ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 20 del decreto
legislativo  28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni sulla competenza
penale  del  giudice  di  pace,  a norma dell'articolo 14 della legge
24 novembre   1999,   n. 468),   promossi,   nell'ambito  di  diversi
procedimenti penali, dal Giudice di pace di Ferrara con tre ordinanze
del  17 febbraio  2003, iscritte al n. 381, al n. 382 e al n. 384 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera di consiglio del 26 novembre 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto che con tre ordinanze del 17 febbraio 2003 il Giudice di
pace  di  Ferrara  ha  sollevato,  in  riferimento  agli artt. 3, 24,
secondo  comma,  e  97, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 20  del  decreto  legislativo
28 agosto  2000,  n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza penale del
giudice  di  pace,  a  norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999,  n. 468),  nella  parte  in  cui non prevede che la citazione a
giudizio disposta dalla polizia giudiziaria debba contenere a pena di
nullita'   l'avviso   che,   qualora  ne  sussistano  i  presupposti,
l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado, possa presentare domanda di oblazione;
        che il giudice a quo osserva che l'art. 52 del citato decreto
legislativo  ha mutato il quadro sanzionatorio per i reati attribuiti
alla  competenza  del giudice di pace, consentendo l'applicazione sia
dell'oblazione  «volontaria»  ex  art. 162  del codice penale, sia di
quella   «discrezionale»   prevista  dall'art. 162-bis  del  medesimo
codice,  con particolare riferimento alle contravvenzioni gia' punite
con  pena  congiunta dell'arresto e dell'ammenda e oggi punite con la
pena  alternativa  dell'ammenda,  della  permanenza domiciliare o del
lavoro di pubblica utilita';
        che,  a  fronte  di tale situazione, la disciplina censurata,
nella  parte in cui non prevede che la citazione a giudizio contenga,
a  pena  di nullita', l'avviso che l'imputato puo' presentare domanda
di oblazione, appare in contrasto, secondo il rimettente, con:
          l'art. 3  Cost., perche' pone in essere una irragionevole e
ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto a quanto disposto
in  relazione  al  procedimento  davanti al tribunale in composizione
monocratica dall'art. 552, comma 1, lettera f), e comma 2, cod. proc.
pen., ove e' previsto non solo l'avviso, ma anche la nullita' in caso
di omissione;
          l'art. 3 Cost., poiche', irragionevolmente, l'avviso non e'
previsto   proprio  in  relazione  a  un  procedimento  connotato  da
«principi   di   massima   semplificazione   e   di   deflazione  del
dibattimento»;
          l'art. 24,  secondo  comma,  Cost.,  perche'  incide  sulla
facolta'  dell'imputato di chiedere tempestivamente di essere ammesso
all'oblazione, che e' espressione del diritto di difesa;
          l'art. 97,  primo  comma,  Cost., perche' comporta «ritardi
nella  fase  del  dibattimento in quanto l'imputato, stante l'assenza
dell'informazione,  non  e'  posto nella condizione di scegliere tale
strada  alternativa  in anticipo rispetto alla fase dibattimentale» e
il  «dibattimento  di  conseguenza  diviene  in  effetti una fase del
procedimento del tutto obbligata»;
        che   il  rimettente  ricorda  infine  che  la  stessa  Corte
costituzionale,  con  la  sentenza  n. 497  del  1995,  ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale,  per violazione dell'art. 24 Cost.,
dell'art. 555,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,  nel testo precedente la
legge  16 dicembre 1999, n. 479 (che ha sostanzialmente trasfuso tale
disposizione  nell'attuale art. 552, comma 2, cod. proc. pen.), nella
parte  in  cui  non  prevedeva la nullita' del decreto di citazione a
giudizio  in  caso di mancanza dell'avviso concernente la facolta' di
chiedere   i   riti  alternativi  ovvero  di  presentare  domanda  di
oblazione.
    Considerato  che le ordinanze di rimessione, aventi uguale tenore
testuale,  sollevano  la  medesima  questione  e  deve percio' essere
disposta la riunione dei relativi giudizi;
        che identica questione, sollevata dallo stesso rimettente, e'
gia' stata dichiarata manifestamente infondata con l'ordinanza n. 231
del 2003;
        che  questa  Corte  ha affermato, in riferimento alle censure
relative  agli  artt. 3  e 24 della Costituzione, che «dalla sentenza
n. 497  del  1995 non possono [...] trarsi argomenti a sostegno della
illegittimita'  costituzionale  della disciplina censurata, in quanto
l'omissione  dell'avviso  circa  la facolta' di presentare domanda di
oblazione non comporta la perdita irrimediabile di tale facolta', che
puo'  essere  esercitata  dall'imputato  nel  corso  dell'udienza  di
comparizione  prima  dell'apertura  del dibattimento, alla stregua di
quanto  espressamente  disposto  dall'art. 29,  comma 6,  del decreto
legislativo  n. 274  del  2000»  e  che «nell'udienza di comparizione
l'imputato  e'  obbligatoriamente  assistito,  a  norma dell'art. 20,
comma 2,  lettera e),  del  menzionato  decreto  legislativo,  da  un
difensore,  di  fiducia  o  d'ufficio,  si'  che risultano pienamente
garantite  la difesa tecnica e l'informazione circa le varie forme di
definizione del procedimento, anche alternative al giudizio di merito
(conciliazione  tra  le  parti,  oblazione,  risarcimento  del danno,
condotte riparatorie)»;
        che  in  questa  prospettiva  «l'udienza di comparizione, ove
avviene  il  primo  contatto  tra le parti e il giudice, risulta sede
idonea  per  sollecitare  e verificare la praticabilita' di possibili
soluzioni alternative, tra cui, evidentemente, l'estinzione del reato
per oblazione prevista dagli artt. 162 e 162-bis cod. pen.»;
        che  nell'occasione  questa  Corte ha inoltre ribadito che il
principio  di  buon  andamento  dei  pubblici uffici non si riferisce
all'attivita'    giurisdizionale    in    senso    stretto,    bensi'
all'organizzazione  e  al  funzionamento  dell'amministrazione  della
giustizia;
        che,  non  risultando  profili  diversi  o  aspetti ulteriori
rispetto  a  quelli  gia'  valutati  con  la pronuncia richiamata, le
questioni devono essere dichiarate manifestamente infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.