinita' (ingresso nel
territorio  dello  Stato  con  elusione  dei controlli di frontiera),
irregolarita'   (carenza   di   valido   permesso   di  soggiorno)  o
pericolosita'  sociale  dello  straniero (appartenenza a talune delle
categorie indicate nell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423,
o  nell'art. 1  della  legge  31 maggio  1965,  n. 575),  nel caso di
espulsione  disposta  dal  prefetto.  Situazioni,  queste, alle quali
l'ordinamento  peraltro  reagisce,  di  regola  -  come  ricordano  e
sottolineano  gli stessi rimettenti - con l'accompagnamento immediato
dello  straniero  alla  frontiera  a mezzo della forza pubblica o, in
subordine,  con  il  suo  trattenimento  in  un «centro di permanenza
temporanea»;  salvo  ricorrere  in  via  di  eccezione  al meccanismo
dell'intimazione  penalmente  sanzionata,  quando sussistano speciali
ragioni impeditive, legalmente tipizzate.
    Sotto  il  secondo profilo, l'istituto dell'espulsione si colloca
in  un  quadro sistematico che, pur nella tendenziale indivisibilita'
dei  diritti  fondamentali,  vede  regolati in modo diverso - anche a
livello  costituzionale  (art. 10, terzo comma, Cost.) - l'ingresso e
la  permanenza  degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di
richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. «migranti
economici».  E  cosi',  per  l'aspetto  che  qui interessa, mentre il
pericolo di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di
cittadinanza,  di  religione,  di  opinioni politiche o di condizioni
personali  o  sociali  preclude l'espulsione o il respingimento dello
straniero  (art. 19,  comma 1,  del  d.lgs. n. 286 del 1998), analoga
efficacia  «paralizzante»  e'  negata,  in  linea  di principio, alle
esigenze che caratterizzano la seconda figura.
    In simile prospettiva, la clausola in questione, se pure non puo'
essere  ritenuta  evocativa  delle  sole  cause di giustificazione in
senso  tecnico  - lettura che la renderebbe pleonastica, posto che le
scriminanti  opererebbero  comunque,  in  quanto  istituti  di ordine
generale  - ha tuttavia riguardo a situazioni ostative di particolare
pregnanza,  che  incidano  sulla  stessa  possibilita', soggettiva od
oggettiva,   di   adempiere   all'intimazione,   escludendola  ovvero
rendendola  difficoltosa  o  pericolosa;  non  anche  ad esigenze che
riflettano  la  condizione  tipica  del «migrante economico», sebbene
espressive  di  istanze in se' e per se' pienamente legittime, sempre
che  -  come  e'  ovvio - non ricorrano situazioni riconducibili alle
scriminanti previste dall'ordinamento.
    Il   coordinamento   della  norma  incriminatrice  con  le  altre
disposizioni  del  d.lgs. n. 286 del 1998 (si pensi, ad esempio, alle
indicazioni  ricavabili,  anche  a  contrario sensu, dall'art. 19, in
tema  di  divieti  di espulsione e respingimento) e con gli ulteriori
testi normativi riguardanti lo straniero offre d'altro canto puntuali
agganci,   onde  riempire  di  piu'  precisi  contenuti  la  clausola
considerata.  In  particolare  -  per  quanto  attiene  al profilo di
maggior  rilievo,  anche  ai  fini  della  risoluzione  degli odierni
incidenti  di  costituzionalita' - i motivi che a mente dell'art. 14,
comma 1,   del   d.lgs.  n. 286  del  1998  legittimano  la  pubblica
amministrazione  a non procedere, in deroga al drastico imperativo di
cui  all'art. 13,  comma 4  («l'espulsione  e' sempre eseguita ...»),
all'accompagnamento   coattivo   dello  straniero  alla  frontiera  -
necessita'  di  soccorso;  difficolta' nell'ottenimento dei documenti
per  il  viaggio;  indisponibilita'  di  vettore  o di altro mezzo di
trasporto  idoneo  (non,  pero',  ovviamente,  la mera difficolta' di
accertare  l'identita' o la nazionalita' dello straniero, che debbono
presumersi a lui ben note) - non possono non costituire sicuri indici
di  riconoscimento  di situazioni nelle quali puo' ravvisarsi, per lo
straniero,   la   sussistenza   di   «giustificati  motivi»  per  non
ottemperare   all'ordine   del   questore.   E  cio'  in  specie  (ad
impossibilia   nemo  tenetur)  quando  l'inadempienza  dipenda  dalla
condizione  di  assoluta  impossidenza  dello  straniero, che non gli
consenta  di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea
o  marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio; ovvero dipenda
dal mancato rilascio, da parte della competente autorita' diplomatica
o   consolare,   dei   documenti  necessari,  pure  sollecitamente  e
diligentemente  richiesti (conclusioni, queste, sulle quali concorda,
in effetti, la giurisprudenza di merito largamente maggioritaria).
    Non  puo'  negarsi  che,  in  questo  particolare contesto - come
segnalano i giudici a quibus - la formula «senza giustificato motivo»
riduce  notevolmente,  in  fatto,  l'ambito  applicativo  della norma
incriminatrice.  Nel sistema della legge, in effetti - e prescindendo
dalle  «deviazioni»  della prassi cui pure accennano i rimettenti, le
quali,  proprio  perche'  contrastanti  con  la norma, non potrebbero
comunque  influire  sulla  valutazione  della  stessa -  l'ordine  di
allontanamento viene emesso, in surroga dell'accompagnamento, proprio
nei  casi in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante
difficolta' ad adempierlo.
    Si  tratta  peraltro  di fenomeno che, per un verso, discende non
dalla  sola  norma  incriminatrice  denunciata,  ma dall'architettura
complessiva  della  nuova  disciplina  dell'espulsione,  di cui detta
norma  costituisce un semplice e conclusivo tassello; e, per un altro
verso,  incide  comunque  sul  piano  dell'opportunita'  delle scelte
politico-criminali  sottese  a tale disciplina, e non su quello della
loro legittimita' costituzionale.
    2.3.  -  Le  considerazioni  da  ultimo svolte valgono, per altro
verso,  a rendere palese l'insussistenza dei profili di contrasto con
gli artt. 2, 3 e 27 Cost. dedotti nella prima ordinanza del Tribunale
di Torino.
    Della  eventualita',  infatti,  che l'ottemperanza all'ordine del
questore  risulti  concretamente «inesigibile» - anche, ed in primis,
per  la  ragione  indicata  dal  giudice  a quo: ossia per la pratica
impossibilita', in cui si trovi lo straniero, di munirsi di documenti
e  di  biglietto  di  viaggio nel breve termine di cinque giorni - il
legislatore  si  e'  fatto  carico  proprio  con  la  clausola «senza
giustificato  motivo», la quale esclude la configurabilita' del reato
in una simile eventualita'. La norma impugnata, pertanto, non delinea
alcuna   ipotesi  di  responsabilita'  oggettiva,  ne'  prefigura  un
trattamento  irragionevolmente  parificato  di  situazioni eterogenee
(quali   quelle   dello  straniero  che  e'  in  grado  di  adempiere
all'intimazione e dello straniero che non lo e).
    2.4.  -  Esclusa la configurabilita' di un vulnus al principio di
determinatezza,  cade,  di  riflesso,  anche  la correlata censura di
violazione  del  diritto  di  difesa,  sotto  il  profilo  della «non
conoscibilita»  a  priori  delle  situazioni  idonee  ad integrare il
«giustificato motivo», da parte del destinatario del precetto.
    Ne',  d'altra  parte,  puo'  condividersi  l'assunto  per  cui la
clausola in parola implicherebbe un'inversione dell'onere della prova
in  danno  dell'imputato.  S'intende, infatti, che, come in tutti gli
altri  casi  in  cui compare la formula «senza giustificato motivo» -
fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente,
quando  possibile, l'esistenza di ragioni legittimanti l'inosservanza
del  precetto penale - lo straniero avra', dal canto suo, un semplice
onere  di  allegazione  dei motivi non conosciuti ne' conoscibili dal
giudicante.  Nell'un  caso  e  nell'altro -  ossia  tanto nel caso di
rilievo   ex   officio   che   in  quello  di  allegazione  da  parte
dell'imputato  -  le situazioni integrative del «giustificato motivo»
si  tradurranno,  quindi, in altrettanti temi di prova per le parti e
per i poteri officiosi del giudice.
    Priva  di fondamento risulta, per il resto, la doglianza inerente
al  fatto  che  la  polizia  giudiziaria  non  sarebbe  tenuta a (ne'
«qualificata»   per)  apprezzare  la  sussistenza  del  «giustificato
motivo»  in  occasione  dell'arresto  dello straniero per il reato in
esame.  A  prescindere  dal  rilievo che la censura appare riferibile
piu'  al  trattamento  processuale della fattispecie criminosa (e, in
particolare,  alla  previsione dell'arresto obbligatorio) - non posto
in  discussione  in questa sede - che non alla definizione legale del
tipo, si deve osservare, in contrario, che l'art. 385 cod. proc. pen.
esclude   in  via  generale  l'arresto  quando,  tenuto  conto  delle
circostanze, il fatto appare compiuto nell'adempimento di un dovere o
nell'esercizio  di  una facolta' legittima, ovvero in presenza di una
causa  di  non punibilita': e la stessa regola non puo' non valere, a
fortiori,  quando  si tratti, come nella specie, di elemento negativo
interno allo stesso fatto tipico.
    2.5.  -  Quanto,  infine,  alla  dedotta  violazione dell'art. 97
Cost., la giurisprudenza di questa Corte e' costante nel ritenere che
il  principio  del buon andamento della pubblica amministrazione, pur
potendo  riferirsi anche all'amministrazione della giustizia, attiene
esclusivamente  alle  leggi  concernenti  l'ordinamento  degli uffici
giudiziari  e  il  loro funzionamento sotto l'aspetto amministrativo,
mentre   e'   del   tutto   estraneo   all'esercizio  della  funzione
giurisdizionale   (cfr.,  ex  plurimis,  sentenza  n. 115  del  2001;
ordinanze n. 458 del 2002 e n. 152 del 2000).