ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei   giudizi   di   legittimita'  costituzionale  del  decreto-legge
7 febbraio  2002,  n. 7,  recante  (Misure  urgenti  per garantire la
sicurezza  del  sistema  elettrico  nazionale) e della legge 9 aprile
2002,  n. 55,  concernente  (Conversione in legge, con modificazioni,
del  decreto-legge  7 febbraio 2002, n. 7, recante misure urgenti per
garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), promossi con
ricorsi  delle  Regioni  Umbria (n. 2 ricorsi), Basilicata e Toscana,
notificati  il  27  marzo,  il  31  maggio,  l'8  e il 7 giugno 2002,
depositati  in  cancelleria  il  4 aprile  e  il  6  e  il  17 giugno
successivi  ed  iscritti  ai nn. 30, 39, 40 e 41 del registro ricorsi
2002.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28 ottobre  2003  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  gli  avvocati  Giovanni  Tarantini  e  Fulco  Ruffo per la
Regione Umbria, Mario Loria per la Regione Toscana e l'avvocato dello
Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  notificato  il  27 marzo 2002, depositato il
4 aprile  2002  e iscritto al n. 30 del 2002 del registro ricorsi, la
Regione  Umbria ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire
la  sicurezza  del sistema elettrico nazionale), per violazione degli
artt. 77,  secondo  comma;  120,  secondo  comma;  117,  primo comma,
secondo comma lettera m), e terzo comma, nonche' 118, primo e secondo
comma, Cost. In subordine e piu' specificamente, la Regione Umbria ha
impugnato:  l'art. 1,  commi 1, 2, 3 e 5, del d.l. n. 7 del 2002, per
violazione   dell'art. 117,  primo  e  terzo  comma,  Cost.,  nonche'
dell'art. 118,  primo e secondo comma, Cost.; l'art. 1, commi 2, 3, 4
e  5,  del  medesimo  d.l., per violazione dell'art. 97, primo comma,
Cost. e del principio di leale collaborazione.
    Premette  la  Regione che il decreto-legge n. 7 del 2002, emanato
«al fine di evitare l'imminente pericolo di interruzione dell'energia
elettrica  su  tutto  il  territorio  nazionale»  e  per garantire la
necessaria  copertura  del fabbisogno nazionale, dispone, all'art. 1,
che  la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica
di  potenza  superiore a 300 MW termici, gli interventi di modifica e
ripotenziamento,  nonche'  le  opere  connesse  e  le  infrastrutture
indispensabili  per  il  loro  esercizio,  sono  dichiarate  opere di
pubblica   utilita'.   Titolo   per   la  costruzione  e  l'esercizio
dell'impianto  e'  rappresentato dall'autorizzazione unica rilasciata
dal  Ministero  delle  attivita' produttive, sostitutiva di ogni atto
autorizzativo,  comunque denominato, previsto dalle norme vigenti. Lo
stesso  art. 1  dispone  poi  che al procedimento autorizzatorio sono
chiamate a partecipare le amministrazioni interessate, applicandosi i
principi  di  semplificazione  e  la  disciplina  di  cui  alla legge
7 agosto  1990,  n. 241  (Nuove  norme  in  materia  di  procedimento
amministrativo  e di diritto di accesso ai documenti amministrativi),
e  che  deve  essere  raggiunta  l'intesa con la Regione interessata,
senza  peraltro  che siano specificati i termini e le modalita' della
partecipazione e dell'intesa.
    Sostiene   la  Regione  Umbria  che  il  decreto-legge  impugnato
violerebbe  innanzitutto  l'art. 77,  secondo comma, Cost., in quanto
sarebbe  stato  emanato  in  assenza dei presupposti di necessita' ed
urgenza.   Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  il
sindacato  sulla  sussistenza  dei  presupposti  che  legittimano  il
Governo  ad  emanare  decreti-legge sarebbe ammissibile, sia pure nel
solo caso di «evidente mancanza» dei requisiti stessi.
    La Regione afferma di conoscere la giurisprudenza della Corte che
considera  inammissibile  il  ricorso  delle Regioni in via di azione
avverso  un  decreto-legge per questo tipo di motivi, ma ritiene che,
dopo  la  riforma  del  Titolo  V  della  Costituzione e con il nuovo
modello   dei   rapporti  Stato-Regioni  da  essa  delineato,  quella
giurisprudenza sia suscettibile di riconsiderazione. A differenza che
in  passato, infatti, il Governo non avrebbe piu' il potere di rinvio
ai Consigli regionali delle delibere legislative, ne' di garantire il
rispetto  dell'interesse  nazionale,  di  talche'  Governo  e Regioni
disporrebbero  parimenti  del  potere di impugnare la legge (art. 127
Cost.).
    Nel   nuovo   sistema,   inoltre,  la  potesta'  legislativa  non
spetterebbe  piu'  allo Stato in via generale, ma anche alle Regioni,
secondo  il  modello  delineato  dall'art. 117 Cost. Infine, la nuova
formulazione  dell'art. 114  assegnerebbe  alle Regioni, insieme alle
altre autonomie territoriali, «il nuovo ruolo di enti che svolgono le
proprie    funzioni    nell'interesse    generale   della   comunita'
repubblicana».  In  questo  mutato  quadro  costituzionale,  anche le
Regioni,  e  non piu' solo il Governo, sarebbero legittimate ad agire
in funzione di tutela generale dell'ordinamento.
    Cio'  posto,  la ricorrente ritiene che il d.l. censurato sarebbe
stato emanato in assenza delle condizioni di cui all'art. 77, secondo
comma,  Cost.,  dal  momento che la necessita' di evitare l'imminente
pericolo di interruzione di energia elettrica, affermata nel decreto,
non  sarebbe  basata  su  nessun  dato certo. Neppure potrebbe essere
ravvisata  una  situazione  di  straordinaria  urgenza  nella recente
liberalizzazione  dell'attivita'  di produzione di energia elettrica,
avvenuta  con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione
della  direttiva  96/1992/CE  recante  norme  comuni  per  il mercato
dell'energia elettrica).
    Quanto  al  contenuto  delle  disposizioni  impugnate, la Regione
Umbria   osserva   che  la  normativa  impugnata  contrasterebbe  con
l'art. 117   Cost.,  in  quanto  -  in  una  materia  assegnata  alla
legislazione  concorrente  di  Stato  e Regioni, qual e' quella della
«produzione,  trasporto  e distribuzione nazionale dell'energia» - il
Governo  sarebbe  intervenuto  adottando norme di dettaglio, anche di
tipo procedurale, anziche' limitarsi a dettare norme di principio.
    Ad  avviso  della ricorrente, perche' una legge dello Stato possa
incidere  su  una competenza del legislatore regionale non potrebbero
essere  ritenuti  sufficienti  i presupposti di necessita' ed urgenza
cui  e' subordinata l'emanazione di un decreto-legge ex art. 77 Cost.
Il  rapporto  tra  fonte  regionale  e  fonte statale sarebbe infatti
sempre  regolato  dal  principio  della  competenza  e  non da quello
gerarchico.   E   cio',   a   maggior   ragione,  nel  nuovo  sistema
costituzionale,  nell'ambito del quale l'art. 117 riconoscerebbe pari
dignita' alla legislazione statale e a quella regionale, e l'art. 114
porrebbe  un  principio  di pari ordinazione tra gli enti individuati
come costitutivi della Repubblica.
    Neppure  potrebbe  ritenersi  che  la  materia  dell'energia  sia
riconducibile  alla  legislazione  esclusiva  dello Stato sotto altro
titolo, ad esempio in forza dell'art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost.
    Il decreto-legge n. 7 del 2002 inoltre, nell'attribuire il potere
autorizzatorio  allo  Stato,  in  sostituzione delle «autorizzazioni,
concessioni  ed  atti  di  assenso comunque denominati previsti dalle
norme  vigenti»  (art. 1,  comma 1),  violerebbe  l'art. 118, primo e
secondo   comma,   Cost.   L'esigenza   di   assicurare  l'erogazione
dell'energia elettrica su tutto il territorio nazionale, infatti, non
sarebbe  sufficiente  per  «riconoscere  all'ordinamento centrale una
competenza amministrativa generale e di tipo gestionale in materia».
    Inoltre,  l'art. 1,  commi 2, 3 e 5, del d.l. impugnato lederebbe
le  funzioni  di  governo del territorio e di valorizzazione dei beni
ambientali  assegnate  alla  competenza  normativa  della  Regione  e
sarebbe  incompatibile  con  il ruolo che l'art. 118 Cost., riconosce
per   le   funzioni   amministrative,   a  comuni,  Province,  Citta'
metropolitane  e  Regioni;  il  comma 2  nella parte in cui prescrive
l'assorbimento  nell'autorizzazione  unica  della c.d. autorizzazione
integrata  e  la  sostituzione  della  stessa  ad ogni autorizzazione
ambientale  di  competenza  delle singole amministrazioni; il comma 3
laddove  stabilisce che l'autorizzazione unica ha effetto di variante
degli  strumenti  urbanistici  e  del  piano  regolatore portuale; il
comma 5  ove  dispone  la  sospensione dell'efficacia del decreto del
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  27 dicembre  1988  (Norme
tecniche  per  la  redazione  degli  studi di impatto ambientale e la
formulazione  del giudizio di compatibilita' di cui all'art. 6, della
legge  8 luglio  1986,  n. 349,  adottate  ai  sensi  dell'art. 3 del
d.P.C.m.  10 agosto  1988,  n. 377),  allegato  IV  (Procedure  per i
progetti  di  centrali  termoelettriche e turbogas), dell'articolo 15
della  legge  2 agosto 1975, n. 393 (Norme sulla localizzazione delle
centrali elettronucleari e sulla produzione e sull'impiego di energia
elettrica),  nonche'  del  decreto  del  Presidente  della Repubblica
11 febbraio   1998,   n. 53   (Regolamento   recante  disciplina  dei
procedimenti   relativi   alla   autorizzazione  alla  costruzione  e
all'esercizio  di  impianti  di  produzione  di energia elettrica che
utilizzano  fonti  convenzionali,  a norma dell'articolo 20, comma 8,
della   legge   15 marzo  1997,  n. 59).  Neppure  sarebbe  possibile
individuare  nell'atto  di  decretazione d'urgenza una manifestazione
del  potere  sostitutivo  dello  Stato nei confronti delle Regioni ai
sensi   dell'art. 120,   secondo   comma,  Cost.,  non  ricorrendo  i
presupposti  e  le  forme  previste  da  tale disposizione. Di qui la
prospettata  violazione degli artt. 77, secondo comma, e 120, secondo
comma, della Costituzione.
    Infine,  l'art. 1,  comma 2,  del d.l. impugnato, nello stabilire
che  il  procedimento  previsto  si  svolge  d'intesa  con la Regione
interessata,  senza tuttavia stabilire i tempi e le modalita' di tale
intesa, contrasterebbe con il principio di leale collaborazione.
    D'altronde  il  generico  richiamo  al  rispetto  dei principi di
semplificazione  amministrativa e delle modalita' dettate dalla legge
n. 241 del 1990, non sarebbe sufficiente a garantire il rilievo degli
interessi   della   comunita'   regionale,   in   aperta   violazione
dell'art. 97,   primo   comma,   Cost.   e  del  principio  di  leale
collaborazione;  tanto  piu' che il decreto, all'art. 1, commi 3 e 5,
«risulta  sostitutivo sia della autorizzazione integrata che di tutte
le autorizzazioni ambientali di competenza dei diversi enti coinvolti
e sospensivo dell'efficacia dell'Allegato IV del d.P.C.m. 27 dicembre
1988  e  del  d.P.R.  n. 53  del  1998»,  senza  prevedere  forme  di
coinvolgimento  e di partecipazione, con idonee modalita' procedurali
di tutti gli interessati.
    Per  gli  stessi  motivi  sarebbe,  da  ultimo, illegittimo anche
l'art. 1, comma 4, del decreto impugnato, per la parte in cui estende
le  disposizioni di cui ai commi precedenti anche «ai procedimenti in
corso alla data di entrata in vigore del ... decreto».
    2.  -  Con  ricorso notificato il 31 maggio 2002, depositato il 6
giugno 2002  e  iscritto  al  n. 39 del 2002 del registro ricorsi, la
Regione  Umbria ha sollevato questione di legittimita' costituzionale
della   legge   9 aprile  2002,  n. 55  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 recante misure
urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale).
    Con  tale ricorso, la Regione, ripropone le medesime censure gia'
mosse nei confronti del d.l. n. 7 del 2002 con riferimento alle norme
di  questo  convertite  senza  modificazioni.  Inoltre, la ricorrente
muove  ulteriori  censure sia avverso la legge di conversione nel suo
complesso,  in quanto contrastante con gli artt. 77, secondo comma, e
120,  secondo  comma, Cost., sia nei confronti delle disposizioni che
hanno modificato le norme del d.l. n. 7 del 2002.
    Innanzitutto,  si  lamenta  la  violazione  dell'art. 77, secondo
comma,   Cost.   Ribadite   le   argomentazioni   a   sostegno  della
censurabilita'  da  parte delle Regioni delle violazioni dell'art. 77
Cost.,  la  Regione Umbria afferma che l'art. 1, comma 1, della legge
impugnata,   nel   convertire   il  decreto-legge,  avrebbe  rivelato
l'inesistenza  di  uno  dei presupposti della decretazione d'urgenza,
non  individuandolo  piu'  nell'«imminente  pericolo» di interruzione
della  fornitura  di  energia  elettrica, ma, piu' semplicemente, nel
solo «pericolo» della medesima.
    La  ricorrente,  con argomentazioni non dissimili da quelle sopra
richiamate,  ribadisce  inoltre  che  non  ricorrerebbero  neppure  i
presupposti  per  ravvisare  nella fattispecie una manifestazione del
potere  sostitutivo  previsto  dall'art. 120, secondo comma, Cost. Di
talche'   la   legge   di   conversione  sarebbe  quindi  interamente
illegittima   in   quanto  essendo  stato  esercitato  il  potere  di
decretazione d'urgenza in totale carenza di presupposti, sarebbe essa
stessa affetta di un grave vizio in procedendo.
    Quanto  alle singole disposizioni della legge, viene innanzitutto
censurato   l'art. 1,  comma 1,  che  -  nel  convertire  il  decreto
impugnato  -  ha  precisato  che  le sue previsioni valgono fino alla
determinazione  dei principi fondamentali della materia in attuazione
dell'art. 117 Cost., e comunque non oltre il 31 dicembre 2003, previa
intesa in sede di Conferenza permanente tra Stato, Regioni e Province
autonome  (cfr. Allegato, cpv. 1). Tale norma, secondo la ricorrente,
contrasterebbe  con l'art. 117 Cost., in quanto supererebbe i confini
assegnati  alla normativa statale in materie di competenza ripartita.
E  tale  vizio  non  sarebbe  escluso  dalla natura transitoria della
disciplina,  la  quale, anzi, sarebbe addirittura «eversiva», poiche'
lo Stato si arrogherebbe il potere di disciplinare nel dettaglio, con
norme  immediatamente efficaci, materie che la Regione avrebbe fin da
ora   il  diritto  di  disciplinare  entro  il  quadro  dei  principi
desumibili dalle leggi vigenti. Illecita ed arbitraria sarebbe quindi
l'assegnazione  di  un  termine da parte dello Stato alle Regioni per
esercitare una loro competenza costituzionalmente garantita.
    La  Regione Umbria lamenta poi la violazione dell'art. 118, primo
e secondo comma, Cost., ad opera dell'art. 1, comma 1, della legge di
conversione,  che  modifica l'art. 1, comma 3, del d.l. n. 7 del 2002
(Allegato, cpv. 3), e dell'art. 1, comma 1, della medesima legge, che
introduce  il  comma 3-bis all'art. 1 del citato d.l. (Allegato, cpv.
4).  La  prima  norma  subordina il rilascio dell'autorizzazione alla
acquisizione  del  parere  del  comune  e  della  provincia  nel  cui
territorio  ricadono  le  opere  da  realizzare,  ma  dispone  che il
rilascio  di  tale  parere non puo' incidere sul rispetto del termine
per  la  conclusione  del  procedimento,  individuato dal comma 2 del
decreto-legge  in  centottanta  giorni.  In tal modo, ad avviso della
ricorrente,  gli  enti  locali  sarebbero sostanzialmente privati del
potere  di  intervenire  efficacemente  su  provvedimenti  diretti ad
incidere   sul   loro   territorio,  ne'  costituirebbero  correttivi
sufficienti  a  compensare  la  perdita  di rilevanza delle Regioni e
delle  autonomie locali rispetto al potere decisionale dello Stato la
previsione della facolta' delle Regioni di «promuovere accordi tra il
proponente  e  gli enti locali interessati dagli interventi di cui al
comma 1   per   l'individuazione   di   misure   di  compensazione  e
riequilibrio  ambientale» ne' la costituzione, tra il Ministero delle
attivita'  produttive, le Regioni, l'Unione delle province d'Italia e
l'Associazione   nazionale  dei  comuni  italiani,  di  un  «comitato
paritetico   per   il  monitoraggio  congiunto  dell'efficacia  delle
disposizioni  del  decreto  e  la  valutazione dell'adeguatezza della
nuova potenza installata».
    Per il resto, nei confronti delle norme non modificate in sede di
conversione,  la  Regione  Umbria ripropone le medesime censure mosse
avverso le corrispondenti norme del d.l. n. 7 del 2002.
    3.  -  Nel  giudizio  concernente  la  legge n. 55 del 2002 si e'
costituita  la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e
difesa  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  sostenendo  che  il
ricorso  proposto dalla Regione Umbria debba essere rigettato perche'
inammissibile  o  comunque  infondato.  La  difesa  erariale  osserva
innanzitutto  come  anche  nel nuovo sistema costituzionale delineato
dopo  la  riforma del titolo V, l'interesse delle Regioni a ricorrere
nei  giudizi  di  legittimita'  in via principale sarebbe qualificato
dalla finalita' di ripristinare le loro competenze costituzionalmente
garantite.  Non  potrebbe invece riconoscersi loro la possibilita' di
agire  per  una  tutela  generale  dell'ordinamento,  in  quanto essa
potrebbe  essere  affidata  solo  a  chi  ha  una visione complessiva
dell'ordinamento stesso.
    In  ogni  caso, la questione di legittimita' costituzionale della
legge  impugnata  per  carenza  dei  presupposti  di cui all'art. 77,
secondo  comma,  Cost.,  sarebbe  ormai  superata, dal momento che la
Corte,  nella  sentenza  n. 29  del  2002,  avrebbe  chiarito che gli
eventuali  vizi  del  decreto-legge,  anche  sotto  il  profilo della
necessita'  e  urgenza,  sarebbero  sanati  definitivamente quando le
Camere,  con  la  legge di conversione, abbiano assunto come propri i
contenuti  o  gli  effetti  della  disciplina  adottata  dal Governo.
Inammissibile  sarebbe  quindi  la  censura  relativa  al difetto del
presupposto  dell'esistenza  di un imminente pericolo di interruzione
della  fornitura  di  energia  elettrica.  E  anche  ove  tale  vizio
sussistesse,   esso   sarebbe   proprio  del  decreto-legge,  con  la
conseguenza  che  avrebbe  perso  rilievo  a seguito della emanazione
della  legge  di  conversione; ne', d'altronde, potrebbe configurarsi
come  vizio  proprio  di quest'ultima, dal momento che i motivi per i
quali  una  legge  e'  emanata  non  potrebbero  incidere  sulla  sua
legittimita' costituzionale.
    Inoltre,  sarebbe  infondato il motivo del ricorso concernente il
potere  sostitutivo  dello  Stato, in quanto non risulta che lo Stato
abbia voluto operare in sostituzione delle Regioni.
    Quanto  al  contenuto  della legge impugnata, l'Avvocatura rileva
come il d.lgs. n. 79 del 1999 attribuisca al Ministero dell'industria
(ora  delle  attivita'  produttive)  il  compito  di  provvedere alla
sicurezza  del  sistema  elettrico  nazionale  e  di  assicurarne  la
continuita'  e  che  lo  Stato  sarebbe intervenuto a disciplinare la
materia  al  fine  di  garantire le esigenze di sicurezza e i livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici,
in   materie,  dunque,  che  sarebbero  riservate  alla  legislazione
esclusiva  dello  Stato  (art. 117,  secondo comma, lettere h) ed m).
L'intervento   statale   sarebbe   stato  reso  indispensabile  dalla
necessita' di realizzare nuovi impianti per fare fronte alla prevista
crescita  del  fabbisogno nazionale di energia su tutto il territorio
nazionale  e  cosi'  salvaguardare  lo sviluppo economico del paese e
l'attuale  livello  qualitativo  di  vita. Pertanto, lo Stato avrebbe
esercitato  la  sua  potesta'  esclusiva in materia di sicurezza e di
tutela  dei  diritti  civili e sociali, tra i quali andrebbe inserito
anche quello di disporre dell'energia indispensabile per mantenere le
attuali disponibilita', le quali costituirebbero i livelli essenziali
delle prestazioni.
    Lo   Stato,   prevedendo   un   termine   per  l'esercizio  della
legislazione  concorrente  delle  Regioni,  avrebbe  tuttavia  voluto
limitare  nel  tempo  gli  effetti  del  proprio  potere  legislativo
esclusivo  di  cui  ha  fatto uso, in modo che le autonomie regionali
potessero intervenire sulla materia al momento in cui fosse garantita
la produzione di energia elettrica sufficiente ai bisogni nazionali.
    Quanto  specificamente  alla  dichiarazione  di pubblica utilita'
delle   opere,   ed   alla  previsione  di  un'unica  autorizzazione,
rilasciata   dal   Ministero   delle  attivita'  produttive,  per  la
realizzazione   di   nuovi   impianti,  esse  sarebbero  direttamente
funzionali  agli  obiettivi  del  legislatore:  accelerare i tempi di
costruzione  dei  nuovi impianti su tutto il territorio nazionale per
assicurare  la  fornitura  di  un  servizio pubblico essenziale. Tali
obiettivi, secondo quanto sostenuto dalla difesa erariale, potrebbero
essere  raggiunti  solo con un intervento unico che esclusivamente il
legislatore nazionale sarebbe in grado di porre in essere.
    Nell'ambito    del    procedimento    unico   per   il   rilascio
dell'autorizzazione  sarebbe  comunque  assicurata  la partecipazione
delle    amministrazioni    interessate.    In   specie,   sottolinea
l'Avvocatura, la disciplina impugnata prevede espressamente il parere
motivato della provincia o del comune.
    Ne'   vi   sarebbe   poi   violazione   del  principio  di  leale
collaborazione, in quanto la semplice previsione dell'intesa dovrebbe
intendersi  nel  senso  che il suo mancato raggiungimento preclude la
conclusione del procedimento.
    L'Avvocatura,   infine,   sostiene  che  la  normativa  censurata
investirebbe anche la materia della tutela della concorrenza, materia
che  rientra nella legislazione statale esclusiva, in quanto comunque
inciderebbe   sulla   produzione   di   energia  elettrica  e  dunque
sull'offerta e sull'equilibrio del mercato.
    4.  -  Contro l'intera legge n. 55 del 2002 la Regione Basilicata
ha  proposto  ricorso  notificato  l'8  giugno 2002, depositato il 17
giugno 2002  e  iscritto  al  n. 40  del  2002  del registro ricorsi,
lamentando la violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La  ricorrente  sostiene  che  la  legge  impugnata violerebbe la
competenza  che l'art. 117, terzo comma, Cost., riserva alla potesta'
legislativa  concorrente  delle  Regioni  in  materia di «produzione,
trasporto   e   distribuzione  nazionale  dell'energia»,  in  quanto,
anziche'  limitarsi a dettare i principi fondamentali, il legislatore
statale avrebbe disciplinato in modo analitico il procedimento per il
rilascio  dell'autorizzazione  per la costruzione e l'esercizio degli
impianti di produzione di energia elettrica.
    L'illegittimita'  della  legge n. 55 del 2002 non sarebbe esclusa
dalla natura transitoria della disciplina, destinata ad operare «fino
alla  determinazione  dei  principi  fondamentali  della  materia  in
attuazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e comunque non oltre il
31 dicembre   2003».  Anzi,  tale  previsione  sarebbe  a  sua  volta
contrastante   con  la  Costituzione,  precludendo  alle  Regioni  di
esercitare fino a quel momento una competenza legislativa di cui sono
gia' titolari.
    Tale  previsione  non  sarebbe  neppure giustificabile al fine di
tutela  dell'interesse  nazionale,  che il nuovo testo costituzionale
non  prevede piu' come limite alla potesta' legislativa regionale. E,
d'altra  parte,  non  potrebbero invocarsi a sostegno dell'intervento
legislativo dello Stato tanto le materie di cui all'art. 117, secondo
comma,  Cost.,  quanto  i  poteri  sostitutivi  del  Governo previsti
dall'art. 120, secondo comma, Cost.
    L'art. 117  Cost. sarebbe inoltre violato in quanto la disciplina
della  legge  n. 55  del  2002,  per  la  parte  in  cui interferisce
sull'assetto  del  territorio  in relazione all'impatto delle opere e
alla  necessaria  conformita'  urbanistica  delle stesse, inciderebbe
sulla  materia  del «governo del territorio» attribuita alla potesta'
legislativa concorrente delle Regioni.
    La  Regione  afferma  che  la  legge  impugnata  violerebbe anche
l'art. 118    Cost.,   in   quanto,   nell'attribuire   la   funzione
amministrativa  di  rilascio  dell'autorizzazione al Governo statale,
violerebbe   i   criteri   di   sussidiarieta',   differenziazione  e
adeguatezza posti dallo stesso art. 118.
    Tale  norma sarebbe poi violata anche sotto un ulteriore profilo.
L'art. 118  Cost.,  infatti,  detta  i  criteri  per il riparto delle
funzioni  amministrative,  ma  non  disciplina  la  fonte deputata ad
allocare  le  stesse. Questa fonte dovrebbe dunque essere determinata
sulla  base  dell'art. 117  e pertanto sarebbe costituita dalla legge
competente  a  regolare  la  materia.  Poiche'  nel  caso  di specie,
l'energia   rientra  tra  le  materie  di  legislazione  concorrente,
spetterebbe  alle Regioni, attenendosi ai principi regolatori fissati
dallo  Stato,  dettare  le  procedure  di svolgimento delle funzioni,
distribuendo  le stesse secondo i criteri dettati dall'art. 118 Cost.
Ne'  varrebbe  a superare la censura la previsione dell'intesa con la
Regione  richiesta  per  il  rilascio dell'autorizzazione, perche' la
potesta'  legislativa  non  potrebbe  essere  surrogata  con forme di
concertazione attinenti all'esercizio della funzione amministrativa.
    5.  - Anche la Regione Toscana ha proposto ricorso, notificato il
7  giugno 2002,  depositato il 17 giugno 2002 e iscritto al n. 41 del
2002 del registro ricorsi, avverso l'intera legge n. 55 del 2002, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    La   ricorrente  muove  dalla  considerazione  che  la  normativa
censurata,   nel   disciplinare   il  procedimento  preordinato  alla
costruzione  e  all'esercizio  degli  impianti  di energia elettrica,
nonche' delle opere e infrastrutture connesse, interverrebbe, con una
disciplina  di  dettaglio,  nella  materia  «produzione,  trasporto e
distribuzione nazionale dell'energia», attribuita dall'art. 117 Cost.
alla potesta' legislativa concorrente delle Regioni.
    L'intervento    statale    in   tale   materia   non   troverebbe
legittimazione  nei  c.d.  titoli  di intervento trasversale previsti
nell'art. 117,  secondo  comma,  Cost.  Ne' potrebbe giustificarsi in
relazione all'interesse nazionale a garantire la fornitura di energia
elettrica,  dal momento che il nuovo testo costituzionale non prevede
piu'  l'interesse nazionale come limite alla potesta' normativa delle
Regioni.
    La  normativa  censurata non potrebbe neppure essere giustificata
in  relazione  alla finalita' di tutelare la concorrenza, perche' non
contiene  disposizioni volte a garantire le imprese contro il rischio
di intese restrittive o di abusi di posizione.
    Ancora,  la  disciplina in questione non potrebbe ricondursi alla
determinazione  dei  livelli  essenziali  delle  prestazioni,  di cui
all'art. 117,  secondo  comma,  lettera m),  Cost.,  in quanto queste
riguarderebbero   servizi  sociali  e  non  industriali,  e  comunque
l'intervento  statale  sarebbe  limitato  alla  determinazione  degli
standard,  su  cui  la  legge  in esame non interviene in alcun modo,
limitandosi  ad  attribuire  allo  Stato  le  funzioni amministrative
preordinate  al  rilascio  dell'autorizzazione  per  la costruzione e
l'esercizio degli impianti.
    La  legge  censurata, secondo la ricorrente, lederebbe inoltre la
potesta'  regionale  in  materia  di  «governo  del  territorio», che
l'art. 117   Cost.   ricomprende   tra   le  materie  a  legislazione
concorrente,  la'  dove prevede che l'autorizzazione unica rilasciata
dal  Ministero  abbia effetto di variante urbanistica, richiedendo al
comune sul cui territorio ricade l'intervento un semplice parere che,
peraltro,  puo' essere anche negativo o puo' anche mancare e comunque
non puo' incidere sul rispetto del termine di 180 giorni previsto per
la conclusione del procedimento.
    Infine, a sostegno della asserita violazione dell'art. 118 Cost.,
la  Regione  Toscana  prospetta argomenti del tutto analoghi a quelli
fatti valere dalla Regione Basilicata.
    6.  - Anche nei due giudizi introdotti dalle Regioni Basilicata e
Toscana  la  Presidenza  del  Consiglio dei ministri si e' costituita
tramite   l'Avvocatura   generale   dello  Stato,  sostenendo  -  con
argomentazioni  di  merito identiche a quelle sviluppate in relazione
all'impugnazione  della  Regione  Umbria  -  che  i  ricorsi proposti
debbano essere dichiarati inammissibili o comunque infondati.
    7. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Umbria ha depositato
una  memoria  nella  quale  ribadisce  le  censure svolte nei ricorsi
introduttivi  avverso il d.l. n. 7 del 2002 e la legge di conversione
n. 55 del 2002.
    In  particolare tali atti normativi conterrebbero disposizioni di
dettaglio in una materia attribuita dall'art. 117, terzo comma, Cost.
alla potesta' legislativa concorrente.
    La   ricorrente,   inoltre,   contesta  che  lo  strumento  della
decretazione   d'urgenza  possa  essere  utilizzato  dal  legislatore
statale  per  dettare principi nella materia dell'energia, sia per la
natura  propria del decreto-legge, finalizzato a risolvere problemi e
regolare  situazioni  eccezionali e straordinarie, sia perche', anche
qualora  mancasse  la  fissazione  di  principi,  questi,  secondo la
giurisprudenza  della  Corte,  andrebbero desunti dalle leggi gia' in
vigore.
    La  Regione  ribadisce che il d.l. n. 7 del 2002 neppure potrebbe
trovare il proprio fondamento nell'art. 120, secondo comma, Cost., in
quanto  ammettere  che  il  Governo  possa sostituirsi al legislatore
regionale  in  via  d'urgenza,  configurerebbe  un  tertium  genus di
potesta'  legislativa statale non prevista dall'art. 117 Cost., che -
come  tale - sfuggirebbe al sistema dei limiti di materia previsti da
tale  norma  ed introdurrebbe una potesta' sostitutiva generale dello
Stato nei confronti delle Regioni.
    In  concreto  poi,  il  d.l.  n. 7  del  2002  avrebbe operato un
intervento  sostitutivo  preventivo,  sganciato dalla previa messa in
mora  della  Regione e sottratto ad ogni disponibilita' della stessa;
cio'  in  contrasto  anche  con quanto prevede l'art. 8 della legge 5
giugno 2003,  n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento
della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).
    Neppure  ricorrerebbero  i presupposti per l'esercizio del potere
sostitutivo  previsto dall'art. 117, quinto comma, Cost., per il caso
di  inadempienza delle Regioni in materia di attuazione ed esecuzione
degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea.
    Ad  avviso  della  Regione  Umbria,  i  profili di illegittimita'
censurati   non  verrebbero  meno  per  il  fatto  che  la  legge  di
conversione  n. 55  del  2002 ha limitato la vigenza della disciplina
«fino  alla determinazione dei principi fondamentali della materia in
attuazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e comunque non oltre il
31 dicembre  2003».  Si  tratterebbe  infatti  di  una vera e propria
«sospensione»  della  potesta'  legislativa regionale con conseguente
inversione dell'ordine delle competenze costituzionalmente garantite.
Da questo punto di vista, la legge impugnata contrasterebbe anche con
quanto  stabilito  dalla  recente  sentenza n. 303 del 2003 di questa
Corte,  dal  momento  che  le disposizioni censurate non sarebbero il
frutto  di un'intesa con le Regioni, ne' conterrebbero una disciplina
di  carattere suppletivo rispetto al successivo intervento regionale.
D'altronde   il  limite  temporale  non  potrebbe  valere  a  rendere
legittima  la  normativa  censurata,  in  quanto nulla impedirebbe al
Governo  di  disporre  con altro decreto-legge una o piu' proroghe al
termine inizialmente fissato.
    Anche la previsione della preventiva intesa per la determinazione
delle opere da considerarsi di pubblica utilita' ai sensi dell'art. 1
del   d.l.   n. 7   del   2002   non  rappresenterebbe  un  effettivo
coinvolgimento  delle Regioni. Infatti, la determinazione delle opere
da  considerarsi di pubblica utilita', sarebbe «compiuta direttamente
dal  legislatore  statale»,  potendo  le  Regioni, in sede di intesa,
manifestare  il proprio assenso o dissenso alla disciplina normativa,
mentre sarebbe loro preclusa «ogni valutazione reale circa la portata
degli interessi dello Stato alla attrazione delle competenze».
    Infine,  la Regione Umbria da' conto della emanazione, nelle more
del giudizio, del decreto-legge 18 febbraio 2003, n. 25 (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  oneri  generali  del sistema elettrico e di
realizzazione,  potenziamento,  utilizzazione e ambientalizzazione di
impianti  termoelettrici),  convertito  nella  legge  17 aprile 2003,
n. 83  (Conversione  in  legge,  con modificazioni, del decreto-legge
18 febbraio  2003,  n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di
oneri  generali  del  sistema  elettrico. Sanatoria degli effetti del
decreto-legge   23 dicembre   2002,   n. 281),  che  modifica  talune
disposizioni   della  normativa  oggetto  del  giudizio,  dichiarando
prioritari alcuni progetti di cui al d.l. n. 7 del 2002 ai fini della
valutazione  di  impatto  ambientale (art. 3, comma 1), prorogando il
termine  per  l'espletamento  della VIA (art. 3, comma 2), disponendo
che  l'elenco  dei  progetti  prioritari e' approvato con decreto dei
ministri   per  le  attivita'  produttive  e  dell'ambiente  (art. 3,
comma 4).
    Dichiara   la   Regione   di   non   aver   ritenuto   necessaria
l'impugnazione  di tali disposizioni, che violerebbero gli artt. 117,
118  e  120  Cost.,  trattandosi di norme strettamente connesse ed in
rapporto  di  coordinazione  con  le  disposizioni  censurate, la cui
illegittimita' costituzionale potrebbe essere pronunciata dalla Corte
in  via  consequenziale  ai  sensi  dell'art. 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale).
    8. - In prossimita' dell'udienza la Regione Toscana ha depositato
una    memoria,   nella   quale   contesta   le   deduzioni   esposte
dall'Avvocatura dello Stato.
    In  particolare, la ricorrente ritiene che la normativa impugnata
attenga ad una materia attribuita alla potesta' legislativa esclusiva
dello  Stato:  anzitutto,  non  sarebbe  pertinente  il richiamo alla
«sicurezza»  di  cui  all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.,
come sarebbe dimostrato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo
la  quale tale espressione dovrebbe essere interpretata come inerente
alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell'ordine pubblico.
    Del  pari  infondato  sarebbe  il  richiamo  alla  lettera m) del
secondo  comma  dell'art. 117  Cost., in quanto, come affermato dalla
giurisprudenza   costituzionale,   la   determinazione   dei  livelli
essenziali   delle  prestazioni  non  sarebbe  una  materia,  ma  una
competenza del legislatore statale di dettare norme aventi ad oggetto
la  fissazione  di  un  livello  minimo di soddisfacimento di diritti
civili  e sociali. La legge censurata non fisserebbe standard minimi,
ma   allocherebbe   in   capo allo   Stato   funzioni  amministrative
preordinate  al  rilascio  degli  atti autorizzativi necessari per la
costruzione e l'esercizio degli impianti.
    La  disciplina  censurata  non  sarebbe  riconducibile neppure al
settore  della  «tutela  della concorrenza», non contenendo ne' norme
volte  a  garantire  le  imprese  da  intese  restrittive,  abuso  di
posizioni  dominanti  ed  operazioni  di concentrazione, ne' forme di
promozione  della  concorrenza.  Essa quindi rientrerebbe nell'ambito
della  materia della «produzione di energia» attribuita alla potesta'
legislativa concorrente delle Regioni.
    Il   sovvertimento  delle  competenze  regionali,  operato  dalle
disposizioni  censurate,  secondo  la  Regione  Toscana,  non sarebbe
giustificato  dall'esigenza  di  evitare  il pericolo di interruzione
dell'energia  elettrica,  dal  momento  che,  dopo 19 mesi di vigenza
della   normativa,   si   sarebbe   per  la  prima  volta  verificata
un'interruzione di energia senza precedenti. Cio' evidenzierebbe come
l'attrazione  allo  Stato  delle  competenze  regionali  non potrebbe
giustificarsi  nemmeno  in forza del principio di sussidiarieta', dal
momento  che  l'assunzione  di  tali  competenze  non  ha  evitato il
pericolo  di  interruzione dell'erogazione di energia, che costituiva
l'elemento  giustificativo  dell'intervento  statale  e  della deroga
all'art. 117 Cost.
    9.   -  Nella  memoria  depositata  in  prossimita'  dell'udienza
l'Avvocatura  dello  Stato  contesta  innanzitutto la possibilita' da
parte  delle  Regioni  di  impugnare  una  legge di conversione di un
decreto-legge per violazione dei presupposti di necessita' e urgenza,
osservando  come  i  limiti  del  potere di impugnativa regionale non
sarebbero  cambiati  a  seguito delle modifiche costituzionali, anche
secondo quanto affermato dalla Corte nella sentenza n. 274 del 2003.
    Inoltre,   ad   avviso   della   difesa   erariale,  i  vizi  del
decreto-legge  sarebbero  sanati  definitivamente  quando la legge di
conversione abbia assunto come propri i contenuti e gli effetti della
disciplina adottata.
    Quanto ai contenuti della legge impugnata, l'Avvocatura ribadisce
che la materia dell'energia rientrerebbe nella legislazione esclusiva
statale  ai  sensi  dell'art. 117,  secondo  comma, lettere h) ed m),
Cost.,   in  quanto  l'efficienza  del  sistema  elettrico  nazionale
atterrebbe alla sicurezza e all'ordine pubblico, poiche' interruzioni
dell'erogazione   di  energia  determinerebbero  l'impossibilita'  di
provvedere  alle  esigenze  fondamentali,  con  danni al patrimonio e
all'integrita' fisica, come reso evidente dai recenti avvenimenti.
    Inoltre,  la  continuita'  della  fornitura  di energia elettrica
garantirebbe  i  «livelli  essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti  civili  e  sociali», dal momento che essa sarebbe necessaria
per l'esercizio dei servizi pubblici e per consentire di fronteggiare
le fondamentali esigenze di vita.
    Anche  a voler ritenere, come fanno le ricorrenti, che la materia
rientri   tra   quelle   attribuite   alla  legislazione  concorrente
regionale,  principio fondamentale sarebbe quello sancito dall'art. 1
del  d.lgs.  n. 79 del 1999, che attribuisce allo Stato il compito di
assicurare   l'efficienza   e  la  sicurezza  del  sistema  elettrico
nazionale.
    Le disposizioni censurate sarebbero inoltre conformi all'art. 118
Cost.,  in  quanto  solo  un  organo  a competenza nazionale potrebbe
intervenire  su  un  sistema  complesso  per  la  cui  sicurezza sono
necessari  interventi  in  tempi  brevissimi  che  non  consentono di
operare  in forme collegiali. La Corte, nella recente sentenza n. 307
del  2003,  avrebbe  messo  in  evidenza  come, quando e' disposta la
realizzazione  di  impianti  e reti rispondenti a rilevanti interessi
nazionali,   sussista   il   preminente   interesse   nazionale  alla
definizione  di  criteri  unitari  e di normative omogenee. Anche nel
caso  in  esame,  l'interesse  nazionale  si  imporrebbe,  venendo in
considerazione  sistemi  volti alla produzione di energia su tutto il
territorio nazionale e la cui distribuzione e' effettuata tramite una
rete.
    Quanto  alla  previsione di un limite di efficacia alla normativa
d'urgenza,  limite  introdotto  dalla  stessa  legge  censurata, tale
limite  sarebbe  giustificato sia al fine di evitare contrasti con le
Regioni,  sia  in  quanto,  una  volta  realizzata  la  finalita'  di
rafforzamento del sistema elettrico, verrebbero meno le ragioni poste
a base dell'intervento normativo statale.
    Per quanto attiene alle singole disposizioni contenute negli atti
normativi  impugnati,  la difesa erariale sostiene che la previsione,
contenuta  nell'art. 1,  comma 1,  del  d.l.  convertito, di un'unica
autorizzazione   per  le  opere  indispensabili  all'esercizio  degli
impianti   di   energia  elettrica,  rilasciata  dal  Ministro  delle
attivita'  produttive,  si  giustificherebbe,  in  conformita' con il
principio  di  sussidiarieta', per il carattere di sistema a rete che
assume   il   complesso   degli   impianti   di  produzione  e  degli
elettrodotti, il quale determinerebbe la necessita' dell'attribuzione
allo Stato delle funzioni amministrative corrispondenti.
    In  relazione al procedimento per il rilascio dell'autorizzazione
unica (art. 1, comma 2, del d.l. convertito), gli interessi regionali
risulterebbero  ampiamente  garantiti  attraverso la previsione della
partecipazione delle amministrazioni locali interessate e dell'intesa
con la Regione.
    L'altra  norma,  contenuta  nel  comma 3, che contempla il parere
motivato  del  comune  o  della  provincia  nel cui territorio ricada
l'intervento,  riconoscendo  all'autorizzazione il valore di variante
urbanistica,   non   concreterebbe   una   lesione  delle  competenze
regionali,    ma   costituirebbe   applicazione   dei   principi   di
sussidiarieta'  ed  adeguatezza  di cui all'art. 118 Cost. Nonostante
cio',  non  sarebbero  stati  trascurati  gli  interessi  degli  enti
territoriali,  che sono chiamati ad esprimere un motivato parere e le
cui  eventuali ragioni di dissenso devono essere valutate dall'organo
centrale,  con  la  conseguente  possibilita'  che  gli  enti  locali
insoddisfatti si rivolgano al giudice amministrativo.
    Anche la previsione di un termine di sei mesi per la chiusura del
procedimento sarebbe ragionevole, in considerazione delle esigenze di
speditezza.
    Quanto  alla  censura  concernente  la  previsione  contenuta nel
comma 5  dell'art. 1 del d.l. convertito, la difesa erariale sostiene
che  essa  sarebbe  inammissibile,  in  quanto  non  sarebbero  stati
indicati  i parametri violati, e comunque infondata, riferendosi solo
a   norme   statali.  La  Regione,  infatti,  non  avrebbe  posizioni
costituzionalmente garantite a mantenere l'efficacia di una normativa
non sua.
    L'Avvocatura   sostiene   l'infondatezza   anche  della  presunta
violazione  dell'art. 120  Cost.,  non costituendo le norme censurate
esercizio di potere sostitutivo.
    Infondata  sarebbe,  da  ultimo,  anche la censura concernente la
violazione  del principio di leale collaborazione. La mancanza di una
disciplina   specifica   dell'intesa   Stato-Regioni  significherebbe
unicamente  che  il  ruolo  da riconoscere ad essa sarebbe quello che
emerge dalla norma, mentre i rimedi per il suo mancato raggiungimento
sarebbero quelli ordinari.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Regione Umbria ha impugnato il decreto-legge 7 febbraio
2002,  n. 7  (Misure  urgenti  per garantire la sicurezza del sistema
elettrico  nazionale),  per  violazione  dell'art. 77, secondo comma,
Cost., in quanto emanato in assenza delle condizioni di straordinaria
necessita'  ed  urgenza,  dal  momento  che  la  situazione addotta a
fondamento  della sussistenza di tali requisiti non sarebbe basata su
dati  oggettivi, nonche' per violazione dell'art. 120, secondo comma,
Cost.,  in  quanto  - ove si individuasse nel decreto-legge impugnato
una  manifestazione  del potere sostitutivo dello Stato nei confronti
delle  Regioni  -  ne  mancherebbero i presupposti e le forme da tale
disposizione  previsti.  La  ricorrente,  inoltre,  ha  impugnato  il
suddetto  decreto-legge  per  violazione  dell'art. 117, primo comma,
secondo  comma lettera m), e terzo comma, Cost., in quanto detterebbe
una  disciplina  di  dettaglio in una materia assegnata alla potesta'
legislativa   concorrente  delle  Regioni  quale  quella  relativa  a
«produzione,   trasporto  e  distribuzione  nazionale  dell'energia»;
sarebbe  violato, altresi', l'art. 118, primo e secondo comma, Cost.,
in  quanto  il  decreto-legge  impugnato attribuirebbe nella suddetta
materia un potere autorizzatorio allo Stato, riconoscendo quindi «una
competenza    amministrativa   generale   e   di   tipo   gestionale»
all'amministrazione  statale  in  assenza  di  esigenze  di carattere
unitario.
    In  subordine,  e  piu'  specificamente,  la Regione ha impugnato
l'art. 1,  commi 1,  2, 3 e 5, del d.l. n. 7 del 2002, per violazione
dell'art. 117,  primo  e  terzo  comma, Cost., nonche' dell'art. 118,
primo  e  secondo  comma, Cost; l'art. 1, commi 2, 3, 4 e 5, e' stato
impugnato,  infine, per violazione dell'art. 97, primo comma, Cost. e
del principio di leale collaborazione.
    Con  successivo  ricorso, la Regione Umbria ha impugnato la legge
9 aprile  2002,  n. 55  (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge  7 febbraio  2002,  n. 7  recante  misure  urgenti  per
garantire   la   sicurezza  del  sistema  elettrico  nazionale),  per
violazione sia dell'art. 77, secondo comma, Cost., sia dell'art. 120,
secondo   comma,  Cost.,  perche'  avrebbe  convertito  in  legge  un
decreto-legge  in assenza dei presupposti di necessita' e di urgenza,
e,  comunque,  in  quanto  non riconducibile ai poteri governativi di
tipo   sostitutivo.   Inoltre,   la  legge  sarebbe  censurabile  per
violazione  dell'art. 117,  primo comma, secondo comma, lettera m), e
terzo comma, Cost.
    In  via  subordinata,  la Regione ha impugnato la legge n. 55 del
2002  per le parti in cui ha modificato le disposizioni del d.l. n. 7
del  2002, nonche' per le parti di quest'ultimo gia' impugnate con il
precedente ricorso e convertite senza modificazioni - riproponendo le
medesime censure - per violazione dell'art. 117, primo e terzo comma,
Cost.,   dell'art. 118,   primo   e  secondo  comma,  Cost.,  nonche'
dell'art. 97,   primo   comma,   Cost.   e  del  principio  di  leale
collaborazione.
    2.  -  Anche  le  Regioni Basilicata e Toscana hanno impugnato la
legge  n. 55  del 2002, nella parte in cui disciplina un procedimento
unico   per   il  rilascio  dell'autorizzazione  alla  costruzione  e
all'esercizio di impianti di energia elettrica di potenza superiore a
300  MW termici, per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto interferirebbe con norme di dettaglio in materie di competenza
legislativa  ripartita delle Regioni, nonche' dell'art. 118 Cost., in
quanto  l'attribuzione  allo  Stato  della funzione amministrativa di
rilascio  dell'autorizzazione  si porrebbe in contrasto con i criteri
di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, violando altresi'
la potesta' delle Regioni di disciplinare le procedure di svolgimento
delle funzioni nelle materie di competenza legislativa ripartita.
    La Regione Basilicata e Toscana impugnano la legge n. 55 del 2002
anche  nella  parte  in  cui prevede che l'autorizzazione unica abbia
effetto  di variante urbanistica, per contrasto con l'art. 117, terzo
comma,  Cost., in quanto violerebbe la potesta' legislativa regionale
in materia di «governo del territorio».
    3.  -  Data la sostanziale identita' delle censure prospettate, i
quattro   ricorsi   possono   essere   riuniti  per  essere  trattati
congiuntamente e decisi con unica sentenza.
    I ricorsi in esame non sono fondati.
    In   via   preliminare,   occorre   affrontare  la  questione  di
legittimita'   costituzionale   posta   dalla   Regione   Umbria  sul
decreto-legge  n. 7 del 2002, in relazione alla lamentata carenza dei
presupposti contemplati nell'art. 77 Cost.
    Quanto alla deducibilita' di tale vizio da parte delle Regioni in
occasione   della   promozione   della   questione   di  legittimita'
costituzionale  in  via  diretta, la recente giurisprudenza di questa
Corte  ha affermato la perdurante distinzione - anche dopo la riforma
costituzionale  del  Titolo  V  - dei parametri invocabili da Stato e
Regioni,  rispettivamente  nei riguardi di leggi regionali o di leggi
od  atti  con  forza  di legge statali (sentenza n. 274 del 2003), al
tempo   stesso   confermando   che   le  Regioni  possono  contestare
l'esistenza  dei  presupposti  costituzionali degli atti con forza di
legge  «quando  la  violazione denunciata sia potenzialmente idonea a
determinare  una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle
Regioni  o  delle  Province autonome ricorrenti» (sentenza n. 303 del
2003).  D'altra  parte,  fin  dalla  sentenza n. 302 del 1988, questa
Corte  ha espressamente riconosciuto che le Regioni possono impugnare
un   decreto-legge  per  motivi  attinenti  alla  pretesa  violazione
dell'art. 77  Cost.,  ove  adducano che da tale violazione derivi una
compressione delle loro competenze costituzionali.
    Peraltro,  diversamente  da come asserisce la Regione ricorrente,
un  decreto-legge  puo' di per se' costituire legittimo esercizio dei
poteri   legislativi  che  la  Costituzione  affida  alla  competenza
statale,   ivi   compresa   anche   la  determinazione  dei  principi
fondamentali nelle materie di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.
    I  rilievi  sollevati  dalla  Regione  Umbria  relativamente alla
mancanza  dei  presupposti di necessita' ed urgenza del d.l. n. 7 del
2002,  atto  sicuramente  incidente  sui poteri regionali in materia,
sono  infondati;  se  la  giurisprudenza di questa Corte sul punto ha
piu'    volte   affermato   che   il   sindacato   sull'esistenza   e
sull'adeguatezza  dei  presupposti  della decretazione d'urgenza puo'
essere  esercitato  solo  in caso di loro «evidente mancanza» (fra le
molte,  si vedano le sentenze n. 16 del 2002, n. 398 del 1998, n. 330
del 1996), non puo' disconoscersi che, nel caso del d.l. impugnato, a
fondamento   dell'intervento   normativo  del  Governo  si  pone  una
situazione   nella  quale,  in  assenza  di  un  effettivo  e  rapido
rafforzamento  delle  strutture  di  produzione  e  di  distribuzione
dell'energia  elettrica,  si  possono  produrre  serie  situazioni di
difficolta'  o  addirittura  interruzioni  piu'  o  meno estese della
fornitura   di  energia,  con  conseguenti  gravi  danni  sociali  ed
economici. Cio' al di la' dell'enfasi del primo comma dell'art. 1 del
d.l.  in  questione  (nel  testo  originario), che faceva riferimento
all'«imminente  pericolo  di  interruzione  di  fornitura  di energia
elettrica  su  tutto  il  territorio nazionale» (formula, non a caso,
corretta  in  semplice  «pericolo  di  interruzione»  dalla  legge di
conversione n. 55 del 2002).
    La  sicura  esistenza di elementi di fatto contrari all'«evidente
mancanza»  dei  requisiti  di  urgenza  del  d.l. n. 7 del 2002 rende
inutile la valutazione degli eventuali effetti sananti prodotti dalla
legge n. 55 del 2002 di conversione di tale decreto.
    4.  -  Quanto  appena  affermato  rende  altresi' inutile l'esame
dell'ulteriore  rilievo  prospettato  dalla  Regione  Umbria circa il
fatto  che  il  d.l.  impugnato  non  avrebbe  potuto neppure trovare
giustificazione  negli  speciali  poteri  sostitutivi  attribuiti  al
Governo  dall'art. 120,  secondo comma, Cost., di recente specificati
dall'art. 8  della  legge  5  giugno 2003,  n. 131  (Disposizioni per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3),  dal  momento che - come ha
anche  notato l'Avvocatura dello Stato - non vi sono elementi formali
o  sostanziali  per  considerare  il  d.l.  n. 7  del  2002 come atto
adottato su questa base giuridica.
    5.  -  Possono  quindi  essere  affrontate le censure mosse dalle
Regioni    ricorrenti   sulla   legittimita'   costituzionale   delle
disposizioni  del  d.l.  n. 7  del  2002 e della legge di conversione
n. 55  del  2002, in relazione alla asserita violazione dell'art. 117
Cost.
    Al  riguardo,  appare decisiva la ricostruzione di quale sia - al
di   la'   della  stessa  volonta'  del  legislatore  statale,  quale
deducibile  dai  lavori  preparatori, o delle ricostruzioni suggerite
dall'Avvocatura  dello  Stato - l'oggettivo fondamento costituzionale
degli atti impugnati.
    Il  testo  originario  del  d.l., mentre non fa alcun riferimento
alle   disposizioni   costituzionali,   sembra  indicare  il  proprio
fondamento  nel  ruolo  riconosciuto  al  Ministero  delle  attivita'
produttive  dall'art. 1,  comma 2,  del  decreto legislativo 16 marzo
1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni
per  il  mercato interno dell'energia elettrica), di organo nazionale
preposto  «alla  sicurezza  ed all'economicita' del sistema elettrico
nazionale».
    Solo la legge di conversione introduce alcuni riferimenti diretti
ed  indiretti  alle disposizioni costituzionali e, in particolare, fa
riferimento  al  fatto  che  la nuova disciplina resterebbe in vigore
«sino  alla determinazione dei principi fondamentali della materia in
attuazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, e comunque
non  oltre  il  31 dicembre 2003» (art. 1, comma 1, del d.l. n. 7 del
2002 nel testo modificato).
    L'Avvocatura  dello  Stato  ha,  reiteratamente sostenuto, che la
disciplina  contenuta  negli atti impugnati rientrerebbe negli ambiti
di   competenza   legislativa   esclusiva   dello  Stato  relativi  a
«sicurezza»   [art. 117,   secondo   comma,   lettera h),   Cost.]  e
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio  nazionale»  [art. 117,  secondo  comma, lett. m), Cost.];
l'Avvocatura,  inoltre,  ha  sostenuto che queste norme inciderebbero
anche  nella  materia  della  «tutela  della  concorrenza», anch'essa
affidata  alla  legislazione esclusiva dello Stato [art. 117, secondo
comma,   lettera e),  Cost.].  Peraltro,  sempre  secondo  la  difesa
erariale,  la  disciplina  impugnata sarebbe destinata a restare solo
temporaneamente  in  vigore,  poiche', successivamente al superamento
della  fase  di  carenza  produttiva, si eserciterebbe liberamente la
legislazione  concorrente  delle  Regioni  in  tema  di  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia».
    Tali argomenti non possono essere condivisi.
    Deve  anzitutto negarsi che il concetto di «sicurezza» utilizzato
nella       legislazione       sull'energia      come      «sicurezza
dell'approvvigionamento  di  energia elettrica» e «sicurezza tecnica»
(cfr.  art. 2,  n. 28,  della  direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio  2003/54/CE  del 26 giugno 2003 relativa a norme comuni per
il  mercato  interno dell'energia elettrica e che abroga la direttiva
96/92/CE)  possa  essere  confuso  con  la materia «ordine pubblico e
sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale», di cui
alla  lettera h)  del  secondo  comma  dell'art. 117  Cost., che gia'
questa  Corte  ha  interpretato  come  riferibile esclusivamente agli
interventi  finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento
dell'ordine  pubblico  (sentenza  n. 407 del 2002). Tanto meno appare
condivisibile l'opinione che i possibili effetti in termini di ordine
pubblico  del cattivo funzionamento del settore energetico potrebbero
giustificare limiti preventivi ai poteri regionali, dal momento che -
semmai  -  il  verificarsi  di  situazioni  di  fatto  di questo tipo
potrebbe   eventualmente  legittimare  l'attivazione  degli  speciali
poteri sostitutivi del Governo sulla base di quel «pericolo grave per
l'incolumita'   e   la   sicurezza   pubblica»   che  e'  presupposto
espressamente   contemplato   dall'art. 120,   secondo  comma,  Cost.
Analogamente  e' da dirsi per la pretesa riconduzione della normativa
impugnata  alla  competenza  legislativa statale di cui all'art. 117,
secondo comma, lettera m), Cost.: come questa Corte ha gia' affermato
(cfr.  le sentenze n. 88 del 2003 e n. 282 del 2002), tale competenza
legittima  una  eventuale  predeterminazione legislativa dei «livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali»,
cio'  che nella specie non e' intervenuto. La stessa utilizzazione di
questi  livelli essenziali quale fondamento dell'esercizio dei poteri
sostitutivi, ai sensi del secondo comma dell'art. 120 Cost., di norma
presuppone  che  lo  Stato  abbia  previamente  esercitato la propria
potesta' legislativa di tipo esclusivo.
    Tuttavia,  ne'  il d.l. n. 7 del 2002 ne' la legge di conversione
n. 55  del  2002  hanno  un  contenuto  normativo  di questo tipo, ma
semplicemente    disciplinano   un   nuovo   complesso   procedimento
amministrativo    finalizzato    a    garantire   la   produzione   e
l'approvvigionamento dell'energia elettrica.
    Identiche  considerazioni  possono  essere  svolte in riferimento
alla pretesa che la legislazione impugnata possa essere riconducibile
alla  «tutela  della concorrenza» di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera e),  Cost., dal momento che la disciplina in questione non e'
affatto  caratterizzata  dagli  istituti e dalle procedure tipiche di
questa particolare materia.
    6.   -   La  disciplina  oggetto  degli  atti  impugnati  insiste
indubbiamente  nell'ambito  della  materia  «produzione,  trasporto e
distribuzione   nazionale  dell'energia»,  espressamente  contemplata
dall'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  tra  le  materie affidate alla
potesta'   legislativa   concorrente   delle   Regioni.   Secondo  le
ricorrenti,  il  legislatore  statale  avrebbe  invaso  la competenza
regionale,  in  quanto non si sarebbe limitato a stabilire i principi
fondamentali   della   materia,   disciplinando  invece,  in  termini
analitici,  il  procedimento  di  rilascio dell'autorizzazione per la
costruzione  e  l'esercizio  degli  impianti di produzione di energia
elettrica.
    In  effetti,  e'  incontestabile  che la disciplina impugnata non
contiene   principi  fondamentali  volti  a  guidare  il  legislatore
regionale  nell'esercizio  delle  proprie  attribuzioni,  ma norme di
dettaglio  autoapplicative  e  intrinsecamente  non  suscettibili  di
essere sostituite dalle Regioni. Tuttavia, occorre considerare che il
problema  della  competenza  legislativa  dello Stato non puo' essere
risolto  esclusivamente  alla  luce  dell'art. 117  Cost.  E' infatti
indispensabile  una  ricostruzione che tenga conto dell'esercizio del
potere  legislativo  di  allocazione  delle  funzioni  amministrative
secondo i principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza
di  cui  al  primo  comma dell'art. 118 Cost., conformemente a quanto
gia'   questa   Corte   ha   ritenuto  possibile  nel  nuovo  assetto
costituzionale (cfr. sentenza 303 del 2003).
    In  questa  logica,  il  d.l.  n. 7  del  2002  e la sua legge di
conversione  n. 55  del 2002, pur senza negare il vigente ordinamento
costituzionale   ed   in   particolare   l'attribuzione  di  potesta'
legislativa  di tipo concorrente alle Regioni in tema di «produzione,
trasporto  e  distribuzione nazionale dell'energia», hanno ridefinito
in  modo unitario ed a livello nazionale i procedimenti di modifica o
ripotenziamento  dei  maggiori  impianti  di  produzione dell'energia
elettrica,  in  base  all'evidente  presupposto  della  necessita' di
riconoscere  un ruolo fondamentale agli organi statali nell'esercizio
delle corrispondenti funzioni amministrative.
    Conseguentemente, per giudicare della legittimita' costituzionale
della  normativa  impugnata,  e'  necessario non gia' considerarne la
conformita'   rispetto   all'art. 117   Cost.,  bensi'  valutarne  la
rispondenza  da  un lato ai criteri indicati dall'art. 118 Cost., per
la   allocazione   e  la  disciplina  delle  funzioni  amministrative
(parametro  quest'ultimo  del  resto  esplicitamente  invocato  dalle
Regioni ricorrenti), dall'altro al principio di leale collaborazione,
cosi'  come  questa  Corte  ha  gia'  avuto modo di evidenziare nella
richiamata sentenza n. 303 del 2003.
    Quanto  appena  affermato  rende  evidente  l'infondatezza  delle
censure  concernenti la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
nonche'  di  quelle  relative  alla violazione dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), formulate dalla Regione Umbria.
    Quanto  invece  alla  lamentata  violazione  dell'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione al limite costituzionale - al di la' della
mancanza  di  qualsivoglia  motivazione al riguardo nel ricorso della
Regione  Umbria  - deve comunque notarsi che la deduzione del mancato
rispetto  del limite costituzionale in tale disposizione previsto non
puo'    costituire    autonomo    motivo   di   censura,   risultando
inevitabilmente  collegato  alla violazione di ulteriori e specifiche
norme costituzionali.
    7.  - E' possibile a questo punto passare all'esame delle censure
prospettate  dalle  Regioni  ricorrenti  in  relazione  alla asserita
violazione dell'art. 118 Cost.
    La qualificazione della normativa in esame come espressiva di una
scelta   del   legislatore   statale  di  considerare  necessario  il
conferimento allo Stato della responsabilita' amministrativa unitaria
in   materia,   «sulla   base   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione  ed  adeguatezza»  di cui all'art. 118, primo comma,
Cost.,   deve   superare   la  preliminare  obiezione  delle  Regioni
ricorrenti  sulla  idoneita'  della  fonte  statale a compiere questa
scelta  anche la' dove le norme costituzionali affidano solo limitati
poteri legislativi allo Stato, come appunto nel caso delle materie di
cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.
    Il superamento di questa obiezione appare agevole se si considera
che  la valutazione della necessita' del conferimento di una funzione
amministrativa ad un livello territoriale superiore rispetto a quello
comunale   deve   essere   necessariamente   effettuata   dall'organo
legislativo corrispondente almeno al livello territoriale interessato
e  non  certo  da  un  organo  legislativo  operante  ad  un  livello
territoriale  inferiore  (come  sarebbe  un  Consiglio  regionale  in
relazione ad una funzione da affidare - per l'esercizio unitario - al
livello nazionale).
    Questa  scelta  legislativa  che  trova sicuro, seppur implicito,
fondamento   costituzionale  nell'art. 118  Cost.,  in  relazione  al
principio  di  legalita',  deve  giustificarsi in base ai principi di
sussidiarieta',   differenziazione  ed  adeguatezza;  questi  ultimi,
tuttavia,  non  possono trasformarsi - come questa Corte ha affermato
nella  sentenza n. 303 del 2003 - «in mere formule verbali capaci con
la  loro  sola  evocazione  di  modificare  a  vantaggio  della legge
nazionale  il  riparto  costituzionalmente  stabilito,  perche'  cio'
equivarrebbe a negare la stessa rigidita' della Costituzione».
    Proprio  per  la  rilevanza dei valori coinvolti, questa Corte ha
quindi  affermato, nella medesima sentenza, che una deroga al riparto
operato  dall'art. 117  Cost.,  puo'  essere giustificata «solo se la
valutazione  dell'interesse  pubblico  sottostante  all'assunzione di
funzioni  regionali  da  parte  dello  Stato  sia  proporzionata, non
risulti  affetta  da  irragionevolezza  alla stregua di uno scrutinio
stretto  di  costituzionalita'  e sia oggetto di un accordo stipulato
con la Regione interessata».
    In  altri  termini,  perche'  nelle  materie di cui all'art. 117,
terzo  e  quarto comma, Cost., una legge statale possa legittimamente
attribuire  funzioni  amministrative  a  livello centrale ed al tempo
stesso  regolarne  l'esercizio,  e' necessario che essa innanzi tutto
rispetti   i   principi   di   sussidiarieta',   differenziazione  ed
adeguatezza   nella   allocazione   delle   funzioni  amministrative,
rispondendo  ad  esigenze  di esercizio unitario di tali funzioni. E'
necessario,  inoltre, che tale legge detti una disciplina logicamente
pertinente, dunque idonea alla regolazione delle suddette funzioni, e
che  risulti  limitata  a  quanto  strettamente indispensabile a tale
fine.  Da ultimo, essa deve risultare adottata a seguito di procedure
che  assicurino  la  partecipazione  dei livelli di governo coinvolti
attraverso  strumenti  di  leale  collaborazione  o,  comunque,  deve
prevedere   adeguati   meccanismi  di  cooperazione  per  l'esercizio
concreto  delle  funzioni amministrative allocate in capo agli organi
centrali.  Quindi,  con  riferimento  a  quest'ultimo  profilo, nella
perdurante   assenza   di   una   trasformazione   delle  istituzioni
parlamentari  e,  piu'  in  generale,  dei procedimenti legislativi -
anche  solo  nei  limiti  di quanto previsto dall'art. 11 della legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche al titolo V della
parte seconda della Costituzione) - la legislazione statale di questo
tipo   «puo'   aspirare   a   superare   il  vaglio  di  legittimita'
costituzionale  solo  in  presenza di una disciplina che prefiguri un
iter in cui assumano il dovuto risalto le attivita' concertative e di
coordinamento  orizzontale,  ovverosia  le  intese, che devono essere
condotte in base al principio di lealta» (sentenza n. 303 del 2003).
    Se  si  applicano i menzionati criteri alla normativa oggetto del
presente    giudizio,    si   rileva   anzitutto   la   necessarieta'
dell'intervento   dell'amministrazione   statale   in   relazione  al
raggiungimento  del  fine  di evitare il «pericolo di interruzione di
fornitura  di  energia  elettrica  su  tutto il territorio nazionale»
(art. 1  del  d.l. n. 7 del 2002); non v'e' dubbio, infatti, che alle
singole  amministrazioni  regionali  -  che si volessero attributarie
delle  potesta' autorizzatorie contemplate dalla disciplina impugnata
-  sfuggirebbe la valutazione complessiva del fabbisogno nazionale di
energia   elettrica   e   l'autonoma   capacita'   di  assicurare  il
soddisfacimento  di tale fabbisogno. In relazione agli altri criteri,
d'altra  parte,  non  si puo' non riconoscere da un lato la specifica
pertinenza della normativa oggetto del presente giudizio in relazione
alla   regolazione   delle   funzioni  amministrative  in  questione,
dall'altro  che  tale normativa si e' limitata - nell'esercizio della
discrezionalita'  del  legislatore  -  a  regolare  queste  ultime in
funzione  del  solo  fine  di  sveltire  le  procedure autorizzatorie
necessarie  alla  costruzione  o  al  ripotenziamento  di impianti di
energia elettrica di particolare rilievo.
    Resta  da  valutare il rispetto dell'ultimo criterio indicato, in
relazione  alla  necessaria  previsione  di  idonee forme di intesa e
collaborazione tra il livello statale e i livelli regionali.
    Da quest'ultimo punto di vista devono considerarsi adeguati i due
distinti  livelli  di  partecipazione  delle Regioni disciplinati nel
d.l.  n. 7 del 2002, quale convertito dalla legge n. 55 del 2002: per
il  primo  comma dell'art. 1, quale opportunamente modificato in sede
di  conversione,  la  determinazione  dell'elenco  degli  impianti di
energia  elettrica  che  sono oggetto di questi speciali procedimenti
viene  effettuata «previa intesa in sede di Conferenza permanente per
i  rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento
e  di  Bolzano»;  per  il secondo comma dell'art. 1, l'autorizzazione
ministeriale  per  il singolo impianto «e' rilasciata a seguito di un
procedimento unico, al quale partecipano le Amministrazioni statali e
locali   interessate,   svolto   nel   rispetto   dei   principi   di
semplificazione  e  con le modalita' di cui alla legge 7 agosto 1990,
n. 241,   e   successive   modificazioni,  d'intesa  con  la  Regione
interessata».  Appare  evidente  che quest'ultima va considerata come
un'intesa  «forte»,  nel  senso  che  il  suo  mancato raggiungimento
costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento -
come,  del  resto, ha riconosciuto anche l'Avvocatura dello Stato - a
causa  del  particolarissimo  impatto che una struttura produttiva di
questo  tipo  ha su tutta una serie di funzioni regionali relative al
governo del territorio, alla tutela della salute, alla valorizzazione
dei beni culturali ed ambientali, al turismo, etc.
    I  due  distinti  livelli  di partecipazione - dell'insieme delle
Regioni  nel  primo caso e della Regione direttamente interessata nel
secondo  -  realizzano  quindi, ove correttamente intesi ed applicati
dalle  diverse parti interessate, sufficienti modalita' collaborative
e  di  garanzia  degli  interessi  delle  istituzioni regionali i cui
poteri  sono  stati parzialmente ridotti dall'attribuzione allo Stato
dell'esercizio   unitario  delle  funzioni  disciplinate  negli  atti
impugnati.  Ne'  mancano,  ovviamente,  strumenti  di  tutela  contro
eventuali   prassi  applicative  che  non  risultassero  in  concreto
rispettose della doverosa leale collaborazione fra Stato e Regioni.
    L'insieme  di tali considerazioni evidenzia quindi l'infondatezza
dei  rilievi  delle  Regioni  ricorrenti  relativamente  alla pretesa
violazione  dell'art. 118  Cost.,  sia  in riferimento ai principi di
sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza,  sia per quel che
concerne la fonte statale utilizzata.
    8.  -  Devono  ora  essere  affrontate le censure sollevate dalle
ricorrenti   in   relazione  a  specifiche  disposizioni  degli  atti
normativi oggetto del presente giudizio.
    In  particolare,  alcuni  di  tali  rilievi  di costituzionalita'
riguardano   la   pretesa   illegittima   compressione   dei   poteri
amministrativi  e rappresentativi degli enti locali interessati, alla
luce degli articoli 117 e 118 Cost.: piu' specificamente, si nega, da
parte  delle  Regioni  ricorrenti,  che  l'autorizzazione unica possa
legittimamente  essere  configurata  come  sostitutiva  di ogni altra
autorizzazione  di  competenza  degli enti locali e come modificativa
degli  strumenti  urbanistici  o  del  piano  regolatore portuale, in
quanto  cio'  sarebbe  incompatibile  con  le  competenze legislative
regionali  in  materia  di  «governo  del territorio», nonche' con le
funzioni  amministrative  che  sarebbero  riconosciute  dall'art. 118
Cost. a comuni, province, citta' metropolitane e regioni.
    Tali censure non sono fondate.
    Quanto  alla pretesa violazione dell'art. 117 della Costituzione,
in  questa  sede  ci  si puo' limitare a richiamare le considerazioni
svolte  piu'  sopra.  La  disciplina  impugnata, infatti, concerne la
allocazione  e  la  regolazione  di  funzioni  amministrative (in una
materia affidata alla legislazione concorrente) e conseguentemente e'
nell'art. 118  della  Costituzione  e nei principi di sussidiarieta',
differenziazione  ed adeguatezza che deve trovare il proprio decisivo
parametro di giudizio, secondo quanto esposto in precedenza.
    L'infondatezza  dei  rilievi  concernenti la lamentata violazione
dell'art. 118  Cost.,  a  sua  volta, deriva proprio dalla necessaria
unitarieta'  dell'esercizio  delle  funzioni amministrative che, come
evidenziato,  sta  alla  base della scelta del legislatore statale di
introdurre   eccezioni   alla  normale  attribuzione  delle  funzioni
amministrative  al  livello  comunale  prevista  dall'art. 118, primo
comma, Cost.
    La    eccezionale    compressione    delle    competenze    delle
amministrazioni  regionali  e  locali  determinata dalla normativa in
esame  non puo' dunque ritenersi costituzionalmente illegittima. Cio'
va  affermato  innanzi  tutto  in quanto, ragionando diversamente, la
stessa  finalita'  per  la  quale  tale  disciplina e' stata posta in
essere   verrebbe   frustrata   da   un   assetto   delle  competenze
amministrative   diverso  da  quello  da  essa  stabilito,  anche  in
considerazione  della  necessaria  celerita'  con  cui  -  al fine di
evitare  il  pericolo  della  interruzione della fornitura di energia
elettrica   su   tutto   il   territorio   nazionale  -  le  funzioni
amministrative  concernenti  la  costruzione  o il ripotenziamento di
impianti  di  energia  elettrica di particolare rilievo devono essere
svolte.
    In  secondo  luogo,  non possono non assumere decisivo rilievo le
conclusioni  alle  quali  si e' giunti in precedenza, dal momento che
proprio  il necessario coinvolgimento delle Regioni di volta in volta
interessate   mediante   quello  strumento  particolarmente  efficace
costituito  dall'intesa,  assicura  una  adeguata  partecipazione  di
queste  ultime  allo  svolgimento  del  procedimento  incidente sulle
molteplici competenze delle amministrazioni regionali e locali.
    D'altra   parte,   anche  la  legislazione  preesistente  conosce
numerose  fattispecie nelle quali alcuni atti espressivi delle scelte
urbanistiche   dei   comuni  cedono  dinanzi  agli  atti  finali  dei
procedimenti  adeguatamente  partecipati di determinazione dei lavori
pubblici  di  interesse  generale  (con  specifico  riferimento  alle
centrali  elettriche,  si  veda  l'art. 12  dello stesso allegato IV,
recante  «Procedure  per  i  progetti  di  centrali termoelettriche e
turbogas»,  del  d.P.C.m. 27 dicembre 1988, la cui efficacia e' stata
sospesa  appunto  dall'art. 1  del  d.l.  n. 7  del 2002; e la stessa
giurisprudenza  di  questa  Corte  si  e'  espressa  nel senso di non
rilevare  violazione  dei  principi  costituzionali  in casi analoghi
(cfr.,  ad  esempio,  sentenza  n. 308  del 2003 e sentenza n. 21 del
1991).
    9.  -  Deve  essere  affrontata,  inoltre,  la  specifica censura
prospettata   dalla  Regione  Umbria,  secondo  la  quale  il  rinvio
contenuto  nell'art. 1,  comma 2,  del d.l. n. 7 del 2002, convertito
dalla  legge  n. 55  del  2002,  ad  un  «procedimento unico al quale
partecipano  le  amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei
principi  di  semplificazione  e  con  le modalita' di cui alla legge
7 agosto  1990,  n. 241,  e successive modificazioni ed integrazioni,
d'intesa  con  la  regione  interessata»  violerebbe l'art. 97, primo
comma,  Cost.,  ed il principio di leale collaborazione; cio' perche'
questo  procedimento,  nel  quale  non  sono previsti precisi tempi e
modalita'  di  partecipazione  delle amministrazioni interessate, non
sarebbe  idoneo  a  garantire  la  adeguata ponderazione di tutti gli
interessi  in  gioco  ne',  conseguentemente,  sarebbe «sufficiente a
garantire il rilievo degli interessi della comunita' regionale».
    Per  cio'  che riguarda la pretesa violazione dell'art. 97, primo
comma,  Cost., deve essere osservato, innanzi tutto, che la normativa
impugnata   in   realta'   disciplina   un  particolare  procedimento
amministrativo,  il  quale deve esaurirsi entro centoottanta giorni e
deve  culminare  in  un'autorizzazione  unica, con anche una speciale
accelerazione  per  la procedura di valutazione di impatto ambientale
prevista  dal  comma 3  dell'art. 1  del decreto impugnato (nel testo
risultante  dalla  conversione  in  legge)  ulteriormente  modificato
dall'art. 3 del d.l. 18 febbraio 2003, n. 25 (Disposizioni urgenti in
materia  di  oneri generali del sistema elettrico e di realizzazione,
potenziamento,   utilizzazione   e   ambientalizzazione  di  impianti
termoelettrici),   convertito   nella  legge  17 aprile  2003,  n. 83
(Conversione   in   legge,   con   modificazioni,  del  decreto-legge
18 febbraio  2003,  n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di
oneri  generali  del  sistema  elettrico. Sanatoria degli effetti del
decreto-legge 23 dicembre 2002, n. 281).
    Sulla   base   delle  considerazioni  gia'  svolte,  deve  essere
evidenziato  che,  nel  caso  di specie, il giudizio sul rispetto del
principio  di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97,
primo  comma,  Cost.,  fa tutt'uno con il giudizio di sussidiarieta',
differenziazione  ed  adeguatezza  nella  allocazione  delle funzioni
amministrative,  dal momento che la scelta concernente la allocazione
al  livello  centrale  delle  funzioni  amministrative  si giustifica
proprio  in relazione alla necessita' di garantirne una piu' adeguata
ed  efficiente  esplicazione. Di talche', lo scrutinio concernente la
compatibilita'  della  disciplina  impugnata  con  i  principi di cui
all'art. 118,  primo comma, Cost., conduce a ritenere infondati anche
i rilievi sulla pretesa violazione dell'art. 97, primo comma, Cost.
    D'altra parte, non solo lo stesso d.l. impugnato introduce - come
gia' visto - la necessita' del conseguimento di un'intesa «forte» con
la  Regione  interessata,  ma  inoltre  la  legge  n. 55  del 2002 ha
modificato il comma 3 dell'art. 1, prescrivendo che «e' fatto obbligo
di richiedere il parere motivato del comune e della provincia nel cui
territorio  ricadono  le  opere»  (seppure  nel  rispetto  del limite
temporale  complessivo  per la fase istruttoria). Tali prescrizioni -
il cui rispetto naturalmente potra' essere garantito nelle competenti
sedi   giurisdizionali  -  assicurano  indubbiamente  un  sufficiente
coinvolgimento  degli enti locali, in relazione agli interessi di cui
siano portatori ed alle funzioni loro affidate.
    Quanto   appena   affermato   rende   evidente,  peraltro,  anche
l'infondatezza  della  censura  concernente la pretesa violazione del
principio di leale collaborazione.
    10.  -  Da  ultimo,  vanno  prese  in  considerazione  le censure
proposte  dalle tre Regioni ricorrenti avverso il comma 1 dell'art. 1
del  d.l.  n. 7 del 2002, come modificato dalla legge di conversione,
per violazione dell'art. 117 Cost., nella parte in cui prevede che la
speciale   disciplina  si  applichi  «sino  alla  determinazione  dei
principi  fondamentali  della  materia  in  attuazione dell'art. 117,
terzo  comma, della Costituzione, e comunque non oltre il 31 dicembre
2003»,  nonche'  la  censura  specificamente  prospettata  dalla sola
Regione   Umbria   avverso   il   comma 5  dell'art. 1  del  medesimo
decreto-legge,   nella   parte   in   cui   prevede   la  sospensione
dell'efficacia  dell'allegato  IV  al d.P.C.m. 27 dicembre 1988 e del
d.P.R.  11 febbraio  1998, n. 53, per violazione degli articoli 117 e
118 Cost.
    In particolare, la prima di tali disposizioni e' stata contestata
da  parte  delle  ricorrenti,  che  vi  hanno  letto  la  volonta' di
sospendere  temporaneamente  l'esercizio  della  potesta' legislativa
regionale  in  una  materia  di legislazione concorrente, addirittura
vincolandola  alla  previa  adozione  di  una  normativa  di  cornice
statale, nonostante i principi fondamentali possano essere fin da ora
dedotti  in via interpretativa dall'attuale legislazione. Se peraltro
si  considera  che lo stesso originario testo del d.l. n. 7 del 2002,
nella  seconda  delle  disposizioni  qui esaminate (art. 1, comma 5),
sospende  proprio «fino al 31 dicembre 2003» l'efficacia di tutta una
serie  di  norme  primarie  e secondarie dello Stato che disciplinano
appunto  le  procedure  che  il d.l. evidentemente si riprometteva di
sveltire  ulteriormente  attraverso  la unificazione e concentrazione
dei  diversi  procedimenti, la (certo non felice) formula legislativa
introdotta  nel primo comma dell'art. 1 del d.l. ad opera della legge
di  conversione  deve  essere interpretata, in coerenza con il quadro
costituzionale,   come   finalizzata   semplicemente  a  ribadire  la
provvisorieta'  della  soluzione procedimentale configurata dal d.l.,
in  una  situazione  di  urgente  necessita'  che aveva comportato la
contestuale  sospensione dell'efficacia della normazione previgente e
dei relativi principi.
    Da  questo  punto  di  vista,  infondati appaiono i rilievi mossi
dalle  ricorrenti  al  primo  comma dell'art. 1, cosi' come infondati
sono  quelli  rivolti  dalla Regione Umbria alla disciplina di cui al
quinto comma del medesimo articolo, dal momento che ogni esercizio di
potere  legislativo  da  parte dello Stato comporta inevitabilmente o
l'abrogazione  o  la  sospensione  dell'efficacia  della legislazione
statale previgente.
    Le  successive  vicende  legislative,  culminate  con  l'adozione
dell'art. 1-sexies,  comma 8,  della  recentissima  legge  27 ottobre
2003,   n. 290   (Conversione   in   legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge  29 agosto  2003,  n. 239, recante disposizioni urgenti
per la sicurezza del sistema elettrico nazionale e per il recupero di
potenza  di  energia  elettrica.  Deleghe  al  Governo  in materia di
remunerazione  della  capacita'  produttiva di energia elettrica e di
espropriazione  per  pubblica  utilita), sembrano evidenziare, seppur
con  una  formula  non  del  tutto  chiara  («Per  la  costruzione  e
l'esercizio  di  impianti di energia elettrica di potenza superiore a
300  MW  termici  si  applicano  le  disposizioni  del  decreto-legge
7 febbraio  del 2002, n. 7, convertito, con modificazioni dalla legge
9 aprile  2002,  n. 55»),  la  volonta'  del legislatore nazionale di
stabilizzare  definitivamente  la  soluzione,  che  era  invece  solo
transitoria,  del  d.l.  n. 7  del  2002 e della legge di conversione
n. 55 del 2002.