ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge
28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la previsione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - Legge finanziaria 2002), promossi
con ricorsi delle regioni Marche, Toscana e Basilicata, notificati il
22 e il 26 febbraio 2002 depositati in cancelleria il 28 febbraio, il
1°  e  il  6 marzo  successivi  ed  iscritti  ai  nn. 10, 12 e 20 del
registro ricorsi 2002.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  17  giugno 2003  il  giudice
relatore Riccardo Chieppa;
    Uditi  gli  avvocati  Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio
Lorenzoni  per  la  Regione  Toscana,  Massimo Luciani per la Regione
Basilicata e l'Avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente
del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ricorso n. 10 del 2002, riguardante una serie di norme
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2002),  la  Regione Marche, lamentando la lesione della propria sfera
di competenza legislativa, ha impugnato, tra l'altro, l'art. 29 della
stessa  legge  n. 448  del 2001 per violazione degli artt. 117, commi
secondo, lettera e), quarto e sesto, e 119 della Costituzione.
    In particolare, con riferimento all'art. 29, comma 1, lettere a),
b)  e  c),  della  legge  28 dicembre 2001, n. 448, la Regione Marche
ritiene  che detta norma sia lesiva delle prerogative regionali nella
parte  in  cui,  mediante  la  c.d.  esternalizzazione  dei  servizi,
introdurrebbe  misure  di efficienza delle pubbliche amministrazioni,
estendendole  ad  amministrazioni  diverse da quelle dello Stato, con
cio' violando l'art. 117, comma quarto, della Costituzione.
    Infatti,   la   materia  dell'ordinamento  e  dell'organizzazione
amministrativa  delle  regioni,  in  cui le predette misure sarebbero
ricomprese,  spetterebbe inequivocabilmente alla competenza residuale
del  legislatore  regionale, fatti salvi i profili che possano essere
ricondotti    all'art. 117,    secondo   comma,   lettera p),   della
Costituzione,  e  cioe'  quelli  riguardanti  «organi  di  governo  e
funzioni fondamentali di comuni, province e citta' metropolitane».
    La Regione Marche ritiene, inoltre, che l'art. 29, comma 2, della
legge  28 dicembre  2001, n. 448, nella parte in cui prevede forme di
autofinanziamento  cui  le  regioni  dovrebbero  ricorrere al fine di
«ridurre   progressivamente   l'entita'   degli  stanziamenti  e  dei
trasferimenti  pubblici  a carico del bilancio dello Stato, grazie ad
entrate  proprie,  derivanti  dalla  cessione  dei servizi prodotti o
dalla  compartecipazione  delle  spese  da  parte  degli  utenti  del
servizio»,  violi  sia  l'art. 117, quarto comma, della Costituzione,
per il riferimento anche alle amministrazioni regionali e locali - la
cui  disciplina  sarebbe in radice preclusa al legislatore statale -,
sia   l'art. 119   della  Costituzione  per  il  disconoscimento  del
carattere  autonomo e non piu' derivato della finanza regionale e per
i  limiti  al legislatore regionale nella definizione delle politiche
di bilancio della regione.
    La  ricorrente  censura  anche  l'art. 29,  comma 3,  della legge
28 dicembre  2001,  n. 448,  nella  parte  in  cui  non  esclude  che
l'applicabilita'    del   regime   tributario   agevolato,   previsto
dall'art. 90  della  legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per
la  formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2001)  si  possa  riferire  a  tributi diversi da quelli
statali,  con  la  violazione,  degli  articoli  117,  secondo comma,
lettera e) e quarto, della Costituzione e 119, primo e secondo comma,
Costituzione.  Infatti,  la  predetta disposizione determinerebbe una
lesione  della sfera di competenza regionale sotto il duplice profilo
dell'autonomia   legislativa  in  materia  di  sistema  tributario  e
dell'autonomia   finanziaria   di   entrata,   poiche'   non  sarebbe
riconducibile alla competenza statale in materia di relativi principi
di coordinamento.
    Forma  oggetto  di  censura anche l'art. 29, comma 4, della legge
28 dicembre  2001, n. 448, nella parte in cui introduce modificazioni
ad  una  disposizione  -  il comma 23 dell'art. 53 della citata legge
n. 388  del  2000  -  che  regola  «l'ordinamento  e l'organizzazione
amministrativa   degli   enti  locali»;  con  conseguente  violazione
dell'art. 117,  comma  quarto,  della  Costituzione,  trattandosi  di
materia   di   competenza  legislativa  regionale  esclusiva,  e  non
potendosi  ammettere,  nel  nuovo  sistema  di  competenze, ulteriori
interventi  legislativi  dello Stato nella predetta materia, sia pure
attraverso    parziali   modificazioni   della   disciplina   statale
previgente.
    Ulteriore   censura   investe  l'art. 29,  comma 5,  della  legge
28 dicembre  2001, n. 448, in quanto, estendendo alle amministrazioni
diverse  dallo Stato il potere regolamentare a quest'ultimo spettante
per   la   definizione  della  «tipologia  di  servizi  trasferibili,
modalita'  di  affidamento,  criteri  di  esecuzione  del  servizio»,
configurerebbe  una  violazione  dell'art. 117,  comma  sesto,  della
Costituzione,   sotto  il  profilo  che  detto  potere  regolamentare
interesserebbe   materia  appartenente  alla  competenza  legislativa
regionale esclusiva.
    1.1.  - Si e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei ministri, chiedendo il rigetto del ricorso.
    Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie l'Avvocatura
generale dello Stato e la Regione Marche.
    L'Avvocatura  generale dello Stato, insistendo per il rigetto del
ricorso,  ha  evidenziato  che  la  norma  impugnata  avrebbe  natura
meramente  programmatica  e non precettiva e non introdurrebbe alcuna
decurtazione  dei  trasferimenti  statali con modifica del sistema di
finanziamento di regioni ed enti locali.
    In   particolare,   con   riferimento   al  comma 1  dell'art. 29
impugnato, l'Avvocatura ritiene che la norma si limita a fornire agli
enti  a  cui  si rivolge gli strumenti per ottimizzare le risorse, in
attuazione  del  principio  di  buona  amministrazione, senza imporre
alcun obbligo. In conseguenza, anche il comma 5 del medesimo art. 29,
che  disciplina  il  potere regolamentare nella materia, non potrebbe
ritenersi di per se' lesivo delle prerogative regionali.
    Riguardo al comma 3 dell'art. 29, viene rilevata l'erroneita' del
presupposto  interpretativo  da cui muove la ricorrente, in quanto il
regime  tributario agevolato non si estenderebbe a tributi diversi da
quelli statali.
    Il  comma 4  dell'art. 29,  sempre  secondo  la  difesa erariale,
rientrerebbe  nel novero delle «norme cedevoli» e come tale destinato
a  venir  meno  allorquando  la  regione  avra'  attivato  la propria
competenza in materia.
    1.2. - La Regione Marche, nella memoria ribadisce le censure gia'
formulate   nel   ricorso,   con  specifico  riferimento  al  comma 3
dell'art. 29; argomentando sulla base della sentenza n. 138 del 1999,
ritiene  che  le stesse «compartecipazioni ai tributi erariali» siano
configurabili  quali  tributi  propri. Poiche' la materia dei tributi
regionali e locali apparterrebbe alla competenza esclusiva regionale,
lo  Stato  potrebbe  intervenire esclusivamente stabilendo i principi
fondamentali  del coordinamento e disciplinando la ripartizione delle
aree  del  prelievo  dei  tributi  destinati ad alimentare la finanza
della regione, senza pero' direttamente istituire esenzioni a tributi
regionali e locali.
    2.  -  Con  ricorso n. 12 del 2002, riguardante anche altre norme
della  citata legge finanziaria, la Regione Toscana ha impugnato, tra
l'altro,  l'anzidetto art. 29, comma 2, della legge 28 dicembre 2001,
n. 448,  nella  parte in cui prevede che le amministrazioni pubbliche
possano  ricorrere  a forme di autofinanziamento con entrate proprie,
cessione dei servizi prodotti o compartecipazione alle spese da parte
degli utenti del servizio.
    Tale  disposizione,  ad  avviso  della ricorrente, si porrebbe in
contrasto,  sia  con  l'articolo 119,  comma  quinto (recte: quarto),
della  Costituzione  che avrebbe costituzionalizzato il principio del
congruo  finanziamento  delle  funzioni  attribuite  alle regioni. In
particolare   con   la   riduzione  dei  trasferimenti  alle  regioni
attraverso  l'autofinanziamento,  non sarebbe garantita la necessaria
copertura  finanziaria  delle  competenze  regionali,  con violazione
dell'articolo 119,  comma  secondo,  della Costituzione, in quanto lo
Stato, al di fuori ed in assenza della normativa di coordinamento non
potrebbe  stabilire  specifiche  e puntuali disposizioni che limitino
l'autonomia finanziaria garantita alle regioni.
    2.1.  - Si e' costituito nel giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  chiedendo  il rigetto del ricorso, e ritenendo che la
norma  denunciata  si  limiterebbe,  per  un  verso, ad una esplicita
trasposizione  del  concetto  «risorse  autonome» di cui all'art. 119
della  Costituzione,  nulla  aggiungendo  a  quanto  previsto da tale
norma,  e,  per  altro  verso,  a  realizzare  lo  scopo  -  indicato
dall'art. 117   della  Costituzione,  comma  secondo,  lettera e),  e
richiamato   dal   successivo  art. 119  -  di  attuare  ex  ante  la
perequazione delle risorse finanziarie.
    3.  -  Con  ricorso n. 20 del 2002, riguardante anche altre norme
della  citata  legge finanziaria, la Regione Basilicata ha impugnato,
tra  l'altro,  con  riferimento  agli  artt. 3,  5,  114  e 117 della
Costituzione,  l'anzidetto  art. 29  della  legge  28 dicembre  2001,
n. 448.
    La  regione  ricorrente  premette,  alla analisi delle specifiche
censure  una  breve  ricostruzione  dei  rapporti tra legge statale e
legge regionale dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
    Secondo   la   Regione  Basilicata  nel  rispetto  della  nozione
paritaria  di «componenti» della Repubblica introdotta dall'art. 114,
il  nuovo  art. 117  -  stabilendo  che  la  potesta'  legislativa e'
esercitata   dallo   Stato   e   dalle  regioni  nel  rispetto  della
Costituzione,   nonche'   dei   vincoli   derivanti  dall'ordinamento
comunitario  e  dagli  obblighi  internazionali  - avrebbe equiparato
pienamente  le  regioni  e  lo  Stato,  quanto alla titolarita' della
funzione  legislativa.  Di  conseguenza  il  legislatore  statale non
potrebbe  piu'  intervenire  nelle materie di competenza regionale se
non  nei  limiti  imposti  dalla  Costituzione.  In  particolare, non
sarebbe consentito alla legge statale intervenire in materie devolute
alla  competenza  esclusiva  della regione, ne' regolare con norme di
dettaglio materie di competenza concorrente.
    Con  riferimento  specifico  alla  potesta'  concorrente,  sempre
secondo  la  ricorrente  Regione  Basilicata,  l'illegittimita' della
normativa  statale  di  dettaglio sarebbe confermata, in primo luogo,
dal  nuovo  testo  dell'art. 117,  secondo cui allo Stato spetterebbe
esclusivamente,  nelle materie oggetto di competenza ripartita, porre
i  principi  fondamentali.  Inoltre, sarebbe dubbia la sopravvivenza,
dopo  la riforma costituzionale, del limite dell'interesse nazionale,
che,  in ogni caso, potrebbe al piu' giustificare solo l'attivazione,
da  parte  dello  Stato,  dei poteri sostitutivi di cui all'art. 120,
secondo comma, della Costituzione.
    Ne  conseguirebbe  che  l'intervento  di  dettaglio  da parte del
legislatore  statale violerebbe l'intero disegno costituzionale delle
autonomie e sarebbe manifestamente irragionevole.
    3.1.   -  Dopo  aver  delineato  la  disciplina  descritta  dalla
disposizione  censurata,  la  Regione  Basilicata, nell'illustrare le
censure   di   incostituzionalita',   premette   che   l'art. 29   si
applicherebbe,   in   virtu'   del   rinvio  all'art. 1  del  decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del  lavoro  alle  dipendenti  delle amministrazioni pubbliche) anche
alle regioni e agli enti locali.
    Cio'  posto,  la disposizione oggetto di censura disciplinerebbe,
in  dettaglio, l'organizzazione e il funzionamento degli enti locali,
materia rientrante nella esclusiva competenza regionale, ed, inoltre,
detterebbe  norme  sull'organizzazione interna delle regioni, materia
egualmente  costituzionalmente  riservata  alla  esclusiva competenza
regionale.
    Sempre  secondo  la  ricorrente  regione  del  tutto  ininfluente
sarebbe il carattere autorizzatorio di alcune delle norme impugnate.
    Da   un  lato,  infatti,  la  lesivita'  dell'intervento  statale
dovrebbe  essere  colta nella pretesa di regolare determinate materie
in violazione del riparto di competenze costituzionalmente stabilito.
D'altra  parte,  le  suddette  norme  sarebbero  solo  apparentemente
permissive,  in  quanto consentirebbero determinati atti a condizione
che  la  scelta  autorizzata  sia  conforme alle regole che le stesse
disposizioni  analiticamente  dettano (come avverrebbe per i commi 1,
2, 4 e 6 della disposizione censurata).
    Ad  avviso  della  regione,  le  altre  norme  oggetto di censura
avrebbero  un  vero  e  proprio carattere imperativo. Cosi', in primo
luogo,  il  comma 5  dell'art. 29  attribuirebbe  ad  un  regolamento
ministeriale  il  potere  di identificare i servizi trasferibili, pur
facendo salve le funzioni delle regioni e degli enti locali. Il vizio
di  costituzionalita'  consisterebbe  nella previsione di regolamento
statale  per  la  disciplina  di  una materia riservata alla potesta'
esclusiva  della regione, mentre la clausola di salvaguardia non puo'
avere alcun contenuto effettivamente garantista.
    Analogo  contenuto  imperativo dovrebbe riconoscersi, inoltre, al
comma 7  della  disposizione  censurata, il quale prevederebbe che il
Ministro  per  l'innovazione  e le tecnologie definisca gli indirizzi
per   l'impiego   ottimale   dell'informatizzazione  nelle  pubbliche
amministrazioni,  malgrado l'avvenuta cancellazione della funzione di
indirizzo  e  coordinamento  operata dalla riforma del Titolo V della
Costituzione.
    D'altra  parte,  ad  avviso  della ricorrente, la norma censurata
sarebbe illegittima anche alla luce del vecchio testo costituzionale,
in  quanto il regolamento in essa previsto non avrebbe i requisiti di
sostanza  e forma tipici della funzione di indirizzo e coordinamento,
non  essendovi  ne'  la  previsione  di  delibera  del  Consiglio dei
ministri  e  ne' la previa determinazione legislativa dei principi ai
quali il Governo dovrebbe attenersi.
    In  tale  contesto,  non  varrebbe  obiettare,  sempre secondo la
regione,   che   l'art. 117,   secondo   comma,   lettera r),   della
Costituzione,  affiderebbe  allo Stato il coordinamento statistico ed
informatico   dei  dati  dell'amministrazione  statale,  regionale  e
locale,  in quanto l'attivita' di coordinamento dovrebbe distinguersi
nettamente  da quella di indirizzo relativamente alle tecniche e alle
procedure  di  informatizzazione.  In  ogni caso, resterebbe il vizio
procedurale  dell'affidamento  di  un  potere  cosi'  delicato  ad un
singolo ministro.
    3.2. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
sostenendo  che  le  norme  censurate  non  violerebbero  gli evocati
parametri   costituzionali,   in   quanto,   al  fine  di  migliorare
l'efficienza  delle  pubbliche amministrazioni, detterebbero norme di
contenuto   meramente   autorizzatorio.  Inoltre  la  difesa  statale
sottolinea  che  gli  indirizzi  del  Ministro per l'innovazione e le
tecnologie,  di  cui  all'art. 29,  comma 7,  sarebbero definiti dopo
l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni.
    3.4.   -   Nell'imminenza   della  udienza  pubblica  la  Regione
Basilicata  ha  depositato una memoria, insistendo per l'accoglimento
del   ricorso,  secondo  le  argomentazioni  gia'  sviluppate.  Viene
ribadito,  in  particolare,  che  con  la  disposizione  censurata il
legislatore   avrebbe   disciplinato,  con  normativa  di  dettaglio,
l'organizzazione  e  il  funzionamento  degli  enti  locali,  nonche'
l'organizzazione interna delle regioni, entrambe materie di esclusiva
competenza regionale.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Con  tre  separati  ricorsi  la Regione Marche, la Regione
Toscana  e la Regione Basilicata hanno impugnato la legge 28 dicembre
2001,  n. 448  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale  dello  Stato  -  legge  finanziaria 2002) censurando una
serie di disposizioni, tra cui l'art. 29 della stessa legge.
    Con  ricorso  n. 10  del  2002 la Regione Marche ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 117,  commi  secondo,  lettera e),  quarto e
sesto,   e   119   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 29,  commi 1,  2,  3,  4  e  5, della legge
28 dicembre 2001, n. 448.
    La  Regione  Toscana,  con  ricorso  n. 12 del 2002, ha censurato
l'art. 29, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, denunciando
la  violazione  dell'articolo 119,  comma  secondo  e  quinto (recte:
quarto), della Costituzione.
    La  Regione  Basilicata, con ricorso n. 20 del 2002, ha sollevato
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 29 della legge
28 dicembre  2001,  n. 448,  nella  sua  interezza, in relazione agli
artt. 3,  5,  114  e  117 della Costituzione in quanto sarebbe lesivo
della  competenza  esclusiva  regionale  in materia di organizzazione
interna  delle regioni e di organizzazione e funzionamento degli enti
locali.  Inoltre  censure specifiche vengono formulate dalla predetta
regione nei confronti dei commi 5 e 7 del medesimo art. 29.
    2.  -  Stante la sostanziale identita' dell'oggetto e la evidente
connessione  delle  questioni  proposte, i tre giudizi possono essere
riuniti  e definiti con unica sentenza per quanto attiene al predetto
art. 29  della  legge  n. 448  del  2001,  mentre  resta  riservata a
separate   pronunce  ogni  decisione  sulle  ulteriori  questioni  di
legittimita' costituzionale della medesima legge.
    3.  -  L'art. 29 della legge n. 448 del 2001 stabilisce una serie
di  misure  tendenti  a  rafforzare l'efficienza e la economicita' di
gestione delle pubbliche amministrazioni.
    In  particolare, il comma 1 della citata disposizione prevede che
le  pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, del decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165,  nonche'  gli  enti  finanziati
direttamente  o  indirettamente  a  carico  del bilancio dello Stato,
siano  autorizzati,  anche  in  deroga  alle vigenti disposizioni, ad
acquistare  sul mercato i servizi originariamente prodotti al proprio
interno,  a  condizione di ottenere conseguenti economie di gestione.
Lo  stesso  comma  prevede  che  le  predette amministrazioni possano
costituire   soggetti   di  diritto  privato  ai  quali  affidare  lo
svolgimento  di  servizi  svolti  in  precedenza,  nel  rispetto  del
principio  di  economicita', nonche' attribuire a soggetti di diritto
privato  gia' esistenti, con le procedure previste dalla disposizione
in esame, lo svolgimento di tali ultimi servizi.
    3.1.  -  In  relazione  al  comma 1  dell'art. 29,  le ricorrenti
regioni  Marche  (reg.  ric.  n. 10 del 2002) e Basilicata (reg. ric.
n. 20  del 2002), con analoghe argomentazioni, ritengono che la norma
censurata, dovendosi applicare nei confronti delle amministrazioni di
cui  all'art. 1,  comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, e
quindi  anche  nei confronti delle regioni e degli enti locali, abbia
violato  l'art. 117  della  Costituzione,  che riserva alla esclusiva
competenza legislativa regionale le materie dell'organizzazione e del
funzionamento delle regioni e degli enti locali.
    3.2. - La questione e' priva di fondamento.
    Innanzi  tutto  deve  essere  precisato che spetta allo Stato, in
sede  di  legislazione  concorrente,  la  determinazione dei principi
fondamentali  nella  materia  compresa  nella  endiadi espressa dalla
indicazione  di  «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della  finanza  pubblica  e  del sistema tributario» (art. 117, terzo
comma;  art. 119,  secondo  comma,  della  Costituzione riguardante i
«tributi e le entrate propri» delle regioni ed enti locali).
    La disposizione del comma primo (e secondo), inoltre, pure con un
obiettivo  economico-finanziario riguardante tutte le amministrazioni
pubbliche diverse dallo Stato, di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs.
30 marzo  2001, n. 165 (e quindi anche le regioni e gli enti locali),
ha  carattere  meramente facoltizzante e autorizzatorio con valore di
principio.  Per  effetto  di  detta  norma,  la scelta riguardante il
reperimento  sul  mercato  o  l'affidamento dei servizi o la gestione
diretta  resta  rimessa, in ogni caso, rispettivamente alla regione e
agli  enti  territoriali,  sia  in  ordine  all'an  sia  in ordine al
quomodo.
    Il  legislatore  statale,  con  la  predetta  disposizione, si e'
limitato  ad  indicare,  con carattere non vincolante per l'autonomia
delle regioni ed in via generale e non di dettaglio, talune possibili
modalita'  procedimentali, caratterizzate da finalita' esclusivamente
economico-finanziarie, per una c.d. esternalizzazione dei servizi.
    Tali  nuove  modalita'  possono essere aggiunte a quelle previste
nei  singoli  ordinamenti  per  l'acquisizione  e  l'affidamento  dei
servizi,   nel   rispetto   dei  principi  di  economicita'  e  buona
amministrazione  e di copertura della spesa, senza, tuttavia, imporre
o condizionare le scelte delle amministrazioni diverse dallo Stato.
    In  realta'  la  norma  del  comma 1,  deve  essere correttamente
interpretata in modo unitario, come prima indicazione di principio di
possibili  misure  adottabili  in  materia,  in  un  ambito  di primo
coordinamento  della  finanza  pubblica,  in ordine al reperimento di
forme  aggiuntive  di copertura delle spese e di finanziamento e alla
riduzione  dei  fabbisogni  finanziari per la gestione dei «servizi».
Cio'  deve  intendersi,  anche  in relazione alle caratteristiche del
testo  legislativo  in cui e' inserita (legge finanziaria 2002), come
disposizione  prodromica all'attuazione degli artt. 117, terzo comma,
e 119, primo e secondo comma, della Costituzione.
    4.   -   Il   comma 2   del   medesimo  art. 29  prevede  che  le
amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 possano ricorrere a forme
di  autofinanziamento,  grazie  alle  entrate proprie derivanti dalla
cessione dei servizi prodotti o dalla compartecipazione alle spese da
parte  degli utenti del servizio, al fine di ridurre gli stanziamenti
pubblici a carico del bilancio dello Stato.
    4.1.  - La Regione Marche (reg. ric. n. 10 del 2002) e la Regione
Basilicata  (reg.  ric.  n. 20  del  2002)  censurano  il comma 2 del
denunciato art. 29 sotto il profilo (analogo a quello del comma 1) di
violazione  dell'art. 117,  quarto comma, della Costituzione, poiche'
disciplinerebbe  l'organizzazione  delle  amministrazioni regionali e
locali, materia in radice preclusa al legislatore statale.
    La  sola  Regione  Marche,  inoltre,  ritiene che la stessa norma
violi  l'art. 119  della  Costituzione,  in  quanto  disconoscendo il
carattere  autonomo  e  non  piu'  derivato  della finanza regionale,
porrebbe  limiti  al  legislatore  regionale  nella definizione delle
politiche di bilancio della regione.
    Anche  la  Regione  Toscana  (reg.  ric.  n. 12 del 2002) censura
l'art. 29,    comma 2,    sotto    il    profilo   della   violazione
dell'articolo 119,  comma  quinto (recte: quarto), della Costituzione
in   quanto,   riducendo  i  trasferimenti  alle  regioni  attraverso
l'autofinanziamento,   non   garantirebbe   la  necessaria  copertura
finanziaria  delle  competenze  regionali.  La  norma in esame viene,
inoltre,  ritenuta  lesiva  dell'articolo 119,  comma  secondo, della
Costituzione,  in  quanto  lo  Stato, al di fuori ed in assenza della
normativa  di  coordinamento,  non  potrebbe  stabilire  specifiche e
puntuali  disposizioni che limitino l'autonomia finanziaria garantita
alle regioni.
    4.2.  -  La  questione  non  e'  fondata  per le medesime ragioni
indicate a proposito del comma 1.
    Inoltre  deve  essere sottolineato che la previsione di principio
che  anche le amministrazioni diverse dallo Stato possano ricorrere a
«forme   di   autofinanziamento»,   non   costituisce  lesione  della
competenza   legislativa  regionale  c.d.  residuale  in  materia  di
organizzazione e di funzionamento della regione.
    Infatti,  questa disposizione si giustifica sulla base dei poteri
dello  Stato  diretti all'armonizzazione e coordinamento dei bilanci,
delle spese e delle entrate dell'intera finanza pubblica, compreso il
sistema  tributario  (art. 117,  terzo  e  quarto comma; 119, secondo
comma).
    Sul  punto  deve  ritenersi  che,  nell'assetto  delle competenze
costituzionali  configurato  dal  nuovo  Titolo  V,  parte  II, della
Costituzione, l'autofinanziamento delle funzioni attribuite a regioni
ed enti locali non costituisce altro che un corollario della potesta'
legislativa   regionale   esclusiva   in  materia  di  ordinamento  e
organizzazione  amministrativa,  affinche' per tale via possa trovare
compiuta  realizzazione  il  principio  piu' volte ribadito da questa
Corte  circa  il parallelismo tra responsabilita' di disciplina della
materia e responsabilita' finanziaria.
    In  relazione  al  secondo  profilo,  riferito all'art. 119 della
Costituzione, va innanzi tutto considerato che, a decorrere dal 2001,
con  il  decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in
materia  di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della legge
13 maggio 1999, n. 133), e' stato dato avvio al passaggio dal sistema
di  finanziamento delle regioni a statuto ordinario per trasferimenti
a   quello   che   prevede   l'accesso   diretto,  mediante  le  c.d.
compartecipazioni ad alcuni tributi statali.
    La   riforma   della   finanza  decentrata  trova  ora  un  saldo
riferimento costituzionale nell'art. 119 della Costituzione.
    Il modello di finanziamento della finanza regionale e' incentrato
sul sistema della compartecipazione a quote dei tributi statali e non
piu' su trasferimenti a carico del bilancio dello Stato.
    Sulla  base  delle predette considerazioni l'applicabilita' della
norma  in esame alle regioni a statuto ordinario non puo' determinare
la  denunciata  lesione dell'autonomia finanziaria regionale, dovendo
questa  conformarsi  ai  principi  fondamentali  fissati  dalla legge
statale.
    D'altro  canto,  per  le  residue quote di finanza «derivata» che
ancora alimentano la finanza regionale, la semplice circostanza della
riduzione  dei  trasferimenti  e  stanziamenti  statali  a seguito di
entrate  proprie,  nel  quadro  del recupero di efficienza e di mezzi
finanziari  eventualmente  indotti  dalla  disposizione  censurata, a
seguito  di  libere  scelte  affidate alle regioni, non e' di per se'
sufficiente  ad  integrare  una violazione dell'autonomia finanziaria
regionale.
    Del  resto, la eventuale applicazione della norma denunciata, per
la sua natura di norma di principio e per la interpretazione che deve
essere  data al necessario presupposto compensativo di corrispondenti
entrate  proprie  regionali,  e'  tale  da  non  poter comportare uno
squilibrio  incompatibile  con  le  esigenze  complessive della spesa
regionale (sentenza n. 437 del 2001).
    5.  -  Il comma 3 dell'art. 29 stabilisce che ai trasferimenti di
beni  effettuati  a favore dei soggetti di diritto privato si applica
il  regime  tributario  agevolato  previsto  dall'art. 90 della legge
n. 388 del 2000.
    5.1.  -  La  Regione Marche (reg. ric. n. 10 del 2002) impugna il
comma 3   dell'art. 29,   nella   parte   in   cui  non  esclude  che
l'applicabilita'    del   regime   tributario   agevolato,   previsto
dall'art. 90 della legge n. 388 del 2000, si possa riferire a tributi
diversi da quelli statali, assumendo il contrasto sia con l'art. 117,
secondo  comma,  lettera e),  e  quarto,  della Costituzione, sia con
l'art. 119 della Costituzione.
    Anche  la  Regione Basilicata (reg. ric. n. 20 del 2002) denuncia
in  via  generale la lesione della competenza regionale in materia di
organizzazione.
    5.2.  -  La  questione  riguardante  il comma 3 e' manifestamente
inammissibile.
    La  disposizione  impugnata,  infatti,  concerne  le agevolazioni
fiscali  (esclusione  di plusvalenza, ricavi e minusvalenze, compreso
il  valore  di  avviamento)  applicabili  ai  trasferimenti  di  beni
effettuati  a  favore  dei soggetti di diritto privato, costituiti ai
sensi  del  comma 1, lettera b), del medesimo art. 29. Trattandosi di
imposte  sui  trasferimenti  di  beni immobili e di aziende, la norma
riguarda  la  finanza statale, con la conseguenza che non puo' essere
configurata  alcuna  lesione della sfera di competenza regionale. Ne'
la  regione  puo'  ritenersi  legittimata  a  censurare  agevolazioni
previste  per  imposte  esclusivamente  statali, in quanto istituite,
disciplinate e riscosse dallo Stato.
    6.  -  Il comma 4 dell'art. 29, modifica il comma 23 dell'art. 53
della  legge  n. 388 del 2000. Tale ultima disposizione prevedeva che
gli  enti  locali  con  popolazione  inferiore a tremila abitanti che
dimostrassero  la  mancanza  non  rimediabile di figure professionali
idonee  nell'ambito  dei  dipendenti,  anche  al  fine  di operare un
contenimento    della    spesa,   potessero   adottare   disposizioni
regolamentari  organizzative,  attribuendo  ai componenti dell'organo
esecutivo (sindaco e assessori) la responsabilita' degli uffici e dei
servizi  e  il potere di porre in essere anche atti di natura tecnico
gestionale.
    La  norma  impugnata  ha  elevato a cinquemila abitanti il limite
dimensionale  degli  enti  locali per l'applicabilita' della suddetta
disciplina   e   ha  soppresso  il  presupposto  della  mancanza  non
rimediabile   di   figure   professionali   idonee   nell'ambito  dei
dipendenti.
    6.1.  -  La  Regione Marche (reg. ric. n. 10 del 2002) censura il
predetto comma 4 dell'art. 29, in quanto violerebbe l'art. 117, comma
quarto,  della  Costituzione, che riserva alla competenza legislativa
regionale  c.d.  residuale  la materia dell'organizzazione degli enti
locali.
    Anche  la  Regione Basilicata (reg. ric. n. 20 del 2002) denuncia
in  via  generale la lesione della competenza regionale in materia di
organizzazione.
    6.2. - La questione e' infondata.
    Infatti,  trattasi  di intervento legislativo statale riguardante
«l'organo  esecutivo»  comunale e le funzioni essenziali attribuibili
allo  stesso  organo,  settore  che  -  pur  appartenente in linea di
principio  alla materia dell'organizzazione degli enti locali - resta
enucleato  dalla  norma  costituzionale ed attribuito alla competenza
esclusiva   dello   Stato  in  forza  dell'art. 117,  comma  secondo,
lettera p)  della  Costituzione.  Del  resto la innovazione apportata
dalla  disposizione  denunciata  conserva  il  carattere facoltativo,
cioe'  di  previsione  di  scelta  affidata al singolo comune e nello
stesso  tempo  mantiene  fermo  il  presupposto  gia'  previsto  (per
l'attribuzione  di  competenze  all'organo  esecutivo) di concorrente
realizzo   di  contenimento  di  spesa,  annualmente  documentata  in
apposita deliberazione in sede di approvazione di bilancio.
    D'altro  canto  la  norma  lascia  spazio  alla prevista potesta'
regolamentare  dei  comuni in materia di organizzazione e svolgimento
delle  funzioni  loro  attribuite  (art. 117,  secondo  comma,  della
Costituzione).
    7.  - Il comma 5 dell'art. 29 attribuisce al regolamento statale,
emanato  su  proposta  del  Ministro dell'economia e delle finanze ai
sensi  dell'art. 17,  comma 1,  della  legge  23 agosto  1988, n. 400
(Disciplina  dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza
del  Consiglio  dei ministri), il potere di definire la tipologia dei
servizi   trasferibili,  nonche'  le  modalita'  dell'affidamento,  i
criteri  per  l'esecuzione del servizio e per la determinazione delle
relative tariffe, nonche' le clausole di carattere finanziario, fatte
salve le competenze di regioni ed enti locali.
    7.1.  - Secondo la Regione Marche (reg. ric. n. 10 del 2002) e la
Regione  Basilicata  (reg.  ric.  n. 20  del 2002), tale disposizione
violerebbe  l'art. 117,  comma  sesto,  della Costituzione, in quanto
prevede  un  potere  regolamentare  statale  anche  nei confronti dei
servizi trasferibili delle regioni e degli enti locali in una materia
appartenente alla competenza legislativa regionale c.d. residuale.
    7.2. - La censura mossa nei confronti del comma 5 non e' fondata.
    La  questione  si basa su di un erroneo presupposto, in quanto la
clausola  di salvezza («fatte salve le funzioni delle regioni e degli
enti    locali»)    deve    essere   interpretata   nell'unico   modo
costituzionalmente   corretto,   cioe'  nel  senso  che  la  potesta'
regolamentare  statale  puo'  riguardare  solo  la parte normativa di
competenza  esclusiva  statale,  e  quindi  riferirsi  esclusivamente
all'organizzazione  amministrativa  dello Stato e degli enti pubblici
nazionali.
    Di  conseguenza la previsione di regolamento non ha riguardo alle
regioni  e  agli  enti  locali.  Pertanto  non puo' ritenersi violata
alcuna competenza regionale.
    8.  -  Il  comma 6  dell'art. 29,  nella formulazione originaria,
oggetto  di impugnazione da parte della Regione Basilicata (reg. ric.
n. 20  del  2002)  prevedeva il trasferimento alla concessionaria dei
servizi  informatici  pubblici (CONSIP) dei compiti propri del centro
tecnico  di  cui  all'art. 17,  comma 19, della legge 15 maggio 1997,
n. 127    (Misure   urgenti   per   lo   snellimento   dell'attivita'
amministrativa  e  dei  procedimenti  di  decisione e di controllo) e
stabiliva, inoltre, che le pubbliche amministrazioni, per il migliore
perseguimento  dei  propri  fini  istituzionali,  potessero stipulare
convenzioni  con  la  predetta concessionaria dei servizi informatici
pubblici.
    Il   suddetto  comma  e'  stato,  successivamente,  integralmente
sostituito dall'art. 27, comma 10, lettera a), della legge 16 gennaio
2003,   n. 3  (Disposizioni  ordinamentali  in  materia  di  pubblica
amministrazione).
    Il  nuovo  comma 6,  come  modificato, prevede attualmente che il
Governo, con regolamento, da emanarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2,
della legge n. 400 del 1988, proceda alla soppressione dell'Autorita'
per l'informatica nella pubblica amministrazione e del Centro tecnico
di  cui  all'art. 17,  comma 19, della legge n. 127 del 1997, nonche'
all'istituzione dell'Agenzia nazionale per l'innovazione tecnologica,
la  quale  subentra  nei  rapporti  giuridici e nelle funzioni di cui
erano gia' titolari i predetti organismi.
    Deve  pertanto  essere dichiarata la cessazione della materia del
contendere essendo venute meno le ipotesi di convenzioni e le ragioni
della  censura,  del  resto  formulata  in  via  generale, mentre non
risultano  elementi  in ordine ad un inizio di esecuzione della norma
originaria nel periodo di vigenza fino alla modifica.
    9.  -  Il  comma 7  dell'art. 29  prevede  che  il  Ministro  per
l'innovazione  e  le  tecnologie, per il miglioramento della qualita'
dei  servizi  e  la  razionalizzazione  della  spesa per informatica,
definisca:     a)    gli    indirizzi    per    l'impiego    ottimale
dell'informatizzazione  delle  pubbliche  amministrazioni, sentita la
Conferenza  unificata  di  cui  all'art. 8  del  decreto  legislativo
28 agosto  1997,  n. 281;  b)  i  programmi di valutazione tecnica ed
economica  dei  progetti  in  corso  e di quelli da adottare da parte
delle  amministrazioni  statali  e  degli enti pubblici non economici
nazionali e assicuri la verifica e il monitoraggio dell'impiego delle
risorse in relazione ai progetti informatici eseguiti.
    9.1.  - Secondo la Regione Basilicata (reg. ric. n. 20 del 2002),
il  citato  comma 7  sarebbe  illegittimo  in  quanto  il legislatore
avrebbe  previsto un potere statale di indirizzo e coordinamento, non
piu' configurabile dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
    La questione non e' fondata.
    L'art. 117,   secondo   comma,  lettera r),  della  Costituzione,
attribuisce,  infatti,  alla  potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato, il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione   statale,   regionale   e   locale.  Certamente
attengono  al  predetto  coordinamento anche i profili della qualita'
dei   servizi  e  della  razionalizzazione  della  spesa  in  materia
informatica,  in quanto necessari al fine di garantire la omogeneita'
nella elaborazione e trasmissione dei dati.
    La  norma,  contenuta  nell'art. 29,  comma 7,  lettera a),  deve
essere  intesa  come  attribuzione al Ministro per l'innovazione e le
tecnologie  di un potere limitato (per quanto riguarda le regioni) ad
un  coordinamento  meramente tecnico, per assicurare una comunanza di
linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere
la   comunicabilita'   tra   i  sistemi  informatici  della  pubblica
amministrazione.   Di  conseguenza  il  potere  ministeriale  rientra
nell'ambito   della   previsione   costituzionale   di  coordinamento
informativo   statistico  e  informatico  dei  dati  delle  pubbliche
amministrazioni  secondo  la previsione dell'art. 117, secondo comma,
lettera r), della Costituzione.
    Deve  escludersi,  infine,  che  la norma contenuta nell'art. 29,
comma 7, lettera b), in base alla quale il Ministro per l'innovazione
e  le  tecnologie  definisce  i  programmi  di valutazione tecnica ed
economica  dei  progetti,  riguardi  le  regioni, come puo' desumersi
agevolmente  dal  fatto  che in essa si fa esclusivo riferimento alle
amministrazioni  statali  anche  ad  ordinamento autonomo e agli enti
pubblici  non  economici  nazionali.  Non  vi e' un qualsiasi accenno
diretto o indiretto per richiamo alle regioni, in evidente differenza
con   il   comma 1,   che  fa  riferimento,  invece,  alle  pubbliche
amministrazioni  di  cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo
30 marzo 2001, n. 165.